"Quando le sere al placido"

Il conte Rodolfo, protagonista maschile di Luisa Miller è una delle più compiute raffigurazioni verdiane dell’eroe romantico.
Né potrebbe essere differentemente attesa l’origine schilleriana del personaggio.
La grande scena, che chiude il secondo atto costituita da un recitativo “ oh fede negar potessi”, un andante “ Quando le sere al placido” e l’allegro moderato “l’ara e l’avello” tocca tutte le corde del personaggio, innamorato che si crede tradito e tanto disperato o accettare un matrimonio, cui ha dichiarato apertamente non avere attrazione ed interesse.
Una scena così costruita precede l’altra grandissima scena, anch’essa in chiusa d’atto , quella di Manrico del Trovatore.
Scritta per Settimio Malvezzi la parte non presenta neppure nella tradizione di inserimenti le prodezze di Manrico, ma il clima e le esigenze espressive del testo non sono, poi, molto differenti. La sezione centrale della scena, inspirata al ricordo ed al rimpianto, fondato sul sospetto tradimento ha attirato interpreti che a rigore non avrebbero interpretare l’intera opera in teatro, ma che del “quando le sere al placido” hanno dato letture inspirate ed ispiratrici.
Va, anche, precisato che il testo prevede da parte dell’autore molti segni di espressione e di dinamica.L’incipit “ quando le sere al placido” prevede “piano” ed appassionato.
Giacomo Lauri – Volpi, Tito Schipa, Alessandro Bonci si attengono alla prescrizione, ma Aureliano Pertile attacca addirittura con una mezza voce paradisiaca, che contrasta con la situazione precedente e rende lo sgomento ed il dolore del personaggio. Ancor più raffinato ed estraniato Giuseppe Anselmi, tenore di grazia all’antica che trasforma in pp la prescrizione di Verdi.
Replica Schipa che sul “chiaror d’un ciel stellato” esibisce una mezza forcella, nonostante Verdi ne preveda una successiva sul “meco figgea nell’etere lo sguardo innamorato” dove addirittura Bonci e Pertile non solo passano dal piano al forte, ma ritornano al piano.
Sulla stessa frase Lauri Volpi (anno 1943 e molto Verdi pesante alle spalle) fra “etere” e “lo sguardo” prende un fiato non prescritto per poi piazzare una forcella sull’innamorato successivo, scegliendo di dare allo “sguardo innamorato” il massimo rilievo possibile.
A questo “festival” di espressione risponde Aureliano Pertile con una forcella sul prima “sua man sentia” .
Però Pertile omette l’esecuzione completa della forcella prescritta sull “ah” . Forcella rispettata alla lettera da Schipa, Anselmi e Bonci. Enfatizzata da Lauri Volpi che inserisce una presa di fiato per, poi, sfoggiare, un’altra messa di voce sul mi “tradia”. Giusto e legittimo in quanto Verdi prescrive “ con espressione”.
Sul secondo “ah” Pertile eccede in enfasi da vero figlio del suo tempo, inserendo un singhiozzetto, mentre altrettanto figli di un’epoca pre-carusiana e pre-toscaniniana Anselmi e Bonci sull’ultimo “mi tradia” inseriscono un rallentando che aumenta il tasso nostalgico del passo e del personaggio.
Alla ripresa, trattasi di aria strofica, Anselmi attacca l’ “allor” in pianissimo e Lauri Volpi replica con la ripresa a mezza voce. E siccome Schipa non può essere da meno inserisce su “estatico” una forcella passando dal piano al pianissimo. E sempre Schipa monta in cattedra al successivo “pendea” dove, anziché, limitarsi a passare dal piano al mezzo forte ritorna al piano. Procedimento espressivo questo tipico di Schipa e del suo sistematico evitare eccessi di volume.
Tenori di grazie come Schipa, Anselmi e Bonci non perdono ovviamente l’occasione di eseguire alla perfezione la forcella ostica perché cade in zona di preparazione del passaggio di “ ed ella in suono angelico”. Poi arriva la frase topica “ amo te sol dicea” . E ciascuno da sfogo alle proprie risorse. Lauri Volpi rallenta emette un suono forse più perente di un falsetto che della mezza voce, ma assurge a paradigma di innamorato infelice. Anselmi e Bonci rallentano e il primo sul sol di “te sol” come prassi per la scuola antica davanti ad un acuto lo smorza magistralmente. Il principio ch egli acuti non si sparavano mai era salvo, la voce pure e con la voce l’espressione. Anzi gli effetti come si diceva. Il mezzo espressivo è differente da Lauri Volpi, ma il personaggio esce identico. L’autore rispettato nel pensiero poetico.
E il topos è rispettato anche da Pertile, che esegue una forcella sul “ sol” e da Schipa che omette la pausa dopo “sol” legando al “dicea” con un fiato esemplare. Fiato o rubato.
Arrivati alla chiusa la lotta per il più espressivo la combattono Alessandro Bonci ed Aureliano Pertile entrambi impegnati a rendere lo strazio di Rodolfo la cautela di Bonci, che emette il sol acuto con un portamento e su tutti i “mi tradia” rallenta per dare senso alla frase e dimostrando un controllo del passaggio di registro esemplare, hanno sotto il profilo espressivo corrispondenza perfetta nel ppp che Pertile mette (complici le parole del testo) su “in suono angelico” e nel rispetto delle indicazioni circa la dinamica dei due “ ah mi tradia” il primo ff ed il secondo pp

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