Meyerbeer e la sua Fidès, la voce protagonista.


Frutto di 6 anni di lavoro intenso Le prophète fu opera per lungo tempo al centro dell’attenzione del mondo musicale. La prima rappresentazione all’Opéra di Parigi nell’aprile del 1849 e quella di poco successiva a Londra (in italiano), con Pauline Viardot come Fidès e nel ruolo di Jean di Leyda Gustave Roger a Parigi e a Londra il celebre Mario, furono enormi successi che guadagnarono a Meyerbeer ammirazione ed onore, in Italia quella di Giuseppe Verdi per esempio, che terrà sempre in grande considerazione questo lavoro, mentre le rappresentazioni in Germania scatenarono reazioni opposte, ossia lo sdegno di Schumann e Wagner, che di lì a poco pubblicò il libello Il giudaismo in musica in cui inveiva contro Meyerbeer.

L’opera rimase stabilmente in repertorio fino ad almeno gli anni 20, meno riproposta forse de Les Huguenots, ma ugualmente adatta ad essere veicolo per riunire una grande compagnia di canto, un grande direttore d’orchestra, insomma per creare un grande allestimento, nella migliore tradizione del Grand-Opéra francese.
Fra le prime parti, la vera protagonista dell’opera possiamo dire sia Fidès, la madre del profeta del titolo, Jean de Leyda. Si tratta di una figura dalle molte sfaccettature, madre benevola, figura patetica nei primi atti, negli ultimi due invece imponente e maestosa. Non è difficile vedere in Fidès i tratti che possono aver ispirato a Verdi l’Azucena del Trovatore, che Verdi appunto voleva come vera protagonista della sua opera, come lo è Fidès nel Prophète. A lei Meyerbeer affida molti momenti pregevoli nella partitura, dal primo duetto con Berthe all’arioso Ah, mon fils, dall’invettiva del finale IV a tutto il V atto composto da una grande scena di bravura per Fidès, un duetto madre-figlio, un terzetto con Berthe e il finale all’unisono con Jean de Leyda. Parte dalle grandi richieste e possibilità, da grandi primedonne, cui è richiesto non solo di reggere la lunghezza dell’opera, ma soprattutto di affrontare una tessitura non agevole (due ottave e mezza, dal la grave toccato con frequenza a si naturali e do) e di dover affrontare l’ampio orchestrale meyerbeeriano. Una parte insomma solo per grandissime cantanti, come era appunto Pauline Viardot, la prima interprete, e come altre grandi detentrici del ruolo quali Adelaide Borghi-Mamo, Marie Delna, Marianne Brandt, Ernestine Schumann-Heink, Louise Homer, Margarethe Matzenauer, Marilyn Horne e che sarebbe stata perfetta anche per altri grandissime cantanti come Ebe Stignani, Fiorenza Cossotto, Grace Bumbry.

La grande scena di Fidès, O prêtres de Baal, che segue il classico schema recitativo – aria – cabaletta, scritta e pensata per le doti virtuosistiche di Pauline Viardot, richiede alla primadonna tutte le sue doti interpretative e canore, spaziando con facilità dal grave estremo all’acuto e viceversa, con ovvie richieste di dinamica, una notevole quantità di agilità, volatine ecc, ossia l’arsenale della grande scena virtuosistica della Primadonna. Vale la pena notare che, forse conscio di avere a sua disposizione una primadonna non comune, Meyerbeer stesso inserisce numerose varianti all’interno della scena, che lui stesso marca come facilitations pour les personnes pour lesquelles les vocalises ci-après seraient trop difficiles.

La prima testimonianza discografica della scena in questione è lasciata da Louise Homer, che fu interprete del ruolo anche al Metropolitan di New York accanto a Caruso e alla Muzio, e che era solita inserire spesso nei propri concerti la grande scena di Fidès. Nonostante qualche acuto fisso abbiamo una prova pregevolissima, in cui si apprezza soprattutto il registro grave ben timbrato e si nota una notevole facilità in zona acuta, come testimonia l’esecuzione della cabaletta. Un limite della Homer probabilmente è il confronto con le illustri colleghe come Ernestine Schumann-Heink della quale non aveva il gusto e la rifinitezza tecnica e di stile, nella Homer un po’ troppo tendente al romantico.

Grandissima Fidès invece è stata soprattutto Ernestine Schumann-Heink, come testimonia l’ascolto, in cui la voce risulta bella, morbida, i gravi perfettamente timbrati e saldati al resto della voce senza soluzione di continuità, la Schumann-Heink è esimia vocalista e lo dimastronano i suoi trilli perfetti e il legato d’alta scuola, vale la pena notare anche l’espressione dolce e nobile e la grandissima attenzione ai segni d’espressione, puntualmente rispettati, come nel recitativo in cui il tono irato ed inciviso lascia subito il posto a piani di dolcezza veramente materna che si ritrovano intatti nell’aria, dove ogni singolo accento o indicazione dinamica di Meyerbeer sono rispettati alla perfezione. Gli unici difetti che potremmo trovare sono la fissità in qualche passo del registro acuto e il mezzo di incisione difficoltoso, ma dall’ascolto è facile riconoscere in Ernestine Schumann-Heink un sicuro modello per Marilyn Horne.

Di un decennio successive l’ incisione ad opera di Jacqueline Royer, voce che si percepisce ampia, dalla zona medio-bassa sicura, ancorchè un po’ generica, che esegue tra l’altro solo la sezione centrale, O toi qui m’abandonne.

Interessantissimo è l’ascolto di Sabine Kalter, esimia wagneriana e celebre Brangaene accanto a Kirsten Flagstad, qui alle prese con Meyerbeer e il Belcanto. La voce non bellissima ma decisamente solida, si piega senza difficoltà a sfumature e al virtuosismo della cabaletta, nonostante qualche semplificazione, mostrando acuti sicurissimi e lucenti e registri molto omogenei. Decisamente una wagneriana poco declamante e molto adusa alle regole del Bel Canto.


Del 1929 è poi la testimonianza di Sigrid Onégin, insieme alla Schumann-Heink e alla Horne, la più grande Fidès preservata dal disco (col vantaggio, rispetto alla Horne, di una voce di grande qualità timbrica e singolare ampiezza), ed una eccezionale cantante nella storia dell’Opera. In lei possiamo ravvisare una sorta di Ebe Stignani ante litteram tanta è la maestria della tecnica di canto unita a mezzi eccezionali. Nella Onegin la voce è sempre morbida e timbrata, il suono omogeneo e facile in tutti i registri, sia negli estremi acuti che nelle discese al grave, tutta la tessitura è dominata con facilità irrisoria. Ne abbiamo prova nell’aria dove le discese al la grave delle prime frasi sono omogenee al resto della voce, stesso dicasi per la facilità con cui la Onegin sale ai do nella cabaletta, privi di alcuna fissità ravvisabile in altre colleghe del periodo, anzi lucenti e morbidi, come tutta la zona acuta. Una prova storica che ci mostra una grandissima belcantista.

Nella seconda metà del 900, persa l’occasione di sentire la Fidès di Ebe Stignani, è Marilyn Horne a riportare in auge il titolo meyerbeeriano, cui ha sempre dedicato grande attenzione, avendo inciso le arie negli anni 60 per la Decca, presentato l’opera intera alla RAI nel 1970, avendola incisa per la CBs nel 1976 e avendola riportata al Metropolitan dopo quasi 50 anni con una nuova produzione nel 1977 e nel 1979. Alle prese col ruolo di Fidès, che richiede una voce che la Natura non le aveva fornito, soprattutto per ampiezza, la Horne agisce con la consueta maestria ed intelligenza, riuscendo ad “inventarsi” ogni suono per costruire una Fidès che senza esitazione si può definire storica. Allo stesso modo che nelle cantanti antiche anche nella Horne l’emissione è sempre morbida, i suoni costantemente omogenei, sfrutta poi il proprio timbro chiaro a fini espressivi lasciandosi a momenti di grande dolcezza nell’aria, preceduta da un recitativo scandito e maestoso come richiesto (Frappe, frappe, toi qui punis tous les enfants ingrats). Nella cabaletta il virtuosismo è come al solito impeccabile, eccetto qualche acuto stridulo, come i due do delle volatine, perfetto però nell’alternanza fra registro acuto e grave. Una prova monumentale alla cui riuscita partecipa anche Henry Lewis, egregio direttore e grandissimo accompagnatore, che fa cantare l’orchestra insieme alla Horne, senza esserle mai di difficoltà.

Dopo Marilyn Horne a cimentarsi con Fidès sono altre due primedonne, nel 1998 alla Wiener Staatsoper, dove viene eseguita una edizione critica dello spartito con l’aggiunta di alcuni passi originali che nulla aggiungono di sostanziale, perlomeno alla grande scena di Fidès, che rispondono al nome di Agnes Baltsa e Violeta Urmana, la prima diva DG ormai sul proprio Sunset Boulevard e la seconda promettente stella della lirica (all’epoca) ancora in vesti mezzosopranili prima di tentare il volo come soprano.
Agnes Baltsa fin dal recitativo ci catapulta nel più bieco verismo, la madre ora maestosa ora dolce lascia il passo ad una orrenda megera che sbraca i suoni in basso alla ricerca di una consistenza di suono che sostanzialmente non c’è mai stata. Nell’Andantino la voce si spezza, impossibilitata a mantenersi omogenea, l’emissione è quasi sempre di petto, l’accento forzato, i suoni in zona medio alta quasi sempre aciduli, più che cantabile l’aria diventa decisamente un passo declamato in cui ogni nota ha una voce diversa e che viene conclusa da una cadenza sbracata in basso e gridata in alto. Tagli copiosi intervengono nella cabaletta a salvare la cantante e gli ascoltatori estirpando la maggior parte delle agilità e dei vocalizzi, comprese le volatine al do, lasciando quelle che rimangono ad un’esecuzione imprecisa accompagnata dalle consuete grida aquiline.
Secondo cast di questa Fidès dicevamo era la giovane Violeta Urmana, ancora nella fase mezzo-sopranile della carriera in cui la voce era sostanzialmente fresca (non depauperata come nelle recenti esibizioni) senza comunque essere di materiale pregiato o capace di chissà quale ampiezza. Alle prese con la grande scena di Fidès alcuni difetti che poi sono andati degenerando invece che essere risolti, si sentono già tutti, come i gravi poco timbrati accompagnano una zona medio acuta fibrosa, mentre si rileva che gli acuti risultano più facili anche se a volte gridacchiati. Un peccato che i problemi tecnici non siano mai stati risolti a danno non solo della cantante ma anche del pubblico.

Appare chiaro infine che una scrittura simile non permette che si bari con essa, lasciando solo alle grandi cantanti la possibilità di servirsene come mezzo per far sfoggio della propria maestria tecnica e artistica.

Gli ascolti

Meyerbeer – Le prophète

Acte V

Scène, Cavatine et Air de Fidès

O prêtres de Baal…O toi qui m’abandonne…Comme un éclair

1903 – Louise Homer
1907 – Ernestine Schumann-Heink
1915 – Jacqueline Royer
1921 – Sabine Kalter
1929 – Sigrid Onegin
1970 – Marilyn Horne
1998 – Agnes Baltsa
1998 – Violeta Urmana

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