Serie B a chi ?!? – prima puntata

La recente pubblicazione delle prossime stagioni d’opera ha riportato l’attenzione sulla sempre maggiore difficoltà dei teatri di garantire una messa in scena dignitosa dei singoli titoli di un cartellone, causa sempre più frequente l’inadeguatezza dei cantanti, per mende tecniche o per incompatibilità col ruolo chiamato a sostenere. Valga l’esempio della leggera Patrizia Ciofi alle prese con due ruoli da soprano drammatico come Alaide ne La straniera e di Parisina, scelte inopportune sul nascere che compromettono la riproposta di un titolo e l’interesse culturale che di base pur vi sarebbe.


Ma il problema dell’organizzare un cast valido non riguarda più solo opere di rara riproposizione come la Parisina d’Este o Ermione, al contrario sempre più spesso la difficoltà risiede anche nel raggruppare gli interpreti per un’Aida (si pensi al cast che ha aperto La Scala nel 2006/2007), Ballo in maschera, Tosca, opere di repertorio fino a qualche decennio fa proposte ovunque con una certa frequenza, allestite indifferentemente alla Scala o ad Adria.

Dando un’occhiata ai cartelloni delle stagioni del passato, infatti, senza tema di essere passatisti, si nota appunto che la riproposizione di determinati titoli non era quasi mai una difficoltà, Aida, Tosca, Un ballo in maschera La forza del destino, erano veramente titoli “di repertorio”, riproposti con frequenza, senza difficoltà nel trovare gli artisti giusti. E questo non solo alla Scala o a Napoli, ma in quasi tutti i teatri d’Italia, la cui provincia non era meno attiva dei grandi centri. Moltissime provincie proponevano una stagione d’opera non meno impegnativa nella scelta dei titoli (Adria, Como, Piacenza, L’Aquila…) e ciò ovviamente comportava anche l’esigenza di riunire le compagini vocali, esigenza cui si rimediava senza eccessiva difficoltà.

Un’esempio di questa facilità nel formare cast validi e più che validi, possiamo farcelo dando un’occhiata per esempio alla stagione di Parma 1948/49 in cui si ascoltavano Maria Pedrini nell’inaugurale Nabucco, il solido professionismo di Anita Corridoni in Aida, la giovanissima Virginia Zeani in Traviata e la giovane Renata Tebaldi in Andrea Chénier…per limitarci a 4 titoli e a 4 primedonne. Oppure guardando il cast che inaugurò il Comunale di Adria nel 1935 nel Mefistofele di Boito, con Tancredi Pasero, Rosetta Pampanini (Margherita), Sara Scuderi (Elena), Giulietta Simionato (all’inizio della propria carriera, come Marta) e la direzione di Tullio Serafin.

Va da sè che non vi erano sempre i divi, i grandi nomi a disposizione, ciononostante non costituiva un problema allestire un titolo “pesante” e di tradizione come quelli sopra citati o una stagione composta di 10-11 opere. E Questo merito va ricercato anche e soprattutto in generazioni di cantanti di grande professionalità, che con la loro sicurezza tecnica e vocale erano valide alternative ai grandi divi, formando una “seconda linea” detentrice di stilemi tecnici ed artistici di tradizione, che permettevano loro di brillare in titoli per niente facili non meno dei Divi, andando perciò a costituire una solida garanzia per i teatri e per la diffusione dell’Opera stessa.

Proponiamo dunque una piccola disamina di alcune primedonne appartenenti a questa “seconda linea” (termine decisamente riduttivo però), grandi professioniste, spesso dai mezzi sontuosi, che si sono trovate a fare i conti, nell’arco della loro carriera, con colleghe delle quali non avevano magari la straordinaria dote vocale (Caniglia, Tebaldi), la rifinitezza tecnica e stilistica (Arangi-Lombardi) o la carica interpretativa e vocale rivoluzionaria (Callas), che da loro sono state forse oscurate per quanto riguarda la fama mondiale e discografica, ma che hanno sostenuto una carriera più che dignitosa (spesso grandi carriere vere e proprio) in virtù della loro arte, o, se si vuole, del loro “mestiere”. E il loro ascolto si propone interessante una volta di più oggi, perchè all’ascoltatore che con questi nomi non ha dimestichezza spesso si propongono grandi cantanti alle prese con esecuzioni che se nei loro anni potevano essere tacciate di essere normale amministrazione, all’ascoltatore moderno possono apparire vere e proprie esecuzioni memorabili.

E’ il caso di Sara Scuderi (1906-1987), soprano catanese attiva dalla metà degli anni 20 fino alla fine degli anni 40 e primi anni 50. Voce di soprano lirico-spinto, ebbe in repertorio titoli come Trovatore, Manon Lescaut, Tosca, Andrea Chénier, Mefistofele, Otello, cantò come molte sue colleghe titoli del Novecento, vale la pena ricordare che fu protagonista del Cavaliere della Rosa proposto dalla Eiar nel 1939, in cui spiccava anche il nome di Magda Olivero quale Sofia. Fu la prima, tra l’altro, a riportare in teatro Anna Bolena, a Barcellona nel 1947 in occasione del centenario del teatro, con Giulietta Simionato e Cesare Siepi. Ma fu nel repertorio cosiddetto verista (includendovi Tosca) che ebbe il suo campo d’elezione, come Tosca, Maddalena di Coigny e Santuzza calcò numerosissimi palcoscenici d’Italia dal Nord al Sud, guadagnandosi celebrità anche all’estero specialmente in Olanda. L’ascolto dei suoi dischi è oggi molto interessante. In un periodo in cui non vengono sottratti a sfoghi di stampo verista opere belcantiste come Lucrezia Borgia e Roberto Devereux (oggi veri e propri terreni d’elezione dell’urlo senza ritegno) è interessante ascoltare una celebre interprete verista alle prese con Santuzza…non essere per nulla verista.In compagnia del Turiddu di Aldo Ferracuti (che potrebbe dare qualche lezione a più d’un tenore odierno), abbiamo una Santuzza composta, dall’accento accorato, sofferente, che si esprime secondo la più corretta grammatica vocale. Lo stesso dicasi per l’aria di Maddalena di Coigny, dove l’interprete non è dimentica di interpretare una ragazza cresciuta nella buona società prima della rivoluzione. Il fraseggio non si segnalerà per inventiva, ma l’esecuzione è sopra la media, e si apprezzano soprattutto l’ottimo legato, l’abile uso del mezzoforte, in una dinamica generalmente molto varia usata sempre a fini drammatici e la solidità tecnica che consente di reggere con facilità la tessitura di questi brani.

L’ascolto di Pia Tassinari è istruttivo. Nell’esecuzione il modello Claudia Muzio è evidente. La Tassinari non è un esempio di tecnica; certe note centrali suonano un po’ aperte, era però il gusto imperante del tempo dettato anche dall’esigenza di trovare in quelle zone, spesso chiamate in causa, sonorità .
E’ ovvio che questa scelta porta all’accorciamento della gamma acuta. E, quindi, le parti Falcon dell’ultima parte della carriera sono una logica conseguenza. Però la voce è dolce e femminile ed il gusto, relativamente a quello imperante, sorvegliato. Il confronto-scontro Tassinari-Favero nella Manon di Massenet, stando a quello che scrive Lauri-Volpi, è il confronto-scontro fra due modi di intenedere il medesimo personaggio.
Credo anche che, con riferimento alla Tassinari, ma più in generale a tutte le cantanti, ai loro tempi, non accompagnate dalla fama di stars si debba considerare che ogni epoca abbia avuto i suoi stilemi interpretativi e i conseguenti guai tecnico-vocali. L’apertura dei centri, il ricorso ora più ora meno ai suoni cosiddetti di petto (soprattutto nelle situazioni più drammatiche) accorciava la gamma acuta, riduceva, nella zona medio-alta della voce, la capacità di cantare piano e pianissimo. Però i suoni falsettati di ispirazione ed imitazione Caballé, che oggi esibiscono molti soprani, portano ad altre ugualmente disastrose conseguenze ossia volume inesistente, sostegno sul fiato periclitante (è, infatti facile cantare piano senza alcun sostegno) e, anche qui, gamma acuta malferma e gridata. Tralasciamo, poi, il caso di un collasso vocale, che, nostro malgrado, abbiamo visto derivato dall’avere imitato congiuntamente i vezzi di una Favero e di una Caballè.

Negli stessi anni si trovanano in attività anche due altri soprani lirico-spinti, molto attive sia in provincia che nei grandi teatri, Carla Castellani (1906/2005) e Adriana Guerrini (1907/1970), interpreti soprattutto nel repertorio verdiano e pucciniano. Carla Castellani, voce importante, anche se non estremamente pregiata, il suo repertorio fu quello del soprano lirico-spinto con titoli come Trovatore, Manon Lescaut, Tosca fino a vere e proprie parti da soprano drammatico come Leonora ne La forza del destino (che cantò anche con Gigli e Pasero), Aida e Amelia del Ballo in Maschera, della quale è stata solida e ricercata interprete negli anni di guerra in molti teatri d’Italia. Cantante di gusto se non sorvegliatissimo quantomeno discreto, possedeva una solida linea vocale, nonostante qualche grave aperto e alcuni acuti vibrati, che anche in brani impervi come l’aria di Amelia, non le impedivano di cantare anche piano (si veda la frase Miserere d’un povero cor e il seguente si bemolle, attaccato scoperto, piano). Solo il fraseggio in alcuni punti, all’orecchio moderno, può sembrare alquanto “vecchio stile” e datato (seppure nell’ambito di una linea musicale e interpretativa che mai si lasciava andare al cattivo gusto), mentre non le venivano risparmiate critiche per l’aspetto scenico, accusata di essere quantomeno placida.


Di voce bellissima fu Adriana Guerrini, in carriera anche lei negli anni a cavallo della II guerra mondiale, anche lei dal repertorio vasto e improntato principalmente a titoli da soprano lirico-spinto e drammatico come Tosca, Manon Lescaut, La traviata, Aida, La forza del destino, Cavalleria rusticana, presente anche in riproposte dell’Ernani, della Battaglia di Legnano e dei Masnadieri, attiva in Italia ma anche a Lisbona, Parigi, Zurigo, Ginevra, Vienna, Barcellona. Ad Adriana Guerrini poteva essere rimproverato di non essere una interprete raffinata e moderna e di non avere una tecnica molto rifinita. Un amico che la vide in una Traviata al Castello Sforzesco di Milano questo rilievo muoveva verso una voce che era però grandissima oltre che di qualità, capace di espandersi in teatro come all’aperto con facilità, esibendo un centro suontuoso e acuti solidi, anche se tendenzialmente spinti alla maniera verista.

Particolare attenzione meritano poi due nomi di quegli anni come Gabriella Gatti e Maria Pedrini. Di loro scrive anche Giacomo Lauri-Volpi nel suo Voci parallele descrivendole, seppure negli anni di attività all’ombra della fama di Maria Caniglia, la Voce d’oro per eccellenza di quegli anni, come grandissime cantanti, alla Caniglia superiori soprattutto nel gusto, più sorvegliato e moderno oltre che più versatili per quanto riguarda il repertorio.

E l’orecchio moderno queste qualità ritrova intatte nell’ascolto di queste voci. Gabriella Gatti, attiva dall’inizio degli anni 30 fino alla metà degli anni 50, era dotata di una autentica voce di soprano lirico-spinto, guidata da una grande tecnica e, come detto, da un gusto e uno stile estremamente raffinato. Fu lei la prima moderna Semiramide, al Maggio Musicale Fiorentino nel 1940 e fu interprete rinomata anche di Norma, Otello, Tannhauser, nei titoli di Mozart e persino nella riproposta di autori come Monteverdi, Carissimi, Vivaldi, una autentica rarità considerando gli anni e un grande motivo di interesse per l’ascoltatore moderno che può sentire, per una volta, le melodie del periodo Barocco eseguite da una voce vera, bella, tecnicamente ortodossa, raffinata nella semplicità dell’accento, appropriato indistintamente sia nel lamento di Arianna che nella preghiera della wagneriana Elisabetta. E una nota merita anche la sua Contessa d’Almaviva, incisa sul finire della carriera, non esente da qualche difetto che 20 anni di attività possono far perdonare, ma elegantissima, raffinata, per di più cantata con un tempo largo di ben rara esecuzione, che porterebbe a mal partito più d’una delle Contesse attuali (e anche del passato recente, d’area anglo-tedesca soprattutto).

Il destino artistico di Maria Pedrini fu legato fin dal principio ai grandi nomi. Pronipote infatti per parte di madre di Adelina Patti fu, nei primi anni di carriera, spesso il doppio di Claudia Muzio, della quale fu salutata come autentica erede. E forse dall’apprendistato con Claudia Muzio la Pedrini apprese alcuni degli elementi già citati come il gusto e lo stile decisamente raffinati e moderni e la grande musicalità, doti distintive del suo talento artistico. La voce era di natura molto sontuosa, ampia e questo unito ad una grande consapevolezza tecnica dei propri mezzi. Dal confronto con la coeva Maria Caniglia è interessante notare come oggi, diversamente da allora, la Pedrini risulti più interessante, perchè più attenta allo spartito, come dimostra una attentissima esecuzione di D’amor sull’ali rosee, in cui la Pedrini è fedele interprete dello spartito nelle indicazioni di dinamica e rispettando persino i trilli scritti da Verdi.
Di grande interese è, poi, l’ascolto del finale dell’atto II di Poliuto, registrato alla Eiar nel 1939, protagonista Aureliano Pertile con accanto proprio Maria Pedrini nel ruolo di Paolina. La voce sontuosa di Maria Pedrini dona a Paolina una statura drammatica alla quale non siamo abituati, e si sposa benissimo con quella di Aureliano Pertile, non più freschissimo ma capace ancora di un’ampiezza vocale e di fraseggio esemplari, ed entrambi molto attenti allo stile donizettiano e all’espressione. Merita una nota anche la direzione d’orchestra, di Emilio Venturini, maestro di non primissimo piano per quegli anni (i suoi colleghi celebri, ricordiamo, si chiamavano Victor de Sabata, Gino Marinuzzi, Vittorio Gui, Tullio Serafin…), ma decisamente degno di lode. Soprattutto alla luce dei sempre più grandi recenti problemi delle bacchette. Venturini fa cantare l’orchestra insieme a Pertile e alla Pedrini, li segue, respira con loro, sa aiutarli mettendone in risalto tutti i pregi, ha una dinamica molto varia, sempre attento alla situazione drammatica…insomma un grande professionismo, tipico di chi dirige l’opera amando il canto, portando la buca a brillare assieme al canto senza mai cercare di sopraffarlo in una gara di divismo inutile. Una piccola lezione per il nostro presente.

Gli ascolti

Pia Tassinari (1903-1995)

Arrigo Boito
Mefistofele – Atto III – L’altra notte in fondo al mare

Francesco Cilea

L’Arlesiana – Atto III – Esser madre è un inferno

Sara Scuderi (1906-1987)

Umberto Giordano
Andrea Chénier – Atto III – La mamma morta

Pietro Mascagni
Cavalleria rusticana – Tu qui Santuzza? (con Aldo Ferracuti)

Carla Castellani (1906-2005)

Giuseppe Verdi
Un ballo in maschera – Atto II – Ecco l’orrido campo…Ma dall’arido stelo divulsa

Adriana Guerrini (1907-1970)

Giacomo Puccini
Manon Lescaut – Atto IV – Sola, perduta, abbandonata…Fra le tue braccia (con Beniamino Gigli)

Gabriella Gatti (1908-2003)

Giacomo CarissimiPiangete aure

Wolfgang Amadeus Mozart
Le nozze di Figaro – Atto III – E Susanna non vien…Dove sono i bei momenti

Richard Wagner
Tannhauser – Atto III – Preghiera

Carl Maria von Weber
Oberon – Atto III – Piangi, mio cuor

Maria Pedrini (1910-1981)

Vincenzo Bellini
Norma – Atto II – Me chiami, o Norma?…Mira, o Norma…Sì, fino all’ore estreme (con Ebe Stignani)

Gaetano Donizetti

Lucrezia Borgia – Prologo – Com’è bello, quale incanto

Poliuto – Atto II – Lasciami in pace morire omai (con Aureliano Pertile, Giuseppe Manacchini, dir. Emilio Venturini)

Giuseppe Verdi
Il trovatore – Atto IV – D’amor sull’ali rosee

12 pensieri su “Serie B a chi ?!? – prima puntata

  1. Grazie di cuore… Ascolti bellissimi… La Tassinari aveva voce davvero magnifica.. E il D’amor sull’ali rosee della Pedrini è un vero gioiello… Una richiesta, sempre se è ovviamente possibile: nel caso in cui abbiate delle registrazioni dell’Assedio di Corinto con la Sills, il live della Scala diretto da Schippers, vi sarei veramente grato se poteste metterle a disposizione del gentile pubblico. L’edizione, purtroppo, è fuori catalogo, e vorrei tanto sentire la Sills e la Verrett cantare le proprie arie e i vari duetti… Fareste felice un povero melomane che passa le notti a sognare il Non temer d’un basso affetto cantato dalla Verrett… Mi scuso per lo sfogo :)

  2. Non abbia paura, Velluti… L’estate è lunga e non mancheremo di occuparci di Rossini… E comunque ha ragione, l’Assedio Sills/Verrett (al Met: in Scala c’era la Horne) è un must!

    Il disco ufficiale EMI è fuori catalogo, ma l’Assedio scaligero è disponibile in edizione Opera d’Oro. Già adesso può trovare un paio di ascolti in calce a questo post:

    http://ilcorrieredellagrisi.blogspot.com/2008/01/rossini-opera-festival-2008-tra-sogni-e.html

    Saluti!
    AT

  3. Complimenti per tempo e originalità dell’intervento!
    Il mantenimento del giacimento clturale operistico in Italia passa proprio per i cantanti di serie B e per la riproposizione di rappresentazioni dignitose nei centri medi che hanno teatri bellissimi altrimenti destinati a convention e feste.
    Corneliu Murgu è un piccolo eroe di serie B o C o D, come volete, sostituto di Nunzio Todisco nell’Aida alla Scala del 26 aprile 1986 (direttore Patanè, Susan Dunn Cleopatra Ciurka, Alain Fondary, Agositno Ferrin, Francesco Ellero d’Artegna, ripresa primaverile dell’inaugurazione con Pavarotti): teatro pieno, pubblico partecipe, successone, questo signore rumeno evocò nei presenti l’idea di Bernardo de Muro.
    Senza andare agli anni trenta, si potrebbe parlare – per restare in Aida – di tanti altri validissimi cantanti anche recenti….

    Fra le tante cose che si vedono, in una simpatica cittadina del trevigiano che si chiama Oderzo, c’è tra poco una Carmen in piazza, con complessi sloveni.
    Viene sicuramente più voglia di sentire il Don Josè di Janos Lotric che quello di Marcelo Alvarez, con buona pace di tutti!

    Ps scompostamente connesso per Donzelli, accoppiando il concetto di serie B con il Duca di Mantova:
    ricordi la collana Fabbri di 33 giri ultrapopolari? se sì, nel Rigoletto, oltre a Walter Monachesi c’era – mi pare – Manlio Rocchi, e – se non mitizzo gli ascolti dell’infanzia – imbarazzerebbe molti…
    Ps per Nourrit:
    naturalmente la seconda puntata va ai tenori….avrei qualche suggerimento…

  4. Mi dispiace che non abbiate incluso Maria Vitale.
    Comunque ecco alcuni nomi che mi piacerebbe fossero citati nelle prossime puntate.
    Tra i tenori,per primo Mario Filippeschi,che giá ai suoi tempi era uno dei pochi in grado di cantare Arnoldo e Arturo e che oggi si mangerebbe semplicemente tutti i tenori in circolazione.
    Poi Umberto Grilli,anche lui validissimo professionista in un repertorio arduo,insieme alla moglie,Fiorella Pediconi.
    Infine Ruggero Bondino,udinese,eccellente Cavaradossi e Alfredo,per stare alle parti in cui l´ho ascoltato,unitamente a molte incursioni nel repertorio slavo,come Andrej in Mazepa.
    E non dimenticherei Giorgio Casellato Lamberti,
    validissimo in tutto il repertorio verdiano.

    Tra i baritoni,suggerisco Mario Zanasi,magnifico Renato,Macbeth e Scarpia,oltre che splendido Conte di Luna.
    Poi,Gianluigi Colmagro,uno dei baritoni piú presenti sui palcoscenici veneti negli anni Sessanta e Settanta.
    E,tra le voci del passato,non dimenticherei Antenore Reali,un baritono di uno spessore vocale che oggi non si sente piú.

    Aspettiamo le prossime puntate!
    Ciao da Stoccarda

  5. Mozart2006: molto ricercate le segnalazioni di Bondino e Colmagro, grande!
    stando nel gioco, consentimi di aggiungere:
    Giorgio Merighi, secondo me un cantante ed una voce di serie A, splendido Don Alvaro, per esempio;
    Alessandro Cassis,baritono di grande verstailità, scoperto da Gavazzeni;
    Amedeo Zambon, Manrico anche alla Scala;
    Gino Penno, corto ma…citando a memoria Celletti relativamente all’incisione Cetra di Ernani “Gino Penno aveva studiato con Aureliano Pertile” e sapeva come illuminare la parte conferendo al personaggio la nobiltà, la disperazione di un nobile d’Aragona di sorte avversa!

  6. Per quanto riguarda Giorgio Merighi, citato da Cornelio Murgu, sono rimasto impressionato l’altro giorno nel sentire una videoripresa in house dal Teatro Comunale di Modena della Madame sans Gene di Giordano, accanto a Mirella Freni, del ’99. Avendo festeggiato i 40 anni di carriera nel 2002 immagino che allora, nel 99, avesse già superato la sessantina, e ho trovato letteralmente impressionante quella voce ancora giovane, sicura, squillante, proiettata e facile all’acuto con dei si bemolli ancora facilissimi. Altrettanta impressione mi ha fatto lo stato vocale assolutamente intatto (se non arricchito in volume e spessore) della 64enne Mirella Freni. Manco a dirlo i due vecchi leoni la facevano da padroni in mezzo a tanti giovani!

  7. D´accordissimo su Merighi,Zambon e Cassis,che ho ascoltato piú volte e a cui affiancherei anche Piermiranda Ferraro,recentemente scomparso.
    Non dimenticherei inoltre Oriana Santunione e Olivia Stapp tra i soprani,Adriana Lazzarini ed Elena Nicolai tra i mezzosoprani,ma scrivo questa aggiunta per raccomandare di non tralasciare Giulio Neri,una delle piú belle voci di basso della storia.
    Ciao da Stoccarda
    P.S.:per chi fosse interessato,io possiedo la registrazione di Otello cantato da Zambon.

  8. Giulia, me lo dicono in tanti che son passatista, però non credo sia un termine che mi si addica. O meglio mi si addice forzatamente, non per mia scelta. A me, come a tutti immagino, piace un canto corretto, un canto tutto basato sull’unica corretta tencnica vocale, che ha come principi fondamentali (principi che haimè oggi sembrano chimere): 1) appoggio e sostegno della voce sulla colonna del fiato, 2) posizione alta nella maschera, 3) proiezione dela voce in avanti. Oggi, purtroppo, sono veramente pochi i cantanti che fanno di queste tre regole una base su cui costruire una voce e un’ interpretazione (eh sì che anche l’interpretazione si costruisce sulla tecnica, personalmente non credo ai pessimi vocalisti ma ottimi interpreti, se si vuol fraseggiare per lo meno decentemente la tecnica deve esserci, e ben solida), oggi si da più importanza ad altri parametri. Si parla di cambiamento del gusto, può essere, certamente oggi non si vedono più bombolone, cangurone mascellone e tortellone calcare le scene, ma non si sentono nemmeno più gli aerei pianissimi di una Caballè, i fuochi d’artificio di una Sutherland, o lo splendore vocale unito alla facilità di canto di una Freni. Il gusto di certo è cambiato anche a livello vocale, dopo tutto se “questa gente” canta a qualcuno dovrà pur piacere, ora vanno di moda le voci scure, o meglio scurite, scurite nella gola, voci affossate, e ci ritroviamo, di conseguenza, leggeri che tentano di fare i lirici e lirici che tentano di fare i drammatici; la voce alta ormai è un’utopia…penso alla grandissima Minghini-Cattaneo, prototipo del mezzosoprano di grande scuola italiana, mezzosoprano dalla voce chiara ma timbratissima in quanto altissima di posizione, poi mi guardo intorno e altro non vedo che mezzosoprani (che spesso poi altro non sono che mezzi soprani) androgini ed orcheschi. Ciò non toglie che qualche buon cantante ci sia anche oggi, e che molti pessimi cantanti ci fossero anche 30-40 anni fa (mi vengono in mente Zampieri, Desderi, Corena…ma potrei andare avanti), quindi come dicevo, il mio non è un “passatismo” cieco per amore incondizionato di quello che è stato, ma un “passatismo forzato” (che brutte queste definizioni!! :D) in quanto il mio gusto si sposa maggiormente con il gusto di 40, 50 …80 anni fa più che con quello attuale. Mi scuso per lo sfogo, alla prossima! Buonanotte! :)

  9. caro orbazzano,
    giulia grisi sarà sicuramente più esauriente. Intanto dico la mia.
    Alla gente piacciono i cantanti con la voce “bassa” o indietro” perchè non sono abituati a sentire altro, perchè chi dovrebbe dare criteri oggettivi per valutare la qualità tecnica del canto o è ignorante o è in malafede. e, per utilizzare l’espressione di Celletti della malafede non posso dare la prova dell’ignoranza si, eccome.
    D’altra parte è vent’anni che per radio vengono denigrati cantanti esemplari per tecnica ed incensati dilettanti in carriera. Breve ed accidentata, naturalmente, ma ben propiziata.
    Lascio a te le consegueze sulle cognizioni critiche degli ascoltatori
    Ho sentito persone che dovrebbero predisporre i cast elogiare una cantante per la voce scura, che era semplicemente una voce indietro e non al posto giusto.

  10. E’ interessante lo sfoggio di erudizione su nomi abbastanza dimenticati; ma – al di là del dato antiquario – mi interessa molto di più il rilievo sui dati tecnici. E’ sconvolgente quanto voci tutto sommato “di provincia” avessero voce alta, immascheramento a regola d’arte (forse erano voci meno a loro agio in certe salite brusche all’acuto; i gravi e il medium, invece, in virtù della maschera a regola d’arte, erano assolutamente perfetti) ma è pur vero che in alcuni particolari lo iato con le “grandi non di provincia” appare in maniera abbastanza palmare. E’ una gemma il D’amor sull’ali rosee della Pedrini, però i mezzi trilli non ci sono, purtroppo!!! Alcuni pianissimi non sono messi totalmente a fuoco (soprattutto quello sul do), alcune scivolate di intonazione si sentono soprattutto nella prima parte. Si capisce come queste cose, in quegli anni, pesassero e per quale motivo alla Scala ci fossero una Tebaldi o una Callas… Oggi passerebbero quasi inosservate.
    Per quanto concerne la Vitale preferisco tacere: l’ascolto della sua Vestale è un’esperienza dalla quale mi sto ancora riprendendo!!! Grandissima la Stella, invece, nonostante negli anni ruggenti della Scala 50-60 fosse quasi sempre in ombra rispetto alle “grandi” (purtroppo!!!). Consiglierei anche l’ascolto della Zeani, la adoro in Puccini, e della mitica TUCCI (grandissima Aida a Tokyo, moderna più del volpone-Del Monaco che le cantava vicino!!!! Si ascolti anche la sua stupenda Michaela, in italiano, accanto alla Simionato, sempre a Tokyo: qui canta la romanza del terzo atto in modo straordinario; si copre di gloria a ogni nota la mitica Gabriella!!!!)

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