Stagioni prossime venture: L’Italia (prima puntata)

Le prime stagioni 2008-2009 annunciate dai teatri italiani, primi in Italia, ultimi nel mondo confermano che fantasia e cultura o quanto meno cognizioni del repertorio latitano.
Non che i tempi per disponibilità di cantanti e di bacchette, anche in considerazione dei recenti spettacoli scaligeri, siano propizi ma la carenza di fantasia e cultura fa il resto. Il tutto aggravato dalla circostanza che i sei – otto titoli che ciascun teatro propone accrescono ed evidenziano i limiti.

Un esempio: Trieste propone Italiana in Algeri, che propone pure Torino e che a Bologna era stata offerta nella stagione 2006-’07. Quasi a dimostrare che Rossini comico si limiti ai soliti tre titoli Barbiere, Italiana e Cenerentola. Pietra del paragone, capolavoro assoluto o Equivoco sono titoli assolutamente dimenticati E, fra l’altro, la loro proposizione, in quanto non ci sono molte differenze fra i cantanti richiesti dai titoli prescelti eviterebbe poco edificanti confronti con esecuzioni non lontanissime nel tempo, attese le peculiarità punto positive delle due protagoniste scelte. Isabella deve disporre di quell’avvenenza vocale, tecnica e stilistica che è peculiare della prima donna rossiniana, se contralto sia armata di ventaglio che di spada.
La scelta di Italiana, ossia di un titolo giocoso conferma che da tempo i teatri italiani hanno rinunciato a proporre quelli tragici, demandano il compito a quello che si crede essere il luogo artistico monopolista nel proporre i titoli seri. Certo che scorrendo il cast che Bologna propone per Gazza Ladra, titolo semiserio, con schieramento vocale da opera seria si potrebbe plaudire a questa diffusa scelta.
L’idea oggi a Bologna, ieri a Pesaro riflette la perniciosa abitudine di scegliere prima i titoli e, poi, i cantanti.
L’idea è sbagliata in assoluto, deleteria in un periodo come l’attuale di penuria di cantanti.

Sono, temo, irrimediabilmente trascorsi i tempi in cui gli addetti ai lavori dopo un bel successo si premuravano di confermare il trionfante protagonista in titolo analogo. Basta a conferma sentire i racconti di alcuni dei sopravvissuti a quell’epoca.
Un magistrale esempio di questa scelta è l’idea torinese di inaugurare con Medea. Non serve, anzi è inutile, agitare il fantasma di Maria Callas, obbligatorio quando si tratta di un titolo come Medea, basta semplicemente, essere informati dei recenti forfait e avere ascoltato le trasmissioni radiofoniche per dubitare della scelta della protagonista. E nessun melodramma più di questo si regge sulle spalle della protagonista che devono essere robuste e solide sotto il profilo tecnico ed espressivo. I nomi delle protagoniste di successo, oltre la più famosa costituisce un indizio ed un suggerimento. A demordere dalla scelta. Crediamo.
Riconosco buona dose di fantasia e coraggio hanno soccorso gli addetti ai lavori triestini (ignoro se gli attuali in carica od i pregressi) che inaugurano con Francesca da Rimini e propongono la Norma.
Francesca è uno di quei titoli di rara proposizione per la difficoltà che i ruoli protagonistici prevedono. Paolo il bello più di Francesca. E tralascio le esigenze vocali degli altri due fratelli Malatesta e della bacchetta e della pletora di comprimari.
Quanto a Norma la scommessa sta nel titolo, divenuto negli ultimi trent’anni un tabù (la stagione scaligera insegna). La Anderson sentita di recente ad Aix en Provence può essere una scelta più pertinente rispetto alle altre ad oggi avanzate.

Anche a Bologna si prova a proporre Bellini con i Puritani. Pacifica la natura di capolavoro dell’ultima opera del maestro catanese, come pure ci sembra pacifico che il teatro ne abbia affidato l’esecuzione ad una coppia protagonistica in primo cast, ottima per Il matrimonio segreto. Che è anche lui un capolavoro assoluto e valeva la pena di proporre. Meglio una buona edizione di Matrimonio segreto che una periclitante di Puritani.
Scelta coraggiosa o, almeno, fuori dal coro deve quella torinese di proporre Thais, opera francese un po’ desueta, anche se non sconosciuta vista la proposizione a Venezia ed in alcuni teatri stranieri ove Renée Fleming è di casa. Però è una sorta di unicum, quasi che i teatri italiani siano assolutamente sodali nel dimenticare che esiste il repertorio francese. Va anche rilevato che anche senza ricorrere alla versione ed alle varianti di Sybil Sanderson, il ruolo protagonistico sia al di sopra delle qualità vocali esibite dalla signora Frittoli nell’ultima sua faticosa performance milanese.

Nelle scelte generali dei teatri italiani quindi le opere francesi latitano e stento a comprenderne il motivo, atteso che molti titoli del repertorio francese erano sino a trent’anni fa largamente diffusi e che, salvo poche eccezioni, non presentano le difficoltà di quello italiano.
Come pure è inspiegabile la limitatezza nel proporre il repertorio post verdiano. Mefistofele, Wally, Loreley, Gioconda sono divenute opere tabù unitamente a Mascagni e Giordano. E parliamo anche qui di titoli e di autori di larghissima diffusione. Rimane Puccini e la Lecouvreur, titolo che se non si dispone di una grande, rodata, sicura cantante attrice è meglio, per nostra opinione, lasciar perdere.
Nel chiedere questi titoli vuoi dell’opera francese, vuoi della stagione post verdiana è opportuno precisare che la loro riproposizione regolare serve solo ad adempiere, e lo avevamo già detto riferiti alla stagione scaligera, l’obbligo di proposizione della più vasta gamma (sia pur nell’esiguità dei sei – otto titoli di prassi) di titoli.

Poi, esaminando le stagioni anche negli autori più frequentati come Puccini la fantasia è ristretta. Boheme e Tosca imperano, addirittura in coppia a Firenze, solo Boheme a Torino. Il catalogo pucciniano non è sterminato, alcuni titoli sono difficili e costosi, come il Trittico, ma non ci si può sistematicamente limitare alla triade Boheme, Tosca, Butterfly, sull’esempio del Barbiere, Cenerentola, Italiana per Rossini.
Vero è che poi se guardiamo alle scelte di opere tedesche il rarissimo e particolare Vampyr è una sorta di rara avis in cartelloni che ignorano Weber, Wagner e Strass. In vena di nostalgia avrei voglia di un bel Lohengrin in italiano, magari con un Francesco Meli nel ruolo del titolo.

Gli ascolti

V. Bellini – I Puritani Atto III – Nel mirarti un solo istante Alfredo Kraus & Margherita Rinaldi

G. Puccini – La Bohème – Atto III – Donde lieta uscì Bidù Sayao

R. Zandonai – Francesca da Rimini – Atto III – Paolo, datemi pace Ilva Ligabue & Mirto Picchi

(1 – segue)

6 pensieri su “Stagioni prossime venture: L’Italia (prima puntata)

  1. Salve.
    Solo per completezza d’informazione, sottolineo che la scelta dei titoli del cartellone 2008/2009 è competenza, nel bene e nel male, dell’attuale staff dirigenziale del Verdi di Trieste.
    Tra l’altro, a proposito di Rossini, proprio Trieste ha allestito il Turco in Italia, seppur con risultati discutibili, come credo sappiate.
    Nell’attuale panorama credo che il Verdi, al di là di sciocche posizioni campanilistiche che mi sono intellettualmente estranee, stia facendo un buon lavoro.
    Titoli come Les pêcheurs de perles o Iris, o la recente Rondine, sono almeno desueti.
    Vale la pena sottolineare anche che buona parte degli spettacoli sono produzione del teatro Verdi stesso: la Norma alla quale fate riferimento e che ha debuttato a Bologna, ne è un altro esempio.
    Ciao.

  2. Quoto.Ho frequentato il Teatro Verdi per piú di vent´anni e posso dire che ho sempre apprezzato la programmazione dei cartelloni.A Trieste ho potuto imparare a conoscere ed apprezzare il repertorio russo,oltre a moltissimi titoli che gli altri teatri italiani non si sognano nemmeno di allestire.Per fare qualche esempio pratico,cito le opere goldoniane di Wolf Ferrari,La Campana Sommersa di Respighi,Abisso e le Nozze Istriane di Smareglia,Hansel und Gretel,Mazepa di Tchaikowsky.
    Un caloroso saluto da Stoccarda ai tanti amici triestini,ed al pubblico preparato e competente del Verdi.

  3. apprezzo molto e concordo con quanto detto dalla grisi circa i cartelloni della nuova stagione.E a tal proposito mi viene una riflessione, rispetto ai titoli che sembrano essere scomparsi più per paura che per altro. E’ vero: c’è penuria di cantanti, pertanto le varie “norma”, “medea”, e via discorrendo sarebbe meglio sostiruirle con qualcosa di più aderente ai cast scritturati e non forzarli ad aderire a dei ruoli che per essi sono pantagruelici… però… però… mi viene anche da dire, ma allora per chi non le ha mai viste, ed è talmente sfortunato da non assitere in vita alla nascita e alla carriera di cantanti adeguati, deve rassegnarsi ad apprezzare la discografia, senza mai poterne vedere almeno una rappresentazione. Sarebbe un peccato, perché, e tutti noi lo sappiamo, un’opera non si ascolta solamente, ma è una sinergia di linguaggi talmente ricca che il disco, ahimé, risulta essere un po’ troppo esile strumento. Per cui, mi vien da dire, facciamo pure una medea con un cast non eccezionale, ma entro i limiti dell’accettabilità, ma ricordiamo di adeguare alla rappresentazione il caro-biglietto… eh già, perché i biglietti sono sempre gli stessi, che lo spettacolo sia decoroso, ottimo o un completo disastro, ma ci vendono venduti con operazioni di marketing non indifferenti, per cui si eleverebbe a mostro sacro del canto anche la più misera comparsa, pace all’anima sua. A tal proposito, si veda il cartellone della stagione prossima del counale di bologna, splendido esempio (perché in effetti è bello) di marketing…

  4. Ciao Germont,
    bentornato. E’ vero, hai ragione, siamo tra Scilla e Cariddi, fare con dei grossi limiti o non fare proprio? Sarebbe, credo, un grande passo avanti ammettere che gli spettacoli odierni hanno dei limiti e difficoltà fin dal loro nascere (vedi Pesaro, vedi Festival Verdi). Siamo giunti al limite ormai, quasi tutto sembra ineseguibile o comunque il modo in cui viene eseguito è molto lontano dal modo corretto. Quindi che fare? Ripeto, sarebbe un passo avanti ammettere il compromesso frequente, i limiti, le difficoltà, il fatto è che ormai l’abuso è diventata la regola, penso per esempio alla Ciofi-Straniera, Parisina e via dicendo…probabilmente figlia dei Devereux di Edita Gruberova o delle Bolene di Mariella Devia, ossia di due grandi soprani leggeri che han voluto impersonare ruoli drammatici…portando a giustificare epigoni come la Ciofi prive però della tecnica delle signore. Non sarebbe un passo avanti cominciare a ristabilire l’esatta distanza che intercorre fra ciò che viene eseguito in scena e ciò che dovrebbe essere? Non aiuterebbe a ristabilire un’onestà intellettuale che spesso, oggi, è assente?

  5. lo credo bene, l’onestà è quanto più noi tutti dobbiamo invocare come nume tutelare del canto e del melodramma. onestà negli intenti e nei programmi, e soprattutto, aggiungerei, dignità. il mio discorso regge se si fissano dei “limiti minimi di esecuzione” sotto i quali non andare, ma rimane in ogni caso un’operazione di “raffazonamento”. Però l’amaro resta, io stesso ho speso dei soldi per assistere a delle scene pietose, fuori dall’immaginario, e questa è disonestà da parte degli organizzatori, mancanza di dignità nei cantanti e, come la stessa grisi ha già sostenuto, di rispetto verso il pubblico. in questo senso allora sì, credo avrebbe senso un’operazione di “reset” in cui re-impostare il piano dell’offerta operistica in base ai cast e rimanendo in attesa di qualcosa di più…

  6. ho guardato il cartellone del verdi di trieste, e in effetti non è affatto malvagio… punta di diamante, la norma con la anderson, credo uno degli appuntamenti più importanti della prossima stagione… bisognerebbe proprio andarci, in quel di trieste in effetti… qualche dritta dagli amici triestini per i biglietti (modalità e orari vendita loggione)? grazie di cuore, a presto…

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