Il mito della primadonna: Leonora di Guzman, la "maitresse du Roi".

La storia di Favorita, il primo grand opéra che Donizetti predispose per la prestigiosa sala dell’Opéra, è quanto mai complicata per quanto concerne la propria genesi, atteso che l’autore reimpiegò passi provenienti da Elvida, l’ange de Nisida e compose assai poco e neppure, come la tradizione narra, il famoso quarto atto (per la cronaca ritenuto un capolavoro persino da Toscanini, che con Donizetti e la sua poetica pochi o punti contatti aveva), per il quale pare abbia predisposto un centinaio di battute, quante una notte e pare per giunta con impegni amorosi consentisse.

Nonostante questo, la storia assolutamente incredibile di Leonora de Guzman ebbe fama in Francia e, soprattutto, in Italia.
Quanto alla sbilenca storia, basta dire come sia assolutamente incredibile che suocero e cognato non sappiano chi sia l’amante del proprio congiunto Alfonso X, re di Castiglia a maggior ragione quanto la “maitresse du Roi” sia anche discendente del fondatore dell’ordine religioso-militare di cui fanno parte figlio e padre, quest’ultimo pure superiore. Perché in Favorita, come in ogni grand opéra che si rispetti, sono in scena solo personaggi storici realmente esistiti (vedi appunto Alfonso XI e la protagonista) e le loro vicende; i loro sentimenti sono offerti attraverso quella patina e quel distacco che la grandeur del grande quadro ottocentesco impone per sua stessa natura.
Insomma Leonora è una pubblica concubina come dice ( e direbbe ancora ) la bolla papale recata da padre Baldassarre, il re pure, però lo sono sempre sotto un effetto distaccato. Anche la macilenta Leonora è e rimane, pentita e morente una dama di rango e la sua morte sublimazione del sentimento e il trionfo dell’amore, che è nei confronti di Fernando puro e sincero anche se proviene da una conclamata peccatrice.
E questo aspetto credo che nella storia dell’interpretazione sia stato dimenticato solo di recente e soprattutto con riferimento al personaggio stilizzato di Alfonso, che non rispetto alla protagonista.
La fortuna di Favorita, il fatto che non abbia mai conosciuto o quasi, e comunque in tempi recenti, un calo di popolarità sta nel fatto che a differenza di molti grand opéra ha potuto sopravvivere anche senza gli aspetti più tipici del grand opéra, danze in primis e questo anche perché questo titolo è uno dei meno grand opéra ab origine. In fondo basta avere a disposizione un mezzo acuto con voce di qualità eccelsa, un baritono padrone del canto nobile ed un tenore dagli acuti facili e dalle filature sicure per assicurare il trionfo a Favorita.
Poi secondo la tradizione ottocentesca continuata sino ai nostri giorni si può sempre rimaneggiare la parte di Fernando con qualche accomodo nelle due arie, la soppressione molto diffusa dell’aria che chiude il primo atto e Favorita, sia pure in formato opera e non grand opéra, garantisce il tutto esaurito e il trionfo.
Schipa, Gigli, Pertile, Caruso ed, in tempi recenti, Aragall e Pavarotti si sono attenuti alla prassi di abbassare le arie di Fernando, o quanto meno la prima.
La storia del disco non documenta, salvo un’eccezione, accomodi per il title role.
Eppure sappiamo che nel 1843 in Scala Marietta Alboni, ventenne fresca di studi con Rossini, cantò la parte della protagonista debitamente ritoccata e si osservò che la scrittura di un soprano non convenisse ad un contralto. Ma anche un soprano assoluto come Giulia Grisi a Londra vestì i panni di Leonora ed è documentato il passaggio della famosa aria dalla tonalità di do a quella di re, assai più conveniente ai soprani. In una incisione alle soglie del ritiro a questa prassi si è attenuta Joan Sutherland e devo ricordare anche l’esistenza di una registrazione, in tono ed in lingua francese di Marylin Horne (che, se non sbaglio, cantò una sola volta Leonora) che apparenta nella grande aria del quarto atto Leonora de Guzman a Fidès. Ragioni di copyright impediscono di allegare le due esecuzioni, che hanno evidenti ragioni di interesse.
Ma Leonora di Guzman rimane il terreno preferito e prediletto di soprani limitati o mezzosoprani acutissimi.
Dopo la prima esecutrice Rosina Stoltz, che era all’Opera la dispotica erede della Falcon, le due Leonore più famose furono Adelaide Borghi-Mamo, un contralto, ma di fatto mezzo acutissimo, specializzato in Rosina e Cenerentola, ed Isabella Galletti-Gianoli, riguardo la quale invito a leggere quanto Monaldi scrive sulle voci celebri.
È interessante il raffronto fra Monaldi e Lauri Volpi che nel suo “Voci parallele” con riferimento alla protagonista di Favorita.
Il primo sembra, quasi, riconoscere e richiedere al title-role le caratteristiche della cantante attrice dalle doti sceniche preponderanti rispetto alle vocali, il secondo, invece, assume che dopo Gabriella Besanzoni (un mezzo centrale con colore da contralto) non vi siano state più Leonore dal timbro opulento e sontuoso, tali da giustificare il richiamo erotico del re e del giovane Fernando. Lauri Volpi fu il Fernando della Besanzoni fra il 1922 ed il 1923 in Spagna e Sud America, ma evitò, negli anni del proprio massimo splendore, la più significativa Leonora, che la fama teatrale ed il disco sia pure limitatamente documenti: Ebe Stignani, con la quale, solo nel 1947 all’opera di Roma, fu Fernando.
Per certi versi entrambi hanno ragione.
Esaminando le parti che Donizetti scrisse per la Stoltz, ossia Leonora di Favorita e Zaida di Dom Sébastien si ha la sensazione che la dote migliore della cantante stesse nella zona centrale della voce, che non avesse dimestichezza o pratica con il canto di agilità (neppure quello che Meyerbeer riservò a Valentina di Ugonotti) e che anche la presenza scenica fosse, nonostante la fama di seduttrice e femme fatale nella vita, modesta e limitata. Come modesta e limitata è la presenza in scena della Stoltz. Di fatto il protagonista è Fernando. Basti pensare alle tre arie che Donizetti gli riserva contrapposte alle sola (anche se talvolta è stata considerata un’aria il larghetto dell’entrata di Leonora al quarto atto o l’incipit del duetto finale il “pietoso al par d’un nume”) riservata alla protagonista. Devo, però, aggiungere che al nostro gusto ed alla nostra mentalità è estremamente difficile comprendere perché le parti Falcon abbiano esercitato un grande fascino su ascoltatori ed esecutori. Azzardo che sia per la differenza rispetto alle parti riservate alla chanteuse à roulade ( Margherita, Ines, Isabella etc., ossia le parti pensate per la Dorus Gras ) queste di chiara ascendenza italiana contrapposte a quelle di gusto molto francese riservata, appunto alla Falcon ed alle sue eredi.
Con queste premesse, a parte il ricorso agli aggiusti e accomodi della prima metà dell’800, Leonora de Guzman può convenire ad un mezzo soprano dal colore scuro quanto ad un soprano lirico spinto accorciato ( o meglio in difficoltà nelle tessiture del soprano puro).
E con queste premesse si può comprendere perché suscitasse entusiasmo una cantante attrice come la Galletti (che invece quale Norma e Bolena, vedi sempre Monaldi, patì e fece patire), un mezzo soprano-contralto come la Besanzoni e, più generalmente, cantati che, secondo la voga del tempo, aveva il vezzo di un registro medio basso artato e un poco poitrineé, piuttosto che mezzi acutissimi. Poi entrano in gioco il gusto personale ed imperante. E’ chiaro che Lauri Volpi, in questo uomo del suo tempo fosse propenso ad associare al registro basso e centrale opulento della voce femminile il richiamo della seduzione e che esecuzioni (a lui che fu uno stilista supremo) prima di tutto eleganti e attente alle ragioni della tecnica ottocentesca (insomma quella di Ebe Stignani) potessero sembrargli scarsamente aderenti al personaggio.
Gli ascolti non hanno la pretesa di essere esaustivi, significativi forse. E’ necessario testimoniare e documentare due voci opulente e sonore come quelle della Parsi-Pettinella e della Mantelli. All’ascoltatore attento non sfuggirà in entrambi i casi come le voci fossero belle, di qualità ed estese in alto, in particolare la Mantelli, il cui timbro non esce deteriorato dalle registrazioni primordiali, ma, arrivate nella zona del cosiddetto primo passaggio, compare quello che in gergo si chiama “scalino” nel senso che ad un certo punto la voce cambia di colore ed anche il legato non è ineccepibile per l’eccesivo ricorso alle note di petto.
Nulla di tutto ciò accade con Ebe Stignani, accompagnata dalla fama di stilista e gelida interprete per tutta la carriera, in realtà cantante molto misurata, attenta sempre ai segni di espressione e di dinamica indicati in spartito emette suoni uguali e sul fiato in tutta la zona della voce, comprese le aggiunte che nella sezione conclusiva del duetto toccano anche il do sopracuto e forse per quello che in cariera venne ritenuto un limite molto accetta e amata dagli ascoltatori odierni. E’ un autentico peccato che manchi una registrazione completa della Favorita di Ebe Stignani, nonostante il fatto che la cantante abbia tenuto in repertorio Favorita per oltre vent’anni.
E se saltasse fuori? Sperar non nuoce. Anche quel poco che rimane della Favorita della Stignani è un difficile metro di paragone per le successive Leonore de Guzman quand’anche rispondano ai nomi di Shirley Verrett e Fiorenza Cossotto, ossia due dei più famosi mezzosoprani del dopoguerra. Eppure, nonostante una dinamica sfumatissima, interessanti interventi sul testo la Verrett non può neppure lontanamente competere con l’omogeneità vocale della Stignani e, quanto a Fiorenza Cossotto, colta nel suo più fulgido momento, la ricerca del colore da mezzosoprano dà luogo a suoni ora nasali ora esageratamente scuriti che privano di nobiltà e allure romatico il personaggio della peccatrice, che, anticipo di Traviata, muore perdonata e redenta.

Gli ascolti – Donizetti: La Favorite

Acte I

Mon idole! Dieu t’envoieEbe Stignani & Giuseppe Di Stefano (1952), Shirley Verrett & Alfredo Kraus (1975)

Acte II

O mon amour! O chaste flamme!Margarethe Matzenauer & Pasquale Amato (1911)
Redoutez la fureurFiorenza Cossotto, Sesto Bruscantini & Ivo Vinco (1967), Shirley Verrett, Sherrill Milnes & Bonaldo Giaiotti (1978)

Acte III

O mon FernandEbe Stignani (1946), Eugenia Burzio (1912), Armida Parsi-Pettinella (1907), Eugenia Mantelli (1905), Dolora Zajick (2002), Shirley Verrett (1978), Maria Caniglia (1954)

Acte IV

Fernand! imite la clémenceViorica Córtez (1976), Eugenia Burzio (1912)
Ses pleurs, sa voix jadis si chèreFiorenza Cossotto & Jaime Aragall (1966), Shirley Verrett & Luciano Pavarotti (1978), Ketty Lapeyrette & Robert Lassalle (1912)

17 pensieri su “Il mito della primadonna: Leonora di Guzman, la "maitresse du Roi".

  1. Forse questo intervento richiederebbe un po’ di labor limae: mi sa che ci sono dei refusi e alcuni periodi sono un po’ ostici… è un peccato perché non arriva bene tutto quello che di interessante ci viene detto su quest’opera, che, per quanto Lei sostenga essere di repertorio, io non conosco per niente (esclusa l’aria “O mio Fernando”). Ma si sa: a Palermo non si conosce nemmeno Il ratto dal serraglio e gli stessi Puritani, che andranno in scena prossimamente, pare fatichino a riempire il teatro; figuriamoci la Favorita!

    Soprano lirico spinto accorciato?!?!? Santo cielo! Presto non sapremo più cosa inventarci per classificare le voci!

  2. Per fortuna l’omogeneità vocale non è l’unico metro di giudizio per valutare un’esecuzione lirica. Sarà pure omogenea la voce della Stignani, ma la bellezza del finale del primo duetto nell’esecuzione Verrett-Kraus è secondo me inarrivabile, per non parlare dell’espressività del fraseggio della Verrett, quello si inarrivabile: ora sentito, ora sfumato, ora vibrante e acceso, senza mai essere sopra le righe… Sarà certamente misurata la Stignani, ma anche abbastanza soporifera in alcuni punti (almeno secondo il mio gusto personale!). Chi se ne frega se il centrale della Verrett è in alcuni punti un po’ smilzo e schiacciato!!!!! La sensualità che emerge da certe arcate proiettate in acuto, il timbro pastoso e notturno, rendono questa “favorita” assolutamente credibile…
    Per quanto concerne la Cossotto, è vero che alcuni suoni sono nasali… Ma allora come sono quelli della Stignani? Ne vogliamo parlare? Ma forse sarò io a non saper ascoltare…

  3. Altra osservazione: ma l’esecuzione della Caniglia serve a dimostrare cosa? E’ una voce affetta da morbo di parkinson costante, con suoni che a definire nasali è usare un eufemismo, note di petto slargate e infossate, cantabile catatonico e oscillante (oltre a essere periclitante nell’intonazione), con l’emergere a dir poco scandaloso di quel vezzo sgradevolissimo, tipico del soprano partenopeo, di far risuonare le “r” nel naso… Se ci fossero gli eredi della illustre cantante, dovrebbero citarvi per danni :)

  4. chiedo venia per la carenza di labor limae. Scrivo quando posso e nei ritagli di tempo che la mia attività professionale, ben differente, mi lascia.
    Cercherò con il prossimo intervento di essere più chiaro.

    Quanto all’intervento di Velluti
    Siccome mi sono inventato la categoria del soprano lirico spinto accorciato ne ho postata una rappresentante: la signora Caniglia. Avrebbe potuto la parte convenira anche ad una Tebaldi post 1960 ed alla attuale Dessy, preciso assai più di Norma.

    Quanto al duello Verrett/Stignani se duello è.
    Una parte scritta su un’ottava centrale quale quella della protagonista di Favorita si deve affrontare con un centro saldo e sicuro, se manca quello mi domando il senso della scelta.
    Se vuoi possiamo anche lasciare nell’empireo dei superdotati, perchè tale era Ebe Stignani. Cantanti di normale dote, meno usurate da un repertorio non del tutto consono ai loro mezzi ed alla loro preparazione tecnica di quanto fosse la Verrett del 1975 ( la successiva è ancora peggio) sono andate sotto il profilo vocale molto più a segno del soprano americano.
    Quanto ai suoni nasali della Cossotto ( e di tutte le sue numerose imitatrici della cui schiera si impone nominare Sonia Ganassi, indecente nei ruoli di soprano centrale) sono ben diversi da quelli molto proiettati ed avanti, salvo qualche sporadica apertura sul si bem3, di Ebe Stignani. La prova risiede nell’ultima Amneris documentata della Stignani 1956 a Napoli, molto molto diversa per saldezza vocale e cognizione tecnica di quelle cossottiane degli anni 80 in Arena.
    Siccome il corriere recensirà Favorit, coem tutti gli spettacoli festivalieri di questo autunno, non mancheranno, me lo auguro altre Favorite per incentivare il dibattito
    saluti
    domenico

  5. io mi sono soffermato più sugli ascolti “necrofili”: la stignani non mi dispiace affatto; la burzio è un sopranino leggero liberty o cosa? tutta singhiozzi e sospironi, poi… la parsi-pettinella non sarebbe male se non avesse quel modo da camionista di cantare i gravi: aperti e sguaiati come in futuro faranno molte altre fino alla von stade (c’è modo e modo di “contralteggiare”); l’ascolto della mantelli è disturbato da un insistente belato d’agnellino… forse l’incisione è stata fatta in prossimità di un ovile… e mi sembra che all’inizio di “O mio Fernando” sia lì lì per vomitare… è proprio vero, la professionalità delle cantanti del passato non c’è più: oggigiorno basta una minima emicrania perché le pseudodive odierne diano forfait; dovrebbero seguire l’esempio della mantelli che, pur svomitazzando qua e là, non demorde e… canta!

  6. Sulla categoria di soprano lirico spinto accorciato non so che dire… Si può semplicemente dire soprano lirico in fine carriera (credo sia più semplice e realistico!!!).
    Sulla Stignani nessuno discute la longevità della voce del mezzosoprano; ma non si può fare a meno di rilevare – assodata la bellezza della voce e del centro in particolare – il vezzo di cantare le “e” come se fossero quasi “a”, il che testimonia di una certa qual tendenza a tenere il centro (semi-)aperto. Ma la voce non è il tutto di un cantante, soprattutto a quei livelli: l’Amneris della Cossotto è un must intramontabile. Più che richiamare le Aide degli anni 80, non si può non ricordare la splendida Aida olendese diretta da Abbado, dove la Cossotto scrive una delle pagine più alte dell’interpretazione verdiana di tutti i tempi. Lì E’ Amneris e non c’è confronto che tenga, neppure alla lontana! Su questo credo che non ci sia discussione di sorta. L’Amneris della Stignani, si veda la tanto incensiata incisione con Gigli (e una Caniglia a mio avviso davvero modesta, mesta a mal partito come non poche nella romanza del terzo atto): pur conservando una bellezza timbrica ragguardevole, la Stignani appare – al di là del rispetto delle dinamiche dello spartito – davvero poco COMUNICATIVA. Oltre al rispetto della carta, un cantante lirico deve poi comunicare tale rispetto e farlo avvertire all’ascoltatore, anche se solo in incisione… Questo, ascoltando la sua Amneris, a mio modesto parere, non avviene. Si osserva una voce splendida, ma che a lungo andare stanca, inerte nella pronuncia, una vocale indistinta che incede con solipsistica soddisfazione per un canto perfetto ma al tempo stesso soporifero. Stesso discorso per la Verrett: di certo parti centrali come Leonora non sono il massimo per una voce come quella; ma qui si vede la fuoriclasse!!!! Cantare parti che non sono del tutto adatte alla propria organizzazione vocale puntando sul fraseggio, sull’intensità dell’accento, sul lavoro dell’interprete. Se rovesciamo l’argomentazione vedremo come la parte di Adalgisa, assolutamente inadatta a una Stignani per giunta abbastanza avanti nell’età, non si traduca in bocca sua in un personaggio teatralmente credibile, con una sua fisionomia e un suo carattere… Canta. E questo non rende giustizia alla delicatezza giovanile di Adalgisa. Se parliamo di ruoli non adatti, referisco ascoltare una Verrett che si sforza di farmi avvertire che ha una sua idea su quello che canta, piuttosto che una Stignani che – al di là del compitino ben fatto – si rifugia nell’indistinto (pur rispettando tutte le dinamiche dello spartito. Anche se questo andrebbe verificato davvero!!! Ad esempio i pp dell’Oh! Mio Fernando non ci sono tutti, almeno così come segnati da Donizetti!!!!!). DE GUSTIBUS…

  7. Mi spiace, per rispondere agli ulteriori interventi di velluti e musicofilo, tirare fuori i memento personali, che fanno molto “vedovo”.
    Non certo vedovo Stignani, che, per motivi anagrafici, non ho mai ascoltato dal vivo. Peccato, aggiungo.
    Ho, però, reiteratamente ascoltato in teatro Fiorenza Cossotto e Shirley Verrett.
    Quanto il disco e le registrazioni documentano sono ritratti fedelissimi delle due cantanti. Salvo il fatto che la registrazione non coglie appieno il torrenziale volume della Cossotto, di cui ricordo una Amneris di grandissima presenza alla Scala nel 1972, una Adalgisa ingiustamente contestata poco dopo, una Leonora de Guzman giustamente riprovata dal pubblico, Azucena per ogni dove, e non solo all’Arena, una Santuzza non in stato di gravidanza, come novella di Verga, espressamente, e libretto, sommessamente dicono, ma in evidente menopausa evidente, una cattivissima e sanguinaria Bouillon, acciaccata fisicamente e vocalmente. Ricordo soprattutto una immensa strabordante massa vocale saldissima sino al 1975 sempre più oscillante sin al ritiro dalle scene. Non ho sentito, sempre per motivi anagrafici la Cossotto più interessante ossia la bella ragazza che cantava Rosina ed Urbain (quando avrebbe meritato Valentina che le stava, vocalmente, a pennello) e che credo sia stata anche la Cossotto più varia nel fraseggio e nella definizione dei personaggi. Ho sempre sentito in ogni personaggio la Cossotto e voglio dire una cantante stereotipa nell’azione scenica, nei gesti (famose le lacrime che ogni sera certe e sicure scendevano al momento di ringraziare il pubblico dopo la scena del giudizio) che cantava senza tante sfumature, mettendo in rilievo la dote vocale. Dote vocale che non era, però quella straordinaria di una Stignani e per giunta con il vizio di voler sembrare a tutti i costi un mezzo soprano. I fans della Cossotto dicevano sempre la “Fiorenza tanto soprano e poco mezzo” In questo senso le discese nella zona bassa della voce senza strappi il disco le testimonia solo per la Stignani e per Grace Bumbry e per la prima Horne.
    Quanto alla Verrett ricordo la bellissima, in ogni senso, Elisabetta della Stuarda, la Eboli del 1970, le ripetute Lady Macbeth, che erano bellissime da vedere, ma un po’ meno da sentire, ho mancato la sventurata Amelia scaligera, l’ho ammirata in diversi concerti, oltre che soprano nella Messa. Ma se anche cantava da soprano tale non era. Devo aver già detto che le sue sarebbero state le parti del soprano Falcon e succedanei che o non le vennero mai proposte o arrivarono tardi (vedi Favorita e Selika), le Amelie, le Norme, le Lady avevano già lasciato il loro indelebile segno in una voce che non era affatto grande, anche se correva in teatro e che basta ascoltare come emetteva le note sul passaggio inferiore per capire il motivo per il quale non è stata mai il soprano che era per colore e natura Senza entrare in un’altra ipotetica “polemica” Shirley Verrett non aveva la dote inestinguibile di Grace Bumbry,c he per quanti sforzi abbia fatto per cantare e rovinarsi la voce a 70 anni era ancora freschissima e salda.
    Mi meraviglia che un ascoltare rilevi il vezzo della Stignani di trasformare le vocali in quella che Lauri Volpi chiama la “regina” delle vocali e non senta le E della Verrett che più sale più diventano la I dei soprani veristi che non sapevano e seguire un corretto primo passaggio di registro. Fra l’altro chi ha dimestichezza di cantanti antichi e registrazioni antiche la preponderanza della vocale A è una costante della grande scuola del Lamperti.
    Dopo di che fatte le opportune premesse avessimo oggi una Verrett ed una Cossotto, quando in Favorita ci siamo visti infliggere la Ganassi.
    Sentendo le registrazioni della Stignani live o ufficiali, che siano, siccome siamo ovviamente dinanzi ad una cantante che anteponeva l’esecuzione vocale ad ogni altro elemento siamo, al tempo dinanzi ad una coerenza unica ossia la precisione dell’emissione e la saldezza del suono. Caratteristiche che divengono spesso peculiarità interpretative. Mi spiace, ma l’Amneris di Ebe Stignani solenne, monumentale è interpretativamente inattacabile e l’unica alternativa è la seduzione disperata di Grace Bumbry, non certo i centri aperti di una Barbieri, la scenaggiata della Cossotto, direttamente proporzionale al declino.
    Ebe Stignani, credo sia uno di quei casi come Gigli, Giannina Arangi–Lombardi, Elisabeth Rethberg, Kirsten Flagstad dove il canto è esaustivo dell’interpretazione. Siccome ho nominato tre fra le più apprezzate colleghe della Stignani è scontato dire che quello, condiviso o meno, configurase uno stilema e mezzo interpretativo, praticato da un certo numero di cantanti, in specie anche musiciste.
    Insomma il “Sound sound sound” della Sutherland, la quale, infatti, nella propria autobiografia spende per la Stignani parole di stima e scatta il paragone con la Flagstad, non certo casuale.

  8. Mah!!! Che cantare splendidamente significhi interpretare è un assioma che, francamente, trovo del tutto superato, assolutamente lontano dall’essenza più profonda del teatro operistico e, aggiungerei, meno male. Che ne è della parola scenica di Verdi? Che ne è del teatro donizettiano? Che ne è degli accenti nascosti di Rossini (che la Stignani non avrebbe mai potuto interpretare!!!)? E’ vero che la Sutherland spende parole splendide per la Stignani, ma nessuno discute delle doti straordinarie del suo canto. Il punto qui è capire che cosa uno si aspetta quando va a sentire un’incisione storica. Cantare un’opera non è come cantare un pezzo di musica sacra o un oratorio… Andiamo pe ordine.
    In percentuale le incisioni della Stignani sono in numero assolutamente inferiore a quelle della Cossotto, per cui è ovvio che ci siano esecuzioni della seconda alterne, alcune fallimentari, alcune inudibili (soprattutto in fine carriera; ma sfido chiunque a cantare quello che ha cantato la Cossotto e a rimanere in voce fino alla fine!!! Pochi sono i mostri sacri in grado di fare ciò); ma accanto a queste ci sono dei veri e propri capisaldi, che DA SOLI bastano ad includere la Cossotto nell’olimpo dei grandi. Il Don Carlos della Scala diretto da Abbado, l’Amneris olandese diretta sempre da Abbado, la Laura del Metropolitan (STRATOSFERICA!!!!), l’Azucena di Metha (GRANDISSIMA!!!! Tutte le anticaglie da Museo spariscono semplicemente, compresa la matronale e soporifera Minghini Cattaneo). All’ascolto di questi capolavori, secondo il MIO GUSTO PERSONALE, le vocine smunte e belanti che emergono da quei sgangherati cilindri non sono altro che curiosità per poveri parrucconi che credono ancora che l’opera sia per le vecchiette e le “nobildame” d’epoca fascista.
    Dire che la Lady della Verrett non sia cantata SPLENDIDAMENTE è, per quanto mi riguarda, un’eresia vera e propria, se non altro perchè le fa da cornice uno di quegli spettacoli che hanno fatto emergere quanto VERAMENTE GRANDE sia la musica di Verdi in quell’opera. Agilità, accento, bellezza di timbro, recitazione, tutto in quell’esecuzione è assolutamente perfetto (la Borkh, quella si tutta voce, con pronuncia per altro ostrogota, veramente ci si può prendere il lusso di non conoscerla!!!!). A fronte di ciò, rilevare che qualche nota non sia del tutto perfetta, è veramente come un voler lasciare una traccia mucillaginosa sul millenario obelisco egizio (come la lumaca di Trilussa, per intenderci!!!!).
    Che l’Amneris della Stignani sia solenne e monumentale è vero, ma ciò resta comunque un fatto che tiene conto di un solo aspetto dello splendido personaggio creato da Verdi, che di certo non può esaurirsi solo e soltanto in quello. Anche a me piace molto l’Amneris della Bumbry, e proprio la sua Amneris testimonia quanto sia molto più ricco di sfumature il personaggio dell’infelice principessa egizia. Ma l’Amneris della Cossotto è cantata con voce a dir poco straordinaria, e i suoni gravi, allorchè forse un po’ pompati, suonano di una tale ricchezza, già solo in disco, da lasciarmi ogni volta di stucco!!!! Ma ciò non esaurisce la ricchezza dell’Amneris della Cossotto: si pensi all’attacco – davvero in pp – del sol della frase “Ah! Vieni, amor mio, m’inebria”, o alla melensa e affettata gentilezza che trapela dalle frasi “All’amor mio t’affida” o “Ben ti compiango!”… Questa non mi pare ci sia – o non emerga del tutto – dal canto della Stignani. Non si tratta di essere caricati o meno: si tratta di essere aderenti a quello che
    accade sulla scena o meno, dato che – lo ripeto – non si sta facendo la Jefthe di Carissimi, ma l’Aida di Verdi. A quel punto chi se ne frega dello strappo… Anzi, forse, proprio perchè c’è, la comunciativa di certe frasi emerge in maniera del tutto esplicita, pur rimanendo sempre e assolutamente aderente al canto…
    Sul fatto che la Verrett non fosse soprano, e cantasse solo come tale, sono assolutamente d’accordo; ma questo, secondo il mio parere, non fa altro che convincermi delle straordinarie doti della cantante (e tralascio quelle da attrice, poco valorizzate, ma – secondo me – sensazionali; in questo la Stignani, con le sue forme abbastanza poco “eleganti”, per usare un eufemismo, è davvero incomparabile alla Verrett. Capisco che per voi questo sia quasi un’onta da redimere, ma – ahivoi – l’opera è anche teatro, e questo, quando il canto e la saldezza dell’emissione sono però salvguardati, fa la sua differenza!!!).

  9. Per quanto riguarda la Cossotto sono d’accordo nel dire che la voce fosse piuttosto sopranile e sono d’accordo nel dire che il registro grave pompato a dismisura sia stata la causa del declino precoce. Voglio però spezzare una lancia in suo favore. I suoni nasali di cui voi parlate, che io noto dal 74 in avanti (anno in cui cominciò, secondo me, il suo declino vocale), diventavano tali nel tentativo di tenere nell’ ottava centrale la voce alta e avanti, nella punta, il più possibile (basta ascoltare la Norma con la Caballe e Pedro Lavrigen del 78 per notare come, in un ruolo sopranile come quello di Adalgisa si sforzi di tenere la voce il più alta possibile, pur senza riuscirci sempre e incorrendo di conseguenza in suoni piuttosto calanti). Non a caso negli anni d’oro anche se il grave veniva pompato e risolto nel petto, il registro centrale e acuto erano altissimi nella maschera, testimonianza che comunque la Cossotto non fosse solamente una superdotata ma sapesse anche cosa voglia dire cantare, e in questo senso il paragone con la Ganassi mi sembra un po’ azzardato. Basta poi vederla cantare per vedere come impiegasse la maschera (gli acuti presi sempre col “sorriso” e il naso arricciato), non caso chi l’ha sentita in teatro riferisce di una voce enorme e proiettata benissimo, e questo glielo permetteva certamnete la grandissima natura, ma anche una tecnica consapevole. Per quanto riguarda la sua Amneris, stereotipata quanto si vuole, non riesco a resisterle, senza dubbio la mia Amneris. Qui si entra però nel gusto personale, e si sta parlando comunque di pezzi da 90 che hanno fatto la storia del nostro teatro d’opera. La Stignani, a prescindere dai gusti, rimane senza dubbio uno dei 3-4 fenomeni vocali del secolo.

  10. Giudicare un’esecuzione lirica solo col metro della tecnica vocale, e sottacendo completamente tutto il resto, mi sembra davvero miope… E’ come analizzare la Divina Commedia sotto l’aspetto metrico e basta. Analisi senza dubbio interessante (almeno credo), ma – me lo si conceda – riduttiva (a dir poco!!!).

  11. Secondo me anche lo Jefthe di Carissimi, la musica sacra e gli oratori richiedono doti interpretative e capacità di far emergere accenti e sfumature oltre alla perfezione del canto… magari si declinano in modo diverso, di certo lontano dal tipo di stile esecutivo verdiano, e sono convinto che tu condivida… ma da come hai scritto sembrava che tu intendessi che per l’oratorio et similia basti il canto asettico. :-O

  12. vedrò di essere molto sintetico!!
    cantare bene ossia secondo la quadratura tecnica e, poi, musicale non è interpretare. E la condicio sine qua per interpretare.
    Sarà una deformazione, ma un suono sbilenco e mal messo, impedisce o riduce le potenzialità dell’interprete, un mediocre governo della tecnica di canto, importa un mediocre risultato interpretativo.
    Quindi con riferimento ai mezzo soprani chiamati in causa.
    In teatro le “E” che diventavano “I” della Verrett e la difficoltà di reggere le tessiture del soprano (con riferimento al Macbeth cabaletta della sortita, brindisie e seguente concertato) rappresentano un peso negativo nella definizione interpretativa.
    Una Amneris che cala, stona e non rispetta i segni di espressione della frasetta scomoda al principio del secondo atto ” Ah vieni amore”, perchè cade inuna zona scomoda della voce inficia il personaggio nella definizione amoroso erotica di Amneris.
    Quanto poi all’interpretazione di Amneris, le scelte, in parte contrapposte di una Stignani o di una Bumbry, sono entrambe rispettabili e condivisibile e credo, anche abbiano molto da insegnare all’ascoltatore ed al professionista, in quanto entrambe partono da uno aspetto ossia la voce della cantante. Grace Bumbry ed Ebe Stignani, oltre a gusto, sensibilità personali hanno seguito prima di tutto la propria voce e le caratteristiche della stessa. In questo esemplare la Bumbry, che cresciuta nell’epoca un cui le Amneris dovevano essere prima di tutto grandi voci ( e la Stignani ne era il fenomenale paradigma), ha ritenuto che l’interpretazione dovesse partire proprio da quello che allora era giudicato un limite della voce. Preciso che in teatro (Scala 1976) la voce di Grace Bumbry Amneris non era fatto straripante.

  13. Chiedo venia… Ma forse non hai ascoltato bene il Macbeth della Verrett; ti invito a farlo. Pochi spettacoli reggono il paragone con quello.
    La Verrett canta assolutamente bene (non credo tu sia in grado di poter valutare un canto nella sua completezza solo basandoti su una e che diventa i… La voce della Verrett è ampia, morbida, con una cavata di tutto rispetto e con piani appoggiati a regola d’arte; e la lettura COMPLESSIVA del personaggio è quanto mai riuscita… Una e che diventa i è davvero un’inezia da cicisbei, a fronte di un’intensità di fraseggio e di lettura, tutta musicale, che emerge con straordinaria potenza!!!! Ma forse sei abituato ad accontentarti di un canto corretto e basta!!!), e ciò le permette di interpretare; la Stignani canta. La Bumbry canta e interpreta, e il paradigma non credo sia la Stignani (questa dove l’hai trovata??? La passionalità della Bumbry è assolutamente antitetica alla compassata stilizzazione della Stignani). E non è un caso che Bumbry-Verrett fossero i due mezzosoprani-soprani degli anni 70 più vicini per repertorio e stile di canto (a prescindere dal fatto che entrambe fossero di colore). Vogliamo ricordare il concerto del Covent Garden del 1983, dove la Verrett è vocalmente di certo più in difficoltà, a fronte di una vocalità della Bumbry sensazionale, ma dove per fraseggio e modo di interpretare la seconda è, a mio avviso, anche più prosaica, a fronte di una prima stratosferica. Non metterla sul fatto che dalla tecnica scaturisca l’interpretazione quasi per magia; la cosa qui non regge
    1. perchè la Verrett è una cantante con una tecnica d’emissione accurata; taluni difetti derivano dall’affrontare un repertorio che non era ideale per la sua voce (e sfido a trovare qualcuno che ha fatto una Lady storica pur non avendo voce ideale per il ruolo… L’unica forse è la Scotto, ma con problemi d’emissione ben più gravi di quelli di una Verrett… ma forse non è così!!!!), e ciò già la dice lunga sulle sue capacità tecniche e vocali;
    2. perchè non tutte le cantanti con emissione sana e corretta sanno automaticamente interpretare (si vedano i casi di alcune interpretazioni della Tebaldi, ma vedi anche la Freni, le cui interpretazioni si somigliano un po’ tutte, a prescindere da se sta cantando l’Amelia del Simone, ruolo in cui la Freni letteralmente brilla, o la Liù, ruolo in cui mi piace meno).

    Peccato però che il lavorio da bulino tecnico non venga da voi applicato su alcuni veri e propri cataclismi vocali (che sembrate idolatrare in maniera alquanto a critica!): il caso della Caniglia è emblematico. Imparagonabile la Favorita della Verrett degli anni 80 (quindi in fine carriera) con la Favorita che avete postato eseguita dalla Caniglia (spero anch’ella in fine carriera!!!!): certo la Verrett aveva voce distrutta (ma meno della Caniglia), ma ancora un barlume di vita emergeva dalla linea del canto. La qual cosa nel canto nasale, urlato, oscillante, stonato della Caniglia non emerge nemmeno come un’ombra.

  14. Repetita juvant si dice.
    Qui e lo dico per primo a me stesso, se non fossi sollecitato, repetita delent.
    Quindi, per parte tua liberissimo e comprensibilissimo nel preferire una Verrett ad una Bumbry e ad una Stignani.
    Ti ho detto che non ritengo esaustiva, ma di partenza la perfetta cognizione ed applicazione della tecnica vocale. In taluni casi, vuoi per il tipo di personaggio, vuoi per la dote vocale assolutamente eccezionale (perché tale era quella di Ebe Stignani) la perfetta esecuzione vocale soprattutto applicata ad un personaggio cui distacco e stilizzazione sono connotanti, diviene una sigla interpretativa.
    Sigla interpretativa cui l’unico contraltare è, ripeto, Grace Bumbry con la sua seduttrice disperata e non certo Shirley Verrett, nell’esecuzione di Dallas 1969 dove la parte è ora troppo bassa ora troppo pesante. Non sarà un caso che il rapporto Verrett Amneris sia stato molto sporadico. E le cose non andavano molto meglio con Dalila, ruolo nel quale la Verrett era bellissima da vedere un po’ meno da sentire come il liva del 1970 della Scala documenta. E ci mancherebbe altro in una parte che ha molti richiami alla voce di contralto.
    Per esempio nel repertorio post Verdiano ci sono talune esigenze di fraseggio che ad una Freni o ad una Tebaldi sfuggono, paghe di doti naturali per la seconda straordinarie. Tanto è che Ebe Stignani per tornare al punto di partenza cantò sporadicamente (credo a Napoli ed in una tourneé Sudamericana) la Bouillon, non godette mai fama di grande Carmen e l’unica parte verista che affrontò, pare con successo trionfale è quella di Stella dell’Assassino perché unica nel dominare, dicono con irrisoria facilità la scrittura vocale.
    Ma non mi sembra questo il problema.
    Anche io ho applaudito e molto la Verrett. Non posso, però, fare a meno in sede di un ripensamento successivo al ritiro della cantante di limitare la portata di questa cantante, il cui fascino personale molto poteva sul pubblico. Però, ripeto, stentava come soprano e stentava come mezzo, inoltre alle prese con le parti da tragedienne alla francese emergevano limiti di volume ed ampiezza proprio nella zona in cui la tragedienne è chiamata a spiegarli. Ti preciso che una Santuzza, una Fedora e forse una Francesca da Rimini, ossia le parti di una Giuseppina Cobelli, avrebbero ben fatto figurare la Verrett, ma credo che pensasse Lei ed i suoi mentori che non erano cose fini e culturali.
    Dirò di più in parte tutto questo è ascrivibile alla cantante che ad un certo punto amava molto la sigla di cantante culturale (per una critica facilona la sua Lady è fine e raffinata, contrapposta a quella popular areniana di Ghena Dimitrova) dall’altro delle direzioni artistiche, che snobbavano o, peggio, non conoscevano quei titoli che avrebbero offerto ad una cantante come la Verrett non solo la fama di grande e raffinata interprete, ma anche quella di cantante ineccepibile sotto il profilo vocale e tecnico.
    Poi sono assolutamente sincero se devo pensare a qualche cosa di inarrivabile della Verrett ricordo l’esecuzione del “confusa smarrita” di Pergolesi, perché se voglio sentire Eboli o ricorro alla signora Ebe o alla fascinosa Grace. L’una monumentale principessa di una Spagna letteraria, l’altra femmina nel senso più esaustivo del termine.

    P.S. il raffronto ad armi pari Caniglia/Verrett avrebbe imposto l’esecuzione del 1992 della Verrett, che francamente ricorda solo una stanza dell’Escorial per restare in clima di Don Carlos: il putrideiro.
    Basta consultare Wikipedia o la Garzantina per apprendere che nel 1954 la Caniglia era ben oltre il capolinea della propria carriera.

  15. ognuno ascolta quanto più consono al proprio gusto, sensibilità e cultura. Ci mancherebbe altro. I diktat anche in campo culturale sono tristi e funesti e la cultura, sensibilità ed onestà di ciascuno di noi serve appunto a sconfiggerli.
    Talvolta l’ascolto della registrazione può migliorare o peggiorare un ricordo, stimolare riflessioni e ripensamenti. In meglio o in peggio. Per me, con riferimento nel caso della Verrett in peggio, pur lamemtandoni che oggi una Verrett non ci sia e con il vezzo di allestire Macbeth e don Carlos la mancanza è gravissima.
    ciao

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