Don Carlo: sei personaggi in cerca di cantanti. Seconda puntata: la principessa d’Eboli

Nella galleria dei personaggi del don Carlos la Principessa d’Eboli rispecchia, più degli altri, i topici del grand-opéra, in primo luogo per le caratteristiche vocali. Alla sola Eboli viene richiesto l’uso del canto d’agilità: entra, infatti, con un brano solistico, la Canzone del Velo, vera e propria cavatina di sortita, che richiama le entrate dei soprani à roulades dei capolavori di Halévy e Meyerbeer. Senza contare che nella versione parigina, nella cosiddetta Scena del giardino precedente il terzetto, Eboli è chiamata ad eseguire altra ornamentazione (fra cui un trillo ad inflessione con chiara valenza erotica), mentre prima del celebre O don fatale con Elisabetta esegue un duetto, che richiama le sezioni centrali dei duetti Berthe-Fidès del IV atto del Profeta se non, addirittura, quello Rachel-Eudoxie del IV di Juive. Lo stesso, celeberrimo “O don fatale” è scritto tripartito, richiamando nella struttura la grande aria di Leonora di Favorita. Manca solo il da capo, ma eravamo nel 1867!!

Così pensata e scritta Eboli ha, di conseguenza, il pregio di colpire subito l’attenzione del pubblico, in maniera forse più esteriore, ma anche più diretta rispetto agli altri personaggi. A lei spesso può andare il successo della serata, a condizione che la titolare disponga un minimo di cognizione dei ferri del mestiere.
Sotto il profilo psicologico Verdi riserva l’introspezione all’infelice coppia reale, allo psichicamente labile protagonista, personaggi tipicizzati e costanti nel comportamento e nel carattere per l’intero corso del dramma. Ad Eboli, invece, spettano le situazioni topiche del Grand-opéra, anche sotto il profilo caratteriale, senza troppo indulgere alla introspezione. Dal languore del Velo e della seguente scena con Posa, all’esplosione, prima erotica e, poi, di furore, della scena del giardino, sino al quarto atto, dove la nostra maitresse (non dimentichiamo che è l’amante di Filippo) è già pronta e disposta allo spettacolare e spagnolesco pentimento.
Insomma a tanta varietà di situazioni drammatiche corrisponde una minima introspezione del carattere, come, appunto, si conviene al personaggio del grand-opéra.
Ed anche la versione italiana, con l’ovvio alleggerimento dell’apparato melismatico, lascia intatte le caratteristiche del personaggio.

A tanta varietà di situazioni si associa pari varietà di difficoltà e caratteristiche vocali. La storia interpretativa di Eboli ci insegna che la cantante di provenienza rossiniana e belcantista, anche quando si chiami Horne o Valentini-Terrani, è destinata a soccombere, mancando dell’ampiezza della cosiddetta voce verdiana. La voce verdiana, anche se si chiama Fiorenza Cossotto o Fedora Barbieri, facilmente inciampa, se non in difetti di emissione, in esecuzioni poco raffinate nei passi che tale caratteristica impongono; peggio ancora se la titolare guarda come tecnica e come gusto al Verismo. Avremo, come accadde con la Obratzova e, più ancora, con la Baltsa, una Eboli tipo Santuzza.
Insomma da un lato tecnica raffinata, voce sontuosa, capacità attoriali o istrioniche da sole non bastano per essere una Eboli di rilievo e di levatura storica.

Vocalmente il ruolo è impervio, come detto, ad Eboli, rarità nel tardo Verdi, è richiesto l’uso del canto d’agilità (oltre che nella Canzone del Velo nella scena del giardino precedente il terzetto, e di affrontare una tessitura che sollecita con insistenza il registro basso (passi come “Io son la tigre dal cor ferita” nel terzetto, dove Eboli fa il “pedale”) come quello acuto (la sezione finale dell’O don fatale in tessitura da soprano)
Che Eboli richieda il lessico vocale ed interpretativo del Grand-opéra, lo provano esemplarmente le registrazioni a 78 giri.
E l’interprete ideale del ruolo, più ancora che nel fraseggio, deve ricercare nello splendore della linea vocale la chiave del personaggio. Si badi bene, questo non significa che Eboli necessiti di una compassata esecutrice dal mezzo straordinario e non di una fraseggiatrice, ma di quella che si definisce una attrice vocale. L’opposto dell’attrice vocale ossia la cantante attrice, che, salvo casi eccezionali, è una cantante poco ferrata sotto il profilo tecnico cui supplisce con il cosiddetto temperamento e l’estroversione, esce male dalle cospicue difficoltà vocali del personaggio.
A onor del vero molte conclamate interpreti odierne hanno ritenuto che questa fosse la via più giusta per rendere il personaggio di Eboli, con sicuro plauso di certo pubblico.

Con questi problemi è facile capire perché Eboli non trovò né subito né facilmente un’esecutrice di indiscussa rilevanza.
Prima interprete a Parigi, nel 1867, fu Pauline Gueymard-Lauters, già creatrice, nel 1857, di Leonore ne Le trouvére. E’ interessante scorgere alcune opere del suo repertorio: Donna Anna in Don Giovanni, Leonore nel Fidelio, Alceste di Gluck e Valentine ne Les Huguenots. Ma la Gueymard-Lauters fu anche interprete di Fidés ne Le prophéte e destinataria del ruolo di Gertrude nell’Hamlet di Thomas. Una voce che è facile percepire come di soprano Falcon, dalle grandi capacità al centro e in basso, ma con un registro acuto saldo. Originariamente Verdi aveva pensato la parte per Rosine Bloch, celebre mezzo-soprano francese, e aveva predisposto la Canzone del Velo in tonalità di Sol maggiore, per poi portarla invece al La maggiore su richiesta della Gueymard-Lauters, richiesta che non vide il compositore affatto contrario, che mantenne anzi il cambiamento anche nelle seguenti versioni dell’opera. Esistono inoltre diverse cadenze che la Gueymard-Lauters esibiva proprio nella Canzone del Velo, e come d’altronde sarebbe giusto in ogni Grand-opéra. E’ curioso notare che anche la prima interprete della versione in IV atti alla Scala nel 1884, Giuseppina Pasqua, condivideva all’incirca la stessa categoria vocale della collega francese. Giuseppina Pasqua, prima di passare ad Eboli (e prima di essere la prima Quickly) fu interprete di Marguerite di Valois negli Ugonotti e di altre parti da soprano.

La storia intepretativa di Eboli è molto varia, ma per prima cosa bisogna rilevare che le cantanti che di Eboli han fatto un vero e proprio cavallo di battaglia sono poche: la prima fu, nella seconda metà dell’800, Antonietta Fricci (nella prima bolognese in V atti in italiano, soprano limitato) e Giulia Novelli (a Messina, Roma, Ravenna, Padova, Napoli), oltre che Maria Walmann, passata però alla storia come Amneris e primo mezzo della Messa. Nei primi anni del ‘900 Eboli fu un ruolo importante per Luisa Garibaldi (nel 1910 a Palermo e nel 1913 al Costanzi di Roma) e per Nini Frascani (a Torino nel 1913 e a Napoli nel 1920).
Documentate dai 78 giri sia Sigrid Onegin sia l’altra grande esecutrice del ruolo, Margarethe Matzenauer, Eboli nel 1920 al Met per la prima esecuzione dell’opera di Verdi. Peccato che entrambe abbiamo registrato solo la grande aria e non il Velo, atteso che altre registrazioni (Profeta e Borgia) documentato rilevanti qualità nel canto di agilità.
L’esecuzione di Sigrid Onegin appare paradigmatica, per la facilità del canto e la tecnica pressoché perfetta unita ad una natura vocale senz’altro privilegiata. L’espressione forse risulta sacrificata, risolta quasi sempre nella linea vocale. Come già notato nel caso della sua Fidés il canto della Onegin è costantemente morbido, vi è completa assenza di suoni duri o non a fuoco e la tessitura dell’O don fatale, che spinge la voce a cantare prima nella parte bassa del pentagramma (il cantabile O mia regina io t’immolai, che spinge la voce sotto al rigo) per poi gradualmente salire ad una tessitura sopranile (dalla salita “Ah, sola in un chiostro al mondo omai” fino alla stretta “Sia benedetto il ciel”) non pone problemi alla Onegin che riesce a mantenere omogenea la voce in tutto l’arco del brano e che riesce a salire ai vari si bemolle finali con facilità, soprattutto quello di “Sola in un chiostro” dove non ha problemi ad eseguire il “largamente” prescritto da Verdi su una frase in genere facile da gridare.

Ben presto il Novecento trovò la più straordonaria delle Eboli, Ebe Stignani, che debuttò il ruolo nel 1926 alla Scala di Milano e che ne detenne il monopolio per ben 30 anni, sino alla sua ultima performance, nel 1956 a Catania, alle soglie del ritiro dalle scene.

Ascolti provenienti da una recita del 1950, dopo ben 24 anni di Eboli e ancor più di carriera, attestano ancora una straordinaria saldezza vocale, facile dominio della tessitura, che in nessun punto sapeva crearle problemi e la bellezza e la sontuosità della voce. Né l’interprete può essere accusata di essere gelida o matronale, trovando anche modo di risultare espressiva in numeri come il terzetto, il recitativo con Elisabetta e lo stesso O don fatale non solo in virtù della splendida voce e della saldezza vocale, ma anche in virtù di un gusto sovrano cui non tutte le Eboli hanno tenuto conto.
E’ famoso fra i loggionisti scaligeri l’aneddoto di Maria Callas, che uscendo di scena dopo la restituzione della croce, si girò di scatto stupefatta davanti allo slancio ed alla rotonda pienezza di suono della Stignani, che attaccava “ Ah più mai non vedrò….”
Bisogna ricordare che nella parte conclusiva del monopolio Stignani affrontarono il ruolo Fedora Barbieri (per circa 10 anni e presto giungendo a patti con la tessitura, specie in O don fatale, riaggiustato già nel 1956 onde limitare le incursioni nella tessitura acuta), Elena Nicolai, vera alternativa alla Stignani negli anni ‘50, ed Oralia Dominguez.

Giulietta Simionato, invece, arriva a debuttare Eboli solo nel 1958, due anni dopo l’ultima performance della Stignani. Appunto il monopolio della Stignani e la presenza di colleghe come Elena Nicolai e Oralia Dominguez, provviste di voci più naturalmente sontuose, hanno forse intimidito la Simionato nel tentare l’approccio al ruolo che risulta a conti fatti un pò tardivo. La sua Eboli convince di più nei momenti in cui viene sollecitato il registro acuto e in cui viene richiesto slancio piuttosto che nei momenti in cui è chiamata ad essere seducente o languida (vedi l’incipit del terzetto V’è ignoto forse) o lasciarsi andare al cantabile come nella sezione centrale dell’O don fatale in cui la voce non risulta perfettamente omogenea nel passare dal registro grave al registro centrale, che risulta anche timbricamente depauperato.

E già nel 1963 proprio alla Scala Eboli passò presto alla giovane Fiorenza Cossotto, che lasciò il ruolo già attorno al 1976. L’Eboli della Cossotto presa in disamina, da un’esecuzione alla Rai di Roma sotto la direzione di Thomas Schippers del 1969 presenta sostanzialmente tutti i pregi e i difetti della Cossotto sia come Eboli che come cantante. La voce è importante, sontuosa per timbro ed estensione (soprattutto in acuto, i la accentati della canzone del velo, per esempio, risultano molto belli, così come è facile la sezione acuta nell’O don fatale) e presente anche come personaggio, più nella sua componente di slancio del Terzetto e dell’O don fatale che negli accenti seduttivi della Canzone del velo, dove, nonostante un registro acuto facilissimo, la dinamica non è molto varia e la voce manca della morbidezza al centro e in basso della Onegin e della Stignani (ma anche della Bumbry) risentendone così anche le terzine e le quartine che perdono in fluidità. Il Recitativo che precede l’O don fatale è molto bello, la Cossotto trova bellissimi accenti, forse anche aiutata dal direttore, per poi lanciarsi con slancio nell’aria, suo cavallo di battaglia, dove però si percepisce come la Cossotto non riesca sempre a mantenere sempre omogenei il registro acuto e il registro centro-grave indulgendo più volte nel registro di petto (sempre di petto vengono affrontate note come il do sotto al rigo e il re nella sezione centrale dell’aria).

Attorno alla metà degli anni 60 approda al personaggio anche Irina Arkhipova, che lascia del ruolo una registrazione discografica in russo. L’esecuzione di Eboli della Arkhipova la annovera fra le grandi esecutrici del ruolo, benchè non sappiamo con quanta frequenza questo venne affrontato in teatro. Nell’incisione del 1965 troviamo una Arkhipova in stato di grazia, per il mezzo vocale veramente sontuoso e la tecnica di alta qualità. La Arkhipova è molto attenta alle indicazioni di dinamica prescritte da Verdi, e se ne ha un esempio nella Canzone del Velo, dove a discapito di un tempo che toglie brillantezza al brano, la Arkhipova trova innumerevoli colori seguendo le indicazioni di Verdi, alternando il mezzo forte al pianissimo e al forte e perciò rendendo benissimo il tono seducente che la Canzone volutamente deve richiamare. Questa Eboli, impegnata anche nella Scena del Giardino, è attenta anche alla componente del canto d’agilità del personaggio, eseguendo con precisione le terzine e quartine della citata Canzone del Velo come le figure ornamentali della Scena del Giardino.


Non certo paradigmatico il rapporto di Marylin Horne, e non perché nella prima parte della carriera la Horne, in origine soprano, avesse difficoltà a reggere la scrittura vocale,ma per la mancanza della grandeur che connota l’esecutore del grand-opéra.
Molto più duraturo il rapporto col ruolo di Grace Bumbry, altra grande monopolizzatrice del ruolo e, probabilmente, l’interprete più attendibile insieme alla Stignani, che debutta il ruolo nel 1963 per non abbandonarlo fino alla metà degli anni ‘80. Interprete più che mai completa la Bumbry in Eboli riesce a trovare uno dei suoi ruoli d’elezione che giustamente le han valso tributi in tutti i teatri del mondo (Covent Garden, Metropolitan, Scala), non solo per la linea di canto, praticamente perfetta in Eboli, nella cui tessitura la Bumbry non incontra problemi, ma anche per la creazione di un vero grande personaggio documentata da numerosi video, che testimoniano la vera tigre dal cor ferita, come Eboli si autodefinisce.
Riflettendo sulle due esecutrice e con la carenza della rappresentazione scenica della Stignani è evidente che Grace Bumbry, donna bellissima, abbia sempre ritenuto Eboli femme fatale e maitresse du roi, contrapposta alla dimessa Elisabetta, mentre la Stignani privilegia l’idea della dama di rango. Idea quest’ultima, forse più consona alla poetica del grand-opéra.

Più sporadici furono, invece, gli approdi al ruolo di Shirley Verrett (soprattutto sul finire degli anni 60 e l’inizio dei 70 ed una ripresa al Met nel 1986) che del ruolo ha saputo dare una grande intepretazione per temperamento e bellezza vocale, nonostante la parte centro-bassa della voce non avesse la qualità del registro acuto e pur lasciandosi andare qualche volta ad un’espressione più consona a Carmen che non ad Eboli (come nell’esecuzione del terzetto a Vienna nel 1970, dove l’accento risulta caricato, mentre a Barcellona nel 1971 la Verrett appare in questo senso più calibrata). Si arriva così all’epoca moderna dove vera detentrice del ruolo è stata Giovanna Casolla che dal 1977 al 2006 lo ha intepretato con assiduità impressionante. La Casolla non brilla per raffinatezza e levigatezza nella parte “cortigiana” del personaggio, trascende un poco da Capodimonte a Sanità nelle scene di furore, ma in fondo Anna de Mendoza era feudataria di Eboli, oggi in provincia di Salerno. E poi la straordinaria qualità vocale e la tenuta non si discutono. Sopratutto nel raffrnto di molte Eboli a lei coeve, che sono soprani lirici spacciati per mezzi acutissimi. Almeno la Casolla, come Giuseppina Cobelli, affronta il ruolo da soprano senza camuffamenti.

Fra le altre interpreti moderne per longevità vocale si segnala Dolora Zajick, prossima ad inaugurare la stagione scaligera come titolare del ruolo di Eboli, ed interprete del ruolo da almeno 20 anni. La Zajick è lodevole per il professionismo vocale, anche se non risulta certo un’interprete raffinata, lasciandosi andare magari a qualche effettaccio soprattutto nel registro di petto. E, vista la natura, più da soprano Falcon che da vero mezzosoprano, trova i momenti migliori laddove la tessitura di Eboli chiama in causa il registro acuto, come la stretta del Terzetto e dell’O don fatale. Prima di passare alla corda sopranile e di interpretare Elisabetta di Valois, anche Violeta Urmana è stata una acclamata Eboli anche se l’ascolto di alcune sue perfomances nel ruolo denotano i difetti che nel passare alla corda sopranile si sarebbero poi accentuati, ossia una voce quasi sempre indietro con gravi tubati, centri di carta vetrata e un registro acuto costantemente spinto e urlato, difetti che oltre a rendere decisamente brutta una voce non certo dotata timbricamente in natura pregiudicano il personaggio rendendolo una concitata megera.

Dell’anno scorso è, invece, il debutto di Sonia Ganassi, neanche lei uscita indenne dal confronto con il personaggio. La voce naturalmente priva della necessaria ampiezza e i difetti tecnici, i gravi parlati oppure esageratamente di petto (e senza la natura di una Obraztsova si è doppiamente ridicoli in simili casi), i centri vuoti e difficoltosi per la Ganassi (il cantabile è esemplare sotto questo punto di vista), e il registro acuto ormai gridato impediscono alla Ganassi di essere credibile anche come personaggio, risultandole impossibile essere seducente e cortigiana nel II atto, oppure di avere lo slancio nella scena del pentimento.

Eboli, anche nella versione in quattro atti rappresenta un personaggio da Grand-opéra, con la sua tradizione interpretativa, e richiama perentoriamente all’attenzione dell’ascoltatore moderno che le teorie interpretative, spesso citate a sproposito, della cosiddetta superiorità dell’interpretazione e della “personalità” interpretativa possono tenere, forse, per Bartok o per Weill, ma naufragano miseramente in altri climi e gusti culturali, essendo sovrano mezzo d’espressione della intrigante principessa il Canto. Regola aurea nell’Opera tutta.


Gli ascolti

Verdi – Don Carlos

Atto II
Nel giardin del belloGrace Bumbry (1964), Irina Arkhipova (1965), Marilyn Horne (1968), Fiorenza Cossotto (1969)

Atto III
Que des fleurs…Pour une nuit me voilà ReineIrina Arkhipova & Tamara Milshkina (1965), Fiorenza Cossotto & Katia Ricciarelli (1973)
A mezzanotte…Al mio furor sfuggite invano…Trema per teEbe Stignani, Mirto Picchi & Tito Gobbi (1950), Shirley Verrett, Bruno Prevedi & Vicente Sardinero (1971), Grace Bumbry, Franco Corelli & Sherrill Milnes (1972), Christa Ludwig, Placido Domingo & Piero Cappuccilli (1975), Elena Obraztsova, José Carreras & Piero Cappuccilli (1978)

Atto IV
Pitiè! Pardon pour la femme coupable…J’ai tout comprisFiorenza Cossotto & Katia Ricciarelli
Pietà! Perdon per la rea che si pente…O don fataleSigrid Onegin, Ebe Stignani (1940), Ebe Stignani (con Maria Pedrini – 1950), Fiorenza Cossotto (con Teresa Zylis-Gara – 1969), Grace Bumbry (con Montserrat Caballè – 1972), Giovanna Casolla (con Aprile Millo – 1988), Violeta Urmana (con Barbara Frittoli – 2004)


8 pensieri su “Don Carlo: sei personaggi in cerca di cantanti. Seconda puntata: la principessa d’Eboli

  1. Da molto tempo vado dicendo che una seria analisi sul Don Carlo andrebbe condotta separamente per le varie versioni.Come giustamente avete messo in rilievo,le tessiture di Elisabeth ed Eboli sono,soprattutto nella versione 1867,a volte intercambiabili.La parte di Posa,che é quella dove Verdi fece i maggiori cambiamenti,nella versione parigina é sensibilmente piú acuta.A volte,a mio avviso,le rielaborazioni sono a volte dovute,piú che a esigenze artistiche,al fatto di dover adattare le parti a cantanti con caratteristiche diverse.Vedasi il caso della Forza del destino:qui Verdi intervenne sul ruolo di Alvaro essenzialmente per rendere piú eseguibile una parte pensata per un fenomeno come Tamberlick,e su quello di Preziosilla per alzare la tessitura adattandola a Ida Nagy,che aveva iniziato la carriera come soprano.Tornando al Don Carlo,attendo le prossime puntate per sapere come analizzerete gli altri aspetti della questione.Ribadisco comunque il provincialismo culturale dimostrato dalla Scala,che aveva il dovere di eseguire a S.Ambrogio la versione 1867 in francese,che a Milano non é mai apparsa e che,per esempio,a Vienna é da anni in repertorio.Tra l´altro a Vienna Eboli é stata impersonata da Nadja Michael,a mio avviso la migliore interprete odierna del ruolo,chiaramente neanche presa in considerazione dalla Scala in questo caso…
    Ciao da Stoccarda

  2. Mozart, la Scala è sicuramente provincialissima ma….. la Michael?! Ma l’hai sentita negli estratti che girano sul Tubo???!!! Fossi in lei non abbandonerei il repertorio tedesco…e invece pare che l’anno prossimo scenda in Italia per la Lady verdiana! nella versione fiorentina per giunta! Mah!!!

  3. Caro Mozart2006,
    grazie per il graditissimo commento. La questione sulle versioni del Don Carlos è come tutti sappiamo abbastanza varia e pone diverse strade possibili a chi l’opera deve eseguire. Personalmente non trovo provinciale il proporre la versioni in 4 atti, anzi la trovo una scelta legittima visto che si tratta di una versione dell’autore preparata proprio per la Scala. Certo vedere il Don Carlos in francese in 5 atti sarebbe molto bello, ma visto il trattamento riservato ad altri grand-opéra, penso alla Juive viennese o al Don Carlos di Barcellona (produzione di Vienna), mi accontenterei di una buona edizione in 4 atti.
    Non sono d’accordo sulla Michael invece, non so come canti oggi Dolora Zajick ma sulla carta non mi sembra una scelta azzardata o banale.

  4. Neppure secondo me è “provincialismo” presentare la versione in 4 atti (che è frutto di una precisa volontà dell’autore e, quindi, perfettamente legittima). Inoltre nella versione del 1884 vi sono migliorie irrinunciabili, rispetto alla pur affascinante prima versione (1867), come il duetto Posa/Don Carlo o quello Posa/Filippo. Secondo me la scelta migliore è l’edizione preparata per Modena nel 1886 che riporta tutte le modifiche e le migliorie della versione in 4 atti, ma vi aggiunge l’atto di Fountainbleu… Certo alcuni brani della primissima redazione sono splendidi (Introduzione e Concertato sul cadavere di Posa)…e pure la Peregrina è pezzo musicale straordinario. Comunque a Milano, dopo l’ultimo deludente Don Carlo in 4 atti, forse sarebbe stato interessante proporre la versione di Modena.

  5. A me risulta che la Simionato cantasse già Eboli nel 1956, all’epoca del debutto della Cerquetti come Elisabetta di Valois… Se questa data coincida anche col debutto della Simionato nel ruolo, lo ignoro…

  6. per grandguignol
    appena posso verifico, ma la eboli della cerquetti fu fedora barbieri.
    sulla simionato interprete verdiana pesò allora sempre il pregiudizio che la voce non avesse l’ampiezza che Verdi richiedeva. Sai a quell’epoca circolavo Stignani, Nicolai e Barbieri e prima della Simionato la stessa Pederzini cantò Verdi solo occasionalmente.Soloper rimanere in Italia e paesi di lingua spagnola

  7. Ovviamente non mi riferisco all’edizione fiorentina che ben conosco, ma a quella di Lisbona di qualche mese prima. :) Il cast dovrebbe essere il seguente: Bergonzi, Simionato, Taddei, Christoff, Stefanoni, Susca, De Palma, direttore Capuana.

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