La Medea torinese alla radio


La stagione 2008/2009 del Teatro Regio di Torino si inaugura quest’anno con un debutto, quello della Medea di Cherubini, mai allestita prima d’ora nel teatro torinese. Titolo di grande richiamo per il pubblico e luogo di cimento di molte primedonne che sull’esempio di Maria Callas con Medea cercano di dimostrare la loro maturità d’interpreti, spesso incuranti delle loro qualità di vocaliste.

Il cast radunato a Torino era se non altro omogeneo, nessuno degli interpreti si è distinto particolarmente nella modestia generale. A partire dal direttore Evelino Pidò, che in Medea dimentica e tralascia la tragedia, la grandiosità, l’aulicità delle linee melodiche in luogo di un suono baroccheggiante il più delle volte, come nel caso della nota Ouverture, isterico più che agitato…e la grandiosità di Gui, Berstein, Schippers è solo un lontano ricordo.
Nel cast si fa notare Cinzia Forte, spoggiata in quasi tutta la linea e a disagio nella tessitura acuta dell’aria di Glauce che la porta a stonacchiare più di una volta, massime nelle salite al do, preoccupante per una cantante del suo peso vocale.
Giuseppe Filianoti, al debutto nel ruolo di Giasone, soffre della tessitura bassa e ha problemi ad intonare al centro e nella zona del passaggio, come sempre difficoltosa e perigliosa.
Il basso Parodi parla.
La protagonista invece si sforza di essere una grande interprete, accenta quasi ossessivamente ogni frase riuscendo alla fine a risultare poco credibile come Medea e più vicina ad una Santuzza in disarmo. La prova vocale è delle peggiori sentite da questa cantante, la zona centro-bassa della voce è priva di qualsivoglia spessore ed è spesso vicina al parlato, mentre dal sol in su avvengono delle vere e proprie tragedie di suoni gridati e fissi (onomatopeiche le orrende passioni). Nel finale II la cantante decide di evitare le note della linea cantata di Cherubini in luogo di un parlato di dubbio gusto prima di ritornare al grido cantato per le ultime frasi. Il picco della performance è il terzo atto in cui l’accento diventa a tratti esagitato, a tratti quello di una bambina capricciosa che incorre spesso e volentieri in suoni parlati e soprattutto gridati, al limite dello Sprechgesang, che Medea non dovrebbe affatto adoperare.
Dal secondo atto registriamo l’evoluzione della voce di Sara Mingardo (Neris) che, da contralto, è diventata sopranile: naturale e necessaria parabola delle voci che seguono i dogmi del canto baroccaro e cantano senza appoggio e sostegno del fiato.

Alla fine di questa serata ci chiediamo… che senso ha eseguire Cherubini, se lo si esegue così, tradendo la lettera e lo spirito della partitura? Ma davvero non ci sono alternative?

16 pensieri su “La Medea torinese alla radio

  1. Ho visto il filmato: molto bello! La Rysanek è certamente una Medea dall’acuto più sicuro rispetto alla Antonacci (anche se a 3:45 e seguenti e 6:55 e seguenti anche lei ha problemucci). La dizione non è sempre chiara, anzi in certi momenti ricorda i tardi vocalizzi ululati della Caballè. Tutto sommato però un bel finale. La Antonacci canta meno, indubbiamente…

    Sulla affermazione a proposito della Mingardo sopraneggiante… Neris non è parte per contralto puro, per cui se la Mingardo alleggerisce un po’ per facilitarsi le cose non vedo niente di esecrando. E poi c’è da sentirlo questo colore sopranile in una delle voci più scure in tutta la gamma che l’Italia possegga. La sua tecnica è assolutamente inossidabile… baroccara o no.

  2. Iero ero in teatro e devo dire che tutta questa negatività non l’ho avvertita. Anzi, dalla prima all’ultima nota sono rimasto inchiodato alla poltrona come il resto del pubblico. Un cast di assoluto rispetto sotto ogni punto di vista. Diciamo la verità, Cherubini favorisce l’interprete ma non la voce. La scrittura vocale di tutti i ruoli è impervia e quasi impraticabile per evidenti contraddizioni nella partitura. E’ un’opera poco eseguita perchè musicalmente aspra, secca e spesso irrisolta melodicamente ma con una grande forza drammatica che richiede interpreti eccezionali. Qualche imprecisione è assolutamente accettabile, soprattutto per un’esecuzione dal vivo e con un cast eccellente come questo.

  3. Qualche imprecisione ci sta sempre, per carità… Ma per radio è passata un’intera serata di malcanto, da parte di tutti. Non discuto la resa scenica che ovviamente non posso giudicare, ma le voci le abbiamo sentite benissimo. La scrittura aspra, secca e melodicamente irrisolta (qualunque cosa significhi) non giustifica le urla e i parlati.

  4. Trovo che ormai siamo così abituati a sentire gridare, che una Medea gridata possa ben facilmente passare per ben….cantata.
    La vocalità declamata di Cherubini dovrebbe essere gestita in sourplesse, non con la voce sempre sul fffff che sfocia nell’urlo, e talora nel parlato. Un po’ ci sta….anche la Callas sta spesso al massimo, e talora accentua l’effetto. Ma è altra e diversissima cosa, sia per l’ampiezza del mezzo, incommensurabile con quello di Antonacci, sia per accento: nell’Antonacci e compagni non può esservi accento perchè per galleggiare sull’orchestra devono gridare per passare. Eppure Medea non è monocorde…qualche colre ha da esserci. Non parliamo poi dell’impossbilità di cantare legato su tessitura così bassa anche per un tenore che, male in arnese, è per natura contraltino, ed assieme a lui un basso parlante ( ha parlato sempre )….

    Queste cose passano perchè siamo abituati all’urlo dappertutto: la Giovanna ‘Arco parmigiana è l’esempio del giorno prima……Ed anche laddove l’urlo è la soluzione assolutamente impossibile si grida e si viene applauditi, e penso ad Alvarez l’anno passato nel notturno e sognante “Quando le sere al placido” della Miller.
    E’ la nuova estetica del brutto!

  5. Nella chat del nostro blog ho letto un messaggio di Stiffelio riguardo questa Medea. Rispondo ovviamente in questa sede.

    Sono contento che Stiffelio si sia commosso vedendo la Antonacci. Io no.
    Anzi ho trovato tutto terribile, lei e i suoi compagni di avventura, e lo dico in quanto grande amante della Medea di Cherubini, che deve avere accento sì, ma non a completo discapito della linea vocale.
    Moltissime grandi interpreti, come ha sottolineato la Grisi, erano al limite, vedi la stessa Callas, ma anche la Bumbry, la Olivero, la Farrell, che però si ricordavano sempre di essere delle cantanti d’opera e non delle pazze da osteria. Non riesco a vedere nulla di tragico nel modo in cui la Antonacci grida “Lontan da me serpenti”, ossia da bambina capricciosa.
    Lei poi si sdegna della Rysanek, che è vero è stata artista particolare e piena di mende tecniche, ma anche lei facente parte del novero delle “interpreti”, e io mi stupisco del suo sdegno. Per quale assurdo motivo potrebbe avere plausibilità e rispettabilità la Antonacci e non la Rysanek, che ha avuto 40 anni di onorata carriera in Wagner, Strauss e persino Verdi (le opere del Verdi pesante…non Meg Page o Alice Ford) con una voce ampia e sonora? La Rysanek è onesta, non è una grande Medea ma è molto più plausibile della Antonacci, per il mezzo vocale, per la linea vocale, persino per l’interpretazione. Posso capire che la grandezza di interprete della Antonacci sia una delle verità universalmente riconosciuta dell’Opera odierna….ma non posso comunque fare a meno di stupirmene e notare come una Rysanek sia infinitamente più appropriata, anche con le urla.

  6. L’ascolto della Medea torinese mi porta ad una serie di riflessioni su uno spartito davvero malcompreso, come quasi tutta la produzione dell’epoca. Premetto che sull’opera pesa “lo spettro” dell’interpretazione callasiana, assolutamente geniale, non si discute (ci mancherebbe!!!), ma che ha finito per interpretare non la Medea di Cherubini, ma l’archetipo del personaggio Medea, così come visto dalla Callas attraverso la mediazione della musica di Cherubini. Come ebbe a scrivere il grande Ettore Paratore in merito all’interpretazione callasiana di Medea, si vede chiaramente che ci troviamo di fronte a uno dei simboli per eccellenza della cultura occidentale, il quale ha segnato gran parte delle epoche storiche e dell’estetica delle stesse… Non è la Medea euripidea, chiusa nel suo dolore composto e tragico, ma di certo si avvicina di più alla Medea senecana, sanguinaria e folle, espressione di quel furor caro al “baroccheggiante” mondo tragico del filosofo neroniano. Di certo è la Medea che si è riversata nella cultura successiva (e non a caso la mediazione di Seneca in questo ambito è stata fondamentale!!!), e di questa lo stesso Cherubini, vissuto in una temperie che si suole definire “neoclassica”, ha risentito non poco.
    Siamo alla fine del ‘700; la temperie è quella del teatro napoleonico; Cherubini scrive per il centro nevralgico dell’impero, profondamente influenzato da quello stile che la Comedie francaise aveva oramai canonizzato. Primo elemento: il libretto dell’opera è stato scritto in francese da F.B. Hoffmann. Secondo elemento: i recitativi non erano stati musicati, ergo dovevano essere parlati, recitati, nel più perfetto sile “comedie francaise” (i recitativi sono stati musicati da F. Lachner ben 58 anni dopo). Ora, questi due elementi danno esattamente la dimensione dello stile di un’opera come Medea; ci troviamo di fronte ad un tentativo di riproposizione del teatro classico in un’epoca che vedeva il mondo antico come un paradigma assoluto, come un exemplum dalla validità perenne. Un’opera come Medea cercava di riproporre la struttura tipica delle tragedie greche, dove alcune parti erano musicate (quelle liriche, soprattutto) ed altre parlate (i dialoghi); ovviamente il tutto alla luce della particolare sensibilità dell’epoca, per cui è una Grecia che sa tanto di impero napoleonico!!! Ma va bene uguale!!! Di certo è una rivisitazione del mondo classico che è di per sè produttiva sotto il profilo artistico, sebbene personalmente non ami molto quel periodo (lo trovo a volte un po’ lambiccato e troppo “tribunizio”). Ora, Medea non può e non deve urlare… Va assolutamente contro l’estetica dell’opera, contro la temperie in cui è nata, contro lo spirito più profondo del testo. Medea è sanguinaria, è folle, è preda di atroce gelosia, è certamente più vicina al teatro senecano che non a quello greco, tutto quello che volete, ma il tutto va espresso con compostezza tragica, aulica, oserei dire “mitica”. La Callas ovviamente fa storia a sè: non ostante una lettura molto forte del personaggio (in aderenza alla “barbarie” di Medea), la Callas canta sempre, ogni suono appoggiato sul fiato, sonoro, vibrante, attento a un fraseggio cangiante e polimorfo, ma interamente poggiato sul canto. Trovare una grande Medea sotto il profilo vocale è quasi impossibile: la voce della stessa Callas non era molto adatta alla vocalità che emerge dallo spartito (non ostante i miracoli dell’accento callasiano facciano del tutto dimenticare alcune durezze vocali). Un fallimento è stata l’esecuzione della Gencer; idem la Caballè; idem la Rysanek; idem la Sass; un po’ meglio l’Olivero (sebbene renda Medea personaggio verista… E’ certamente originale, ma certe discese di petto le trovo quasi comiche; e ciò non toglie che non ci sia niente di più lontano da Medea del liberty o del verismo; senza tralasciare l’inadeguatezza della voce dell’Olivero per Medea… La totale assenza di declamato marmoreo nel centro, la totale assenza di pienezza di suono negli acuti… Tutte caratteristiche essenziali per cantare Medea); un po’ meglio la Jones (se non altro per i poderosi mezzi vocali, non ostante la pronuncia fallosissima e una certa qual povertà nel registro grave, chiamato in causa spessissimo per Medea; credo che la prima interprete avesse voce mezzosopranile con acuti sopranili!!! Voce impossibile da trovare oggi!!!). Mi spiegate come può la Antonacci spuntarla di fronte a cotanti “mostri” della lirica? Una che non ha acuti, che affonda nei gravi, che non ha declamato nel centro (declamato è uno stile di canto tipico dell’epoca… Ma bisogna cantare!!!!), che non ha legato, che non ha linee marmoree, che non ha vero fraseggio (l’altra sera era tutto un bamboleggiare, un fingere di avere un accento, che in realtà non c’era!!!), non potrà mai essere Medea. I cadaveri che l’opera ha lasciato al suo seguito ne sono esempio più che eloquente.

  7. Caro Velluti,
    concordo completamente con la tua interessante disamina.Io ho visto,nel 1995 a Martina Franca,la versione originale di Medée,protagonista una notevole Iano Tamar,che sul successo di quello spettacolo costruí una fortunata carriera nei teatri dell´area tedesca.Allora infatti rimasi molto colpito dalla differenza notevole che esiste tra l´opera immaginata da Cherubini e quella che conosciamo noi.Una differenza paragonabile a quella tra la Carmen di Bizet e quella rielaborata da Guiraud,o tra il Boris originale e quello della versione Rimskij Korsakov.Poi,siamo d´accordo che si tratta di un´opera spinosa da affrontare.Per me,non é un caso che anche un interprete cherubiniano autorevolissimo come Riccardo Muti abbia sempre evitato questo spartito…
    Saluti da Stoccarda

  8. …..beh Mozart, diciamo che Muti ha evitato Medee come Norma, perchè non aveva interprete disponibile, sufficientemente quotata e capace per cimentarsi.
    In fondo, il cammino intrapreso con Vestale voleva portare lì ma temette in confronto con certa parte del pubblico. E quello di Vestale fu un vero aborto, meravigliosamente incartato da splendido pacco dono natalizio ma….la signora era di una tal modestia vocale, priva di carisma che…..uff..

    Queste opere sfiancano. E chi trovi disposto a venirsi a sgolare, pergiunta con le nevrosi ed il fracasso mutiano nella buca???? Miss Vaness resse sino all’Ifigenia ed era la sola che avrebe potuto cimentarsi ma in un gioco che non valeva la candela per lei. L’amatissima Vaness, cui la Scala avrebbe concesso tutto, pensò ad un bel momento: ” or convien liberarsi del vecchio…”, e torno a navigare in lidi meno faticosi e sereni. Quel che le serviva pe la carriera lo aveva già ottenuto. E noi apprezzammo ancora una volta in più la frizzante intelligenza temperamentosa della Vaness!

  9. Questa trasmissione mi ha confermato in una vecchia convinzione, cioè che la Medea non è tanto un’opera di Cherubini, quanto una “invenzione” di Maria Callas. Non vi fossero state quelle straordinarie interpretazioni della somma greca, oggi della Medea non si parlerebbe più che della Lodoiska, del Milton o del Fernando Cortez. Cioè poco o nulla.

  10. Certamente c’è una parte di verità… Ma la Medea è un’opera che contiene molte cose interessanti sotto il profilo musicale… La parte strumentale è di alto livello (come dimostra l’incisione della Jones, con uno splendido Gardelli quale direttore), e molte arie sono di alta fattura musicale (penso, una su tutte, alla splendida aria di Neris “Solo un pianto”).

  11. Ho visto ieri la pomeridiana? Riconosco che la radio evidenzia certi problemi vocali della Antonacci, che non sono né pochi né irrilevanti, ma il coinvolgimento espressivo, la bravura d’attrice… in sintesi la personalità d’artista sono quelle che lasciano il segno. Sono andato a teatro un po’ prevenuto dall’ascolto radiofonico e invece è stata una bellissima recita, davvero un’artista capace di riassorbire molte magagne (vedi gli acuti, ad esempio) in un’espressività formidabile: non condivido molto l’appunto sul fraseggio che, dal vivo, è risultato molto coinvolgente a differenza di quello, modesto assai, di Filianoti.
    L’unica cosa che non ho proprio apprezzato la scelta discutibile (penso di Pidò ma non son sicuro) di utilizzare dei parlati nel Finale II, che infatti è risultato deboluccio.
    Ciao!!

  12. Interessante! Quindi la Taigi ha cantato il finale secondo? Sarei curioso di sentire che cosa ne pensa Pidò… o forse l’omaggio all’opéra-comique lo può fare solo l’Antonacci? Mah!!!

    E com’è andato il secondo cast?

    Saluti, AT

  13. Mah, più che qualcosa che può fare solo l’Antonacci, secondo me è qualcosa che l’Antonacci non può fare…

    Ad ogni modo, la Taigi sicuramente in scena non rendeva allo stesso modo, sembrava che avesse provato ben poco. Ma come già scrisse qualcuno, l’opera non è solo stare in scena… Vocalmente qualche incertezza nella parte alta -soprattutto nello scoglio di “Dei miei figli…”, ma per il resto sembrava interessante. Emotivamente tende a caricare molto i suoi personaggi (a volte un po’ troppo).

    Carè è un giovane – vorrei dire – di belle speranze. Il timbro è molto chiaro. Qualche perplessità sul cambio di registro e negli acuti, ma credo che siano cose risolvibili con lo studio e l’esperienza. Visti gli splendidi sviluppi del primo tenore, però, preferirei non sbilanciarmi troppo.
    Di sicuro i due sono molto più amalgamati della coppia Antonacci-Filianoti.

    La a me sconosciuta Masiero, annunciata indisposta, mi è sembra corretta. Ho sentito decisamente di peggio da parte di gente che scoppiava di salute.
    Per il resto, niente di interessante (Creonte era sempre Parodi :o|).

    Mi chiedevo se la scelta di caratterizzare Neris come una demente fosse registica o dell’interprete.

    Per me, album di famiglia, orsetto scagliato con disprezzo, la nave con le fontanelle… sono scelte a dir poco imbarazzanti.

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