Vec Makropulos alla Scala

Nonostante la fama di passatisti, cui, peraltro, teniamo molto, Giulia Grisi, Adolphe Nourrit e Domenico Donzelli si sono recati alla quarta rappresentazione (turno C) del Vec Makropulos.
L’opera prescelta per celebrare l’autore ceco fa parte di un dichiarato piano educativo progettato dalla dirigenza artistica del massimo teatro milanese. Peraltro insegnare agli ignoranti rientra fra le opere di misericordia spirituali. E allora questa dirigenza artistica dovrebbe applicare tale principio in primo luogo a sé medesima. Ben venga Janacek ma il compositore ceco non è, né mai lo fu, una punta isolata all’interno di quella cultura mitteleuropea cui la dirigenza scaligera vuole iniziarci. Il nostro autore appartiene alla medesima epoca, seguita alla stagione di Wagner e Verdi, autori come Puccini, Catalani, Mascagni e Zandonai. Quegli stessi autori che la dirigenza scaligera ostinatamente ignora, sul presupposto che si tratti di musica per melomani e vociomani. Consiglieremmo quindi, nella nostra suprema ignoranza, a chi deputato alle scelte artistiche di esaminare con attenzione partiture quali la Francesca da Rimini (assente da 50 anni in Scala), Iris o Isabeau, la cui assenza supera le nozze d’oro sempre sul palcoscenico milanese. Forse udita la compagnia di canto assemblata dalla Scala viene da pensare che sia assai più conveniente “educare” il pubblico a Janacek che non riproporre i titoli sopra citati o altri consimili. C’è poi un altro problema, che ci sembra assolutamente prioritario, ossia quello della lingua prescelta. In un lavoro musicale fondato su una sorta di recitato-declamato è essenziale che l’ascoltatore, che non è obbligato ad essere poliglotta, deve essere messo nella condizione di comprendere tutte le sfumature del dialogo drammatico. Ed è solo questa intellezione che consente di valutare la qualità dell’interprete chiamato a vestire i panni dei personaggi e crediamo, ma è opinione personale, che a questa esigenza possa essere anche sacrificata la lingua originale con la sua metrica e prosodia, che peraltro, ribadiamo, il pubblico che non sa la lingua ceca non può apprezzare. Talvolta i dogmi possono anche essere sacrificati in nome della prassi. Peraltro “l’incolto” pubblico scaligero ha premiato il teatro con 50 palchi vuoti ed una platea con larghi buchi, il tutto nonostante la svendita dei biglietti più costosi del teatro. Ricordiamo che nei maggiori teatri stranieri esistono diverse fasce di prezzo per gli stessi prezzi a seconda del tipo di spettacolo. E magari anche un diverso numero di rappresentazioni a seconda della “popolarità” del titolo proposto.
Quanto poi all’allestimento spiace per chi ci giudica vociomani ma, come sempre, in primo luogo debbono essere giudicate le prestazioni dei cantanti. Per comprendere quali siano le doti del grande cantante-attore invitiamo ad ascoltare non solo le solite Kabaivanska, Scotto ed Olivero ma complete cantanti attrici come Lotte Lehmann, Rose Pauly, Maria Jeritza o Eleanor Steber, le quali, senza inutili preziosismi, ed in ogni lingua in cui hanno cantato, hanno dato senso a ogni frase e ad ogni parola. Giovedì sera la signora Denoke, in natura dotata di una voce da Mimì, fissa e priva di proiezione del suono (caratteristica comune a molte mozartiane e wagneriane delle ultime generazioni) ha esibito la stessa voce, lo stesso accento e lo stesso colore, sia che maltrattasse la domestica che male l’acconciava, sia che deridesse il dolore di un padre per il suicidio del figlio, sia che accettasse l’ineluttabile fine e la normalità della morte. Il fatto che, poi, la signora sia dotata di uno splendido fisico non è sufficiente per rendere l’aspetto divistico del personaggio, che non si limita a scendere un praticabile o ad accavallare le gambe, ma che deve, fin dal suo primo apparire, far percepire al pubblico il fascino ambiguo ed inumano del personaggio che ha attraversato quattro secoli e il cui solo scopo di vita è quello. La tecnica precaria è confermata da una voce che progressivamente perde ampiezza e penetrazione nel corso della serata, sino ad essere poco udibile nella prima parte del terzo atto. Le cose vanno un po’ meglio nel finale, dove spende le residue energie. Miro Dvorsky è un altro degli inspiegabile abbonati delle stagioni scaligere in opere dalla vocalità novecentesca e spinta, più digeribile qui che nel Tabarro e in Jenufa. Abbiamo inoltre dubitato della qualifica di basse-bariton per la voce bianchiccia e spoggiata di Mark S. Doss, mentre ascoltando il Vitek di David Kuebler e il Janek di Eric Stoklossa abbiamo provato struggente rimpianto per la pletora di caratteristi che nelle operacce del Novecento italiano cantano le maschere di Turandot, Goro e Sonora. Rimane poi la direzione d’orchestra di Marko Letonja : l’orchestra suona bene, con suono nitido, pulitissima negli attacchi e brillante, una prova ben diversa da quella dell’ultimo Don Carlo.
Sempre bello ed efficace ma anche suggestivo il vecchio allestimento di Luca Ronconi, già visto a Torino con protagonista Raina Kabaivanska.

Giulia Grisi, Domenico Donzelli e Adolphe Nourrit

14 pensieri su “Vec Makropulos alla Scala

  1. Terribile la Kabaivanska… Voce arida, poco sonora, la pallida ombra dell’Olivero, imitazione vuota e retorica… Imparagonabile ogni confronto; la Jenufa della Olivero, ad esempio, è mitica, non ostante la pesante zavorra dell’italiano.
    Non sono affatto d’accordo sul fatto che debba essere lo spettacolo ad adeguarsi all’inopia linguae del pubblico. Esistono libretti bilingui; solo nella lingua originale è possibile apprezzare capolavori assoluti del teatro del ‘900. Non siamo più nel terreno esclusivo del teatro d’opera. Siamo nel Teatro, ergo la lingua originale è elemento fondamentale per far emergere le idde del compositore. MI spiace ma qui toppate. Verdi in tedesco è straziante, al di là di chi lo canta, fosse anche Lotte Lehmann; Janacek in italiano è semplicemente ridicolo. Chi ama il teatro greco e va a vederlo in italiano non potrà mai capirlo appieno. Purtroppo l’arte non sempre è democratica: per capire Eschilo bisogna leggerlo in greco, e peccato per chi il greco non lo conosce. Per apprezzare Janacek o Verdi o Puccini o Mozart bisogna ascoltarli nella lingua originale, cercando di sforzarsi e di adeguarsi a questo dato oggettivo incontrovertibile.

  2. Mi spiace Velluti, ma stavolta non concordo né sulla Raina (che a 60 anni non ha certo la voce più arida e meno sonora di quella della Devia oggi, e a differenza di quest’ultima ha carisma e talento d’attrice da vendere – fermo restando che la Marty della signora Magda sarebbe stata una cosa epocale!) né sull’irrinunciabilità della lingua originale, che portata alle sue logiche ed estreme conseguenze richiederebbe, per allestire le opere di Janacek, cantanti (e magari spettatori) in grado di parlare ceco correntemente.

  3. ………Velluti, ….io ho passato tutta la sera a guardare il monitorino sulla seggiola…..alla faccia del teatro recitato e cantato! Qualche attimo di messa in scena per leggere e capire il senso del canto momento per momento.

    Il testo di Vec è un testo teatrale, con dialoghi fitti e minimi……..io non ne capisco nulla.
    Al tedesco di arrivo. Come al francese. Il ceco è un po’ troppo!

  4. Premetto che non ho assstito allo spettacolo in questione (ho smesso con Janacek…), devo dire però che sono da tempo contrario all’intangibilità della “lingua originale”. O meglio, non mi scandalizzo di fronte alle tanto vituperate versioni ritmiche! Opere in cui il testo è letterariamente autonomo e di per sè interessante, ne gioverebbero assai! E poi si rifletta su questo: lo stesso Wagner (che oggi pare solidamente ancorato alla lingua originale, tanto che ci pare bestemmia la traduzione) sosteneva la NECESSITA’ che le sue opere venissereo tradotte nella lingua del paese in cui venivano rappresentate, proprio per la pregnanza della parola!
    Una postilla di ironia: il programma di sala della Scala presenta il libretto nella TRADUZIONE RITMICA DI SERGIO SABLICH…perchè nn utilizzarla anche per il canto? E’ eccellente e chiarissima!

  5. Non trovo affatto la Kabaivanska una grande attrice. La trovo affettata e sempre molto retorica. Fare il gran gesto, sollevare in dietro il capo, buttarsi a terra nel momento topico, fare tutto quando BISOGNA farlo, atteggiarsi a gran diva non significa affatto avere carisma e saper recitare (Olivero docet…). Personalmente credo che la Kabaivanska sia un’imitatrice dell’Olivero e, come sempre accade, le imitazioni così smaccate sfiorano il ridicolo. Lascio da parte l’aspetto più propriamente vocale, dato che – a parte qualche filato e qualche pp – la Kabaivanska non mi pare degna di considerazioni particolari (canta… Punto!).
    Per quanto concerne la lingua originale è pericoloso ergere Wagner a paradigma… Certamente è vero che Wagner si dichiarava favorevole alla rappresentazione nella lingua del paese in cui la sua opera si trovava ad essere rappresentata; ma non è detto che ciò valga anche per Janacek. E’ vero, il ceco è difficile… Ma è un dato di fatto che Janacek abbia scritto le sue opere in ceco!!! La traduzione inevitabilmente snatura il tenore originale del testo e, quindi, della musica che a quel testo si accompagna… Per un autore come Janacek, figura davvero atipica del teatro del ‘900 (io lo trovo assolutamente affascinante… Aveva grafia quasi illegibile… Solo Mackerras è riuscito a districarsi in quel labirinto che sono le sue opere, facendo opera musicologica davvero capitale) il testo è quasi più importante della musica, e non è un caso che i suoi epigoni abbiano ulteriormente portato avanti tale istanza in maniera forse troppo radicale… Con un po’ di pazienza, dopo alcuni ascolti con libretto bilingue, uno si abitua al ceco, e alcuni momenti in lingua originale assumono una pregnanza teatrale davvero eccezionale: sentire la Benackova cantare il monologo del I atto di Jenufa in perfetto ceco, con aderenza assoluta alla musica di Janacek, è davvero un’esperienza notevole che dopo tanti ascolti apparentemente fallimentari alla fine paga, e molto!!!!

  6. Visto che Velluti cita giustamente Mackerras,vi proporrei di dedicare un post a Elisabeth Soderström,la protagonista di quasi tutte le sue incisioni discografiche delle opere di Janacek.Secondo me era una cantante straordinaria.
    Saluti

  7. Una raccomandazione ai detentori del blog: cercate di non sostanziare criticamente una vostra incapacità e ammettete semplicemente, senza troppi voli pindarici, di non riuscire ad ascoltare Jabacek in ceco, ma non cercate di mascherare questo fatto con argomentazioni critiche che pretendono di “nobilitare” tale limite. Dire che si è chiuso con Janacek che vuol dire? E’ un fatto di mero gusto personale, e va bene così, ma questo non deve portare a svalutare un compositore davvero geniale, autore di capolavori assoluti (a parte la Jenufa, consiglierei di ascoltare La piccola volpe astuta). Mi sia concessa una chiosa di carattere musicologico: paragonare Mascagni a Janacek è ridicolo; la strumentazione di Janacek è, per raffinatezza, sapienza costruttiva, capacità di tratteggiare il momento scenico, imparagonabile a quella di Mascagni, il quale era inferiore anche a Leoncavallo per inventiva musicale e strumentale (l’Iris è davvero un gran polpettone!!!).

  8. caro velluti,
    non sto nobilitando nulla e l’operazioen di “nobilitare” una incapacità è tanto nostra quanto tua.
    A noi quella di non sapere ascoltare Janacek in ceco a Te quella di non sapere ascoltare Mascagni o Zandonai.
    Perchè a questo punto se dobbiamo andare sulla metafora culinaria al polpettone mascagnano potrei sempicisticamente opporre la sbrodaglia janacekiana. E così i paralleli gastronomici sono salvi.
    Ascoltare e proporre un autore difficile e complesso in traduzione che è e rimane una traduzione significa scegliere, a maggior ragione da una lingua difficile, il male minore e l’unico veicolo per offrire ad un autore difficile in ogni senso, linguistico in primis, una possibilità in più.
    Mi corre l’obbligo di ricordarTi che nei teatri americani ed inglesi dove l’autore moravo è stato più volte offerto al pubblico si è optato per la scelta da Te censurata.
    Mi corre pure l’obbligo di precisare che tutti i musicisti, persino i francesi, che quanto ad amor di patria sono paradigmatici, hanno sempre ritenuto giusto e predisposto essi stessi le versionin altra lingua (in genere italiano, ma quanto a a Meyerbeer anche in tedesco) dei propri lavori e capolavori. Poipotrai obiettare che il testodi Faust o Africana non è quello di Vec Makropoulos, ma questa argomentazione, mi pare, può essere spesa in due direzioni, pro e contro la versioen tradotta.
    Mi corre ancora l’obbligo di ricordare, quanto alla signora Rajna Kabaiwanska, che molto ti spiace, che nei personaggi da diva fin de siecle non sarà per autenticità la divina Olivero, ma innazi alla stessa le urlanti declamatrici, oggi imposte, spariscono. E quanto a cattiva qualità della pasta vocale, per giunta aggravata da una tecnica instabile le varie Silja, Denocke, Mayer sono inarrivabili.
    ciao
    dd

    ps vado corro a sentirmi la Madga in Jenufa. IN ITALIANO !!!!!

  9. Caro Donzelli, la Jenufa dell’Olivero è un capolavoro assoluto (cf. i miei post precedenti), non ostante l’italiano, ma rappresenta un caso eccezionale, dovuto alla stratosferica bravura della protagonista, e difficilmente ripetibile oggi (per usare un eufemismo). In merito alla Kabaivanska, in confronto con l’attuale, di certo hai ragione, ma i miei appunti non tenevano presente tale paragone, ma semmai il rapporto con il precedente (appunto la divina, REALMENTE DIVINA, Magda). Di certo il confronto con le DIVE attuali vede vincitrice la Raina, ma questo è già di per sè fatto che spiega da solo la vocalità di Raina rispetto al modello Olivero (lei sì al di fuori di ogni possibile confronto!). Per quanto concerne l’utilizzo della traduzione, rispondi da solo all’eventuale obiezione sull’impiego dell’italiano per Janacek: Janacek non è Wagner o Bizet o Verdi, e non mi risulta che abbia mai approntato edizioni italiane della Jenufa. Per quanto concerne l’associazione Mascagni/Zandonai sei tu a farla, dato che la mia valutazione era espressamente circoscritta a Mascagni (messo in confronto con Leoncavallo, musicista assolutamente superiore per capacità compositiva). Non cito infatti neanche la Francesca, opera di alto livello teatrale e per la quale nutro grande ammirazione (soprattutto se cantata dalla Gencer…). Ma perchè ogni volta che si discute di un problema specifico allarghi il quadro per creare improbabili appigli? Qui si parla della musica opersitica ceca, nata in un preciso contesto storico e in una precisa situazione culturale (è per questo che gli AA. non hanno pensato a eventuali traduzioni)… Che c’entrano Verdi o Wagner, musicisti di stampo europeo e, quindi, obbligati a approntare edizioni in lingue diverse? Ripeto: mi sa tanto di politichese, per cui si cerca di giustificare ideologicamente una posizione che, alla fin fine, appare abbastanza miope… Io non capisco il ceco, ergo gli altri non lo capiscono, ergo l’opera in ceco non si puà rappresentare… Mi sembra un atteggiamento un po’ provinciale… Perdona la schiettezza!

  10. Fedele D´Amico,nel suo libro “Un ragazzino all´Augusteo” ha scritto un saggio dal titolo “Mai devi domandarmi”,che sostanzialmente espone le stesse tesi di Donzelli.Io,sulle opere in traduzione,rammento solo la mia esperienza londinese di frequentatore del Coliseum,che,come sapete bene,ancora oggi propone le opere in versione inglese.Dite tutto quel che volete,ma quando sentivo Rigoletto cantare “She died!The ground will cover” invece che “Moria!Le zolle coprano” inevitabilmente mi scappava da ridere.Aggiungo che la traduzione italiana,a volte,svisa completamente il significato di certe opere.L´esempio piú lampante é costituito dalla Carmen,che nella versione di De Lauzieres diventa,piú o meno,una strana opera di Leoncazet…Per tutti questi motivi,non posso che essere d´accordo con Velluti.O vogliamo riproporre ircocervi come la Carmen del 1959 al Bolscioi,con la Arkhipova che cantava in russo e Del Monaco che le rispondeva in italiano?Quando la ascolto per me é solo ridicola,non riesco neppure ad analizzare l´interpretazione.E come credete che sará stato,se potessimo sentirlo oggi,il mitico Rigoletto del 1914 alla Hofoper di Vienna,con Caruso e Titta Ruffo a cantare in italiano e tutto il resto della compagnia a rispondere in tedesco?Aggiungo infine che,con l´internazionalitá dei cast di Oggi,preferisco sentire artisti inglesi,tedeschi o cechi cantare in lingua originale piuttosto che massacrare l´italiano in nome della versione ritmica.
    Saluti

  11. caro velluti,
    figurati se posso avere alcunchè da eccepire alla schiettezza. Cerco di praticarla nel lavoro, figurati se non la pratico in quello che è solo un passatempo (che me ne fa passare alquanto).
    Il tuo assioma io non so il ceco e quindi voglio Janacek in traduzione è un po’ semplicistico e molto Cicero pro domo sua. So che tu pensi l’esatto contrario.
    Il discorso, però è un poco differente e forse di più ampie prospettive ossia un autore che scrive in una lingua così desueta e che mette in musica un testo teatrale ha due sole prospettive, ove non tradotto, o rimane al suo paese e per il suo paese oppure deve patire la traduzione se vuole che altri e non di lingua possano comprenderlo. Siccome nella vita di frequente si fa il conto dei profitti e delle perdite si deve anche valutare se sia meglio accettare la rappresentazione in traduzione perdendo qualche cosa del testo poetico oppure offrirla in lingua originale perdendo, per ovvi motivi tutto. Al più, credo, potrai consolarti dicendo che il pubblico è ignorante e non apprezza.
    Mi permetto di ricordare che la prima di Jenufa al Met (vivo e, credo, addirittura presente in sala l’autore avvenne in traduzione).
    Quanto, poi, a Mascagni. Ritengo Iris ed Isabeau oltre che a Cavalleria due paradigmi dell’operismo italiano, che per questo fatto solo meritano rappresentazioni, specie nei teatri italiani. E lo stesso vale per un meraviglioso polpettone quale lo Chenier. Non me la sento di dire se siano belle o brutte, categorie che mi rammentano un po’ troppo don Benedetto!!!
    Il mio pensiero ed il mio desiderata è che il teatro che si autodefinisce e celebra come il massimo teatro italiano non creda, come fa da almeno 50 anni, che esterofilo significhi culturale.
    Per soddisfare tale foja esistono ottimi pacchetti viaggio+spettacolo con destinazione Salisburgo o Bayreuth

    ciao dd

  12. Ricordo che il tenore americano Richard Versalle morí il 5 gennaio 1996 proprio durante una recita di Vec Makropoulos,al Metropolitan.Non é che il vostro atteggiamento verso l´opera di Janacek sia stato influenzato da questa circostanza,in una sorta di associazione inconscia con l´opera verdiana innominabile?
    Saluti

  13. caro mozart
    non esistono opere di Verdi definite innominabili o maledetta, esiste un’opera di Verdi che sia dice sia stata scritta per il teatro di Pietroburgo e rimaneggiata per la Scala, ma che non mi risulta, perdona l’ignoranza, sia mai stata scritta.come il secondo libro della poetica di Aristotile secondo Jorge de Burgos.!!!!

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