Renée Fleming: Verismo

Superstella di lungo corso del moderno firmamento lirico, Renée Fleming, dopo l’Homage to the Age of the Diva approccia ora il Verismo italiano, ispirata, a suo dire, dall’incontro con Magda Olivero. Continua, dunque, la sua escursione nel mito della Primadonna, cimentandosi adesso in un terreno a lei sconosciuto.
Un repertorio di brani scelti in modo mirato ed anche ricercato, accompagnati dall’orchestra G. Verdi di Milano, diretta da Marco Armiliato, bravo ed a suo agio in questo repertorio. Il tutto secondo lo stile recentemente adottato dalla Decca per i suoi big, sempre più spesso presentati in compagnia di colleghi, talora anche blasonati: per l’occasione un cameo di J. Kaufmann.

Scelta oculata ed attenta, dicevo, perché il programma ha un moderato tasso drammatico (il più pesante è la “Piovra” dell’Iris) in un mix ricercato di passi noti e rarità, come la Gloria di Cilea, la Conchita di Zandonai o la prima versione del “Sola perduta abbandonata” di Manon Lescaut.
Ricercato ma non sempre spiegabile, come l’esecuzione per intero della scena della morte di Liù, a cominciare dalle battute “ Tanto amore segreto…”, ove la Fleming è tra l’altro, in difficoltà evidente, oppure la scelta poco significativa come l’ensemble di Rondine “ Bevo al tuo fresco sorriso “(con un Kaufmann davvero affaticato) od il quartetto, oppure l’ensemble della Bohème di Leoncavallo o lo stesso finale di Fedora, con la prova da dimenticare di A. Chacón-Cruz.

La prima obiezione che si può muovere a questo disco, infatti, è la volontà di cimentarsi con questo repertorio aggirando parte degli ostacoli che costituiscono i topoi dei titoli scelti. Si privilegiano momenti meno noti, sempre secondo il nuovo dettame del disco à la page, ma la particolarità del programma non convince. La Fleming non ha voluto incidere per la seconda volta passi dall’Adriana Lecouvreur o da Tosca, perché eseguiti in precedenti dischi, ma bypassa il confronto, inevitabile, con le grandi dive del passato astenendosi dal cimentarsi nel sogno di Doretta o in “Oh grandi occhi lucenti”. Questione le cui ragioni ben si comprendono coll’andar dell’ascolto del disco, in cui la Diva canta senza esibire tratti di nuova obsolescenza vocale (canta come ha sempre cantato, a mio avviso), ma senza riuscire a dar vera vita al canto delle eroine veriste.
Mettiamo in breve da parte il fatto meramente vocale, per ritornare subito all’essenza del disco.
Per me la signora Fleming non ha mai avuto né una voce bella né una tecnica di gran levatura. In teatro come in disco la voce ha quasi sempre mancato di “fuoco”, suonando ovattata ed indietro, fatto che spesso l’ha condizionata anche nell’esecuzione delle mezze tinte, sino al limite della stonatura. Di momenti o frasi calanti ve ne sono innumerevoli documentate su You Tube, ad esempio, e dunque non costituiscono una prerogativa di “Verismo”, che ben ne documenta alcune. Il canto sul primo passaggio, poi, è quasi sempre stato governato dall’approssimazione, fatto da cui le derivano certi suonacci in zona grave ( ricordiamo il suo Pirata, per tutti ), talvolta apertamente di petto, ma il più delle volte di un petto ovattato, come dire…..non convinto: in breve, avrebbe l’intenzione ( gusto ) per fare diversamente, ma, non sapendo come uscirne, si arrabatta alla come viene. Sul centro la voce ne risente: frequente il canto “aperto”, ( emblematiche le a ) a scapito dell’omogeneità dell’emissione. Parte migliore della voce, i primi acuti, a voce piena, che son quelli del soprano lirico, a patto di non volerli smorzare, perché altrimenti si sfuocano e si fanno chiocci.

Di qui l’impossibilità di risolvere l’approccio al Verismo sul piano della qualità naturale del mezzo, intendo dire alla Price, alla Tebaldi, alla Caballè….ma nemmeno una Chiara, tanto per intenderci. Vuoi per natura vuoi per mende tecniche, la Fleming non può combattere sul piano del timbro e/o dell’emissione. Bastano le due frasi iniziali della scena di Liù, “Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta”, per capire come la voce non trovi mai una posizione da mantenere nota dopo nota, e la voce arrivi diseguale….nota dopo nota appunto.

Altra via percorribile per la primadonna verista è quello della grande fraseggiatrice d’effetto, dalla dizione scolpita, magari colorita dalla retorica del fraseggio enfatico e/o dal coup de théâtre mozzafiato ( alla Olivero per intenderci..). Un canto analitico, sulla parola, magari anche esagerato in certi momenti, ma puntuale ed immancabile, per amplificare l’emozione che il canto provoca nello spettatore, può compensare una voce di non grande qualità. Lo sapevano bene la Olivero, la Muzio, la Kabaivanska, la Scotto…. Ma nemmeno su questo terreno la Fleming convince e riesce ad essere all’altezza della sua carriera straordinaria, non ha né presa né respiro, perchè manca il senso generale delle cose, la “cifra” di questo genere di canto. Non posso valutare quanta sia la distanza culturale e di temperamento che separa un’intellettuale americana (perché la Fleming ha sempre dato di sé un’immagine fortemente intellettuale, cui certamente diamo credito) dall’esatta concezione del Verismo italiano. Certo è che spesso la Fleming o è inerte nell’accento (eclatante l’esecuzione di Suor Angelica, dove lo strazio della donna è sostituito da accenti affettati e piagnucolosi, complice la scelta di un tempo molto lento) oppure stenta ad accentare a causa dell’articolazione poco chiara (dal recitativo iniziale della scena di Siberia all’intera prima sezione dell’Iris sino a frasi, peraltro celeberrime, come “straziatemi…gli ardenti spasimi“ del finale di Liù o le frasi che precedono l’aria di Suor Angelica). La linea di canto è spesso corrotta nell’intonazione (evidentissime le frasi succitate che introducono la scena di Liù come quelle finali di Suor Angelica, tanto per esemplificare con passi a voi tutti noti) o da suoni privi di appoggio (i piani di Liù valgono per tutti)… insomma, vari accidenti che minano l’ascolto di un disco che poteva e doveva venir meglio.
Non convince più di tanto il prodotto, perché la signora Fleming non regge in nessun modo il confronto con le grandi interpreti che hanno fatto la storia del Verismo, sebbene questo disco sia di qualità superiore rispetto a quella dei recitals recentemente incisi da altri cantanti che vi abbiamo qui recensito, dalla Garanca a Kaufmann etc.

Gli ascolti

Mascagni – Iris

Atto II

Un dì, ero piccinaMaria Farneti (1930)

Mascagni – Lodoletta

Atto III

Ah, il suo nome…Flammen perdonamiMafalda Favero (1941)

Giordano – Fedora

Atto III

Troppo tardi!…Tutto tramontaGilda dalla Rizza (1929)

Puccini – Turandot

Atto I

Signore, ascoltaMaria Zamboni (1926)

Puccini – Manon Lescaut

Atto II

In quelle trine morbideMaria Chiara (1977)

8 pensieri su “Renée Fleming: Verismo

  1. Purtroppo questa "cantante" è l'esempio classico delle furberie e corbellerie alle quali siamo sottoposti e che i giovani prendono come esempio perchè fanno cd, sono intervistati e parlano a vanvera; vanvera ben costruita s'intende!
    Di questo personaggio mi sono bastate le due apparizioni scaligere alle quali ho assistito: Lucrezia Borgia – pietosa – e le "Ultimi Quattro Lieder" di Strauss dove risultava inavvertibile il suo "contributo" canoro.

  2. forse questi giovani sono comunque in grado di intendere e volere, è molto comodo liquidarli come privi di qualsiasi cognizione musicale
    la B. fu tutt'altro che pietosa (ma bisognerebbe aprire l'argomento sul comportamento del loggione scaligero)

    P.S. ciao divina

  3. CAro Marco,
    chi ho liquidato come incapace di intendere e volere?
    A quali giovani alludi?

    La Borgia?
    Continuiamo con la morale al pubblico ??? Dai, stonava già al COm'è bello quale incanto…..
    Ricordi lo svenimento, "casuale", di Gelmetti sul finale primo????

    Ricordo bene le intemperanze…e ricordo benissimo.
    Sono con te sul modo ( si attende la fine del brano, nella fattispecie il Rondò), ma sull'esito proprio no.
    Non rinvanghiamo la questione, che ha un seguito, dello stesso livello vocale, nel Pirata parigino e poi di NY….e nella Borgia di Washington, dove, guarda caso, le variazioni folli che furono causa di tanti guai, sono sempre casualmente sparite….
    Cmq, ti suggerisco l'ascoolto dell'aria di Liù perchè è una vergogna……almeno correggerla s poteva.
    a presto

    divina

  4. Contribuisco anche io con una proposta horror di una performance verista (se vogliamo estemporaneamente far passare Puccini per verista.) della signora.
    http://www.youtube.com/watch?v=Oxpapud5W94
    Le castronerie non si contano: vibrati irritanti (notare "il primo sole"), pronuncia approssimativa ("ricamo in casa e FIORI"?), note calanti una dietro l'altra ("sì dolce malia, che parlano d'amore") già dal primo verso, voce spoggiata… E' possibile che si tratti della canonica serata no. In altre occasioni si è dimostrata mediocre, ma sarebbe difficile giustificare altrimenti uno scempio di tale risma. Ma…

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