Il concerto di canto: Renata Scotto alla Carnegie Hall (1972)

Il concerto di questo fine luglio, in attesa dell’agosto “caldo”, è dedicato ad una paradigmantica dicitrice: RENATA SCOTTO.

Una Scotto del 1972, ossia la cantante reduce dall’avventura Vespri Siciliani scaligeri, che se da un lato le chiuderà per più di un decennio i rapporti con il teatro milanese, dall’altro la consacrerà regina del Met. Renata Scotto, infatti, tornerà in Scala solo nel 1985 a polemiche ben sopite (il concerto fu accompagnato da applausi ora sentiti, ora di stima) e carriera di fatto conclusa.
Fine dicitrice, maestra e regina di eloquenza sono le più pregnanti qualificazioni per questa cantante. Nel concerto ne fa amplissima mostra, magari piegando a questa propria peculiarità altre qualità, che legittimamente si potrebbero richiedere. L’esecuzione di Handel, la dolorosa lamentazione di Cleopatra, è struggente e patetica, ma la Scotto non si pone e non risolve problemi di stile e di prassi esecutiva, che erano le ragioni di scelta, prima, e di ammirazione da parte del pubblico, poi, di Joan Sutherland o di Lella Cuberli. Accenta splendidamente. Anche con queste limitazioni i rimpianti sono, però, giusti e, poi, in concerto il cantante deve in primo luogo dimostrare la propria arte e bravura.
A questo requisito rispondono le esecuzioni delle arie di Vestale, personaggio cantato nel 1970 dalla Scotto in uno dei suoi, tanti, passi più lunghi della gamba. L’accento è personale, eloquente, irresistibile, ma il peso vocale e l’ampleur di Giulia sono quelli, a 78 giri, di Rosa Ponselle o di Ester Mazzoleni. Qui Mimì è sempre un po’ in agguato e la scrittura sul passaggio ogni tanto costringe la Scotto a suoni un poco striduli sul forte. Sul piano e sul mezzoforte la voce è veramente bellissima e di gran timbro.
La qualità emerge oltre che negli andanti anche nella vocalizzazione dell’arietta (si fa per dire) “Ne ornerà la bruna chioma” o della grande scena di Virginia di Mercadante. Era quello del terzo e quarto decennio dell’Ottocento il repertorio naturale di Renata Scotto. Non condivido l’opinione del mio carissimo amico Semolino, che la Scotto fosse verista in quel repertorio. Se mai era una cantante che talvolta, praticando sistematicamente “il passo più lungo della gamba”, incorreva per conseguenza in forzature, che snaturavano il timbro prezioso. Quanto al colorire ogni parola ed ogni frase pare fosse caratteristica di Giuseppina Ronzi de Begnis, creatrice di Elisabetta Tudor del Devereux e, quindi, il fraseggio eloquente non è invenzione del cantante verista, come non è monopolio del cantante da Donizetti o Bellini emettere bei suoni. Ascoltate, poi, la grande aria di Isabella del Roberto il diavolo: non un brutto suono, ciascun suono calibrato e librato sul fiato, un gioco di colori e di dinamica da interprete di levatura storica. Grandezza e levatura dell’interprete in questo repertorio non dipendono dal numero dei piani e delle forcelle o dalle puntature inserite, ma dal senso drammatico che questi elementi assumono nell’esecuzione. Infatti è arte, non mestiere!

Renata Scotto – New York 1972

Georg Friederich Handel

Giulio Cesare

Atto III – Piangerò la sorte mia

Gaspare Spontini

La Vestale

Atto IIO Nume tutelar

Atto IIICaro oggetto

Gioachino Rossini

La partenza

L’invito

Gaetano Donizetti

Ne ornerà la bruna chioma

Saverio Mercadante

Virginia

Atto IScena, Aria & Cabaletta

Giuseppe Verdi

Il Mistero

Stornello

Brindisi

Hector Berlioz

Les nuits d’été op. 7

Villanelle

Le spectre de la rose

Claude Debussy

Les ariettes oubliées

C’est l’extase

Maurice Ravel

Chanson

Ildebrando Pizzetti

I pastori

Giacomo Meyerbeer

Robert le diable

Atto IVRoberto, tu che adoro

Gaetano Donizetti

Voga, voga

8 pensieri su “Il concerto di canto: Renata Scotto alla Carnegie Hall (1972)

  1. Non condivido l'opinione del mio carissimo amico Semolino, che la Scotto fosse verista in quel repertorio.
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    Carissimo Donzelli, forse sono stato frainteso ma non ho mai detto che la Scotto fosse verista. La Scotto non ha niente della cantante verista perchè non ne ha né la tecnica cioè i centri aperti, né lo stile. Infatti il centro è la sola zona della voce che la Scotto era in grado di immascherare e lo stile interpretativo è sempre stato quello della "fine dicitrice". Io ho semplicemente detto e lo riaffermo che la Scotto non sapeva cantare! perchè una quando non è in grado di oltrepassare il registro centrale senza oscillare, per non parlare degli orridi stridori in zona acuta, non può essere ritenuta una cantante degna di tal nome. Quando si avventurava in alta quota con dovizioso uso di piani e di pianissimi riusciva a dominare maggiormente la situazione ma comunque il suono era sempre bello secco e tagliente perchè bello spinto di gola.
    Come interprete dei ruoli più marcatamente drammatici è stata tutta da ridere : la sua Abigaille pare una caffettiera che bolle e la sua Lady è isterica.
    Rodolfo Celletti, di cui non ho mai capito il suo amore per questa "cantante", diceva che i fini dicitori erano cantanti per falsi pensatori e mangiatori di pernici. In questa categoria la Scotto rientra.

  2. Mi spiace, ma se condividivo in toto l'intervento di Pasquale e le pertinenti considerazioni di Donzelli, mi dissocio totalmente dal commento di Semolino!
    No, non riesco nè a condividere nè a giustificare un commento del genere, detto con affetto!
    Ok, gli stridori e l'intonazione ballerina, ma basterebbe la sua carriera per dimostrare quanto sia con la tecnica sia con l'arte della parola si possano affrontare ruoli anche proibitivi.
    Basterebbe ascoltarla nell'Elisir e poi nel bellissimo video della "Lucia" di Tokio per capire, o ancora, il "Trittico" del Met in cui anche provatissima interpreta una Giorgetta ed una Angelica monumentali. Si, anche in Abigaille e Desdemona mi piace, anche nella Norma fiorentina.
    Il bello della Scotto è che ti fa piacere anche gli stridori dell'emissione e sapeva essere sempre diversa da se stessa.
    Sapeva cantare, sapeva stare in scena, conosceva la tecnica, aveva coraggio ed è già storia.
    Questo è un dato di fatto, e se non piace pazienza, ma si perde un gran bel pezzo di arte.

    Marianne Brandt

  3. La carriera non c'entra niente, ci sono tantissimi "cantanti" che hanno fatto una lunghissima carriera ma non sapevano cantare.
    Per il resto non ho niente da aggiungere se non che era già secca in acuto fin dagli inizi della carriera.

  4. Semolino cosa intendi tu per sapere cantare ? E chi sono questi tantissimi cantanti che hanno fatto una lunghissima carriera,senza sapere cantare?
    Comunque è una tua opinione.
    Sulla Scotto ci sono "milioni" di ascoltatori che apprezzano come sà cantare e trasmettere emozioni,perche il canto non è solo una fredda linea di canto,e note,il "sapere cantare" e fatto anche di espressione interpretazione,e questo fa parte Semolino anche del "saper cantare".
    Secondo me la Scotto è stata una grande Artista,e un ottima maestra di canto da come viene descritta sia nelle interviste sia da cantanti che sono stati suoi allievi.
    Peggio per te Semolino se non l'apprezzi,sei tu che ci perdi…

  5. Semolino è un talebano della tecnica, una sorta di fondamentalista del suono. Ma non sempre il metro della rigidezza funziona, dato che ci sono dei geni che riescono a comunicare qualcosa oltre gli schemi precostituiti. Credo che la Scotto fosse una sorta di genio del fraseggio, che avesse un dono assolutamente innato, personale, che riusciva a penetrare benissimo lo spirito del personaggio e della musica che interpretava.
    Sulla tecnica posso solo dire che in inizio carriera la Scotto aveva non la secchezza ma una certa aridità nel registro acuto e sovracuto tipico di una vocalità leggera e/o di mezzo carattere (quale era la sua organizzazione vocale). In seguito, dopo l'incontro con Kraus, la Scotto ha arrotondato molto di più il suono in acuto, ma pagando come scotto quella oscillazione in acuto e nel passaggio stigmatizzata da semolino. Ma se uno ascolta i suoi Lombardi altro che non saper cantare: sentire il Salve Maria per capire COME si fa una VERA mezzavoce e un VERO pp. Il repertorio della Scotto è stato oneroso, e questo ha lasciato segni indelebili nella sua organizzazione vocale, e in questo rivela certamente una tecnica incapace di gestire tutto quello che ha cantato: ma tra questo e non saper cantare ce ne corre… La voce è meravigliosamente appoggiata sul fiato, la maschera è perfetta (da qui una dizione nitidissima che consente alla cantante di fraseggiare divinamente; anche il fraseggio deve scaturire da una tecnica di emissione perfetta, e quella della Scotto, almeno fino al passaggio, lo è…), i filati metafisici, la coloratura buona, il legato eccellente. Insomma: è un'esagerazione cieca non tenere conto della realtà dei fatti… Veramente si può dire di tutto a questo punto…

  6. Scusate se il mio intervento non ha nulla a che fare con le polemiche di cui sopra, ma vorrei segnalarvi che l'ultimo brano del concerto da voi postato non è Il barcaiuolo di Donizetti come riportato ma La gita in gondola di Rossini.
    Saluti a tutti i curatori di questo magnifico blog.
    G.

  7. da una tecnica di emissione perfetta, e quella della Scotto, almeno fino al passaggio, lo è…
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    almeno fino al passaggio lo è, ma dal passaggio in poi è una catastrofe! E una che non sa eseguire il passaggio non è una che sa cantare!!! e ripeto nei ruoli più marcatamente drammatici pare la rana che si vuole fare più grossa del bue! Gonfia le gote alla ricerca di un suono ampio ma quello che le usciva dalla bocca era secco e l'accento isterico, non drammatico.

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