Modi diversi di fare opera: Madama Butterfly al Regio di Torino vs. la Forza del Destino al Maggio Musicale fiorentino

Due note doverose a valle dell’ascolto radiofonico della Forza del Destino da Firenze, ieri sera, di cui vi dirà poi nel dettaglio la nostra Marianne Brandt, e della Madama Butterfly torinese di qualche giorno fa. Il confronto si impone per il divario qualitativo, rilevato tra le due produzioni, la prima affidata a grandi nomi blasonati quelli dello “star system”, bacchetta in primis, la seconda a professionisti di buon livello, affatto divi.

Si dice che il Regio di Torino sia il miglior teatro d’Italia per le condizioni di lavoro che sa offrire agli artisti ospiti oltre che per le sua sana condizione economica. Dall’esterno non è possibile valutare quanto l’ambiente effettivamente incida sulla qualità di una produzione, fatto sta che quanto radiotrasmesso qualche sera fa è stato un spettacolo di assoluta qualità, efficace e soprattutto funzionante. Un livello artistico che né la Carmen scaligera cui avevo assistito la sera precedente la diretta da Torino, men che meno la bruttissima Forza del Destino di ieri sera, possono raggiungere ed eguagliare.
Non sto affermando che a Torino si sia esibita una novella Olivero, diretta da un novello Karajan o una Steber rediviva con Mitroupuolos, semplicemente che un professionista capace ed attento, il signor Pinchas Steinberg ha diretto e, soprattutto, concertato bene la partitura, gestendo con puntualità e cifra esatta il testo pucciniano, in compagnia di una protagonista, la signora Hui He, che ha cantato in modo esatto, pulito anche se non perfetto ( certi acuti spinti o certe frasi gravi di gusto un po’ eccessivo le abbiamo ben sentite…), soprattutto senza mai perdere una sola delle frasi chiavi dell’opera.
Ho sentito tante volte definire il soprano cinese incostante nelle sue prove o fraseggiatrice talora latitante. A Torino, invece, ha centrato l’obbiettivo, cantando bene e fraseggiando davvero, cosa oramai rara, quasi…”d’antan”. Il direttore, per parte sua , ha portato con sé fino alla fine l’alterno Pisapia, dalla voce ora lirica ora leggera ora parlata, la Suzuki dai gravi poco ordinati di Giovanna Lanza, lo Sharpless dal timbro senescente, ma corretto di Simone Alberghini in un tutto ordinato, coerente, dove anche i difetti vocali di ciascuno finivano per scivolare in secondo piano nell’ambito di uno spettacolo che “girava”.
Dopo la prova scaligera modesta del già proclamato divo Dudamel, l’orchestra del Regio mi è parsa forse anche più di quello che è davvero, compatta, di buon suono, mai fracassona, ma sempre piena ed intensa. Come Hui He, del resto, che ha saputo commuovere proprio quando Cio Cio San deve ispirare la commozione del pubblico. E’ riuscita a toccarmi l’altra sera.
Ecco il vero motivo di una recensione ad uno spettacolo che la merita e positiva
Io credo che questa sia la professionalità vera, quella che non solopiace a questo sito, ma che dovrebbe maggiormente essere premiata e sottolineata dalla critica ufficiale, fuori dalle patinate copertine dei dischi, lontano da facebook, dalla massmediatizzazione del cantante lirico quale velina o body builder, la sola che può riportare l’opera sulla strada giusta.

L’altra faccia della lirica, invece, quella che si preferisce celebrare perché più consona con la “cultura dell’immagine”, è quella fiorentina di ier sera, con i big sul palco di un ente di grande blasone e tradizione scintillante. Eppure ieri non ha funzionato nulla, nemmeno l’abc, a mio avviso, ossia quello delle scelte di opportunità e buon senso. Con un cast inadeguato, per non dire male in arnese, privo di qualità vocale e stilistica, il maestro Mehta non solo ha diretto al di sotto delle sue note ed ormai antiche (dimenticate?) capacità, rumorosamente e senza poesia ed intensità alcuna negli accompagnamenti, ma si è anche prodotto nella riapertura del secondo duetto tra Don Alvaro e Don Carlo all’atto terzo, eliso regolarmente dalla tradizione esecutiva, nonostante le evidenti mende vocali dei due interpreti, cui già l’esecuzione tradizionale della parte era nettamente superiore. Se non si riesce a fare ciò che è necessario per una esecuzione tradizionale, perché prodursi in riaperture di tagli che risultano velleitarie e controproducenti?
Non parlo poi dei fraseggio, assente nei protagonisti, tutti a cantare forte, in alcuni casi anche sguaiati, non un’intenzione ( a parte quel tentativo di smorzatura del signor Licitra alla fine dell’aria che è meglio non commentare ..), con un gusto estraneo alle esecuzioni di scuola come a quelle di provincia: dove era il maestro? dove era l’autorevolezza della grande bacchetta che impone una cifra stilistica, un’idea, un disegno musicale?Erano tutti divi ieri sera, divi in un grande teatro in una grande produzione, eppure non “girava” niente….
Lo stato del canto verdiano è quello che è, la realtà è nota a tutti. Né l’esperienza parmigiana è isolata : al Met qualche sera fa proprio nel Trovatore il soprano protagonista ha gettato la spugna prima di avventurarsi nel quarto atto ( quello dove il soprano canta! ), il recente Rigoletto ha riscosso critiche negative, l’Aida dell’anno passato ebbe i suoi bei guai né l’Attila mutiano fu un gran trionfo. E taccio della recente Aida scaligera come di quella londinese…..E Loggione ci passa il secondo cast del Trovatore di Parma come se fosse stato migliore del primo solo perché non ha attraversato la Rivoluzione Francese del pubblico la sera della prima, ma era ben peggio, davvero ben peggio !
Qualunque teatro oggi si avventuri in Verdi si incammina su un percorso accidentato e minato, dove si salta in aria con altissima probabilità.
I quattro negativi protagonisti di ier sera, la signora Urmana, il signor Licitra, il signor Frontali ed il signor Scandiuzzi hanno tutti riscosso riprovazioni dure se non durissime dal loggione scaligero ( e non solo dai quattro grisini che si ama incolpare di tutto perché fa comodo.. ). Quello milanese è il solo pubblico minimamente udente o tanto coraggioso da reagire oppure è Firenze afflitta da bontà cronica ( come quella mostrata nella brutta Trilogia popolare verdiana dell’anno passato…) o da toscano campanilismo? Una stecca è una stecca ovunque, e ieri sera di stecche e di urla ne abbiamo sentite a bizzeffe. L’emissione dura, ghermita ed abbaiata è tale ovunque, ad ogni latitudine, come pure l’assenza di acuti esibita da più di un protagonista di blasone e non .
Nessuno si chiede perché non abbiamo più voci gravi e medie maschili adatte a Verdi; perché i tenori epici capaci di girare gli acuti non ci siano più, come pure le voci “importanti” femminili.
Non ce lo chiediamo ma dichiariamo incontestabile il dogma del passaggio di Violeta Urmana da mezzo a soprano, dimentichi che anche da mezzo la signora non ha mai mostrato la tecnica di canto e la qualità vocale di una Bumbry o di una Cossotto, cui non è mai stata minimamente comparabile….
In mezzo a questo fallimento nessuno pare interessato a domandarsi il perché le voci verdiane siano estinte o quelle adatte cantino male o maluccio, tanto che poi accumulati tre o quattro dei moderni specialisti di Verdi nella stessa sera, anziché sortire grandi consensi, sortiscano …..esattamente il contrario! Già perché sorbettati la fibra di quello/a, gli acuti tirati di quell’altro/a, il muggito o il raglio del terzo, la voce ingolata del quarto o della quarta e la serata diventa un calvario per le orecchie. Loro cantano (emettono suoni rectius), ma lo spettatore non sa presso quale protagonista rifugiarsi, chi attendere nel corso dell’opera per riaprire le paratie difensive che aveva fatto calare sui suoi timpani.
E poi ci meravigliamo della brutta Forza ieri sera???!!!!! Ma è la conseguenza del modo odierno, da star system, di concepire l’opera lirica.

Gli ascolti

Verdi – Macbeth

Atto I

Ambizioso spirto…Vieni, t’affretta…Or tutti sorgeteDolora Zajick (1997)

24 pensieri su “Modi diversi di fare opera: Madama Butterfly al Regio di Torino vs. la Forza del Destino al Maggio Musicale fiorentino

  1. Ho ascoltato Mehta e Licitra nella stessa opera tre anni fa a Vienna, e l´impressione era stata identica a quella di ieri sera, con l´aggravante che a Firenze NON suonavano i Wiener. Dopo le ultime dirette radiofoniche non posso fare a meno di esprimere la mia preoccupazione per lo scadimento qualitativo delle orchestre italiane. Venerdì scorso ero a Baden Baden per il concerto di Florez. Suonava la Württembergische Kammerorchester di Heilbronn, e vi assicuro che un livello esecutivo del genere qualunque orchestra italiana attuale se lo sogna. L´amico Ninci qualche giorno fa ironizzava su direttori come Bellezza e Sabajno: bene, a confronto del Mehta di ieri sera, Sabajno sembrava Furtwängler!
    Del resto va ricordato che Mehta, musicista di indiscutibili qualità, è anche, come Lorin Maazel, specializzato in marchette della peggiore specie, tipo i concerti dei Tre Tenori e le dirette tv prodotte da Andermann…
    Sulla compagnia di canto, inutile spendere parole per elementi che semplicemente non sono in possesso dei requisiti minimi per esercitare la professione.
    Se uno di questi signori e signore si presentasse, usando un altro nome, a un´audizione per un posto di corista in provincia, al 99% la commissione esprimerebbe parere negativo. Non c´è altro da dire.

    Saluti

  2. Spiace, però, constatare che pure Mehta abbia ormai preso la medesima piega di Maazel e Pretre (anche se quest'ultimo ritengo non sia MAI stato un gran direttore, ma un appena più che discreto routinier). Temo che presto pure Barenboim potrà essere iscritto di diritto in questo poco esclusivo club…

  3. Ho molto apprezzato l'intervento di Giulia Grisi; avendo ascoltato entrambe le opere, mi risulterebbe difficile non concordare con lei su ogni singolo punto della sua recensione. A parte le non poche nequizie della compagine vocale della Forza (tali e tante da imporre, almeno a me, la chiusura dei padiglioni auricolari), ho trovato particolarmente dolorosa la prova di Metha, direttore, è giusto dirlo, che in altri tempi ha dato prove di ben diverso spessore e livello. L'auspicio è che continui – inciampi fatti salvi – lungo la strada intrapresa un tempo, evitando territori musicali nei quali, forse, rischia di smarrirsi.

    Non so, Duprez, se Pretre sia stato un più che discreto routinier (sospetto, ma è fatto di sensibilità individuali – Lei lo sa meglio di me-, che invece egli sia stato musicista di grande livello e abbia fornito prove degne di rispetto); spero però che Lei abbia torto, nel preconizzare a Barenboim una tale sorte, perché credo fermamente nel suo immenso talento musicale (come strumentista e come direttore). Spero, al contrario, che le molte (moltissime… forse troppe?) esperienze artistiche del pianista argentino sappiano arginare gli esiti non sempre felicissimi di una carriera (e di un carnet di impegni) effettivamente assai impegnativa. Lo auguro a lui, come lo auguro a me stesso (e a Lei, ovviamente) in quanto ascoltatore. D'ailleurs, on verra bien.
    Buona giornata.

  4. Non so, caro Escamillo, ma di fronte a Pretre mi sono sempre sentito come di fronte ad una delle più gigantesche sopravvalutazioni della storia interpretative: un direttore che non mi dice nulla e che mai mi ha detto nulla, che ha avuto la ventura – mediatica – di associarsi al nume tutelare della Callas, e che ha diretto quasi sempre mediocri compagini orchestrali da cui non ha tirato fuori altro che grigiume composto ed elegante. Peraltro non ha mai brillato neppure con grandi orchestre: basti pensare al concerto di Capodanno coi Wiener (che potrebbero suonare comunque benissimo anche con un lampione sul podio), piatto e noioso. Mia opinione comunque.

    Sul talento di Mehta, di Maazel (soprattutto) e di Barenboim nessuno ha dubbi (su Pretre invece ve ne sono moltissimi), ma lo spettro della marchetta si sta avvicinando PURTROPPO anche per quest'ultimo: eppure in un certo repertorio avrebbe moltissimo da dire.

  5. E quindi, Alessandro? Non è questione di noia, è questione di evidenza: la cosa può dar fastidio a molti (soprattutto chi immagina che l'Italia detenga titoli particolari o patenti riconosciute per il monopolio dell'esecuzione operistica), ma non cambia… Il livello delle orchestre stabili nei teatri italiani (spesso digiune di musica sinfonica…e si sente) è paurosamente calato: a cominciare dalla compagine scaligera.

  6. A parte che sono convinto del fatto che le nostre orchestre non siano seconde a nessuno, continuo a dire NOIOSO il fatto che alcune persone sottolineino sempre e solo le stesse cose….NOIOSO, non evidente…..

  7. Beh, ti invito allora a confrontare la Staatskapelle di Dresda, i Berliner, i Wiener, la London Symphony Orchestra, la Gewandhausorchester di Lipsia, il Concertgebouw di Amsterdam, la Chicago Symphony Orchestra (e potrei continuare)…con l'Orchestra della Scala (che sbanda nell'overture di Tannahuser, ad esempio) o quella dell'Opera di Roma. Salvo Santa Cecilia e, a volte, quella del Maggio, credo che chiunque potrebbe sentire le differenze. Se però parli per partito preso (magari suoni in talune compagini italiane…che ne so), comprendo la non serenità del giudizio. Devo dire però, che io mi sto riferendo alle sole orchestre stabili dei teatri (e non alle tante ed encomiabili realtà del territorio), e che non tolgo nulla all'impegno di orchestrale e strumentisti, ma è un problema più generale che riguarda la professionalità delle orchestre in Italia (e fintanto che non si inizia ad affrontare un serio programma sinfonico le cose non potranno migliorare). Ps: se ti annoi puoi sempre "cambiare canale".

  8. Saremmo tutti felici di poter dire che le orchestre italiane non sono seconde a nessuno. Sfortunatamente, la realtà dei fatti è lì a smentirci. Questo per una serie di ragioni, che, se pure si possono comprendere, non possono essere ammissibili, specie per il pubblico pagante. Da tempo ormai immemorabile, le compagini conservatoriali sfornano decine di strumentisti ad arco la cui tecnica appare spesso insufficiente ad affrontare persino il repertorio più ovvio – e semplice. Intonazione precaria, fischi, miagolii nelle file dei violini, fracasso, aritmia e grattate in quelle dei contrabbassi ne sono l'evidente risultato, anche da parte di ensembles strumentali di prim'ordine. Per non parlare di ottoni (le cui parti soliste scroccano allegramente, quasi con disinvolto compiacimento) e legni (fissità nell'emissione, fischi e allegra compagnia). L'omogeneità degli insiemi è sovente pura e semplice utopia, anche in ragione del fatto (da aggiungersi a quanto affermato sopra) che buona parte delle orchestre non è stabile, che gli strumentisti "aggiunti" costituiscono, di fatto, la stragrande maggioranza dei singoli organici – strumentisti che, sia detto a loro difesa, si trovano a essere sottopagati, ad affrontare pagamenti "a giornata", il che significa: prova al mattino, prova al pomeriggio e concerto alla sera. Realtà che nessuno vuole negare, perché tali sono, se non ovunque, in buona parte dei contesti concertistici italici. Sarebbe poi interessante, al riguardo, affrontare il problema degli "aggiunti" nelle orchestre stabili – si giungerebbe, magari, a scoperte sorprendenti.
    Questo, in ogni caso, non giustifica la qualità deprimente, a parer mio, delle esecuzioni (anche, e soprattutto, sinfoniche) che vengono propinate all'italico spettatore pagante da diverso tempo a questa parte. Triste realtà, che rende certo impietosi (e dolorosi) i confronti con orchestre straniere; pure, vanno fatti – e ribaditi -, perché la realtà strumentale (talvolta anche quella vocale) all'estero è diversa, e non possiamo foderarci le orecchie con mortadella di funariano-guzzantiana memoria per non ammettere lo stato di prostrazione della musica in questo paese.

    Creda, Stefanini, questo mio non è – né vuole essere – un attacco personale alla Sua persona, ma trovo che la coscienza delle miserie attuali debba necessariamente affiorare – ed essere gridata, anche a costo di risultare "noiosi". Ripetere "Tout va bien, Madame la Marquise", è sport che giova a pochi, forse nemmeno a quanti lo praticano.

    Buona serata.

  9. Stefanini,

    a parte che io sono convinto che le orchestre italiane siano seconde non solo a quelle tedesche ma anche a quelle di molti altri paesi, io invece trovo noioso che, ogni qual volta accendo la radio per ascoltare un´opera o un concerto da un teatro italiano, sia costretto a sentire sempre le stesse scadenti prestazioni da parte dei complessi orchestrali.

  10. la solita frase banale…cambiate canale….mi aspettavo qualcosa di più….
    P.S non suono da nessuna parte, l'unico strumento che ho imparato a suonare è il piffero in seconda media.
    Però non mi capacito ancora di come sia possibile che le nostre orchestre vengano ancora invitate a suonare nei teatri stranieri, eppure in quelle sedi il pubblico sarà capace di fare dei confronti con le loro orchestre( o li sapete fare solo voi?) e mi sembra che i teatri quando suonano i nostri facciano sempre il tutto esaurito.
    Questo non significa che siano migliori per carità, ma nemmeno ridotte all'osso come spesso si evince da molte vostre critiche.

    Ultimo P.S: scusate ma mi fido sempre molto poco di chi non si firma con nome e cognome(tanto per dire un'altra banalità)

  11. CAro Stefanini,
    personalmente non sono così categorica come Mozart.
    Per quelche mi riguarda osservo, a cominciare dalla Scala, come le prestazioni dell orchestre siano sempre legate alle capacità della bacchetta. Se la bacchetta sa fare, ed ha voglia di fare, l'orchestra fa.
    Da sole, però, non fanno o fanno poco: mi pare che quello spirito di corpo così evidente nelle grandi Filarmoniche tedesche ed austriache, manchi. Loro ci tengono sempre a fare bene, a distinguersi….hanno storia in tal senso. Le nostre non paiono comportarsi così….e ciò va a loro detrimento

  12. Certo, le prestazioni sono legate al direttore, ma anche lui non può fare miracoli: quella scaligera (dopo che Abbado e Muti l'avevan portata a livelli di eccellenza) vive oggi in un'evidente crisi d'identità. Manca una guida che disciplini e imponga un certo modus di suonare, di interpretare e di vivere un dato repertorio (atteso che, comunque, un'orchestra che si rispetti e che ambisca a raggiungere certi standard non può limitarsi all'opera e a poco di più). Per ciò che attiene il discorso generale, dicevo, neppure i più grandi fanno miracoli: l'orchestra dell'Opera di Roma, ad esempio (che è compagine da sempre mediocre e men che mediocre) ha suonato anche con Solti e Furtwangler, che certo hanno saputo spremere l'impossibile (e si sente, basta confrontarli con la modestia dei Santini o dei Molinari Pradelli), ma restano evidenti le mancanze; così pure il Ring scaligero, sempre diretto da Furtwangler, splendido, ma con l'handicap di un'orchestra non paragonabile ai Wiener e ai Berliner (ed è un peccato che del Ring di Furtwangler restino solo le testimonianze italiane: assai riduttive dell'arte del grande direttore tedesco)

  13. Ho assistito alla recita di venerdì sera e devo dire che l'orchestra non mi è sembrata così sotto tono, certo Mehta non al massimo della forma ma tutto sommato più che sifficiente. Sono andato molto prevenuto nei confronti di Licitra, anche perchè deluso dall'ascolto radiofonico,invece nella serata di venerdì è stato un po' più corretto, peccato perchè avrebbe un gran bel timbro e un discreto volume, ma il suo canto è troppo approssimativo senza un accento e con poco stile, qualche stonatura di troppo ma non proprio deludente.La Urmana anche lei voce magnifica, canta meglio del collega, ma acuti tutti urlati, risolve bene solo nella Vergine degli angeli e sul finale.Scandiuzzi ormai canta per quel che gli è rimasto, praticamente nulla, molto bene invece Frontali e il Melitone di De Candia(forse uno dei migliori), velo pietoso sulla Preziosilla.
    Eccellente il coro che nel lungo finale del terzo atto arriva davvero ad emozionare. Sono comunque uscito abbastanza soddisfatto….

  14. Io credo che la differenza fra il livello medio delle orchestre tedesche, inglesi o americane e il livello medio di quelle italiane sia innegabile. Da noi non esiste nessuna orchestra che sia anche lontanamente paragonabile alla London Symphony, alla Philharmonia Orchestra, ai Berliner, ai Wiener, alla Staatskapelle Dresden, alla chicago Symphony, alla New York Philharmonic. Ma nemmeno alla WDR di Colonia, nemmeno alla NDR di Amburgo, nemmeno al Gewandhaus di Lipsia, nemmeno alla MDR ancora di Lipsia. Per questo un grandissimo compositore come Bruckner in Italia è praticamente ineseguibile. Ma tutto ciò è imputabile all'enorme ritardo che l'Italia ha avuto riguardo alla cultura sinfonica; e senza quest'ultima un'orchestra non può crescere. Come un direttore non può diventare veramente grande senza frequentare assiduamente il repertorio sinfonico e specializzandosi invece esclusivamente nell'opera. Mentre secondo me è vero il contrario. Si può essere grandissimi direttori senza dirigere l'opera. Bastano i nomi di Celibidache e Mravinsky a dimostrarlo.
    Buona giornata
    Marco Ninci

  15. Generosamente, caro Ninci, Lei ritiene che Bruckner sia ineseguibile in Italia… ma non si pretenderebbe tanto: basterebbe, faute de mieux una decorosa esecuzione di sinfonie d'opera, ciò che, a conti fatti, non mi risulta abbia luogo troppo spesso. Duole, evidentemente, che Wagner non venga eseguito in modo adeguato(e in questo si torna al problema del repertorio sinfonico, ché Wagner, insomma, opera o opéra certo non è – fatti salvi occhieggiamenti più nominali che sostanziali a un vago concetto di melodia à la Bellini… ma, si badi, non certo a Bellini in quanto Komponist, né a Donizetti, né ovviamente a Verdi. Duole che Mahler risulti ineseguibile (come e più di Bruckner, che grandissimo, in verità, io non trovo, ma qui mi fermo, ché altrimenti finirei per pencolare nei sinistri terreni del de gustibus, troppo fumosi per meritare tempo o parole). Duole che la musica di Puccini sia ridotta a impasto lutulento, se non schizofrenico, da orchestre che, quando vanno insieme, lo fanno sul primo accordo e su quello finale. Sentivo ora le prove di un prossimo, incandescente appuntamento "operistico" che avrà gli occhi del mondo puntati… e sentivo scrocchi, ottoni calanti e strazianti legnosità dei… legni. Che dire… poi ci si lamenta se a un cantante va indietro la voce su un acuto… mi pare, in realtà che tutti, specie sui grandi palcoscenici, tendano a tirare indietro, più che la voce, le professionalità acquisite e il rispetto per il pubblico. E temo non sia, semplicemente, un problema di attitudine maggiore o minore al repertorio sinfonico piuttosto che a quello operistico… ma forse sono solo io che non ho capito nulla e mi beo, ritirandomi sulla rimbaudiana plus haute tour, di utopie musicali buone forse soltanto ad alimentare l'attività onirica.

  16. Caro Escamillo, la Sua non mi sembra affatto un'attività onirica. O, se lo è, lo è nel senso della "Lettre du voyant" del medesimo Rimbaud, nella quale si afferma che il poeta vede più in là degli altri attraverso il "dérèglement de tous les sens", una cosa che mi sembra bellissima in questo tempo di mediocri prudenze e altrettanto mediocri ansie di visibilità. Ma, a parte ciò, io credo che le orchestre italiane siano inferiori a quelle tedesche e inglesi proprio per il ritardo sulla cultura sinfonica. La nona sinfonia di Beethoven è stata eseguita in Italia molti, moltissimi anni dopo la sua composizione. E queste sono cose che si pagano, anche a lunga distanza temporale e pure nel repertorio operistico. Metta in conto poi l'influenza nefasta che ha avuto il verismo nella provincializzazione della cultura italiana e il quadro sarà completo.
    Volevo poi dire una cosa a Duprez su Prêtre. Non mi pare un grande direttore in senso proprio; è un musicista un po' di nicchia. Gli mancano quell'individualità, quella coerenza interpretativa, quell'essere sempre se stesso che caratterizza i musicisti veramente grandi e che, designando la loro specificità, fanno in modo che quest'ultima possa parlare a tutti. Però in certi casi Prêtre è notevole. A Firenze mi ricordo il "Werther", l'"Enfance du Christ" di Berlioz, a Roma i "Troyens", ancora a Firenze un'indimenticabile serata con "L'enfant et les sortilèges" di Ravel e "Perséphone" di Stravinsky. E' un musicista umorale e discontinuo, ma capace di serate incandescenti e molto attraenti.Non dimentichiamo poi che a Vienna per esempio è molto stimato come interprete del repertorio tedesco. Anche se, a dir la verità, solo ultimamente è arrivato a dirigere i "Philharmoniker" e si è dovuto per molto tempo accontentare dei molto più modesti "Symphoniker".
    Marco Ninci

  17. caro ninci,
    la tua cultura è straordinariamente verista nel senso da Te indicato.
    Ascolta Iris, ascolta Butterfly, prima di "emettere" le Tue sentenze.
    continuo, letti i tuoi proclami, ad essere dell'opinione che le università italiane andrebbero chiuse, rase al suolo e le loro aree purificate con sale e sangue. e sei pregato di non deliziarci con altri cinquanta post di autocelebrativa difesa.
    Non li pubblicherei per rispetto. A te, anche se non lo comprendi.
    ciao dd

  18. Dici che il ritardo nell'eseguire la Nona di Beethoven si paga…forse sì, forse no (premesso che Haydn veniva regolarmente eseguito: pensa che Mayr diresse la prima italiana della Creazione nel 1809, e non 50 anni dopo la prima assoluta!). Quello che ha realmente influito, limitatamente all'800, è l'assenza del direttore d'orchestra, dovuta al fatto che le uniche orchestre erano le orchestre dei teatri, e nei teatri si faceva l'opera, e nell'Italia dell'800 l'opera era il melodramma…ma già la situazione cambia col finire del secolo.

    Parli poi di provincialismo riferito al "verismo", ecco, questa mi pare affermazione preconcetta e scontata (oltre che superata da tempo). Che cos'è il verismo? Chi sono i compositori "veristi"? Non certo Puccini. Forse Leoncavallo (sicuramente Giordano e Mascagni, non tutto). E Pizzetti, Wolf-Ferrari, Smareglia, Catalani e Alfano??? Discorso pericoloso procedere per generalizzazioni.

    Infine dici che per essere un grande direttore non è necessario eseguire l'opera: VERISSIMO, ma non è che i grandi direttori siano stati sminuiti nell'eseguirla (penso a Walter, Mitropoulos, Furtwangler, Karajan, lo stesso Mahler – che dirigeva Puccini – etc..). Dimenticavo: vi faccio notare che in Italia esistono talune compagini – come l'orchestra Mozart – che, sotto la guida di quello che è ritenuto, giustamente, il più grande direttore d'orchestra vivente, esegue la musica sinfonica ad un livello paragonabile a molte compagini europee.

  19. Caro Ninci e caro Escamillo, sono d'accordo con voi nel ritenere le orchestre italiane in grave situazione di inferiorità rispetto alle analoghe europee. Ma per motivi differenti rispetto a quelli da voi sottolineati.

    Essi vanno rinvenuti, principalmente, nell'assenza di spazi dedicati all'orchestra e alla formazione orchestrale. Mi spiego meglio: le grandi orchestre europee e americane che giustamente hai indicato come modelli (oggi irraggiungibili) di eccellenza, sono entità autonome, staccate dai teatri (e dalle beghe teatrali), dispongono di spazi propri (sale da concerto e auditorium), presentano stagioni e cartelloni svincolati dalla lirica. In Italia pochissime realtà si avvicinano a questo modo di fare musica (penso all'Accademia di Santa Cecilia e all'Orchestra Verdi di Milano, oltre alle più modeste, ma vitali, realtà locali: l'orchestra di Bolzano, tra tutte).

    Non concordo neppure sul ritardo che imputi alla musica italiana, per il semplice fatto che il melodramma non è l'opera, e l'opera non esaurisce la musica. Così in Europa, come uin Italia: il melodramma ottocentesco è un periodo limitato nel tempo, vi è un prima e soprattutto un dopo. Ignorarlo è sbagliato. Certo un'orchestra non cresce con Donizetti e Bellini (dei dilettanti dell'orchestrazione, rispetto ai contemporanei europei: Schubert, Weber, Mendelssohnn) e neppure con la rozzezza maldestra del primo Verdi. Ma la musica italiana non si riduce al melodramma (senza contare le differenti esigenze estetiche e di consumo che il melodramma comportava). Credo che il Rossini francese sia tutt'altro che facile (penso che la partitura del Tell, sia, per l'orchestra, un ardua parete da scalare!), così come la produzione pucciniana. Puccini trasportò la musica italiana (operistica), ancora in cerca di identità, nell'Europa evoluta: tanto che a leggere con competenza e senza pregiudizi puerili, le sue partiture, si trovano rimandi continui a Debussy, Mahler, Wagner.. La cura dell'orchestrazione, in Puccini, è paragonabile a quella riservata dalla miglior musica europea (non è il compositore da "sartine" che un ottuso pregiudizio ci ha imposto); e del resto, come spiegare l'ammirazione professata da parte di Mahler e di Schonberg nei confronti del Maestro di Lucca? Prendete la Turandot, una partitura ricchissima e di complessità straordinaria.

  20. Risponderò con più calma a Duprez. Per ora posso dire che il post di Donzelli è come al solito completamente incomprensibile, aggiungendo solo che ce ne vuole a mettere nello stesso calderone l'Iris e la Butterfly. Donzelli poteva ribattere alla mia opinione sul verismo, come ha fatto civilmente Duprez; preferisce accodarsi invece alla crociata contro l'università portata avanti dalla Signora Grisi, in modo completamente privo di autocontrollo e, tutto sommato, del tutto autoreferenziale.
    Buona giornata
    Marco Ninci

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