Florilegio per Flórez

Caro Juanito,
sono sicura che saprai concedere a un’anziana signora l’arbitrio del vezzeggiativo. Ti  assicuro che non viene dalla facile ironia sull’assottigliamento del tuo volume e della qualità della tua proiezione, ma dall’affetto  per un cantante che ha saputo meritare in qualche modo questo titolo.
C’ero anch’io, domenica sera.  Come puoi ben immaginare, poche occasioni ormai mi spingono ad abbandonare, pur per poche ore, le comode sfere celesti per assistere all’esibizione di qualche erede di professione. Certo, nella corsa senza traguardo, il testimone si è crepato. O, come un cubetto di ghiaccio, si è squagliato di mano in mano, finché tutti o quasi si son ritrovati con un palmo di naso. E il palmo bagnato. Tu invece hai saputo cavalcare il crinale dell’eccezione, senza valicarlo ma arrivando ad assaporarlo. Hai reinventato gli orrori della nasalità in un nuovo paradigma di dubbia ortodossia ma capace di una compostezza estranea alle linee vocali esibite dai tuoi colleghi. Ma il tuo canto, incompleto e poco rifinito, si è trasformato tuo malgrado nel ricatto con cui tieni in scacco i frequentatori dei loggioni, che vivono l’imbarazzo di non poterti chiedere di più perché forse nessuno oggi sa fare meglio di te. Non adagiarti troppo sui trionfi che ti travolgono, a maggior ragione in quel teatro in cui vengono acclamati i peggiori urlatori. Alla gente serve la passione e soprattutto qualcuno a cui chiedere sostegno. Troppo spesso con le attenuanti, con la filosofia improvvisata, con il pelo unto delle sovrainterpretazioni. Io li ho sempre rigettati, senza pentimento. Per questo, e per la franchezza che mi saprai accordare, ti confesso che il concerto mi ha un po’ delusa.
Non ti nascondo che la decisione di scendere tra voi sia stata dettata non solo dal desiderio di ascoltarti, ma anche dalla fantasia e arditezza della splendida scaletta che hai proposto. Un programma che mi ha riempito di nostalgia per l’epoca dei successi che ho saputo meritare e che avrebbe entusiasmato e onorato l’arte dei miei colleghi tenori. E allora mi spiace averti sentito impacciato negli attacchi, spesso stonati quando si trattava di attaccare sul passaggio, come nella furtiva lagrima, o troppo spinto negli acuti, alcuni non lontani dal grido, come nella salita in chiosa della vigorosa “Adios Granada”. Se è vero che i vostri tempi hanno innalzato l’urlo a primo strumento espressivo, e io son sicura che a te come a me questa moda non vada molto a genio, alcuni amici, aggiornati sugli esecutori venuti dopo di noi, mi hanno parlato di un certo Miguel Fleta, quale maestro della modulazione dell’emissione oltre che grandissimo esecutore di pagine di musica popolare: pare che smorzasse divinamente il suddetto acuto, così da rendere più larmoyant e meno muscolare il pezzo. Non so nulla di lui, ma mi dicono che certe tecniche moderne ne hanno conservato la voce. Magari già lo conosci… A proposito, ho notato che fatichi un po’ con la mezzavoce, che se non mi sbaglio non hai mai posseduto. È un peccato, in particolare se inserisci la gentille dame, che non è solo l’esibizione dei virtuosismi della cabaletta, ma anche l’abbandono lamentoso del cantabile, che può essere risolto solo con la padronanza impeccabile del piano. Sono solo alcuni esempi, carissimo Juanito. Bastano però per farti capire che gli accorgimenti tecnici stanno alla base del coinvolgimento della platea. Di tutta la platea. Se ti è impossibile smorzare, timbrare il portamento discendente e raffinare quello ascendente, riempire il registro basso e proiettare il suono, privato insomma di questi attrezzi del mestiere rischi di intaccare il fraseggio, rendendo monocorde le esecuzioni, che finiscono per assomigliarsi, fino a diventare congruenti. Tu infiammi i teatri, ma lo fai col fuoco fatuo della livella.
So che gli amici che mi hanno accompagnato sono stati con te più duri di quanto possa esserti sembrata io, ma non prendertela. Come non devi condannare i pochissimi, intransigenti appassionati che abitano i loggioni e che sognano magari una smorzatura in cui rifugiarsi. Qualcuno capace ancora di donare, attraverso la voce, l’immagine di un luogo che sia segretamente loro.
Con affetto,
Carlotta (Marchisio)

Fue simplemente mediocre la noche que pasamos en el Teatro alla Scala para oir a Juan Diego Florez. No hay adjetivo mejor que este para describir el concierto de uno de los cantantes mas queridos y aplaudidos, como siempre sin condiciones y sin actitud critica, por el “loggione” milanes. Lastima, porque el programa elegido para dicha circumstancia era sumamente interesante y cautivante: despues de tantos conciertos de canto sobre Brahms y Rachmaninoff urgia escuchar un poco de canto italiano. Tristemente la voz del tenor protagonista de la noche no estaba a la altura de las maravillosas piezas escogidas: en el registro agudo emitia notas totalmente nasales, sumamente desagradables para el oido, y obviamente sin alguna proieccion, en el registro bajo casi inexistente y con muchas dificultades. Solo en el registro central habia defectos menos evidentes pero con una emision muy limitada, fragil y pobre. Todo por supuesto desprovisto por completo de ingredientes necesarios y fundamentales para poder cantar piezas como la Dame Blanche de Boieldieu, l’aria de Rodrigo del Otelo rossiniano o canciones como Amapola o Princesita: medias voces y fraseo. No cabe duda que Florez, a pesar de todo, sigue al dia de hoy teniendo la supremacia en el mundo actual de la opera aunque conquistada por deficiencias de otros y no por personales y efectivas capacidades.
Manuel García

Juan Diego Flórez si è presentato domenica scorsa al pubblico scaligero, uno dei suoi più fidi e affezionati, come testimoniano  le calorose ovazioni che hanno salutato sia l’avvio sia la conclusione della serata. Siamo grati al tenore per il programma proposto, e di riflesso alla dirigenza scaligera che l’ha approvato, derogando, come già nel 2008, alla regola non scritta, ma autoevidente in questi ultimi anni, che vuole  l’aria operistica ammessa nei recital del Piermarini solo ed esclusivamente in sede di bis. Il feticcio della romanza da camera come unico ed esclusivo veicolo dell’arte canora è, prima ancora che anacronistico e rivelatore di una ristretta concezione della cultura, limitante per quei cantanti dediti principalmente al repertorio operistico. Un bel programma quello di Flórez, praticamente una passerella dei must del tenore di grazia, con puntate al lirico puro, e ovviamente una congrua dose di Rossini, compositore del quale il tenore peruviano è ritenuto interprete di eccellenza. Appunto per questo spiace e induce a meste riflessioni che il più grande tenore rossiniano di oggi non riesca ad eseguire la coloratura di forza (aria di Rodrigo, Roland di Piccinni e il dimezzato bis dal Barbiere di Siviglia) senza ricorrere a contorcimenti e altri movimenti convulsi, che rimandano alle immagini evocate da Teresa Berganza alle prese con la sua leggendaria Tarántula. Brano che, per inciso, la cantante eseguiva senza perdere l’assoluta compostezza, che era tra le sue cifre caratteristiche. Altra virtù saliente dell’illustre madrilena era la capacità di proporre concerti che non fossero unicamente rassegna di “grandi successi” mediosopranili, ma autentiche serate musicali, caratterizzate dall’arte del dire, del porgere, dell’esprimere, arte che distingue il grande concertista, indipendentemente da sesso e repertorio. Sentire per contrasto la piattezza con cui Flórez compita Tre giorni son che Nina ovvero l’aubade dal Roi d’Ys, brani di scrittura eminentemente centrale e non certo fiorita, che il tenore affronta per giunta a suon di fastidiosi portamenti e con non infrequenti slittamenti d’intonazione al di sopra del do centrale (sentire, per questo, anche l’attacco della sezione conclusiva della cavatina di Romeo). Le pagine più deludenti del concerto sono però l’assolo del Paride di Offenbach e le canzoni in lingua spagnola, in cui latitano la malizia e l’ardore, poco importa se autentico o simulato, del seduttore latino, rimpiazzato da un azzimato gommeux prossimo alla caricatura involontaria.
Antonio Tamburini

Il fatto che per la prima volta leggiate un pensiero del sottoscritto Napoleone Moriani vi lascerà intendere che la mia esperienza in fatto di voci, se paragonata con quella da tutti riconosciuta ed invidiata del Donzelli, della Grisi e degli altri giornalisti del Corriere, è poca e vana cosa. Non mi spenderò dunque ad analizzare gli aspetti tecnici del recital di Florez – per questo vi rimando ai miei illustri colleghi – preferendo piuttosto portarvi la mia testimonianza di giovanissimo melomane cresciuto senza aver mai avuto la fortuna di sentire in teatro a causa della tenera età non dico un Del Monaco o un Bergonzi, ma nemmeno un Pavarotti o un Blake. La mia passione per l’opera è fruita dagli ascolti discografici, piuttosto che da quelli in teatro, trovando i secondi, il più delle volte, semplicemente indegni. Ho detto “il più delle volte”, perché mi è capitato, rarissimamente, di trovare qualche eccezione, qualche cantante che conoscesse il suo mestiere e degno per lo meno di tale nome e del teatro in cui si stava esibendo. Nella mia modestissima carriera da melomane, che si articola in questi ultimi cinque anni, devo constatare che, nel repertorio da lui affrontato, Juan Diego Florez è indubbiamente colui che più si distingue. Sì, c’è ancora un abisso fra lui e i vari tenori i cui ascolti riempiono i miei scaffali, è l’abisso che sta fra l’eccellenza e la mediocrità, ma oggigiorno, triste ammetterlo, anche la mediocrità è rara cosa. Ieri sera dunque ho applaudito con parsimonia un cantante ma non un artista, che canta ma non incanta, sufficiente ma non distinto. Tornato a casa mi sono riascoltato quella furtiva lagrima che veramente mi incanta e commuove ad ogni ascolto, quella furtiva lagrima che Florez non doveva cantare, ma che ha ugualmente cantato come ultimo bis per accontentare un pubblico dai facili gusti, senza animarsi, espandersi ed esplodere come invece il disco testimonia facesse Caruso.
Napoleone Moriani

Am 9. Oktober trat der peruanische Star-Tenor Juan Diego Florez mit einem äußerst interessanten Programm vor dem Publikum der Mailänder Scala. Nach einer endlosen Reihe von grauen Liederabenden konnten die Mailänder wieder einem Programm zuklatschen, das hauptsächlich aus fein ausgewählten Belcanto- und Zarzuela-Arien bestand. Die tatsächlichen Ergebnisse erwiesen sich aber leider nicht als besonders positiv. Der Peruaner besitzt eine kleine Stimme, der von keiner Projektionstechnik dazu verholfen wird, sich besser im breiten Raum des Opernsaals auszudehnen. In der extremen Höhe klingen die Noten forciert, farblos und ohne Resonanz. Schade, dass der Tenor während des ganzen Abends hartnäckig darauf bestanden hat, alle möglichen und unmöglichen Gelegenheiten zur Exposition gerade dieser hohen Noten auszunutzen und das Publikum mit banalen Effekten für sich zu gewinnen. Am  freiesten und, daher, am reichsten klingt die Stimme in der oberen Oktave unmittelbar vor den extrem hohen Noten. Da gelingt es dem Tenor mit der Phrasierung zu spielen und das bisschen musikalische Vielfältigkeit zu erreichen, das von der Abwesenheit jeglicher Kapazität, Mezza-voce zu singen, stark eingeschränkt wird. Die zahlreichen Koloratur-Passagen waren merklich nasal. Die Versuche, zu trillern, blieben im Grunde nur Versuche… Wo  nicht mit Effekten gespielt werden konnte und zu Ausdruck und kantablem Gesang gegriffen werden musste, war Florez’ musikalische Linie wenig differenziert oder flüssig. Insgesamt muss man aber zugeben, dass inmitten der totalen Krise im Tenor-Repertoire Juan Diego Florez sogar mit seinen vielen nicht unwichtigen Makeln sich als ein Sänger erweist, der mit einem fast unzeitgemäßen professionellen Ernst und Kalkül, einem bescheidenen Stimmaterial und ein bisschen Musikalität sich weitaus über das äußerst niedrige Mittelmaß erhebt.
Giuditta Pasta 

Il concerto si prospettava interessante per il programma musicalmente vario ed accattivante, per niente banale ed anzi assai ricercato, senza però quella pretesa intellettualoide, di questi tempi in auge alla Scala, di “acculturare” il pubblico. Il Signor Florez ha raccolto un successo notevole, il pubblico ha mostrato grande soddisfazione ed entusiasmo, e alla fine anche gratitudine per i cinque generosi bis offerti dal tenore. Le ragioni di questo trionfo alle mie orecchie sono parse oscure, e pertanto non posso che associarmi al commento disincantato di due anzianissime signore, sedute vicino a me nel loggione,  per le quali il cantante “non emoziona” : un giudizio che a mio avviso coglie nel segno. Florez dispone infatti di una tavolozza di colori, dinamiche, accenti e sfumature che definire scarsa è un eufemismo, e questo non per una sua presunta freddezza interpretativa (il cantante anzi, pur sempre nel suo sorvegliato – ed apprezzabile – garbo stilistico, si sforza ovunque di essere espressivo), ma per limiti squisitamente tecnici, che lo rendono a mio avviso non solo, com’è ovvio, un cantante anti-rossiniano, ma in generale un cantante anti-belcantistico, per non dire l’anti-canto tout court (dirò di più, Florez è semplicemente antimusicale, e fra poco spiegherò il perché). La voce (piccola, ça va sans dire, e, ciò che più importa, priva di espansione in sala, poiché (s)poggiata nel naso) è infatti bloccata in un grigio mezzoforte, e da lì non si smuove, salvo qualche modestissima variazione dinamica che nel piano (che vero piano non è) non raggiunge mai la leggerezza e la sottigliezza della autentica mezza voce, e nel forte riesce solo ad essere ancora più nasale e chevrotante, senza che in questo giallastro vociferare possa percepirsi un reale incremento volumetrico.  Questo desolante monocromatismo rende la sua esecuzione manchevole ove sia richiesto di differenziare – con volume, colori e fraseggio –  il senso musicale delle diverse sezioni di un brano, e pertanto – faccio due esempi – le arie dell’Otello e della Dame blanche sono risultate insufficienti perché prive di significato e consequenzialità musicale (come ho detto, è un cantante antimusicale), inficiate oltretutto da un canto d’agilità macchinoso e impacciato, privo di slancio e mordente. Florez non fa che intonare le note (non sempre perfettamente), vorrebbe fare di più ma la sua organizzazione vocale rigida e difettosa non glielo consente. Nei cantabili inoltre la linea di canto ha mostrato notevoli cedimenti e disomogeneità ove la voce dovesse passare dal centro ai primi acuti, biancastri e nasali, mentre i portamenti, necessari per abbellire la linea, erano mal eseguiti e per niente espressivi. Il cantante poi non sa cesellare le parole sul fiato a fior di labbro, non sa “dire”, non c’è verità di espressione, di fraseggio. Un po’ meglio Offenbach, dove il tenore ha mostrato una certa spigliatezza, e le canzoni in lingua spagnola, dove sicuramente il cantante ha una maggiore disinvoltura. I bis, molto graditi perché tratti dal repertorio operistico, hanno evidenziato ancora la strettezza del settore acuto (Pour mon âme, Ah, lève-toi soleil), l’insufficienza della coloratura (rondò di Almaviva), la pochezza espressiva (furtiva lagrima, conclusa con una cadenza di dubbio gusto). Alla fine tanta noia e delusione, e gli interrogativi sul perché d’un tale successo di pubblico. Ma, come amava affermare il leggendario belcantista Adolphe Nourrit, dove non ci sono sfumature non c’è musica: e non c’è plauso di pubblico o carriera di dischi che possa smentire questa verità.
Giambattista Mancini

Tenore

Juan Diego Flórez

 

Pianoforte

Vincenzo Scalera

 

 

PROGRAMMA

 

Giovanni Battista Bononcini

Da Griselda:  Per la gloria d’adorarvi

 

Vincenzo Legrenzio Ciampi

Da Gli tre cicisbei ridicoli:  Tre giorni son che Nina

 

Niccolò Piccinni

Da Roland:  En butte aux fureurs de l’orage

 

Gioachino Rossini

Da Soirées musicales:  La promessa

Da Péchés de vieillesse, vol. III “Morceaux  réservés”:  Le sylvain

Da Péchés de vieillesse, vol. I “Album italiano”:  Tirana alla spagnola rossinizzata

Da Otello:  Che ascolto, ohimé. Che dici?

 

François-Adrien Boieldieu

Da La dame blanche:  Viens, gentille dame

 

Edouard Lalo

Da Le Roi D’Ys:  Vainement ma bien aimée

 

Jacques Offenbach

Da La belle Hélène:  Au mont Ida

 

José Padilla Sánchez

Princesita

 

Joseph La Calle

Amapola

 

Tomás Barrera Saavedra

Da Los emigrantes:  Adiós Granada

 

Gaetano Donizetti

Da Rita:  Allegro io son

 

BIS

 

Charles Gounod

Da Roméo et Juliette: Ah lève-toi soleil

 

Reveriano Soutullo, Juan Vert

Da El último romántico: Bella enamorada

 

Gaetano Donizetti

Da La fille du régiment: Pour mon âme

 

Gioachino Rossini

Da Il barbiere di Siviglia: Ah il più lieto, il più felice

 

Gaetano Donizetti

Da L’elisir d’amore: Una furtiva lagrima

 

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95 pensieri su “Florilegio per Flórez

  1. Intervengo brevemente, sperando di essere accolto. Io non credo che la dirigenza della Scala, preferendo i Lieder per i concerti di canto, voglia acculturare nessuno. Penso semplicemente che voglia proporre opere che abbiano un senso compiuto di per se stesse e nella loro individualità, piuttosto che brani antologici, come sono necessariamente quelli tratti da creazioni teatrali.
    Marco Ninci

  2. Questo credo sia ciò che pensa la dirigenza della Scala. Se poi questo sia giusto, non lo so. Certo è che la lirica da camera italiana ha poca circolazione e ne dovrebbe avere molta di più, specialmente in un teatro così importante come la Scala, che questa fama se la meriti oppure no. Non soltanto quella ottocentesca, ma anche quella appartenente al Novecento, Malipiero, Pizzetti, Alfano, Ghedini, Dallapiccola. Certo non mi sembra facile convincere un cantante di fama internazionale a compiere scelte di questo tipo. Grazie a Mancini per il saluto.
    Marco Ninci

  3. Per prima cosa, bentornato a Marco.
    Per quanto riguarda il programma presentato da Florez, va detto che in passato ci sono stati tantissimi cantanti che uscivano dagli schemi della liederistica. Personalmente, ricordo i concerti di Leontyne Price e Marilyn Horne, che davano largo spazio agli spirituals e alla lirica vocale americana. Oppure i magnifici recitals della Vishnevskaja dedicati agli autori russi. O quelli della Berganza e di Kraus, che eseguivano la lirica vocale spagnola.
    Trovo giusto che ogni cantante si misuri con il repertorio del suo paese d’ origine.
    I cantanti tedeschi fanno bene a fare i Lieder, gli altri è giusto che facciano altre cose.
    Non va dimenticato che la liederistica esige un partner pianistico di alto livello e non un semplice accompagnatore.
    In quanto alla resa artistica di Florez, lo ascolterò il mese prossimo a Baden Baden in questo stesso programma e vi saprò dire.
    Saluti.

  4. …Se vogliamo aggiungere qualche orrore fuori tema…trovandomi negli states mi sono concesso una capatina al Met per ammirare (più che ascoltare) le 2 Anne…per qualsiasi dettaglio chiedere al mio avvocato :-)

  5. C’ero e prurtroppo… non mi piace questa tecnica nasale come non i piace l’affondo dell’altro tenore, Kaufmann. Un’obrobrio tutti e due.
    Ho sentito quest’estate un BRAVO, giovane, emergente, baritono ITALIANO in un progamma (sempre recital) molto, ma molto divertente. Non mi ricordo il nome. devo cercare il programma. Speriamo che riesca “sfondare” da qualche parte.

  6. Brutto vizio quello di enfatizzare. Ero nel palco con qualcuno che ha esaltato fuori misura Florez (è stato un buon concerto, nulla di più né di meno ) e trovo completamente sballate le osservazioni che leggo sopra. Scusatemi ma le ritengo assolutamente affabulatorie: a quel modo si può raccontare tutto e il contrario di tutto. Sono formule applicabili all’infinito: basta individuare l’obiettivo, fare la voce grossa, usare il conosciuto armamentario conettuale e il gioco è fatto. E che senso ha tirare fuori Caruso, Tauber & C. ? ( A proposito, nel brano proposto gli acuti di Tauber non sono certo da manuale ). Si esaltano, giustamente, gli eroi del passato. Anch’essi del resto non esenti da mende: Fleta – i cui arbitri agogici sarebbero oggi intollerabili anche nella più fonda provincia – era disprezzato da Puccini e – tanto per scendere parecchio più in basso – Celletti ne scrive così ” mancarono a Fleta, cantante guidato esclusivanmente dall’istinto, il senso della misura e dello stile “. Come vedete ce n’è per tutti. Cerchiamo almeno noi di non perdere il senso della misura e dello stile.

    • Verissimo, Gianmario: si può raccontare tutto e il contrario di tutto. Quel che fa la differenza è la capacità di argomentare, e siccome non ho la presunzione di saper giudicare quel che scrivo, ti invito a leggere le impressioni dei miei colleghi ed amici per trovare ottimi esempi di opinioni differenti tra loro ma tutte minuziosamente argomentate. Dire che “è stato un buon concerto, nulla di più né di meno”, senza approfondire in alcun modo, questa sì è mera affabulazione, che, ahimè, non incanta nessuno, almeno da queste parti.
      Quanto a Tauber, visto che la scelta è mia, la argomento volentieri: l’ascolto dimostra quello che sa e può fare, in quel brano, un tenore di cinquantasei anni, in carriera da trentacinque, per giunta già minato dal cancro che l’avrebbe ucciso di lì a meno di sei mesi. Se poi vogliamo parlare della qualità degli acuti, facciamolo, ma con lo stesso draconiano metro andiamo poi a vagliare quelli ghermiti da Juanito nel bis da La fille du régiment.
      (Fra parentesi, Puccini adorava Bianca Scacciati, cantante non certo meno arbitraria di Fleta, ben più discutibile nel gusto e non esattamente un modello di tecnica eccelsa. E quindi?)

    • Caro Gianmario non credo di aver enfatizzato niente, ho rilevato l’ottimo gradimento mostrato dal pubblico, la piacevolezza del programma proposto, e ho cercato di dettagliare i motivi per i quali reputo questo concerto qualcosa di vocalmente e musicalmente assai modesto. Se non sei d’accordo puoi ribattere confutando i miei assunti, ma darmi così, gratuitamente, dell’affabulatore, è assai poco cortese.

  7. Credo che la diversità delle opinioni dei “grisini” (e degli altri loggionisti con cui abbiamo potuto discutere durante la pausa e dopo il concerto) circa le prestazioni di Florez nel recital dimostra che in fondo si tratta di un artista che ha una minima decenza professionale (tutto è relativo in questo mondo). E’ stato un recital che permetteva che si aprisse un discorso critico, polemico sul suo canto. Ad esempio, nel caso di un Villazion, per me personalmente non c’è niente da discutere. Rutta e urla, è basta.
    Nel caso di Florez invece, anche se non sono uscita dal teatro afona dai “Bravo!” e con le mani spellate, posso dire che è stato un concerto che invitava ad un ascolto critico, in rari casi anche ad un ascolto anche piacevole (ad esempio, “Amapola”). Si vedeva un certo lavoro, un certo sistema vocale-artistico che, malgrado i molti diffetti, era organizzato e pensato invece di essere stato butato lì arbitrariamente come accade oggi nei maggiori casi.
    Io sono riconoscente anche per questo. Certo, è un tenorino senza proiezione, con degli acuti forzati, agilità nasali, privo di ogni capacità di cantare mezza voce o fare una solida messa di voce, ma quello che fà lo fà con sistematicità. C’è qualcosa di piacevole quando puoi sapere che cosa aspettare da parte del cantante, quando non sei esposto ad una totale arbitrerietà dell’emissione. In me parla una persona che è reduce dalla Maria di Rohan del Donizetti Festival. Chi l’ha sentita, mi capirà…

  8. Cari Tamburini e Mancini, fossi vissuto ai vostri tempi sarei stato senz’altro un vostro fan, lungi da me dunque l’idea di arrecare pesonale offesa alle vostre stimate persone. Inoltre credo che stiamo dalla stessa parte, dalla parte di coloro che – ricordando un’indimenticabile incipit di Giorgio Vigolo – ritengono che il modo migliore di passare la serata sia quello di stare di fronte al boccascena magico e meraviglioso di un teatro d’opera. Tuttavia trovo che certa superciliosa acribia, che voi sfoggiate con innegabile classe, porti un po’ fuori strada. A prendere sul serio certi vostri giudizi ci sarebbe da ritenere che viviamo in un mondo affollato da imbecilli e costellato di rammolliti ( direttori e professionisti del settore compresi ). Il che è vero solo in parte, credetemi. E mi spiace per il neofita nonché sedicente Napoleone Mariani, che già – seguendo il solco – si annoia mortalmente a quasi tutti gli eventi live cui partecipa, rifugiandosi nel culto inscatolato del disco d’epoca. La vita è più bella di così. E i cantanti d’oggi – ancorché non tutti aquile – meno rovinosi di quanto asserito. E potrei raccontargli, per evitargli eccessi nostalgici, di quanto fossero umani troppo umani anche – per dire – i Kraus o le Sutherland che ho potuto ascoltare. L’uno splendido ma anche nasale e piccolo di voce , l’altra gelida e farfugliante oltre il tollerabile. Ne ho nostalgia , certo, ma persino loro – fortunatamente – non erano perfetti.

    • Ciao Gianmario.
      No, nonun mondo popolato di imbecilli, ma forse gestito da imbecilli si . e Florez, che è intelligente, sta in cima al mondo tenorile proprio per questo.
      Ma che siamo in un mondo popolato da cantanti che non sanno cantare, perchè la tecnica del canto sul fiato è ormai estinta, si. SI CANTA MALE PERCHE’ SI CANTA SENZA TECNICA, e senza tecnica non si esprime, non si emoziona, non si rispetta lo spartito….etccc..
      Non ti è piaciuto, e siamo d’accordo con te. Argomenta la tua opinione, anzi fai una recensione con le tue osservazioni, ciò che pensi e che ti hanno detto le orecchie, e la pubblichiamo. Non so quali argomenti diversi dai nostri sia lecito usare….davvero……fai tu un esempio…

        • Affermare sic et simpliciter che Florez non ha tecnica significa tutto e niente, e lo stesso è affermare che egli adotti il “canto sul fiato in modo egregio”. Dunque io ho mosso argomentazioni di ordine musicale sul perché ritengo che Florez abbia una tecnica scarsa, e queste motivazioni sono la mancanza di espansione della voce nella sala, sintomo di imposto vocale scorretto (quella voce e quegli acuti puntuti e nasali se ne stanno laggiù sul palco, non si spandono, non c’è rotondità e proiezione), lo scarsissimo ventaglio di colori, dinamiche, accenti (una voce emessa per il naso non è una voce modulabile), il fraseggio meccanico, monocorde e manierato (solo l’emissione perfetta a fior di labbro consente di “dire”), la coloratura priva dell’esattezza, dello smalto, dello slancio e del mordente che dovrebbero connotare il vero virtuoso rossiniano, insieme alle sfumature, alle mezzevoci, ed al timbro puro e privo di forzature, tutti requisiti di cui Florez è sfornito, e che lo rendono in poche parole la completa negazione del buono e del bel canto. Florez è solo l’ennesima declinazione del malcanto, in versione scolastica e garbatina.

          • Mah, caro Mancini, probabilmente hai ragione tu. Ho affermato sopra che, secondo me, Florez è un cantante dotato di buon bagaglio tecnico e che, in particolare, adotta l’ormai rarissima impostazione vocale dell canto sul fiato, semplicemente perchè i molteplici ed analitici rilievi mossi alla sua vocalità (ben esemplificati nel commento che mi precede), io non li ho mai riscontrati.
            Tengo, però, a precisare (atteso quanto scritto più sotto dalla diva Giulia) che questo mio giudizio non è in alcun modo influenzato dall’aspetto fisico o dalla “simpatia” di Florez, ma scaturisce – presumibilmente – da un difetto congenito del mio apparato uditivo.

  9. Un caloroso saluto a tutti i Grisini,
    Volevo solo dirvi, oltre che complimentarmi per la vostra consueta classe, che siete i miei mattatori preferiti, oltre che spunto principale per affacciarmi al lacero e ululante “mondo” (direi paesino piuttosto) della lirica odierna… (anche se ultimamente sto porgendo le mie orecchie sempre più nel passato)
    Auguro a questo sito e alla vostra attività di durare il più a lungo possibile, e di sturare le ormai foderatissime orecchie del pubblico odierno, sempre più menefreghista e apatico…
    Con affetto
    Niccolò della Ripa

  10. “E mi spiace per il neofita nonché sedicente Napoleone Mariani, che già – seguendo il solco – si annoia mortalmente a quasi tutti gli eventi live cui partecipa, rifugiandosi nel culto inscatolato del disco d’epoca. La vita è più bella di così. ”

    Caro Gianmario l’opera e la vita non son la stessa cosa… e sono sicura che il nostro Moriani abbia le carte in regola per vivere la sua vita molto più pienamente di chi riduce o circoscrive la vita stessa, o la propria vita, ad andare all’opera o al solo mondo operistico e questo a prescindere da Florez o da chi per lui.

    Marianne Brandt

      • Quindi, fammi capire: se ci annoiamo è colpa nostra, e non di chi non sa fraseggiare perché di tecnica limitata… Bene. Come dire: se al ristorante mi servono un piatto di pasta insipida non è colpa del cuoco ma del mio palato che lo percepisce tale. Chiaro.

          • Sta tentando un’apologia della “boccabuona”? Le assicuro che non ce n’è bisogno. Se ne sarà accorto l’altra sera…

        • No, cara Marchisio, mi duole affermare che non hai capito. Il tuo paragone culinario (sebbene – noto – abbia riscontrato un chiaro successo tra i vari commentatori) appare logicamente improprio atteso che io parlavo di attività hobbystica, mentre nutrirsi è una necessità fisiologica ineludibile.
          La mia notazione non voleva essere un’indebita ingerenza sulla vita di alcuno, ma semplicemente un’osservazione tanto generica, quanto astratta sul tempo libero (argomento diverso anche rispetto all’attività professionale).
          Ma, del resto, prendendo per vero quanto affermato dal sommo Poeta recanatese, capisco anche chi cerchi di far soffermare il pendolo della vita più sulla noia che sul dolore.

          • Caro Davide, nutrirsi è certamente una necessità, meno scegliere di andare a espletarla fuori. Quindi se la pasta me la cucino IO a casa – per reazione allo stimolo della fame – e mi esce insipida, va bene uguale. Se invece mi trovo in un ristorante – luogo adibito all’esaltazione del gusto – e la pasta insipida me la consegna il cuoco – quindi una figura professionale che dovrebbe conoscere almeno le basi per dare sapore ai piatti, buoni o cattivi che siano – beh allora capisci che a qualcuno possano anche girare. Tanto più quando non ti trovi da Mimmo lo Rustico ma nella cucina di Marchesi…

        • Se mi permette Carlotta si scade nella supponenza a ritenere che chi la pensa diversamente da noi sia necessariamente di bocca buona. Non credo affatto che l’altra sera il pubblico fosse di bocca buona. Magari molti hanno colto in Florez dei pregi che a lei sono sfuggiti. Mi auguro che consideri le sue delle opinioni, opinabili come tutte le nostre.

  11. una osservazione quando ascolto un tenore della fama di florez DEVO confrontarlo con chi di pari fama abbia affrontato quel repertorio. I grandi si confrontano coi grandi. Poi spesso ed assai più oggi che nel passato mi rendo conto che il grande lo è solo soggettivamente e non oggettivamente e allora concluso che non è un grande o ne ridimensiono sensibilmente la grandezza. Ovvero ragiono e penso e non consento che altri (della cui qualificazioni oggi assai più che ieri) dubito. Poi certo faccio anche la tara del tempo e del gusto perchè certi vezzi di Gigli possono essere la sigla del tempo, ma come Gigli (ma il metro di paragone possono essere almeno venti tenori) coglie il momento drammatico, lo esprima SEMPRE (guarda caso) grazie al sostegno ed al controllo della tecnica fanno di Gigli , GIGLI.
    ciao dd

    • Questo è poco ma sicuro e sottoscrivo in pieno. Chiunque abbia ascoltato Kraus in teatro a fine carriera credo che possa concordare, senza con questo togliere alcunché alla sua immensa statura d’artista.

    • E finalmente sono con NInci i toto. Appartiene. Alle difese tout court dei clacchettari piu’ o meno remunerati che popolano il sottobosco degli odierni teatrii far scendere la critica artistica sul piano perssonale. E’ un comodo che piace anche ai cantanti di terza scelta. Nullla e’ personale nel giudizio su come uno canta, e va riconosciuto che anche nel consenso i pu’ scambiano per talento la simpatia e o la bellezza. Se FLorez fosse grasso e brutto piacerebbe cosi’ tanto?….

  12. quanto ai ristoranti da 18/20 dovresti capire che non annoiano il grisino,ma che il grisino li giudica sopravvalutati perchè propongono la cucina destrutturata (quella come dice la mia mamma va bene per i laringotomizzati…..) ed obliano la tradizione e la base della buona cucina. un cuoco non è ungrande professionista se non sa “mettere insiene” i piatti della tradizione e si badi che la tradizione alleggerita, resa più moderna (cose tristi come la parmigiana di melanzane con l’ingrediente principale grigliato e non fritto) è come il canto dei rossiniani della terza generazione. una pietosa bugia!!!!!!
    scusa, caro gianmario, la digressione culinaria, ma il mio compito, una volta pensionato a causa della gotta, era spedire a parigi al maestro i prodotti della salumeria tamburini. Tutto in famiglia
    ciao dd

  13. Allora, dunque, ricapitoliamo: al giorno d’oggi, nessuno sa più cantare; ciò che si mangia nei ristoranti, inoltre, è decisamente inferiore a ciò che i menu proponevano un tempo; aggiungerei che non ci sono più le mezze stagioni, nessuno più sa il latino e il greco, le chiese sono vuote e le strade piene di miscredenti, e che insomma si stava meglio quando si stava peggio… Direi che a questo punto il sito non dovrebbe più chiamarsi “Il Corriere della Grisi” ma “O tempora o mores!” o qualcosa del genere, perché a legger voi viene solo voglia di passare alla canna del gas…

      • Il fatto è che voi parlate di canto come se foste Manuel Garcia, e di musica e direzione d’orchestra come se foste Claudio Abbado… Il discorso sempre quello, è: non si sa dall’alto di quali credenziali parliate e pensate di essere i detentori della verità. Io sono solo un umile dilettante, posso giudicare con le mie orecchie (per esempio, la Maria di Rhoan di domenica scorsa mi ha fatto schifo) ma a un certo punto mi fermo: mi mancano le conoscenze e gli studi necessari per giudicare canto e musica, e mi piace credere di potermi affidare a chi questi studi li ha fatti e queste competenze le ha. Questo non significa che io sia scemo o di bocca buona.

        • Ma scusa, chi ti da dello scemo?…
          qui nessuno si crede Abbado ( anche perchè non siamo direttori, ma di canto ne capiamo più di lui, dato che non ne sa una cippa di nietene emanco gli interessa…). Pensare che ci sono vari gradi di ascolto, di conoscenza, di melomania?????
          io ti faccio solo una obiezione: chi studia musica nei conservatori non studia mica il canto, la sua storia, etcc….l’opera nei conservatori non si studia affatto, men che meno il canto, e sono i rusltati a dimostrarlo. entra in un conservatorio, guarda quanti frequantano le classi idcanto, prevalentemnte orientali. Quanti ne vedi in scena? uno, due?? La dimostrazine è già fatta. Il canto e l’opera nulla hanno a che fare con i conservatori.

    • Circa il fatto che nessuno canti più sul fiato, si. lo la ritengo una questione culturale che si potrebbe illustrare con una certa dovizia di argomentazioni.
      Sul cibo, mi pare che la cosa non sia in questi termini, ma forse la milanesità ci condiziona: i ristoranti qui sono cari e …non buoni. La provincia è meglio. La tv in ogni canale parla di cibo, di ogni genere e qualità e c’è una cultura in merito…..dunque, mangeremo bene a lungo!
      Che si sappia poco il latino come pure il greco, è vero. Si sa poco anche l’italiano a giudicare dagli strafalcioni che facciamo sui giornali, in tv, nello scrivere corrente…dunque..Abbiamo costruito una scuola per tutti che è diventata, nel tempo, scuola per nessuno: un laureato di trent’anni fa era assai più preparato di uno di oggi, e meno di uno di mezzo secolo prima. La scolarizzazione di massa ha alzato il livello minimo, ma ha anche abbassato quello e di parecchio i livelli alti. All’università si seguono ed organizzano corsi fondamentali ai primi anni degni, per contenuti, dei bienni liceali, l’ABC di tutto…
      Recentemente siamo stati contattati da un gruppo di ricerca di marketing, materia di cui nulla capisco. Ci hanno spiegato che anche nella loro disciplina hanno rilevato che l’allargamento della base degli utenti ( in qualunque settore del mercato dell’acquisto) ha determinato un calo della qualità di prodotti e che il futuro della loro attività sarà proprio, detto in soldoni, puntare su un pubblico più risrtetto ma più qualificato per far salire la qualità dei prodotti (nel mondo della gastronomia, siccome il mercato non può cessare, lo si fa già, se ci fai caso…..). Pare che l’abbassamento della qualità per offrire tutto a tutti coincida di fatto con la svalutazione dei prodotti, avvicindando la perdita finale dell’interesse da aprte del pubblico, comportamento che oggi si rileva in molti settori… e fra questi c’è….l’opera!
      Si caro Nicola, ci sono questioni generali e sociali, cui l’opera evidentemente non è estranea, che ineriscono il rapporto grande diffusione-qualità del prodotto-perdita dell’interesse. Insomma, tornare a fare bene, con i modi del passato ancorati ancora alla sostanza delle cose, alla loro qualità intrinseca, e non solo alla selvaggia e barbara legge dei numeri, del grande pubblico incompetente perchè utente superficiale, pare sia una via delle nostre povere economie occidentali in crisi. Tutti hanno tutto…certo , ma….
      All’opera hanno puntato sui turisti non potendo risolversi a soddisfare il pubblico competente nel momento in cui la qualità artistica è entrata in crisi per svariati fattori, il disco, il marketing sui cantanti, l’estetica dl canto naturale, il look da passerella dei cantanti..e, perchè no?, l’oggettivo calo di interesse per questo genere di musica. Ora la lirica è alle prese con il problema di un ricambio dei cantanti che non c’è, e che da tempo è sempre più basso di livello coll’andare delle generazioni. Cantanti fragili, non durevoli, limitati, con repertori interi che sono divenuti ineseguibili. Come è cessata l’arte delle cattedrali, o di certa glittica, o dell’encausto, della tempera su tavola, così sta cessando l’arte del canto. Non si sa più fare….forse perchè non interessa più fare….o non ne vale la pena ( pensa alle carriere quanto poco durano oggi…).
      se vuoi suicidarti col gas, fa pure. io non lo farei, e continuerei a partecipare alle discussioni di questi pessimisti cronici o realisti crudi ( a parer mio ) che fanno resistenza alla fine di un ‘arte che a loro piace molto e che non vogliono vedere scomparire. tenerla viva vuol dire affrontarne i mali, riconoscerli e metterli sul piatto, dato che con le veline, i microfoni, i culi sodi in primo piano, mi sa che non andiamo più molto lontano….forse un anno o due al max.
      ciao
      g

      • So come rispondere fino a un certo punto. Da un lato sono d’accordo con lei su parecchie cose, dall’altro, vivendo quotidianamente in un mondo la cui decadenza è per certi versi simile a quella dell’opera (il mondo delle lettere classiche), mi rendo conto del fatto che… la decadenza non è sempre così brutta come la si dipinge. Mi spiego: di sicuro non esistono più i filologi dell’Ottocento, ma è anche vero che è cambiata la scuola, è cambiata la società, le materie umanistiche non si studiano più a partire da un’età molto tenera, né rappresentano più uno status sociale che conferisce loro prestigio. Nondimeno, con la guida di buoni professori e con la forza della volontà e della passione, mi sembra che si possano comunque raggiungere risultati egregi, ed esistono ancora studiosi eccellenti in grado di sfornare testi critici e di scrivere saggi meravigliosi. Mi rendo conto che si tratta di un paragone che regge fino a un certo punto, ma… non potrebbe valere lo stesso per il canto?

        • Caro Nicola, il discorso è al solito molto complesso, non complicato.

          Premetto che mi fai tenerezza (!) quando cerchi di rivoltarti al commento pessimistico dei grisini: mi sembri il giovane figlio che si ribella al padre, e se il padre dice “non fare questo” , il figlio lo fa solo per contravvenire a quel che gli dice, poi magari capendo che non era proprio una buona idea.

          Detto questo, come già dissi, la veridicità dei commenti dei grisini possono essere condivisibili o meno su certi aspetti, ma poiché la tecnica vocale è una metro diciamo il meno possibile soggettivo, non c’è molto da girarci intorno! Se uno è stonato, è stonato; se uno forza il passaggio, forza il passaggio; se uno canta di naso, canta di naso! Più che altro c’è da parte di chi afferma e da chi legge una conferma che non sempre può coincidere per magari diversa preparazione: c’è chi sente anche se uno cala di un quarto di tono, e chi spesso non si accorge di una minima defaillance di intonazione. C’è chi non distingue magari una voce ingolata in passaggio da una voce nasaleggiata… Tutto risponde all’educazione che uno ha.

          Quando tu parli di “non ci sono i filologi di una volta”, io sono d’accordo: oserei dire infatti che oggi ci sono filologi migliori di prima! Sono sempre propenso ai non catastrofismi, e come tante volte detto, secondo me i cantanti bravi non mancano, anzi ce ne sono in giro, pochi come sempre, ma ci sono! Tuttavia, i cantanti più noti sono quelli imposti dallo star system e dalle agenzie di cantanti che non si sa con quali criteri li scelgano (perché la stragrande maggioranza non viene scelta per meriti vocali) e li impongano per meriti sovrastrutturali (ossia non per come cantano!). E qui torna il discorso dell’educazione: un pubblico educato alla musica, ma anche chi fa musica deve essere educato a questa!

      • PS. Quando poi ci tocca leggere in certi siti che la Sutherland è una cantante sopravvalutata, o robe simili, da parte di chi non ha sentito altro che ragli di somari nella sua vita, potremmo esser tentati, in vena buonista, di fare sofismi e dire: se ti hanno detto da quando sei nato che quello che senti davanti a un recinto di animali è canto, e davanti a Beniamino Gigli che passa di lì cantando tu non riconosci il buon canto, sei autorizzato, per un fattore culturale, a dire che non ti piace e ad essere giustificato. Ma siccome, fuor dai sofismi, oggi nessuno vive in isolamento ascoltando solo i versi degli animali in campagna, perchè possiede documenti audio a bizzeffe, se davanti al recinto dei maiali dice che la Sutherlnad è sopravvalutata rispetto al canto del porcello che ode quotidianamente,….beh, qui non è cultura, ma un serio problema di attività cerebrale ed uditiva, che legittima ogni strale e giudizio sulle colpe del pubblico da parte del mio sito!
        E siccome, e parlo di esperienza vissuta, da melomane mi sono sentita dire da maestri di canto noti, che il melomane non può giudicare perchè non canta, mentre i suddetti maestri mi han dato prova, allo stesso tempo, di non conoscere nulla della storia del canto, non conoscendone i grandi ed insegnando cose esattamente contrarie a quelle praticate dai grandi di sempre, a suon di vaccate del tipo che la Callas non era poi la gran cantante che crediamo noi, ecco che di nuovo torniamo nel mondo deprimente, da canna del gas, in cui NOI ci muoviamo, facendo incontri surreali con gente che ci dice che non possiamo giudicare mentre loro, nulla sapendo e tutto ignorando, INSEGNANO ! E che c…o!!!!!…tanto che poi se ci capita di profetar disgrazie prevedibili da queste pagine, semplicemernte in forza della nostra esperienza di ascoltatori e melomani, disgrazie che poi puntuali si avverano, ecco che la reazione è l’aggressione a noi, profeti di verità che sono sempre state l’acqua calda, mentre dovrebbero, invece, contemplare e prendere atto della vastità della loro sconfinata ignoranza e distanza da ciò che serve per fare lirica…..
        e questo la dice lunga sulla perdita della sostanza professionale in questa arte, se chi la pratica ne è più distante dell’hobbista…no?….caro Nicola, sono conclusioni amare, cui siamo arrivati dopo tanti anni diincontri, serate, ascolti etc….tu vuoi aprire la canna del gas? NOI LA DOVREMMO APRIRE quando in un mondo popolato di nullità canore critichiamo la Callas e ci pappiano certe cagnacce, o andiamo a sentire la Lewis e vediamo quello davanti cha la applaude mentre dice al vicino di seggiola che Pertile era bravo ma nasale!!!……accipicchia se l’opera è finita!!! e’ morta e sepolta con questi parametri….

        • Carissima Giulia,
          essendo io uno che la Sutherland e altri li ha sentiti in teatro, dopo aver educato l’ orecchio per merito dei loro dischi e di quelli che sono venuti prima di loro, non posso che appoggiare in pieno le tue tesi.
          La crisi di oggi è crisi di didattica e di cultura.
          Faccio solo un piccolo esempio. Noi una volta spendevamo denari sonanti per procurarci documenti sonori e visivi che allora erano quasi introvabili. E li trovavamo. Oggi tutto è a portata di click e ti capita a teatro e nei forum di parlare con gente che non conosce, non dico la Galli Curci e De Luca, ma manco Cappuccilli!
          Sulla didattica, io la bedo decisamente nera. Oggi si sceglie il maestro in base alle conoscenze che ha per garantirti un debutto veloce e fruttifero. Salvo poi rivolgersi piangendo, con la gola massacrata e le corde vocali piene di noduli, a quei pochissimi, di solito boicottati dal mainstream didattico, che sono in grado di rimetterti in sesto…

    • Salve Nicola piacere di conoscerti.
      Quello che dici ora non è corretto, dato che, i signori che tutelano questo sito, hanno dimostrato più e più volte di aver gran conoscenza in materia e oltretutto riconoscono obiettivamente chi canta dignitosamente in quest’epoca grigia. Leggendo i loro resoconti si coglie per filo e per segno la gran competenza che supporta le loro argomentazioni. Bisogna essere onesti in questo mondo, soprattutto culturalmente parlando, anche per rispetto a questa nobile arte e a chi ha dedicato anima e corpo per farle raggiungere l’eccellenza che ella ha e che giustamente pretende. Va bene fare come Pangloss e dire sempre che quello che viviamo (o meglio quello che ascoltiamo in questo caso) è il meglio possibile, ma se vogliamo appagarci completamente di quello che questa meravigliosa musica può offrire bisogna pretendere il meglio, e per pretenderlo serve cultura! D’altronde che cos’è l’arte senza la cultura?
      Un Saluto
      Niccolò della Ripa

    • Mi aggancio alla discussione: per il semplice fatto che se uno ha una tecnica ed un cervello/cuore o come si intenda, fa fare alla voce quel che il cervello/cuore gli dice, ossia è padrone di quello che fa!
      Se uno non ha una tecnica, un giorno va bene, un giorno va male, il giorno seguente, chi lo sa?

      Io mi chiedo, come ha già detto mozart: perché un pianista o violinista o qualsiasi strumentista deve avere un preparazione impeccabile ed un cantante no? Ma ve la immaginate una ginnasta alle Olimpiadi che non sa fare una delle figure base della ginnastica ritmica (chessò, prendere una palla alzata in volo, o il nastro)?
      Senza contare inoltre che con la tecnica canti sicuramente più a lungo piuttosto che senza: basta vedere Pavarotti (tecnica) con Villazon (non tecnica).

  14. Perchè per emozionare occorre gestire la voce in un modo, con espressività, che solo il possesso di una base tecnica consente.
    La tecnica è un mezzo che consente la dinamica, non un fine. il fine è l’espressione, l’emozione ….quella che si definisce ARTE. Tiziano ha tecnica, ed emoziona. Giotto ha tecnica e conferisce espressione a ciò che dipinge…idem il canto. Oltre alla tecnica ci vuole una voce minimale, ed un cervello…..occorre avere in testa dei pensieri, delle idee, qualcosa da dire che attraverso il possesso ed il dominio del proprio strumento venga comunicato all’esterno

        • Mancini,
          Allevi non è un concertista e suona solo musica sua. Il direttore artistico di una importante rassegna italiana mi ha detto che avrebbe voluto scritturarlo per una serata come interprete del repertorio normale e lui ha rinunciato perchè non è in grado di farlo.
          Non lo affiancherei a Lang Lang che sicuramente è un sopravvalutato ma possiede una tecnica di base che lo rende in grado di eseguire il repertorio, anche se interpretativamente lascia parecchio a desiderare.

          • Scusate se mi inserisco sulla discussione tecnica…
            Premetto…concordo con i grisini più realisti e critici su quasi tutto…ma vorrei condividere con voi un’esperienza personale ed un parere…trovandomi negli usa mi sono “regalato” Anna Bolena al Met con la signora Netrebko…curioso di visitare il teatro ed ascoltare la tanto acclamata signora…Le mie impressioni sono state duplici…se da un lato devo ammettere di aver trovato il timbro della signora molto piacevole, la direzione accettabile e la regia ed i costumi deliziosi…d’altra parte riconosco tutti i limiti tecnici e vocali della protagonista…in particolare ho trovato “al dolce guidami” quasi inascoltabile con prese di fiato circa ogni 2 millesimi di secondo (ancor più traumatico il vigoroso applauso finale dopo un’esecuzione…discutibile…)

            Nonostante tutto ciò, lo spettacolo mi è sembrato godibile…nel senso visivo e di ascolto…insomma ho cercato di accontentarmi…

            Ecco…secondo voi…fino a qual punto è possibile con la regia, i costumi, l’orchestra ed il contorno mascherare i difetti del canto? fino a che punto può essere considerata un’operazione “dignitosa”?

          • Dipende dal tipo di opera. In quelle come la Bolena….poco o nulla. In Janacek moltissimo. Mi aspetta un cimento da ascoltatore domani, i Puritani. relazionerò nel week end in tal senso

      • Mi permetto, nella mia ignoranza, di proporre una possibile risposta. Il cantante può derogare perché POTREBBE emozionare anche senza tecnica. Signora Grisi, per me alcuni cantanti, pur preparatissimi tecnicamente, emozionano ben poco. Questo forse perché vedevano la tecnica come il fine. Mi corregga se sbaglio. Altri, invece, emozionano pur non avendo un’adeguata preparazione. Vedi Di Stefano. Questi cantanti purtroppo però, non avendo alle spalle un vero e proprio studio, naufragano, distruggendosi la voce in pochissimi anni. Vedi ancora Di Stefano.
        Filippo II

          • Certo, però poi l’assenza di tecnica e la scelta sbagliata di repertorio gli provocarono quel deterioramento che tutti conosciamo.

        • Caro filippo, la tua è una domanda tosta! Meglio una Devia o Gruberova tecnicamente (ancora, ma non sempre sempre) ottime, o una scimmia urlatrice come la passata Netrebko viennese (al met è migliarata ma siamo sempre là)? Secondo me dipende dai gusti personali, e secondo la mia opinione preferisco una recita tranquilla, cantata bene e che magari non mi entusiasmi troppo, piuttosto che una recita di una che non sa cantare sul fiato (ergo, la Netrebko) e inizia catastroficamente e porta a termine la recita perché il pubblico rimane eletrizzato!
          Ho assistito a certe recite in cui i cantanti cantavano in maniera scarsa, ma siccome azzeccavano “la nota” messa o sparata lì per convenzione o per volontà momentanea del cantante, allora tutti ad applaudire … Io solitamente non batte mani ma niente, ma anzi mi infastidisco: il pubblico deve essere educato (sia nel senso che il pubblico deve avere una educazione musicale, sia il pubblico deve andare incontro ad una educazione continua guardando gli spettacoli) ma anche i cantanti devono educarsi!

          • Sono del Suo stesso parere. Inutile dire che alcuni cantanti non sanno utilizzare nemmeno correttamente la loro voce. E sto parlando di quelli che non possiedono tecnica. Io per esempio non riesco a digerire neanche un po’ la Netrebko. Poi, come ha detto Lei, dipende tutto dai gusti personali.
            Una domanda: ma Lei non batte le mani neanche quando Le è piaciuto lo spettacolo?

          • Mi inserisco a proposito…Sono uno di quelli che ha sempre considerato la signora Netrebko una bellissima signora, poco o nulla cantante…Come ho scritto sopra l’ho ascoltata in Bolena al Met e mi è sembrata modesta…nel senso bel timbro che mi ha colpito positivamente dal vivo…ma ovviamente zero tecnica…comunque, strillacchiando un coppia iniqua decente quasi ne è uscito fuori…ovviamente sono da preferire gruberova e devia ma voglio spezzare una lancia a favore del met…nel senso che soprattutto i costumi mi sono sembrati molto curati e la regia molto composta e decisamente migliore di quella viennese…
            Poi che venissero giù applausi fragorosi per un sovracuto strillato e poco udibile è assurdo…

  15. perchè i direttori ne capiscono qlcsa di più? perchè i microfoni non hanno alterato il modo di suonare,mentre per cantare davanti ad un mic si può anche non avere la voce in maschera? perchè venticinque anni di crica operistica antivociomane ha finito per sdoganare ed incensre anche il porcello di cui sopra?

  16. @FilippoII: dammi innanzitutto del tu … Niente formalismi inutili!
    Applaudo sempre in ragione di quanto mi è sembrato corretto e piaciuto lo spettacolo operistico/concerto vocale.
    Non mi è mai capitato di spellarmi le mani dagli applausi, anche se diverse volte ho battuto forte le mani più per disturbare che per altro 😉

  17. @Kirstenthebest: perché ti sembra normale che due signore sessantenni (con tutto il loro rispetto), peraltro soprani koloratur, possano (anche se io direi DEBBANO) cantare ruoli che non li si confà molto vocalmente perché non ci sono degne rivali abbastanza conosciute? A me sembra significativo quali inizio di certe cattive rotte, e vedrete che, a furia di “di necessità virtù”, i ruoli di Bolena, Stuarda e Borgia si trasformeranno in ruoli di elezione per i soprani koloratur proprio perché oggi i cantanti stessi sono spessissimo ignoranti e quindi si rifanno a cosa circola oggi, sebbene prima ancora viene scelta la degli agenti di dare questi ruoli (doppia ignoranza). Giro di 10 anni e vedremo!

    • Non ho detto che mi sembra normale che dei soprani di coloratura cantino ruoli “per necessità” destinati ad altro tipo di voci…ho solo detto che purtroppo attualmente ce ne fossero di devie e gruberove…e che comunque preferisco ascoltare una bolenina corretta piuttosto che una bolena normale sguaiata e poco regale…Poi che il pacchetto del Met sia ben confezionato e gradevole mi sembra chiaro (anche perchè credo che non abbiano grandi problemi di fondi rispetto ad altri teatri…)
      Il problema è però nel sistema…Non voglio credere e non credo che non esistano più cantanti studiosi o con una buona tecnica fra gli emergenti…il problema è che bravi giovani emergenti ce ne sono ma non vengono promossi o poco promossi a favore dell’incensazione di presunte dive (dessay, netrebko, etc.) che avrebbero potuto fare giusto le coriste non dico 80 anni fa…ma anche solo 20 anni fa…
      …Per non parlare poi del fatto che le presunte dive siano spinte ad affrontare ruoli assolutamente inadatti alla loro voce per rispondere alla richiesta di DOVER trovare la nuova Callas…etc. etc…Questo probabilmente è l’unico grande danno che la Callas ha lasciato in eredità alle generazioni successive…

      • Sono d’accordissimo con te (tranne per la Dessay che quando aveva voce, nessun la calcolava; ora le è partita e cercano di montarci su chissà cosa: è come vedere il partenone – rovine di una voce). Comunque senti qui
        http://www.youtube.com/watch?v=Kc1JIHE2caw&lc
        le variazioni sono terrificanti: distruggono completamente la linea musicale! Ed il pubblico che applaude alla fine per un Mib acuto? . . . No comment!

      • L’unico grande problema con l’eredità della Callas è che rimane ineguagliabile e, per certi ruoli, continueremo a rimpiangerla sempre ! Da ammiratrice di Edita Gruberova negli anni novanta andai a Monaco di Baviera per sentirla in Anna Bolena. La signora fu impeccabile ma uscii da dal teatro delusa per la mancanza di espressione e l’inadeguatezza della voce al ruolo. Per essere una Bolena credibile, tragica e patetica non bastava alla Gruberova cantare le note giuste e le agilità alla perfezione come ed egualmente alla Netrebko oggi non basta il bel colore e la poca tecnica. Un interprete dovrebbe cantare con voce adeguata al ruolo, eseguendo con la tecnica le note scritte, ma soprattutto dando vita ad un personaggio con fraseggio, accenti, gusto ed espressione. Ma non è esattamente ciò che interessa allo star system, dunque, i buoni interpreti, ammesso che esistano, mancano dai teatri e comunque interessano a pochi.

  18. Concordo con Olivia e misterpapageno :-) …Che poi la Callas si sia distrutta la voce cantando una sera la Walkiria, la sera dopo Aida e la sera dopo magari un bel Barbiere credo sia innegabile…ma almeno era in grado di fare un ottimo lavoro su quasi tutto quello che ha affrontato…chiaramente a mio parere in molti ruoli da lei affrontati altre “specialiste del ruolo” rendevano decisamente meglio 😉

  19. Ad esser precisi la Callas ha cantanto Walkiria solo in due riprese nel ’49 ( Venezia e Palermo ) e il Barbiere solo in una nel ’55 ( Scala ). Non ha mai cantato Aida dopo Walkiria né il Barbiere dopo Aida, tanto meno una sera dopo l’altra. Mi vengono in mente davvero poche “specialista del ruolo” che abbia fatto meglio di lei.

  20. Metto un po’ di date io per essere precisini dal ’49 al ’51:

    1949: 8, 12, 14, 16 gennaio, Valchiria (Fenice) – 19, 22, 23 gennaio, Puritani (Fenice) – 28 gennaio e 10 febbraio, Valchiria (Palermo) – 12, 16, 18, 20 febbraio, Turandot (Napoli) – 26 febbraio, 2, 5, 8 marzo, Parsifal (Roma) + 7 marzo, Concerto RAI;

    1950: 2, 7 febbraio, Aida (Brescia) – 6, 9, 19, 25, 28 febbraio, Tristano ed Isotta (Roma) – 23, 26 febbraio, 2, 4, 7 Marzo, Norma (Roma);

    1951: 7, 9, 12, 16, 19, 27 dicembre, Vespri (Scala) – 29 dicembre, Traviata (Parma);

    E faccio notare che anche se Kirstenthebest non ha azzecato bene le opere, il peso dei ruoli e la frequenza è bella pesante! La Callas nel periodo di grande attività faceva un’opera dopo l’altra ogni due giorni anche diverse, e spesso tra grandi spazi di 4 giorni (!), infilava concerti anche a ridosso delle opere!

    • Mi sentirei di dirti di no, anche se è innegabile che un repertorio di questo peso e con tale frequenza di date non lascia di certo indenni.
      Per me il declino vocale della Callas deriva dal suo dimagrimento (circa 30 chili), e dal fatto che non aveva “rivisto” / “rigestito” tutta la tecnica con la nuova conformazione. Aggiungerei forse che in seguito alla vita mondana fatta e alla sbandata per Onassis abbia studiato di meno, ma questo ultimo dato non so confermarlo!

  21. Il mio commento non voleva essere polemico ed il riferimento alle opere era meramente scherzoso…(non conosco l’esatto calendario della signora Maria negli anni d’oro)…Quanto sono permalosi questi fan della Callas 😉

    …per quanto riguarda specialiste dei ruoli…sinceramente in Wagner la Callas mi è sempre risultata decisamente poco gradevole…ma questa è una questione di gusti…comunque non la si può di certo giudicare superiore ad una Nilsson o ad altre Wagneriane senza scomodare le divinità Leider & Flagstad…e sicuramente considerare Wagner come una “comoda passeggiata di salute” non credo l’abbia aiutata molto nel risultato…

    Su altri ruoli…preferirei evitare di incrementare la solita Tebaldi-Callas…

  22. Concordo con il Donzelli :-) Ma non vorrei che quello che ho scritto in precedenza possa sembrare una critica alla grandezza della signora Callas…su cui chiaramente non si deve discutere…semmai era solo una critica alla gestione della sua voce e alla scelta di affrontare ruoli così diversi a distanza di pochi giorni…Avrei preferito una Callas magari un po’ meno versatile e frenetica ma con un periodo d’oro non ballante di un 6-7 anni più lungo 😉

  23. Sul Wagner della Callas credo che non ci siano motli elementi per esprimere un giudizio e dunque si deve procedere necessariamente in mdoo indiziario. Dubito che qulcuno di noi sia così antico da aver assisitito alle performance live dellla Callas in Wagner. Non ci resta dunque che Il disco ( sempre un po’ ingannevole ) che del resto ci restituitsce purtoppo assai poco: morte di Isotta e il Parsifal Rai ’50 diretto da Gui. Un’interpretazione questa giudicata in modo diametralmente opposto – per fare un esempio – da Celletti ( parecchio in positivo ) e da Giudici ( parecchio in negativo ), a riprova di come anche la critica vocale sia soggetta al relativismo, tanto inviso al buon Ratzinger e ai vociomani integralisti amanti di rassicuranti certezze, possibilmente in negativo. Il mio parere è che – considerando le formidabili doti di fraseggiatrice, la capacità di scavare il senso della frase e finanche della singola parola , la sensibilità per il canto legato e sul fiato con una voce di volume importante, sarebbe stata un’interpete wagneriana di statura storica. Ricordo quel critico che scrisse ( cito a memoria ): all’udire il “Parsifal resta!” della Callas viene subito da pensare: e chi non resterebbe?

  24. Sulla capacità di scavare il senso della frase e delle singole parole sono completamente d’accordo…sul volume della voce meno…nel senso che in alcuni ruoli wagneriani ritengo sia forse da preferire un volume titanico, non solo importante…ed un timbro aureo…
    ma sul timbro ammetto sia una questione di gusti…;-)

    • Figurati Kirsten, non volevo polemizzare sulle opere da te nominate (anzi, in realtà – ma non è passato – volevo far trasparire che gianmario voleva essere precisino!), anche perché alla fine, pur sparandole, non hai parato molto lontano 😉

      Concordo con te e gianmario sull’interpretazione: uno può avere una tecnica buona e quindi cantare “professionalmente” un ruolo (e questo il parere meno soggettivo), poi l’interpretazione si può capire o meno lo stesso, ma poi ognuno ha i suoi gusti 😉
      Come a me piace TANTISSIMO la Nilson in Turandot (fredda e glaciale, nonstante l’ascendenza di scuola della Nilson che non è italiana) per me è stupenda!
      Anche se Flagstad-Brunhilde: che meraviglia! 😉

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