marconi – galvany: vieni fra queste braccia

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l’incisione è vecchia di oltre un secolo. sono certo che può non piacere, che verranno mossi appunti a qualche suono aperto del celeberrimo checco, che si imprecherà contro la libertà di tempi e di sonorità che i due amanti si prendono. però invito per completezza di giudizio a pensare che nessuna coppia di amanti belliniani è stata più varia e più attenta alla parola ed al significato di ciascuna di esse. poi le difficoltà le posso anche capire è pur sempre un’operazione di archeologia ascoltare questo pezzo dei puritani.

33 pensieri su “marconi – galvany: vieni fra queste braccia

      • http://www.treccani.it/vocabolario/puntatura2/

        “Nella musica vocale, la sostituzione di una nota con un’altra, generalmente più acuta, operata solitamente dagli stessi cantanti per meglio figurare.”

        In questo caso, l’acuto interpolato nel minuto che ho indicato sopra, è una puntatura aggiunta dall’esecutore, cioè non scritta nella parte. Peraltro, ne evidenziavo la perfetta emissione in falsetto.

      • “Puntatura” è qualsiasi piccolo aggiusto alla linea melodica, finalizzato a “semplificare” la parte per un cantante a disagio con quella scrittura. Puntature sono le aggiunte di pause, le fermate, l’eliminazione di agilità, le modifiche di figure cadenzali. Spesso si usa il termine in modo scorretto, intendendo per “puntatura” l’acuto aggiunto, fraintendendone il significato (che deriva dalla “puntatura” dei sarti, ossia il mero aggiusto). In realtà non è così: l’acuto aggiunto è un abbellimento, un “virtuosismo” che vuole mettere in mostra le capacità dell’interprete; la “puntatura” è l’esatto contrario.

          • Grazie per i chiarimenti, non mi era ben chiaro il discorso proprio perché ero a conoscenza di una definizione di puntatura più simile a quella data da Duprez (senza niente togliere, ovviamente, a Mancini). Se non sbaglio, si esegue una puntatura anche quando, alla fine di un verso piano le cui ultime tre sillabe sono musicate con note alla stessa altezza, la penultima viene innalzata di un tono dall’interpete, giusto? O mi confondo con un’altra cosa?

          • Quella è o una appoggiatura o un’acciacatura, Nicola e dipende da quanto veloce esegui questa nota.
            Se in uno spartito di musica barocca appare una conformazione letterale – musicale come quella da te descritta, solitamente si possono eseguire o messe di voce o appoggiature sulla sillaba tonica o acciaccature, oppure si varia con altre figure (non ultimo, in caso di Monteverdi, il suo “trillo” ribattuto).
            E’ più raro trovare una cosa simile col passare del tempo, soprattuto nei pezzi chiusi come le arie, mentre nei recitativi sono molto presenti (Maria Callas nei recitativi di Norma era solita eseguire una appoggiatura su due note della stessa altezza rubando completamente il tempo della prima: ossia se aveva un LA-LA, lei faceva SI-LA invece di SI/LA-LA). Però è un discorso molto vago quello che ho fatto: qui la pratica è assolutamente essenziale e sta all’interprete questa scelta e sopratutto capire bene il brano ed il periodo del brano 😉

          • L’appoggiatura è necessaria a rendere più mosso un recitativo, o una frase musicale. Per lungo tempo, almeno fino agli anni ’40 del secolo XIX, non erano stese sullo spartito, ma si davano per scontate, poi – anche a seguito dello spostamento del baricentro musicale dell’opera italiana dal cantante al compositore – sono state esplicitate in partitura. Per lungo tempo – nell’ottica teutonica del “si esegue esattamente come scritto – non venivano eseguite. Il problema dell’appoggiatura, è fondamentale nell’opera di Mozart: se ascolti incisioni di area germanica (di quelle storiche) non ne sentirai quasi nessuna…con un effetto ingessato e irrigidito. Ma l’appoggiatura andrebbe considerata anche in Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi.

    • Caspita Davide sei l’unico ad averlo capito e ad averli riconosciuti! 😀
      BRAVO!!!

      Qui il tuo premio:
      Luciana Littizzetto e Alessandro Fullin nel medesimo duetto (lascio a te il simpatico piacere di riconoscere l’uno e l’altra 😉 )
      http://www.youtube.com/watch?v=TKpu8wn4UhA

      P.S. Scherzi a parte, trovo Marconi fastidioso (le vocali non le aprono così nemmeno nelle inflessioni dialettali nel meridione poi la voce, a me sembra quella di una bimba che imita un tenore, ma son gusti) e la Galvany deliziosamente svenevole, ma vocalmente splendida.

    • Marconi parodia dell’opera? Un cinquantennale rintronamento delle orecchie da malcanto, ci ha fatti arrivare al punto di essere disturbati dall’ascolto di un tenore come Marconi, che emette una voce limpida, chiara, schietta e sincera, con una dizione spettacolare per limpidezza e scolpitura. Siamo infastiditi se non sentiamo il vocione ingolfato che maciulla le consonanti ed evacua indecifrabili muggiti intervocalici, oppure se non sentiamo la vociuzza smunta e compita tutta starnutata per il naso (che qualche incompetente vuole spacciare per maschera). Forse per le orecchie moderne, Marconi non è abbastanza ingolato, me ne rendo conto.
      Per inciso, suoni aperti e soprattutto sbiancati in modo esasperato si sentono nelle note più basse in prima ottava, serve a tenere la voce alta sul fiato (è una scaltrezza di cui si serve il cantante con voce stanca e logorata). Il timbro al centro è rotondo, pieno, giovane. Le vocali sono chiare e nette. Sul passaggio (fa#) è da manuale, più su deve risolvere ogni acuto sulla é stretta, e questo è per me il vero aspetto negativo e fastidioso. Poi ci sarebbe lo stile…

      • Le mie orecchie saranno anche rintronate, ma manca ancora un ventennio (scarso, ahimè) per arrivare al cinquantennale.
        Aggiungo che i pilastri del canto sono due, una la tecnica vocale, l’altra la “tecnica” musicale.
        Non è possibile un canto corretto se completamente avulso dalle più elemetari regole musicali, così come da quelle tecnico-vocali.
        Poi, anche sulla tecnica del Marconi, ce ne sarebbe da dire, ma non ho tempo, devo andare all’Amplifon……..

    • Sono del suo stesso parere: Marconi, per carità, impeccabile nella pur pacchiana puntatura, ma voce metallica e, in 0.41, per esempio, abbastanza sgradevole. Imperdibile a 3.53: pare quasi che nitrisca. la Galvany mi sembra migliore: voce più bella e graziosa.

  1. Per Mr Papageno: appoggiatura, ecco la parola! Sì, in effetti sono due concetti molto diversi… se posso dire la mia, che pure ho letto qualcosa sull’argomento, le appoggiature dovrebbero – a quanto pare – essere eseguite regolarmente in Rossini (Donizetti e Bellini), fino a Verdi, benché non scritte: si trattava di una consuetudine che non aveva bisogno di essere indicata in modo esplicito … solo che gli esecutori verdiani sono piuttosto restii a fare delle appoggiature rispetto a quelli rossiniani… mi sapreste spiegare perché? Ciao ciao

    • Forse per ignoranza? A parte gli scherzi, il problema è di natura filologica: per Rossini e Mozart (molto prima e senza le resistenze che si percepiscono qui da noi) gli studi sulla prassi sono molto avanzati e considerati irrinunciabili, invece ogni approccio “filologico” a Verdi viene rifiutato con sdegno (sciocco). Eppure, prima o poi, si dovranno affrontare i problemi delle appoggiature, delle cadenze originali e dei troppi acuti infilati ovunque…per non parlare dei ricchissimi segni d’espressione che vengono sistematicamente disattesi da cantanti (e direttori compiacenti) che non sanno rinunciare ad acutazzi, grida, urli et similia.

      • secondo te può rientrare in questo ambito anche la tendenza a eseguire (almeno mi sembra) i da capo delle cabalette in maniera assolutamente identica alla prima enunciazione del tema melodico? In Verdi, intendo…

      • Con dei distinguo: è chiaro che Verdi non è Rossini. Il rapporto tra cantante e opera – in quell’epoca – si stava ribaltando anche in Italia (buon ultima a livello europeo). Certe libertà non erano più pensabili né accettabili (non lo sono più neppure nel Rossini francese e pure in Bellini o Donizetti sono assai ridotte). I “da capo” verdiani post “anni di galera”, andrebbero “variati” più che altro nell’espressione: parlo solo dei “da capo” delle cabalette, non certo delle seconde strofe che è scorretto omettere o variare (ci pensa già l’accento e il fraseggio piegato alla diversa narrazione a mutare il senso). Considera poi che nell’ambito estremamente conservatore del melodramma italiano, fondato su formule e convenzioni che si sono protratte per anni anche se svuotate di ogni significato (pensa alla dicitura di “maestro al cembalo, sopravvissuta sino agli anni ’50 dell’800, quando, ovviamente, di cembali in orchestra non c’era neppure l’ombra), la cabaletta è uno schema fisso: un elemento irrinunciabile, a prescindere dall’uso delle variazioni (probabilmente assai limitato o assente). Anche per questo non possono essere eliminate o ridotte: fanno parte dell’equilibrio dell’opera e dello stile dell’epoca, sarebbe molto scorretto. Solo più tardi verranno superate: è sbagliato trasformare un certo repertorio in quello che non è (sarebbe come spianare tutte le agilità rossiniane perché nel ‘900 il vocalismo era superato: così purtroppo ragionava anche Serafin in un suo famigerato scritto). Diverso ancora il discorso sulle cadenze: in Verdi diventano parte integrante della scrittura e dovrebbero essere rispettate in quanto svolgono una funzione espressiva e non esibizionistica (come in Rossini). Non servono a mostrare l’abilità del cantante, ma hanno un significato musicale (non a livello di Mozart, certo). Tra l’altro sono sempre molto più belle di quelle cosiddette “di tradizione”… Purtroppo solo prospettare di eseguire Verdi considerando le appoggiature, con le cadenze d’autore e i “da capo” rispettati (e magari leggermente variati: seppur sobriamente), senza gli acuti infilati dappertutto e rispettando, finalmente, tutti i segni d’espressione, per molti equivale ad un “verdicidio” (????) e ad una pericolosa eresia.

        • chissà poi perché accade prevalentemente con Verdi, forse perché continua a essere il più conosciuto, amato e rappresentato?
          In ogni caso, tu parli del Verdi post “anni di galera”, ma che dire di quello ante? Forse intendevi dire che nei primi lavori la variazioni sono consentite (seppure sobrie, certo) o facevi un discorso più generale? I Masnadieri, con la libertà di variazione concessa alla Lind, sono un’eccezione per Verdi o possiamo da questo trarre delle conclusioni su altri lavori dello stesso periodo? Come a dire: le variazioni non sono indicate ma, siccome era una consuetudine, si potevano eseguire, anche con una certa libertà?

        • Intendo che il Verdi fino agli “anni di galera”, pur nella diversità sostanziale è formalmente molto legato al melodramma donizettiano (penso a Ernani, Foscari) e lo sarà anche dopo (per me Trovatore è un’opera sommamente donizettiana). Ovvio che in un tale repertorio la libertà del cantante possa e debba essere maggiore rispetto a Traviata o Aida o Don Carlo. Verdi è uno dei primi compositori che inizia a scrivere le appoggiature: ma non è che le inventa dal nulla…semplicemente codifica quel che prima non si scriveva perché cambia il rapporto cantante/compositore. In opere come Masnadieri, Giovanna d’Arco, Nabucco, Attila etc… ovviamente il cantante può prendersi maggiori libertà (e il bravo cantante, attento allo stile, com’era la Sutherland, sa benissimo dove spingersi e sa distinguere Rossini da Verdi). Tuttavia sarebbe pure da ridimensionare questa legittimità d’invenzione libera: andrebbe quantomeno circoscritta ad autori e repertori. In certo Mozart “baroccarizzato” (mi riferisco a quello di Jacobs) c’è un uso assolutamente illegittimo ed esagerato delle variazioni, che contrasta con le prescrizioni dello stesso autore, le sue lettere e la struttura della coloratura scritta (assolutamente non convenzionale e con esclusiva finalità musicale ed espressiva). Discorso diverso con Rossini (che però andrebbe legato almeno allo stile). Ancora diverso Bellini e Donizetti (quest’ultimo si lamenta spesso degli eccessi virtuosistici di qualche sua sciagurata primadonna). Insomma, in questa materia non si può procedere per dogmi e schematizzazioni…e in ultima analisi bisogna fare il conto con il gusto dell’interprete (che può essere buono o cattivo: così da far “tollerare” pure qualche arbitrio).

          • Beh Duprez, torniamo sempre allo stesso argomento: la legittimità delle scelte interpretative del cantante a fronte di regole tecniche e musicali che esistono.
            Su queste regole, che variano a seconda del periodo e dello stile, il cantante tesse la sua infinita rete di declinazioni pratiche.

          • Tant’è che se uno non ha fantasia e musicalità, le variazioni possono essere solo o scolastiche o copiate da altri: se uno invece sente (nel senso di sentire non solo con le orecchie) il brano, le variazioni gli vengono spontaneamente, magari anche troppe in un sol colpo ma poi si decide in base a queste regole sopraddette e a non caricare troppo il brano (perché se la melodia è variata troppo, ci si perde) quali mettere o omettere. E’ una dura scuola e richiede molta pazienza e conoscenza!

          • Beh, non proprio…nel senso che variare a volte è un obbligo, altre volte è un arbitrio. A prescindere dalla gradevolezza dell’interprete. Sono due piani completamente differenti

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