El rebatun de san Steven

Carissimi,

el rebatin è a Milano il pranzo in cui si smaltiscono, dopo una festa, gli avanzi ed è occasione per ritrovarsi a continuare la festa. Quando la festa è stata  grande ed il pranzo congruo si utilizza per indicare il pranzo del giorno dopo l’accrescitivo rebatun.

Quindi, siccome il  pranzo che nell’anno il Corriere della Grisi ha offerto ai suoi lettori in esponenziale crescita può ben essere comparato ad una festa, una gioja non potevamo che programmare per Santo Stefano (san Steven in lingua ambrosiana) un pranzo post festivo ricco ed abbondante dove ciascuno di noi ha offerto il meglio della propria metaforica cucina!

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Carissimo Donzelli, comincio io con l’indicare le pietanze più gustose “assaggiate” in questo lungo anno di ascolti musicali. Confesso che la scelta non è stata facilissima (in questi mesi ho assistito non solo a brutture degne di nessun ricordo, ma anche a splendidi concerti, senza contare la “scoperta” o la “riscoperta” di interpreti più o meno storici nel campo della musica sinfonica, concertistica e operistica), ma siccome “brevità è gran pregio”, non mi dilungo nel filosofeggiare e indico subito i miei tre “avanzi” di lusso con cui imbastire un succulento rebatun post natalizio:

1) Ein Deutsche Requiem di Brahms: 11 aprile 2011, Antonio Pappano e l’Accademia di Santa Cecilia, nelle “aule sorde e grigie” del Teatro alla Scala, mostrano con impietosa perfezione, quello che una grande orchestra e un grande direttore riescono a fare con un grande capolavoro musicale. Da quando frequento quel teatro non ho mai vissuto una serata così emozionante.

2) Symphonie fantastique, Op. 14 di Berlioz: 18 settembre 2011, l’Orchestra Verdi (diretta dall’ottima Zhang Xian) si cimenta con profitto in una partitura di delirante virtuosismo, a dimostrare che a Milano la musica è ancora viva…basta rimaner fuori dalla graziosa costruzione del Piermarini!

3) Marija Veniaminovna Yudina: grandissima pianista russa (quasi sconosciuta in occidente), compagna di corso e amica di Sofronickij e Šostakovič, era la pianista preferita da Stalin, tanto che, quando venne trovato morto la mattina del 5 marzo 1953, nel giradischi della sua camera da letto fu trovato il disco del Concerto per pianoforte e orchestra in La maggiore, K 488 di Mozart, inciso dalla Yudina in fretta e furia in una notte del ’43, quando il dittatore sovietico “pretese” una registrazione di quello stesso concerto ascoltato poche ore prima alla radio (la Yudina lo stava eseguendo in diretta al conservatorio di Mosca e la trasmissione non fu registrata, così, gli agenti della Čeka, per non incorrere nelle ire del “montanaro del Cremlino” – come scrisse a prezzo della vita il povero poeta Mandel’štam – prelevarono la pianista nel cuore della notte e la condussero in uno studio di registrazione per incidere subito il pezzo: ne uscì un capolavoro). Tra le incisioni rimaste (dalle meravigliose Variazioni Goldberg sino a Beethoven), voglio “servire in tavola” proprio l’adagio di quel concerto mozartiano e proprio in quella straordinaria e fortuita incisione…la stessa incisione che commosse Stalin:

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Gilbert-Louis Duprez

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Per il Rebatun vorrei proporre due cose che mi hanno particolarmente colpito nell´anno che sta per finire. Due tenori, uno storico di cui conoscevo solo il nome ed uno recente, che ho risentito live dopo qualche tempo:

il primo è il tenore francese Louis Cazette, morto a soli 35 anni, che avrebbe potuto diventare il successore di Edmond Clément. Non ha lasciato molte registrazioni e questa – anche se la qualità è tutt´altro che eccellente – la trovo splendida per il timbro bellissimo, la purezza del suono, il fraseggio variato e la voix miste esemplare:
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il secondo tenore, Joseph Calleja, l’avevo sentito l´ultima volta due anni fa nella Bohème a Vienna e l´ho risentito in concerto poche settimane fa. Chi ha letto la recensione sul Corriere l´avrà trovata un pò troppo euforica… – ma insomma questo è uno dei pochissimi cantanti oggi che mi fa andare in teatro e – secondo me – che SA CANTARE . Bello vedere come sta crescendo, sia come cantante sia come interprete.

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Selma Kurz

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Nel 2011 ho sentito molte cose mediocri, qualche cosa che potrei definire di ascolti peggiori in assoluto e almeno tre cose molte belle il cui ricordo vorrei condividere con voi.

1) A gennaio, prima di Pagliacci e Cavalleria rusticana, il maestro Daniel Harding è venuto alla Scala per dirigere l’Alpensinfonie di Richard Strauss. Con dei mezzi strumentali che erano tutt’altro che perfetti, soprattutto quanto riguarda i fiati suonaccianti, Harding ha investito tutte le sue forze in una lettura orizzontale, molto retorica ed eloquente, dell’opera invece di darsi alla prova (a priori pronta al fallimento coll’orchestra scaligera) di costruire verticalmente un edificio sonoro opulente e stereotipicamente tardo-romantico alla Karajan. Trattandosi di una sinfonia ispirata dall’esaltazione nietzscheana della montagna e del picco nell’ambito della sua topologia filosofica, Harding ci ha proposto un viaggio che era quello interiore ed ascetico di un pensatore, con delle sonorità austere, dei tempi molto generosi e sostenuti con grande intensità nei momenti culminanti ed un’espressività che facevano di questo pezzo un vero racconto invece della mera illustrazione paesaggistica a cui viene spesso ridotto.

2) Ancora a gennaio sono andata a Torino per il Parsifal in cui ho trovato non solo una regia molto intelligente e attenta alla musica ed un Gurnemanz commovente che trasformava ogni sua frase in un gesto o un pensiero chiaro e nobile, ma anche una direzione il cui approccio rimane per me quello più adeguato alla fattura del Parsifal. Limpidezza, leggerezza, spontaneità e laconismo che danno l’impressione, come lo disse (e come l’eseguisse!) Pierre Boulez, che questa musica sta per nascere di nuovo, dal nulla, in ogni battuta. L’effetto era quello non di un’opera wagneriana “pesante”, ma di un libero flusso di materia senza ossa e rigide strutture che fece volare via il Parsifal come una Traviata. Anche Parsifal è un’opera.

3) Il concerto di Jessica Pratt e Shalva Mukeria a Parma il 12 novembre è stata un’esperienza singolare per l’esuberante quantità di un canto di altissima qualità che abbia sentito in sole due ore. Rimane indimenticabile l’ambiente di entusiasmo e di generoso cambio fra pubblico ed artisti. E’ stata una serata dove si è esclusivamente parlato il linguaggio del Canto – messe di voce, filati, smorzature squisite pure in un brano banale come “La donna è mobile”, colorature acrobatiche…

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Giuditta Pasta

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Ci avevano annunciato che avremmo finalmente visto, dopo anni di fitte tenebre, le stelle della lirica nel cosiddetto primo teatro italiano. E le abbiamo viste, difatti, in sede di presentazione della nuova stagione.
Alle nostre fondate perplessità ha risposto l’usato coro di scandolezzate riprovazioni, accuse di sordità preconcetta, non dissimulate insinuazioni sui poteri iettatori di Grisi e soci.
Non passava un mese e la prima divina – Elina Garanca – spariva dal cartellone del “Don Giovanni”, ufficialmente per motivi personali.
Alla pubblicazione del programma definitivo si scopriva che l’altra divina – Anna Netrebko – non avrebbe sostenuto tutte le recite in abbonamento, come inizialmente previsto, ma solo le prime quattro. Recite che si sono poi ridotte, ed è notizia di poche ore fa, alla metà esatta, avendo la cantante cancellato le ultime due.
Se fossimo davvero ciechi e sordi potremmo conformarci allo spirito natalizio, sposando la tesi dell’improvvisa indisposizione. Il problema è che abbiamo visto e sentito per ben due volte la signora Netrebko tentare di venire a capo della parte di Donna Anna, emettendo suoni in difetto di appoggio e quindi poco sonori all’entrata e pigolati alla scene delle maschere, gridando la prima aria, incespicando nella seconda e compitando malamente il duettino al finale secondo, assecondata in questo dal calamitoso Don Ottavio di Giuseppe Filianoti.
Il teatro e il suo fedele pubblico, ossequiosi e proni alla fama planetaria della signora, le hanno riservato la migliore delle accoglienze, ma il doppio forfait si è prodotto ugualmente.
Come si vede non sono i fischi ad allontanare i divi dalla Scala, ma ben altre carenze.
Così il rebatun non poteva che essere dedicato a un frammento del “Don Giovanni”, affidato a una delle più straordinarie voci di Hochdramatische del Novecento. Una cantante che fu, con Birgit Nilsson, l’ultimo esemplare di soprano drammatico applicato alla parte, che di lì in poi sarebbe stata dominio al più di voci lirico-spinte, quando non di Zerline, anche grandi, grandissime, ma pur sempre Zerline. La qualità del legato, la facilità del canto fiorito (tanto più sorprendente in una cantante avvezza ad Elettra, non solo quella di Mozart ma anche quella di Strauss), il perfetto dominio del registro acuto, che sono poi i medesimi che si riscontrano in un’altra grande Donna Anna, Frida Leider, costituiscono uno straordinario regalo di Natale, e l’occasione per riflettere sulla cosiddetta liricizzazione, che è poi nei fatti una miniaturizzazione, che avrebbe dovuto riscattare Mozart (con Verdi, Wagner e tanti altri) dal canto approssimativo e in difetto di finezza, tipico delle grandi voci, e ha invece prodotto i bonsai del nostro presente, incantevoli (…) quanto fragili e di cagionevole salute.

Mozart – Don Giovanni – Crudele?…Non mi dir – Gertrude Grob-Prandl (1950)

Ancora Buon Natale dal vostro
Antonio Tamburini

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Cosa mi ha lasciato il 2011 e cosa mi porterò dietro nel 2012?
Domanda impertinente e di difficile risposta: basterebbe poco a demolire tutto, ma comprensibilmente, la bellezza, quella vera, resiste sempre e si imprime nella memoria.
Solo i bei ricordi, solo gli ascolti migliori, solo le serate che hanno unito al piacere dell’ascolto anche il coinvolgimento emotivo più naturale e spontaneo, magari quando meno te l’aspetteresti.
Così mi trovo a pensare alla gradita impressione che mi ha lasciato “I Vespri siciliani” torinesi in cui sono diventati protagonisti la scintillante bacchetta di Noseda, i preziosismi di una compagine orchestrale che ha pochi eguali in Italia, la coesione e coerenza di un cast più che dignitoso, con un Kunde in forma ottimale e galvanizzato dal direttore e dalla regia, una inaspettata Agresta spavalda nell’affrontare un ruolo mostruoso come Elena riuscendo nell’impresa a testa alta, un regista, Livermore, ed uno spettacolo amaro e “politicizzato”; il tutto giustamente premiato dal pubblico e dalla critica.
Penso alla “Poppea” monteverdiana di Firenze colpevole di avermi fatto detestare il suo autore (grazie soprattutto al mortifero direttore ed all’afa infernale), ma anche di avermi rivelato il talento della bravissima Susan Graham, mezzosoprano raffinato dalla voce fresca e ben impostata che fa comprendere come il “barocco” possa e debba essere affidato a VOCI non a pseudofuffari paracoristi in libertà vigilata e ammantati dal falso “specialismo”, calci in gola tra i più calamitosi degli ultimi anni; e sempre rimanendo in territorio fiorentino, che dire della magnifica, lasciva, modernissima “Salome” messa in scena da un Carsen lontano dal lambiccato, orrido, indigesto, irriconoscibile nulla d’autore (?) del “Non Giovanni” scaligero, e coadiuvato da almeno due elementi di spicco nel cast, Janice Baird e Kim Begley, più che discreti nel canto e nella resa scenica dei personaggi.
Ricordo l’ascolto dell’ “Adelaide di Borgogna” radiofonica dal ROF di Pesaro in cui una Pratt in stato di grazia spalancava un abisso tra lei e una Barcellona ormai più sul viale di Mamma Lucia che su quello di Eboli; oppure l’Harding tutto sfumature di “Cavalleria rusticana/Pagliacci” che mi diede l’illusione di ascoltare un’ orchestra scaligera formata da professionisti coerenti e sensibili; o ancora le prove commoventi di Eva Johansson e Felicity Palmer nell’ “Elektra” romana, le quali pur nella loro imperfezione, pur nel logorio dei propri mezzi, comunque ancora cospicui, trasmettevano la potenza dei sentimenti più basici.
Infine, ed è un omaggio che voglio fare ai nostri lettori, come dimenticare il magnifico “Parsifal” torinese, ovvero lo spettacolo che forse più di tutti stupì la nostra agguerrita e attenta chat, l’ascolto, anche dal vivo, che mise tutti d’accordo, quello che fece tornare “di moda” e diede forza alla parola QUALITA’: voglio riproporvi la registrazione di quelle recite affinché possiate ripercorrere la profondità di una direzione d’orchestra (Bertrand de Billy), che oggi ha ben pochi paragoni, e di un cast non di fuoriclasse e non perfetto, ma che possiede in almeno quattro elementi (Ventris, Goerke, Youn e Rydl) quella verità teatrale, quella forza musicale che noi andiamo a cercare nella musica e nel canto.
Auguro a voi, cari lettori, ed alle vostre famiglie un felice Natale ed un ottimo 2012.

Wagner. Parsifal. 2011. Torino. Christopher Ventris (Parsifal). Ghristine Goerke(Kundry). Jochen Schmeckenbecher (Amfortas). Kwangchul Youn (Gurnemanz). Kurt Rydl (Titurel). Mark Doss (Klingsor) Dir.: B. de Billy
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(link da TodOpera: http://www.todoperaweb.com.ar/musica_990.html)

 Marianne Brandt

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I pochi dischi e cilindri incisi dal leggendario Edouard de Reszke ci documentano solo quel che avanzava della sua grande voce al termine della carriera. Niente di più indicato quindi, per il nostro festoso Rebatun (pasto a base di avanzi), di questo brindisi, in cui il basso polacco attraverso il suo esemplare imposto vocale sul fiato, il suo timbro chiaro e naturale, la sua pronuncia nitida, ed i suoi formidabili trilli graniti, illumina le nostre coscienze su come debba suonare la vera voce di basso, e soprattutto su come un vero basso debba cantare, al di là del suo stato di forma non ottimale. Una lezione per gli odierni, numerosi, sedicenti bassi-baritoni (categoria tanto vaga quanto – oggi – diffusa), o forse solo il miraggio di una civiltà canora che non tornerà mai più. Ben consapevole che non tutti purtroppo saranno in grado di apprezzare questo trillante cimelio, rinnovo comunque a tutti quanti i miei auguri di buone feste.

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Giambattista Mancini

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Ecco il mio rebatun: tre piatti, saporiti, di grande carattere per un pranzo raffinatissimo.

Come primo, l’energico Manfred di Schumann con la straordinaria bacchetta di Gino Marinuzzi, magnifica scoperta di quest’anno e motivo, per il sottoscritto, di grandissime emozioni.

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Come secondo, un piatto leggero ma di grande qualità: l’aria del Conte dal Barbiere rossiniano con un fine tenore di grazia: Giovanni Manurita, scelto per il suo straordinario controllo del fiato, per le splendide mezze voci, per il fraseggio e per un gusto d’altri, bellissimi tempi.

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Dulcis in fundo, un sorbetto digestivo: “Depuis le jour”, affidato a una delle più eleganti voci francesi, Ninon Vallin: leggera, aulica, perfetta nella tecnica e seducente nel gusto.

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Buon appetito.

Manuel García

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Nell’anno che ormai volge al termine personalmente non ho trovato molto nel campo operistico per cui gioire o di esaltante. Condivido l’entusiasmo su Harding, capace di dire qualcosa di nuovo senza rinnegare il passato storico-esecutivo dell’opera. Ma poco di altro. Mi sono così rifugiato nel tanto vituperato passato e mi sono così imbattuto in una lista, la cronologia dei concerti che Arturo Toscanini eseguiva quasi settimanalmente con la NBC Orchestra di New York. Ne sono rimasto stupito per i programmi di enorme fantasia e ricercatezza, feste musicali dove autori classici come Beethoven, Wagner si uniscono a Martucci, Catalani, Elgar, Shostakhovic per creare vera vivacità culturale e artistica. Non già gli integrali punitivi cari a tanti direttori odierni.
Ma ciò che nelle esecuzioni mi ha poi colpito è stata la precisione esecutiva di Toscanini, nel 1938 ancora lontano dall’essere il Direttore Mito che ha portato al cosiddetto “toscaninismo” che a sua volta ha portato alla messe di emuli che di Toscanini hanno saputo solo prendere i difetti per tramutarli in disastri. Varietà di dinamica, suono pulito e preciso ricavato da un’orchestra per giunta appena fondata e quindi di nessuna tradizione., soprattutto la preparazione che Toscanini riserba ad ogni autore, sono per noi motivo di stupore e sintomo del grande rispetto verso l’autore e verso il pubblico che un direttore Toscanini aveva e dimostrava. Quello stesso rispetto e quella stessa preparazione che oggi abbiamo scambiato per figure direttoriali che auto celebrative, per niente curanti del pubblico o della creazione d’Arte.

Adolphe Nourrit

Riporto un piccolo estratto della cronologia.

November 5, 1938
Graener: Flute Of San Souci
Barber: Adagio & Essay For Orchestra
Debussy: Iberia
Dvorak: Symphony No. 9

November 12, 1938
Beethoven: Coriolan Overture
Schubert: Symphony No. 2
Wagner: Parsifal. Good Friday Spell
Franck: Les Eolides
Meyerbeer: Dinorah Overture
With Chorus Of Metropolitan Opera

November 19, 1938
Schumann: Manfred Overture
Mendelssohn: Symphony No . 5
Wagner: Meistersinger, Prelude Act 3
Berlioz: Romeo & Juliet – Love Music
Rossini: William Tell – Passo A Sei & Dance Of The Soldiers

November 26, 1938
Smetana: Bartered Bride Overture
Martucci: Symphony No. 1
Liszt: Orpheus
Ravel: Daphnis & Chloe No. 2

December 3, 1938
Beethoven: Symphony No. 3
Wagner: Forest Murmurs
Wagner: Siegfried’s Funeral Music
Wagner: Rienzi Overture

RossiniSemiramideOuverture – dir. Arturo Toscanini (1938)

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Il mio rebatùn si compone di pensieri diversi.
Sono pochi gli artisti che mi hanno detto qualcosa nell’anno che se ne sta andando, ma vale la pena nominarli, perchè è quello che funziona che merita di essere ricordato, magari imperfetto, come la combattuta Santuzza di Luciana d’Intino, tanto combattuta da essere presa in contropiede dal trionfo con cui il pubblico scaligero l’ha accolta alle singole e la cui espressione sorpresa e felice resterà a lungo nei miei ricordi. Il pubblico ama chi lotta, che si ingegna per fare meglio, chi lo onora con il proprio lavoro, e dovrebbe sempre riconoscere il progesso di un artista. Come Jessica Pratt, che a Pesaro ha stupito ed impressionato perchè finalmente ha messo piede su quel piano tecnico cui si voleva arrivasse anche prima. I suoi Puritani As.li.co. sono stati il grande HUGH! di chi, dalla provincia lombarda, ha dimostrato allo star system cosa sia una vera belcantista con le carte in regola per essere la numero uno del mondo.
Ci sono stati anche i poeti, come Shalva Mukeria, che è arrivato a toccare il cuore del pubblico con la sua morte di Edgardo veneziana, un capolavoro di espressività e tecnica vocale che sarà sempre uno dei must della mia vita di melomane; e con lui Kwancioul Youn, il monaco buddhista del Parsifal di torinese, che ha trasformato il canto di Gurnemanz in un lied-preghiera indimenticabile.Con loro sta anche la coppia Hui He-Pinchas Steinberg, che hanno commosso tutti con lo strazio disperato della piccola Butterfly, o lo stesso De Billy con la sua orchestra trasparente, nitida, ultraterrena. E il maestro Noseda, che in pubblico, come la sera delle prove aperte del concerto scaligero wagneriano, non sa atteggiarsi a showman o a divinità rivelata, e parla come un semplice, un uomo comune un poco in imbarazzo, ma poi…dirige. Gira le spalle al pubblico e fa, perchè quello a lui compete. Fa bene, con preparazione ed arte, mentre lo star system continua ad essere governato da vecchi che non hanno più nulla dire e nessuna voglia di fare, e sponsorizzano per ragioni extramusicale giovani incapci ed imbelli per continuare a regnare indisturbati sul mondo della musica.
Questi son gli eventi che più mi hanno impressionata, perchè, per certi versi, fuori dalla corrente mediatica che alimenta i divi di plastica, la falsa cultura  intellettualoide del teatro di regia, delle stagnole luccicanti senza contenuto che la majors dell’opera pompano come “arte”. Ce ne sono certamente altri di artisti come questi di cui noi non abbiamo parlato, ma che ognuno di voi ha il dovere di cercare in autonomia da chi ci pretende di dirci dove dobbiamo andare e chi dobbiamo applaudire. Questo non è il sistema per far sopravvivere l’opera, ma per accellerarne la fine stritolando quel poco di buono che in autonomia sorge.
Questo sito ospita ora un certo numero si persone, scriventi ma anche molte semplicemente lettrici. Ad onta della diffidenza che è stata alimentata contro di noi dalle ” centrali del consenso” ( tanto per citare qualcuno..), molti vengono a leggere, ad ascoltare, a confrontarsi.
Sono orgogliosa di avere dato linfa al pensiero libero ed indipendente di giovani lettori come Mancini o Papageno, che qui dicono di avere trovato ragioni di pensare e studiare il canto, la sua storia, il suo senso, le ragioni tecniche. Il pubblico irregimentato fa comodo ad un teatro retto da falsi contenuti, incapace di catturare il pubblico con gli strumenti propri della lirica e contribuisce alla fine di quest’arte già così di nicchia e “fuori stile” per la nostra civiltà dell’immagine. Forse saremo anche la dimostrazione vivente che il teatro d’opera è un genere finito pechè siamo minoritari, ma, vista dall’altra parte, potremmo anche essere la dimostrazione che non è necessario adeguarsi alla bassa cucina per mangiare. Gli artisti di cui sopra non sono nostre creature, esistono di per sè, e provano, dato il successo che hanno riscosso quest’anno con le loro prove, che si può fare bene anche in modi diversi da quelli medimaente in uso e che, fatto più importante, il pubblico riconosce il loro valore. Oggi il publico attento si ritrova non  più a parlare di canto, di musica, ma di tecnica. E’ costretto ad interessarsene per capire, per trovare un senso, che è del tutto nuovo e diverso ( anche se improprio, a ben pensare ), a ciò che vede. E questo è un fatto sintomatico di qualcosa che non và nel teatro di oggi, ma che i più pare non vogliano riconoscere.
L’opera, e con questo chiudo, non ha bisogno di essere svecchiata, o adattata al presente, perchè comunque ogni esecutore è figlio del proprio tempo, e ciò non significa affatto snaturare un prodotto artistico nato centinaia di anni fa per comunicare con la gente di oggi. Questo è l’alibi di chi deve giustificare i limiti di certa mediocrità predestinata al successo senza ragioni profonde, senza i percorsi ” veritativi” ( il fare esperienza..) necessari alla costruzione di artisti veri e solidi, come la coppia di vechie regine del belcanto che tutti voi conoscete tuttora testimonia.

Perciò vi dedico un’ascolto volutamente anacronistico ma straordinario. Ancora auguri a voi tutti.

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Giulia Grisi

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Il mio pensiero è sicuramente l’ultimo, l’ammazzacaffè o qualcosa di simile.
Perchè Milly, cantante di cosiddetta musica leggera? anche se ormai è una musica leggera che si può definire CLASSICA.
Perchè Milly, dalla lunghissima e variegatissima carriera, era una donna intelligentissima sempre pronta a mettersi in discussione e cambiare ed esemplifica l’essere ARTISTI.
Nel suo campo è una sorta di Schipa, di Muzio, di Ninon Vallin o di Lotte Lehmann, perfetta nel cambiare voce, colore ,espressione, persino colore delle vocali a seconda del brano dell’autore dell’epoca, cantare brani di sottile ironia gusto liberty, altri espressione delle piccole cose anni Quaranta, sino alla musica francese impegnata a Weil-Brecht ed ai cantautori italiani anni ’70.
Non sono emozioni facili da sentire perchè l’arte, quella che parla all’anima ed all’animo, non si può riferire con le parole.
Noi che non possediamo quest’arte possiamo solo ammirarla, stupircene, al massimo godere di averla compresa.

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Domenico Donzelli

17 pensieri su “El rebatun de san Steven

  1. Donzelli…
    Milly è ” ‘a morte mia”…
    dizione, musicalità, espressività, fiati espressivi…
    Me la ricordo al San Babila… prima dei mega-cinema e quando ancora I Legnanesi riempivano l’Odeon.
    Altri tempi.

  2. Donna Grisi giustamente dice che ogni esecutore è figlio del suo tempo,ma si può benissimo confrontarsi col pubblico attuale(pubblico figlio anche lui del suo tempo)senza cercare forzature di modernizzazione,se ci fosserò o desserò tempo ai cantanti di crescere…però adesso su queste ultime battute tra Mancini Tamburini e Nicola cosa si può dire …”siamo tutti figli del nostro tempo” giustamente se gli interpreti,e cantanti non sono all’altezza parliamo di un genere destinato all’estinzione,quello che continua e chiameranno opera,sarà solo un surrogato,per i figli del tempo del domani.

  3. comunque con uno sforzo di fantasia vorrei immaginare i nostri compositori cominciando da Rossini,e andando avanti,vivere nei nostri giorni portandosi dietro gli spartiti,e confrontarsi,penso che anche loro avrebberò portato qualche piccola modifica,per cercare un rapporto più consono col pubblico.

  4. Caro Mancini, riconosco la superiorità della Berganza, e non mi permetterei mai di contraddire un tuo giudizio, so che ne sai più di me. Rimane il fatto che secondo me ha una pronuncia (francese) pessima, a un primo ascolto non ho capito una parola di ciò che ha detto. E questo non credo c’entri necessariamente qualcosa con la capacità di riconoscere un buon cantante o meno.

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