Sorella Radio: Faust dal MET

Il “Faust” di Gounod è, tra le opere irrinunciabili nel repertorio del Metropolitan (vecchio o nuovo poco importa), certamente una delle più amate dal pubblico e dagli esecutori. Tutti o quasi tutti i grandi tenori lirici e lirico spinti (oltre a parecchi tenori di grazia all’antica naturalmente, perchè gli attuali potrebbero al più essere validi Siebel) hanno affrontato questo titolo a New York. Scorrendo gli annali del teatro può capitare di imbattersi, atteso il cospicuo numero di prime parti previste in partitura, in autentici cast all stars, e talvolta appare incerto quale sia il nome che maggiormente risalti in cartellone. Per l’appunto da simili cast sembrano aver tratto ispirazione gli attuali gerenti del teatro newyorkese, scritturando come protagonista Jonas Kaufmann, incoronato a furor di critica e di case discografiche come il più grande tenore del mondo, la voce onnipotente e l’interprete senza eguali, che ritorna al gran cimento dopo avere rivestito i panni del dottore goethiano a Zurigo nella stagione 2004/5. Va da sé che la scelta degli altri esecutori si attenga ai medesimi principi che hanno guidato la scelta del primo uomo, che l’opera venga proposta in un nuovo, e si spera convenientemente lussuoso, allestimento e che tanta produzione sia trasmessa in HD nei cinema di tutto il mondo e ovviamente anche via radio.

Tale sovraesposizione mediatica impone, o dovrebbe imporre, una serie di riflessioni sulla qualità del prodotto così copiosamente diffuso. In difetto o in assenza delle stesse da parte dei responsabili della scelta apparirebbe legittimo dubitare, non già dell’onestà intellettuale dei soggetti in questione, ma della loro capacità di adempiere a un compito così oneroso.

Yannick Nézet-Séguin  aveva diretto a Milano uno scialbo “Roméo et Juliette”, si prende una parziale rivincita in questa produzione. L’orchestra appare di livello superiore alla media (ultimamente non proprio lusinghiera) delle rappresentazioni al Met, con un suono pulito ed elegante, che rende giustizia ai momenti elegiaci (introduzione, scena del giardino, preludio del quarto atto, quadro conclusivo) mentre non risolve a dovere quelli popolareggianti o tragici (un poco compassato il secondo atto, fiacco e metronomico il ritorno dei soldati, fragoroso ma in difetto di solennità e mistero il finale del sabba). Sempre molto discutibile e, nelle voci femminili, al limite dell’amatoriale la performance del coro.

In epoca di proclamata adesione filologica ai desiderata dell’autore il quarto atto viene proposto in una versione alquanto eccentrica, che recupera “Il ne revient pas”, ma taglia la susseguente arietta di Siébel “Si le bonheur à sourire t’invite”. La scena della chiesa, che nelle esecuzioni di tradizione, con la soppressione dell’assolo di Margherita, apriva di fatto il quarto atto, viene spostata al termine dello stesso, dopo la morte di Valentino. La nuova collocazione della scena della chiesa, prodotta, a quanto è dato supporre dai vagiti che si odono a conclusione della stessa, da esigenze di regia (Margherita partorirebbe quindi in chiesa, o forse nella stessa avrebbe modo di perpetrare l’infanticidio), può trovare un’ulteriore giustificazione nel desiderio di rendere meno onerosa, per Marina Poplavskaya, l’esecuzione delle due grandi scene del quarto atto, che nella versione originale risultano di fatto collegate senza soluzione di continuità. Il ritorno dei soldati e la morte di Valentino possono in effetti offrire un congruo “riposo per la voce”, a patto che la stessa sia in condizioni almeno presentabili. Non è questo il caso della signora Poplavskaya, che cantando con poco o inesistente appoggio e sostegno del fiato dà prova di una consunta voce di soprano leggero, gonfia in basso e quindi malferma dal centro in su, ridotta ad accennare quando deve cantare piano (ballata del re di Thulé) e costretta, al primo accenno di mezzoforte, a gridare scompostamente e con sistematici cali d’intonazione sui primi acuti (scena del carcere). Più ancora che l’esecuzione diciamo traballante della celebre aria dei gioielli, quel che colpisce è l’assenza di vero legato nei passi cantabili, e più ancora l’incapacità di esprimere il turbamento della fanciulla di fronte alle profferte del seduttore. Tanto per cambiare, insomma, è la limitata tecnica di canto a limitare l’interprete, e non già la grandezza dell’interprete a riscattare i limiti dell’esecutore. Veramente arduo risulta poi distinguere timbricamente questa Margherita dal suo Siébel, Michèle Losier, che con voce egualmente smunta e povera di colori, anche se un poco più aggraziata e musicale, riduce il delizioso personaggio a poco più di un ruola da comprimario. Quando si scorra l’elenco dei Siebel della golden age del Met come la Mantelli o la Oliztska si ha l’immagine degli attuali tempi da tesseramento bellico delle voci!

Non vanno meglio le cose per i signori uomini, principiando dal diavolo di René Pape, ritenuto uno specialista della parte, come se questa voce piccola, in difetto di armonici, sistematicamente in cantina, cui si associa una dizione francese a dir poco claudicante (comune peraltro alla quasi totalità del cast), potesse rendere giustizia a uno dei ruoli monstre del repertorio francese. Poco volume e scarso mordente alla ballata del Vitello d’oro, straziante la serenata, costellata da acuti (re e mi naturali) ben piantati nel naso, berci e risatine che rimandano alla tradizione più deteriore, non già dei Mefistofele, ma dei Leporello. Velleitaria poi la scena della chiesa, in cui mancano sia l’ampleur della vera voce di basso, sia l’eloquenza di stampo squisitamente cattolico con cui è chiamato ad esprimersi il Principe delle tenebre, qui ridotto a una sorta di svogliato scaccino. Insomma un Sacrestano della Tosca che voglia spaventare Angelotti e Cavaradossi. Degno contraltare di cotanto Satana è il Valentino di Russell Braun, per il quale basta il senescente attacco del recitativo che precede “Avant de quitter ces lieux” a definire e il cantante e l’interprete. Le cose vanno un poco meglio alla scena della morte, ma la natura declamata della stessa non dovrebbe costituire l’alibi per un canto difficilmente distinguibile dal parlato.
Come per le voci femminili appare difficile, se non impossibile, distinguere i timbri degli esecutori quando cantano assieme. Nella scena del terzetto si ha addirittura l’impressione di assistere a un concertato di baritoni corti e sfiatati. Il protagonista ha infatti la voce sistematicamente incravattata, bassissima di posizione, enfia e artificiosamente scurita, a conferire quelle “bruniture” che sono considerate attribuito irrinunciabile dell’Heldentenor wagneriano moderno (come Collina insegna). Da una simile organizzazione vocale derivano non solo una dizione impastata e sovente incomprensibile (come già nel celebrato “Werther” parigino) e l’assoluta incapacità di cantare piano senza che la voce vada indietro e risulti sfalsettante (primo incontro con Margherita), ma l’impossibilità di salire ad acuti che risultino pieni, facili e squillanti. Illuminante in tal senso, nella cavatina, il do de “la présence”, ghermito con udibile sforzo e che risulta in chiusa persino calante d’intonazione, ma gli sforzi e le contrazioni di gola risultano insufficienti già sui la bemolle nelle frasi immediatamente precedenti. Intonazione molto dubbia anche nella zona do centrale-fa diesis acuto (ancora alla ripresa di “Salut demeure” o alla finale della scena del sabba: “Je veux la voir”), come accade alle voci che non sappiano eseguire correttamente il passaggio superiore. Molto limitato – e non è una sorpresa, né una novità – anche l’interprete, che nel corso dell’intera serata non trova un colore, un’inflessione, una sfumatura diversa da un bofonchiare indistinto che sconfina a più riprese nella proverbiale scuola del muggito. Che canti Wagner, Gounod o gli autori veristi, il più grande illustre tenore del mondo  esprime solo la propria inadeguatezza tecnica e la totale indifferenza rispetto alla musica che è chiamato ad eseguire. Quando si dice la costanza dei grandi cantanti! O forse è ancora una volta il nostro Corriere, con la complicità della sempre più satanica Sorella Radio, ad avere frainteso la grandezza, il pathos, la novità e ovviamente la profondità interpretativa di un fenomeno di tal fatta.

Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube Immagine anteprima YouTube

111 pensieri su “Sorella Radio: Faust dal MET

  1. Kauffamn come cantante è come un ballerino zoppo che balla il ruolo del Principe in uno dei tantissimi balletti classici. Voi andreste a vedere un principe zoppo che magari fa cadere Odette? Io no!

    Continuo a non capire perché ad un ballerino non tecnicamente ferrato vengano sbattute le porte in faccia quando presenta la sua mediocrità (non ci vuole molto a capirlo = basta vederlo) mentre si permette a Kauffman non dico già di cantare un repertorio difficile, ma solo cantare qualsiasi cosa quando il canto corretto nella sua gola non è di casa! Solitamente non faccio metafore animalesche, ma bisogna dire che il canto di Kauffman si sta evolvendo sempre più in un grugnito rantolante!

  2. Andrò martedì a sentire il più grande tenore del mondo, la voce onnipotente, in questo Faust! Magari scriverò qui le mie impressioni, sempre che Sorella Esecuzione Live non si riveli più satanica di Sorella Radio (che ho seguito nel finale rimanendo alquanto perplesso).
    Grazie degli ascolti,
    marco

  3. Tutte le volte che ascolto Kaufmann e l’accozzaglia di interpreti che le case discografiche e gli impresari impongono ai teatri di tutto il mondo e al consumatore discografico medio, ne ricavo l’impressione che siano sempre e solo dei dilettanti allo sbaraglio, senza tecnica, senza arte e quello che è più grave senza alcuna idea.
    Meglio allora “La corrida” di quando c’era Corrado alla radio tanti anni fa che le prime alla scala, al met o al covent garden del XXI° secolo.

  4. Condivido la solenne stroncatura di questo bruttissimo Faust.
    E’ interessante un dettaglio che sposta l’ottica su Kaufmann.
    La ‘gola’ , intesa come contrazione della gola e non uso corretto dei risuonatori alti (la maschera), è paradossalmente assai più fonogenica e quindi si spiega il parere di Giacomo, che trova piacevole , rotonda, “bella” la voce del protagonista. E’ esattamente l’effetto di un canto ingolato: non è affatto un caso che le voci più fonogeniche della Storia siano state appunto voci ‘ingolate’ , a partire da Caruso (come negarlo!), continuando con Domingo, Villazon, il primo Cura, l’attuale Kaufmann e parlando di donne…Tebaldi, Netrebko , ec.
    Alfredo Kraus (che ingolato non fu) ebbe i suoi bei problemi con le case discografiche, nonostante il prezioso lascito di alcune incisioni memorabili, e di lui si lodò lo stile, la tecnica ma mai il timbro. Non facciamoci ingannare, quindi, dalle apparenze. Vero è che Kaufmann possa apparire vellutato, scuro, eroico….(in teatro l’effetto è diverso) ma nel suo canto si avverte lo sforzo e….il foniatra sembra sempre essere dietro l’angolo. In tutta franchezza.

    • Come dice la cara Giovanna Casolla: “Io adesso … ho fatto qualche masterclass presso i teatri […] tutti giovani con le voci ingolate: nessuno sa il diaframma dove esiste , nessuno gira il suono, nessuno mette il suono in maschera, nessuno ha fatto esercizi di respirazione. Ma allora dico … E’ il nuovo modo di cantare adesso? […] Perciò ci vogliono i microfoni allora oggi: una volta non ci volevano i microfoni perché la voce era proiettata […] suono in maschera. […] Ed io rimango così”.

      Aggiunge peraltro che lei ha sempre avuto problemi con le registrazioni proprio perché la sua voce era proiettata, differentemente da voci che in teatro non corrono e che nel disco vengono esaltate!

    • Conosco Kaufmann da molto prima che diventasse una star, in quanto ha cantato sei anni qui a Stuttgart. La voce era molto più chiara e alta di posizione, ricordo di lui recite di Bohéme e Traviata assai piacevoli. Tornai a sentirlo nel 2009 a Baden Baden, nel Rosenkavalier, a distanza di tre anni e mezzo dalle sue ultime recite qui a Stuttgart. Rimasi non poco sorpreso nel constatare che la voce risultava artificiosamente scurita e soprattutto considerevolmente diminuita di volume.
      E proprio questa paradossalmente è la chiave del suo successo, a mio avviso. Oggi il pubblico ama sentire lo sforzo nel canto, perchè lo scambia per emozione e coinvolgimento. In questo modo si spiegano commenti come quello del lettore Giacomo, sicuramente in assoluta buona fede. Purtroppo il gusto del pubblico si è guastato, temo irrimediabilmente. Ai nostri giorni, se non fai sentire la gola che gratta e la voce al confine con l’ urlo, non puoi essere una star, ecco tutto.

    • Josef Schmidt e Franz Volker ebbero timbro bellissimo e risultano oggi anche fonogenici, non mi pare proprio che siano ingolati.
      La Nezhdanova e la Morena idem.
      La Muller e la Lemnitz anche, come la Grummer, la della Casa, Siepi, Kipnis, List, Schipa, Pertile, Gianni Raimondi, Schlusnus, la Lubin, la Leider e la lista sarebbe lunga.
      La Tebaldi credo non fosse ingolata nemmeno nella registrazione del “Ballo in Maschera” 😀

      La Netrebko dal vivo francamente ha timbro fastidioso, pronuncia pessima, emissione e volume a singhiozzo e visti i risultati recenti sia in live sia in disco non credo si possa parlare di fonogenia oramai.
      Kaufmann di vellutato, scuro ed eroico non credo abbia nemmeno la barba, soprattutto se registrato, con quei falsettini scambiati per “pianissimi”, con quel timbro querulo e senile scambiato per “eroico”, con quegli acuti acuti sforzati scambiati per “sfolgoranti”, quel continuo sbadiglio calante scambiato per “fraseggio ricco di nuances”.

      Marianne

  5. Non definirei mai la Tebaldi, cantante che non amo mica tanto, ingolata. Direi che aveva problemi sugli acuti, ma ingolata proprio no. Sul centro sapeva cantare a fior di labbro, cosa impedita agli ingolati a meno di falsettare orrendamente come si fa oggi, con esiti anche straodinari, come Vissi d’arte o la mitica Vergine degli angeli. Metterei tra gli ingolati i vari filianoti, meli, alvarez, etcccc pero’. Quelli si!

  6. Non voglio né scatenare polemiche né aprire 1000 dibattiti a latere della questione Kaufmann ma vorrei fosse chiaro il mio pensiero:
    parto da un concetto molto ben chiarito da Alfredo Kraus “Le voci in maschera sono fuori moda, adesso sono di moda le voci ingolate”. Ritengo abbia ragione da vendere.
    Chiariamo il concetto di ‘voce ingolata’ però. Ogni voce nasce in gola, tanto per cominciare: le corde vocali sono in gola, quindi il primo risuonatore E’ la gola. Tuttavia, la TECNICA serve proprio per sfruttare altre cavità , molto meno nocive e più ortodosse (parlando di Canto con la C) , e sono le cavità facciali (seni frontali, seni paranasali, palato alto, persino le cavità degli occhi risuonano….insomma…la famosa maschera).
    Ora, come lo steso Kraus ammetteva: “C’è chi si arrangia…e fa anche una grande carriera arrangiandosi” (vedi “Masterclass A.Kraus-2 cd Bongiovani) . Sarebbe folle e anche un pò sciocco sperare o sognare TUTTI cantanti perfettamente in grado di usare la maschera.
    Torno al concetto di ‘voce ingolata’. E’ quella voce che usa come cavità , come risuonatore NON la maschera ma una posizione più bassa, individuata semplicisticamente come GOLA. Anche il naso fa parte della gola, attenzione: una voce nasale può ben dirsi ingolata. Anche se cantando di naso la voce è ,sì, più stretta ma…almeno dal foniatra si evita di andare. Ci sono poi gole e gole….ognuno ha la sua. Mi pare ovvio ma trovo giusto ribadirlo.
    A questo punto si innestano i nomi che ho fatto, alcuni dei quali totem indiscussi…Caruso….Tebaldi…lo stesso Domingo…ec.
    La Tebaldi usava moltissimo la gola, intesa come cavità bassa e non alta (Callas) : fin dai suoi primissimi anni di carriera calava di intonazione sulle note alte e questo è un indice evidente di suoni presi dal basso e non dall’alto . I portamenti sono un altro indice evidente. E poi ci sono i filmati, guardate la posizione della Tebaldi in Tosca o Butterfly: la gola si gonfia, l’uso degli zigomi è pressoché nullo, sugli acuti si notano sforzi e smorfie tipici di chi spinge e usa la gola.
    Riguardo i pianissimi, scusate….ma i pianissimi più “belli” sono proprio quelli ingolati, poichè chi canta di gola è abituato ad aprirla artificialmente e dare colpi di glottide, magari pure spoggiando il suono…ed ecco i “magici” pianissimi.
    Certo: la Tebaldi aveva pianissimi meravigliosi perchè meraviglioso era il colore della voce, ed erano grandi perchè grande era lei (parlo della corporatura, dell’ampiezza della gabbia toracica, della muscolatura), nulla a che vedere con Kaufmann, che ha pianissimi tendenti all’afonoide, talvolta rauchi del tutto, o ridotti a esili falsetti spoggiati.
    Insomma, c’è gola e gola.

    Inoltre , perchè nominare Voelker (che usava la MEZZAVOCE) o altri cantori? Ognuno ha la sua storia, ognuno ha la sua voce, ognuno ha il suo metodo.
    Una cosa è certa: il metodo di Kaufmann conduce dritto dritto dal foniatra.

    • L’intervento è molto interessante dal punto di vista tecnico! Mi risulta strano credere che una voce ingolata (quindi con un posizione forzata bassa di laringe e palato molle sovra-innalzato) riesca ad essere anche nasale (palato molle abbassato): ossia, deve essere proprio un incapace autolesionista chi riesce a cantare così! XD

      “C’è chi si arrangia…e fa anche una grande carriera arrangiandosi” mai frase più corretta per descrivere la carriera di Domingo, che per me è una NULLITA’ COMPLETA nella storia della vocalità!

      • L’ingolamento non è dovuto a posizioni alte o basse della laringe ma esclusivamente ad un insufficiente, per qualità e quantità, alimentazione del fiato. Se il fiato è carente, il suono allora si sostiene sulle contrazioni della gola, ed ecco l’ingolamento. Chi mette la voce nel naso stringe anche di gola.

        • Il fiato è determinante, vero. Ma lo è ugualmente la POSIZIONE del suono. Domingo, ad esempio, ha un fiato perfetto, un sostegno continuo (eccettuati i suoi falsetti spoggiati, quando fa il “Mucho mucho”…) ma la posizione no…quello che Pertile chiamava il “focus” , quel buchino in cui devono entrare TUTTI i suoni, evitando la cavità bassa detta anche “falsa cavità” (vedi Frittoli, ad esempio…Bartoli…Cura…Villazon….la Remigio….).

          • Domingo non ha affatto un fiato perfetto… semmai ha una fibra d’acciaio, quella sì perfetta.

        • Che il fiato sia alla base del canto mi sembra una cosa OVVIA per non dire tautologica, ed affrontata tantissime volte in tantissime discussioni.

          Purtroppo però la colonna di fiato non esce direttamente all’esterno, ma attraversa tanti altri spazi chiamati gola, corde vocali, laringe, cavità orale e nasale, e nei risonatori, come saprai benissimo.
          Va da se che il canto dipende da tutti questi diversi parametri, e non tutti i problemi si possono semplicemente riassumere in “è il fiato”: ci sarà anche il fiato, ma non solo!

          • Il fiato, se non vuoi spernacchiare, non passa per il naso ma esce dalla bocca. Il fiato non attraversa le cavità della maschera, questa è una sciocchezza. E’ la vibrazione sonora che si trasmette alle ossa del volto facendo risuonare l’aria delle cavità, ma il fiato esce dalla bocca! E solo dal fiato dipende la correttezza di un imposto vocale. Fiato unito a pronuncia precisa. Come affermavano gli antichi maestri, solo chi sa ben respirare e ben sillabare, saprà ben cantare.

          • Io ho parlato della colonna di fiato immaginaria. La colonna d’aria fisiologica, quando si canta, attraversa sì il cavo orale ma in piccolissima parte anche quella nasale: se ti tappi le narici, il suono che senti è tutt’altro che tenendole aperte per il semplice fatto che la colonna d’aria esce in piccola parte (ripeto) anche dal naso. Se esce sopratutto dal naso, quella è nasalizzazzione, che dipende dalla posizione della laringe e del palato molle.
            La vibrazione sonora che viene prodotta col passaggio dell’aria attraverso le corde vocali e la loro contrazione genera energia sonora che risuona nelle cavità di risonanza (i seni) che danno per l’appunto la sensazione della maschera: sarebbe impossibile pensare al fiato fisiologico che entra nelle cavità di risonanza, visto che è OVVIO che queste proprio perché seni non comunicano con la cavità orale o nasale.
            Ma ripeto, sono cose talmente ovvie che il tuo commento, Mancini, mi irrita assai in quanto al solito dispensi saccenza che in questa pacata discussione è fuori luogo. Peraltro in una discussione con EnricoS che sa benissimo il fatto suo e il fatto in maniera di canto! Cerchiamo di evitare toni di supponenza e sufficienza.

          • Evidentemente tu sei abituato a mettere la voce nel naso… tapparsi le narici serve proprio a scongiurare il dubbio della nasalità, come insegna ad esempio anche Luigi Lablache nel suo metodo di canto. Se tappandoti le narici il suono subisce una alterazione, significa che la tua emissione è difettosa. Quanto alla colonna d’aria immaginaria che passa per la maschera… beh, appunto, è immaginaria.

          • Forse mi sono spiegato male, come d’altronde è spiegare cose di tecnica a parole. Ho parlato di poco fiato che esce dal naso ma intendevo descriverlo come immagine.

            Comunque ho fatto una prova, e mi sono accorto che come meccanismo riflesso ho nasalizzato il suono con le narici chiuse, mentre poi l’ho rifatto coscienziosamente e come dici non cambia la qualità del suono se ben emesso.
            Hai comunque ragione nel dire che la voce non debba suonare diversa proprio perché la cavità nasale non è una cavità di risonanza (come già dissi tempo fa, l’hanno dimostrato scientificamente).

          • Le cavità di risonanza fondamentali sono la gola e la bocca. La cavità nasale non è coinvolta direttamente dal fiato, ma può essere partecipe, indirettamente, della vibrazione sonora, che si comunica attraverso le ossa e le cartilagini. In altre parole, è normale che una voce emessa davvero bene, produca vibrazioni anche a livello del naso e della “maschera”, ma si tratta appunto di una risonanza indiretta, o come la chiamano alcuni foniatri oggi, “consonanza”. Tuttavia ripeto si tratta di un fenomeno secondario, che funziona da sé, sempre che il fiato percorra correttamente l’arco armonico.

      • Sai, dipende moltissimo dalle singole fisionomie (altezza del palato, collo, mascelle) oltre che dalla scuola in sé. Capita anche che molti artisti debuttino PRIMA di aver compiuto un completo percorso tecnico. Molti imparano (o disimparano, anche…) direttamente sul palcoscenico. Di recita in recita. Per questo sostengo che ognuno ha la sua storia.
        Citavi Domingo. Io sono d’accordo con te: la tecnica è fortemente deficitaria…siamo al tipico naso-gola …eppure…la carriera fu gloriosa e il repertorio sterminato…ma qui si aprirebbero altre discussioni…

      • non esageriamo. Dire che è una nullità la carriera di Domingo è uno sproloquio inaccettabile. Come in tutte le carriere ci sono anche per lui alti e bassi. Ma ci ha dato anche grandi cose e non per niente è stato uno dei tenori piu’ richiesti e pagati nel mondo. Ripeto: non si esageri con la critica quando diventa un’offesa.

        • Ho detto un’altra cosa. La carriera di Domingo è stata eccezionale, non c’è che dire! Quel che ho detto (ed il problema principale) è che per me Domingo è una nullità per la storia della vocalità in quanto ha affrontato tutta la sua carriera con una tecnica arrangiata e quindi che avesse calcato le scene o meno, la storia del canto vive benissimo senza di lui – peraltro, uno che ha sponsorizzato i vocalmente osceni Villazon, Schrott, Cura, Anastassov, Filianoti e Theododdiou ed i vocalmente-in-cerca-di-collocazione Joyce di Donato e la Gheorghiu, che rispetto storico può avere? Rimango perplesso.
          A me Domingo risulta gradevole in ruoli secondari, ma nei ruoli principali la sua voce è una ridicolaggine!

        • Domingo non è affatto una nullità sotto il profilo della carriera, della fama, del successo, anche dell’importanza storica che ha avuto nel processo di degenerazione del canto e dell’opera. E’ però una nullità totale sotto il profilo artistico, questo sì. Anzi, non è una nullità, è un orrore.

    • Bah, Enrico, non è molto esatto quello che scrivi. La risonanza delle cavità della maschera è un EFFETTO, non una causa della corretta emissione. La gola e la bocca sono le cavità principali in cui la voce si amplifica, e questo non c’entra granché con l’ingolamento. Il vero Canto è quello in cui il suono viene alimentato esclusivamente dal fiato, e mai dalle spinte e dalle contrazioni della gola. L’educazione vocale dev’essere mirata a posare correttamente la voce, a liberarla dalla gola, ad acquisire un controllo artistico del fiato e della respirazione. La voce ingolata è la voce che non sfoga libera e leggera a fior di labbro, ma resta sempre ancorata in posizione posteriore, “indietro”, una posizione che magari le conferisce corpo e larghezza, ma che finisce con appesantirla rendendola forzosa, dura, e poco sonora in teatro.
      I portamenti non sono indice di ingolamento. Il vero portamento è un abbellimento della linea musicale, tutti i trattati di canto vi dedicano un capitolo o un paragrafo, ed è necessario imparare ad eseguirlo correttamente, con la voce ben galleggiante sul fiato, sempre alta di posizione. E’ un errore piramidale confondere il portamento con gli acuti ingolati attaccati tirando il suono “da sotto”.

      Poi dubito fortemente che i pianissimi più belli siano quelli delle voci ingolate… Per cantare piano si deve obbligatoriamente cantare sul fiato, altrimenti la voce si rompe e cade nel falsettino.

      La Tebaldi non è mai stata una cantante perfetta, sicuramente non è esente da qualche suono ingolato (ma qualche c’è qualche imperfezione, si tratta sempre di ingolamento), le difficoltà in acuto sono note a tutti, tuttavia non mi sembra il caso di indicarla come assoluto esempio negativo.
      http://www.youtube.com/watch?v=uUC0UQW_5Fg
      qui per esempio, non che sia del tutto perfetta (le scappa un po’ d’aria talvolta, “rugiadose-h-odorose” per esempio), ma direi che nel complesso non è affatto male.

      Quanto al falsetto o falsettone, tutti i cantanti degni di tale nome ne fanno uso, quindi non capisco la ragione del tuo appunto.

      • Molto semplicemente , Mancini: vi sono cantanti che respirano e appoggiano (o sostengono) il fiato in modo perfetto ma che non hanno la voce in giusta POSIZIONE. I due parametri basilari sono appunto Fiato e Posizione, il resto è….carne….come diceva Lauri Volpi…vile materia.
        Un suono deve PARTIRE dall’alto, essere attaccato dall’alto….ANCHE quando fai un portamento. Infatti anche un suono basso si attacca dall’alto…queste sono le regole minime del Canto. Schipa: “La voce CADE dall’alto sulle labbra e il fiato la fa andare avanti.” REGOLA d’ORO.
        Purtroppo molte scuole indicano la maschera come punto di ARRIVO e non di PARTENZA…questo è il guaio. E così i suoni vengono attaccati da sotto, con il vomito, stringendo la gola, ec.

        • Se il fiato è perfettamente direzionato e controllato, la voce necessariamente si posiziona nel posto giusto. Certo che la posizione è importante, ma è tutt’uno con l’emissione del fiato: cantare in maschera in verità è cantare SUL fiato. Qui sul Corriere è stato pubblicato il trattato di Lazaro, che giustamente insiste molto sul posizionamento del suono nell’arco armonico del palato, e sull’incanalamento del fiato verso i denti incisivi superiori, o verso il labbro superiore (il famoso canto a fior di labbro). Il suono, come dice Schipa, cade sulle LABBRA. L’attacco è lì. La maschera è una conseguenza, così’ come la vibrazione delle cavità toraciche: si tratta di risuonatori indiretti, giacché la voce esce dalla bocca, non dalla fronte (altrimenti la natura ci avrebbe messo una bocca tra gli occhi). Non sono risuonatori coinvolti direttamente dal fiato, giacché cercare di condurre il fiato verso la maschera faciliterebbe solo l’abbassamento del palato molle, e pertanto la nasalizzazione.

          • No, non sono d’accordo Mancini, ma non su tutto…solo sull’interpretazione di alcune tue affermazioni. Anzi, ho la sensazione che stiamo dicendo quasi la stessa cosa ma senza capirci o spiegarci bene.

            1. La voce non si posiziona grazie al fiato giusto, magari fosse così. Aiuta moltissimo, questo sì ma se non fai precisi esercizi per individuare il focus vocale giusto….puoi respirare bene quanto vuoi…ti strozzerai sempre o comunque emetterai suoni non “a gola aperta”. Non è solo il fiato ad aprire la gola. Ripeto: magari. Dici bene, “Non abbiamo le corde in mezzo agli occhi o in fronte , ma in gola”…ed è appunto attraverso dati empirici che un cantante procede per migliorare sé stesso, quindi “pensando” esattamente di avere le corde vocali (o la bocca) in fronte! :-)) Strano, vero? La grande Birgit Nilsson mi disse di aver imparato a cantare un pomeriggio, in due ore, nella sua stanza d’albergo. Controbattei: “Ma come? Non aveva studiato con il tenore Hislop nel suo paese?”. “No, quello mi stava rovinando” mi rispose la Nilsson “mi aveva messo tutti i suoni in gola”. E allora? “Allora, dovendo cantare un concerto importante ed essendo raffreddata , cercai di fare da sola…e in due ore trovai la soluzione, poi adottata per tutta la vita.” E quale? Chiesi. “Pensando di cantare da un punto altissimo, collocato in mezzo agli occhi e sostenendo da un punto bassissimo, che qui non posso nominare.” La tecnica della Nilsson: fiato e posizione, posizione e fiato. L’uno senza l’altra sono inutili o utili solo in parte. Arrangiandosi, appunto.

            2.Giusto quello che dice Lazaro: il suono va incanalato esattamente in quel punto, ma se non pensi di attaccarlo dall’alto….rischi solo di arrivarci da sotto, cioè stringendo la gola o con strane contrazioni. Ripeto: sensazioni, empirismi…il Canto è fatto di sensazioni. La maschera è una conseguenza, verissimo. Ma se il suono non viene attaccato ALTO….è inutile arrivare alla maschera, anzi…impossibile. Molti confondono la maschera con il naso….io direi che TUTTI sono convinti di cantare in maschera. Questo è un altro punto essenziale: l’orecchio interno conta quanto la voce…il grande Tomatis, autore di un trattato fondamentale sull’argomento, spiegò appunto quanto Gigli avesse la voce che aveva grazie al suo orecchio perfetto.

          • Trovo anch’io il libro di Alfred Tomatis, “L’orecchio e la voce” un libro bellissimo ed interessante, che i cantanti dovrebbero conoscere. Peccato che sia fuori catalogo e non mi sia riuscito di acquistarne una copia in più….

          • Solo che questi empirismi in verità derivano non dalla pratica artistica di coloro che il canto lo hanno davvero praticato, ma dalle astrazioni pseudo scientifiche dei foniatri, che hanno inventato nell’Ottocento questo dogma della maschera che, ad oggi, possiamo dire abbia arrecato più danni che benefici. Tutti i cantanti dicono di cantare in maschera, tutti i maestri dicono che bisogna mettere la voce in maschera… ma producono solo allievi con vociuzze nasali e/o ingolate. Non conosco allievi decenti della Nilson o di Kraus o di Bergonzi… Se proviamo a leggere i trattati, non si parla mai di maschera, e quando se ne parla, viene indicata come difetto di emissione (Lamperti). La voce esce dalla bocca, il fiato esce dalla bocca, l’attacco è sulle labbra. La vibrazione poi attraverso le ossa e le cartilagini si trasmette a tutto il corpo, attraverso i denti ed il palato si comunica al resto del volto, al naso, agli zigomi alla fronte, cosicché il cantante che abbia raggiunto l’imposto perfetto, sentirà la voce suonare in maschera, ma è sbagliato pensare di mandare il suono direttamente lì! Ciò che genera la corretta risonanza è il posizionamento del fiato nell’arco armonico, verso gli incisivi, lì deve stare il fiato! La bocca è lo strumento per articolare il suono, per pronunciare, e la voce deve stare lì, facile e leggera, malleabile tra le labbra, come quando si parla (si canta come si parla…). Il suono non è in alto che deve andare, ma semmai va direzionato in AVANTI. Se penso di attaccare il suono tra gli occhi, non farò altro che mandare il fiato nel naso… questo perché il suono fisicamente non potrà mai attaccare in mezzo agli occhi… la vibrazione sì arriva fin lì, ma prima deve compiere un dato percorso, e pensare di prendere una scorciatoia è controproducente. E non è l’orecchio interno che conta, ma quello esterno. La voce ingolata sarà percepita dal cantante, internamente, come molto potente e corposa. Invece il cantante, come ogni musicista, deve imparare a sentire come il suo strumento suona nell’ambiente circostante.

          • Trovo assolutamente interessante quanto scrive EnrisoS e su cui concordo in toto.

            @mancini: le immagini nel canto se le sono inventate i cantanti, non i foniatri, ed è grazie a questi immagini, a questi “empirismi” come li chiami tu, che la tecnica del canto è stata sempre insegnata e sempre si insegnerà. Non ultimo viene ribadito nel trattato di Antonio Juvarra “La tecnica del canto” tra gli ultimissimi capitoli che mantenere le immagini relative a quando si canta bene è la chiave di tutta la preparazione tecnica: mantenere delle condizioni stabili (immagini) per garantire la migliore resa tecnica, su cui poi si innesta l’interpretazione che da un senso alla preparazione e perizia tecnica.

          • D’accordo che le immagini soggettive ed empiriche abbiano una funzione importante per chi, cantando, debba conservare le sensazioni necessarie a fargli ritrovare ogni volta il giusto “focus”, ma a fini didattici le immagini possono rivelarsi fuorvianti, in quanto le sensazioni, le percezioni soggettive che ha un cantante già “arrivato”, con una emissione già del tutto impostata, sono diversissime da quelle che può avere un principiante. Inoltre le sensazioni soggettive quasi sempre sono solo i “sintomi” dell’emissione corretta, ma non colgono la vera causa, l’essenza dell’imposto. Poi per quanto riguarda la maschera, mi risulta che questo concetto sia nato con la foniatria di fine Ottocento, e non dall’esperienza dei cantanti. Tu poi citi il M° Juvarra… ma, ehm, non mi risulta che lui sia un grande sostenitore della maschera… anzi, mi risulta tutt’altro… bocca mia tasi!

            Vorrei chiudere qui. Saluti.

          • Per quanto mi riguarda, puoi chiedere dove vuoi.
            Detto questo, il termine in se “maschera” è un termine della didattica ottocentesca (credo che dalla Marchesi in poi si faccia ricorso al termine, se non erro) ma ciò non significa che questo termine “nuovo” non stesse ad indicare cose “vecchie”: il termine maschera potrebbe benissimo essere interpretato (riprendendo EnricoS) alla sensazione di suono alto e sensazione nella parte superiore della faccia, come peraltro Lilli Lehman descrive nei disegni di come lei immaginava i suoni.
            Infine, non avendo mai legato il termine “maschera” ad affermazioni di Juvarra (a meno che tu legga cose che io non scrivo) per i principianti Juvarra considera scorretti il termine “in maschera” per il suono esatto equivalente di suono avanti, alto, fuoru, sui denti, sul palato.
            Tengo a sottolineare per i principianti! Peraltro è vero che una immagine, che per il cantante formato è efficace, può essere non valida per un principiante, ma se non provi quali sensazioni e quali immagini calzano di più per te, mi spieghi come devi trovartele? Si prova, si sbaglia, ci si corregge: nessuno è infallibile e l’errore è molto più importante delle cose corrette in sede di apprendimento perché instaura un dialogo per ragionare e arrivare alla soluzione corretta.

      • la voce del cantante ingolato quasi sempre non “corre”. La voce parte sì dalla gola dove sono posizionate le corde. ma poi se ben immascherata e sul fiato va. Così come diceva Schipa: la nota arriva sulle labbra e il fiato la spinge.

        • Beh, “spingere” è una brutta parola… poi non è il “fiato” che fa muovere la voce… l’onda sonora si propaga attraverso l’aria, non viaggia mica aggrappata all’alito, altrimenti sai che lentezza… il fiato è semplicemente ciò che innesca il suono, è l’alimentazione della corda, come l’archetto per un violoncello.

  7. Caro enricoS, buon Natale!!!! Heheheehhe
    ……oggi Mancini e’ come babbo Natale, perche’ del canto tutto sfogato documentato solo dai ruderi dell’archeologia fonografica tace
    …..del resto, o ne parli qui con noi o nel webparli da solo perche’ queste cose a chi interessano? Con questa estetica dei gridoni…

    • Buon Natale. Buon Natale!!!! :-))))
      beh…. saranno pure discorsi a cui non frega nulla a nessuno…ma perchè abbandonarsi supini a questo spiacevole andazzo generale? Il FAUST di cui si sta parlando è un esempio catastrofico dell’attuale stato tecnico vocale dello star-system. Domingo diventa ORO confronto a Kaufmann, Ghiaurov diventa PLATINO rispetto a Pape, e basta una normalissima Josella Ligi a mangiarsi in un sol boccone la Poplavskaja, che tra l’altro sembra Ridge di Beautiful!

    • E invece a me interessano molto! Prezioso definirei questo dibattito.Complimenti! Anche se non mi sopportate, vi ho sempre detto che da voi c’è da imparare molto! Inoltre vi sento più sereni dopo la Premiere Scaligera! Un ringraziamento particolare a EnricoS.
      Cordialmente. Cap

  8. x Mancini

    E’ vero che anche il fiato ALTO è fondamentale, cioè incanalare il fiato nella posizione che diceva Lazaro. Molti non ne parlano affatto o non lo insegnano, parlando solo di sostegno basso. Qui sono totalmente d’accordo con te.

    • x Mancini

      Ogni cantante cerca di raggiungere l’optimum, che è quello di avere una voce bella, ampia, squillante, magari sorretta da un fraseggio vario, da una intonazione perfetta, da un gusto e da uno stile impeccabili. E’ il sogno di tutti. Pochi riescono a possedere due, tre di tutte queste caratteristiche: non conosco nessuno che le possegga tutte.
      Sono d’accordo con Mancini quando descrive la fonazione corretta ma in quanto al raggiungimento della fonazione corretta, da lui mirabilmente descritta, no. Perchè bastasse il solo fiato….tutti canterebbero in modo impeccabile.
      Pavarotti predicava “voce piccola, alta e raccolta” , non sbagliando (infatti aveva una fonazione magnifica) : si può persino cantare in perfetta posizione senza quasi usare il fiato, ma con l’ausilio di quello che Gigli chiamava “il respiro”, cioè senza usare la respirazione classica bassa, quella che occorre per le grandi frasi teatrali. Ed è il canto a fior di labbra, esattamente descritto da Mancini, un’ottimo sistema per imparare a cantare con morbidezza , senza pressare il fiato sulle corde, utilizzando l’altezza e di conseguenza la maschera. “Ma” diceva Gigli “quando mi devo impegnare, allora userò il diaframma” . Traduzione: per il canto alato, a fior di labbra, basta quel pò di fiato subito pronto a girare nella cavità alte, per le frasi impegnative ecco che serve l’appoggio classico INSIEME al fiato alto, al respiro. Il diaframma, com’è noto, è una membrana involontaria…un altro mito.
      Diciamo allora, per essere d’accordo tutti che il suono partirà sul fiato e dall’alto, che il nostro orecchio interno avvertirà un suono piccolo, alto e raccolto, “Pavarotti diceva LONTANO da sé…” , e che quindi viaggi AVANTI, il più lontano possibile. Ed è il fiato che lo farà correre AVANTI.
      L’orecchio esterno…sarà quello di qualche anima pia, preparata e amorevole, che ci ascolterà dandoci i migliori consigli.
      Mi chiedo e VI chiedo a questo punto: CHI ascolta e consiglia Kaufmann? Siamo noi i cattivi e lui è un genio?

      • Enrico ma il fiato è il motore della voce! E’ verissimo che per cantare con un fil di voce non serve un appoggio profondo, ma si tratta sempre comunque di fiato! Il fiato per il cantante è come l’archetto per il violinista! Ma credi che sia semplice educare il fiato ad alimentare la voce? Riuscire ad arrivare ad una fonazione totalmente libera, fatta solo di fiato, sempre facile, galleggiante, leggera? Tu dici, bastasse solo il fiato?! Ma caspita, il canto sul fiato è un obiettivo che pochissimi hanno davvero raggiunto in maniera esemplare! E’ molto più comodo per il nostro istinto cantare di gola!

        Giustissimo quel che diceva Pavarotti, la voce “piccola, alta e raccolta”. E’ un po’ come le “parole piccole, mai grandi” di Schipa. Peccato però che Pavarotti fosse poco costante nell’applicare questo principio.

    • Cantare piano significa alleggerire l’emissione, togliere il peso al suono… E’ necessario un controllo esemplare del fiato, ma non direi che la mezzavoce sia più impegnativa da sostenere della voce piena… Anzi, Gigli cantava a mezzavoce proprio per risparmiarsi.

      • Sì, risparmi le energie perché non mandi al cielo dichiarazioni di guerra, ma occhio: perché la mezzavoce è molto, molto impegnativa perché richiede, al fine di diminuire il suono mantenendo la posizione del suono, un aumento della pressione del fiato.
        In questo le parole attribuite dalla Sutherland alla Ebe, sono la pure verità.

        • 1- Non mi sembra che la Sutherland o la Ebe fossero celebri per i pianissimi… ma magari mi sbaglio.

          2 – Se devo aumentare la pressione del fiato, non risparmio affatto energia.

          3 – E’ necessario distinguere la messa di voce, dove effettivamente serve un grande serbatoio di fiato per poter collegare, senza rotture di suono, l’emissione piena all’emissione a mezza voce.

          4 – Cantare piano richiede un alimentazione del fiato qualitativamente elevata, sempre calibrata con grande precisione, ma non certo più dispendiosa del canto a voce spiegata. Enrico dice che la mezza voce è diversa dal falsetto o falsettone… non sono d’accordo. La mezza voce è molto più vicina al falsetto, che alla voce piena. E’ un’emissione priva di peso. Basta leggere anche cosa scrive Lazaro nella lezione sulla mezza voce, pubblicata qui sul corriere.

          • Mancini, mi sono spiegato male. Ci riprovo. Se canto tutto a piena voce e in fortissimo, schiatto dopo 10 minuti. Se canto piano, nel senso che canto, che so, in f o mf o, molto più semplicemente, e solo per intenderci, senza metterci tutta la voce che ho in corpo risparmio energie nel senso che, continuativamente, è meno dispendioso. Se devo però effettuare una mezzavoce, a maggior ragione se la faccio dopo il passaggio, ti posso garantire che cercare di sostenere una voce diminuita di volume cercando di tenere la gola del pari aperta impegna il fiato da matti. In questo senso la piena voce, la voce sfogata è più facile. Se al contrario fosse un ristoro allora, per farti un esempio che conosco bene, tutti i tenori che cantano Carmen, sapendo quel che li aspetta dopo, rispetterebbero il pp rallentato seguito dal si bemolle (per vero comodo) a tempo dell’aria del fiore. Che Bizet prevede in pp anch’esso visto che l’indicazione seguente è di continuare in pp.
            Dici delle messe di voce. Sia in crescendo che in diminuendo, la messa di voce, per come la conosco io, la si potrebbe descrivere come un passaggio, rispettivamente, dalla mezzavoce a voce piena e viceversa su una stessa nota tenuta.
            Anche io sono del parere di Enrico sulla natura della mezzavoce. Io personalmente la sento diversa dal falsetto.

          • Io mi riferisco a chi possiede una educazione del fiato, un imposto vocale esemplari, virtuosi. La mezza voce per me non è questione di impegno o sforzo maggiore del fiato, in altre parole non è questione di quantità di fiato, ma di QUALITA’ del fiato. Parlo della vera “mezza voce”, non delle diminuzioni di intensità all’interno della voce piena, e non parlo nemmeno delle smorzature. Moltissimi cantanti per eseguire l’agilità ricorrono alla mezza voce (pensiamo a De Lucia, oppure ad un soprano come Irene Abendroth che non usava un’emissione piena), perché è più leggera da sostenere della voce piena. Lo stesso Gigli afferma che per cantare a voce spiegata gli serve un appoggio profondo, e invece per cantare a mezza voce serve solo un alito di fiato, leggero ed incorporeo. Dopo il passaggio molti tenori – De Lucia, ad esempio – non ce la fanno ad emettere gli acuti estremi a piena voce, e invece riescono a farlo a mezza voce, in quanto appunto è meno pesante. Tu parli di gola aperta, ma è naturale che cantando a mezzavoce la laringe assuma una posizione più alta, ed il colore sia più chiaro. Poi, la questione del falsetto… bisogna distinguere il falsetto, dal falsettino. Spesso faccio gli esempi di Blake e di Lauri Volpi, che sfruttavano spesso il falsetto (che non è falsettino). Io intendo quello per mezza voce. La mezzavoce certamente per un principiante non è facile. Ma per un cantante esperto è solo questione di mantenere la giusta posizione del suono, e non richiede certo grandi sforzi per essere sostenuta. Richiede attenzione e concentrazione, è più un lavoro della mente, che dei muscoli.

  9. Vi chiedo una spiegazione (essendo medico anche se non ORL): non e’ importante anche la posizione del capo?quando le persone comuni tentano di emettere note alte, alzano il capo, ma cosi’ la laringe si sposta in avanti riducendo lo spazio rispetto al (o alla) faringe e le cavita’ di risonanza. Tutto cio’ non e’ controproducente nei confronti delle risonanze?

    • L’istinto di tendere il corpo verso l’alto per fare le note acute è un errore in cui cadono non solo le persone comuni, ma anche molti presunti cantanti professionisti… Significa che non possiedono un appoggio solido, e devono spingere verso l’alto per trovare l’acuto, quando invece la voce dovrebbe galleggiare sempre sullo stesso piano orizzontale, nella stessa posizione, statica… Oggi abbiamo molti professionisti che in verità canticchiano come dilettanti, guarda questo qui ad esempio come fa ad emettere gli acuti (o meglio, i vagiti):
      http://www.youtube.com/watch?v=P_ihyYvuJcU&feature=related
      non fa ridere? 😀

      E adesso invece guarda come un vero cantante con la voce ferma sul fiato, senza alzare le spalle il petto o la testa, faccia esplodere l’acuto con la sola forza del fiato, riuscendo addirittura, alla fine, ad articolare le parole, praticamente a parlare stando su un do sopracuto!
      http://www.youtube.com/watch?v=0XRfFC1-nss

    • Certo che importante la posizione della testa (fondamentale) ed anche del corpo!
      Se la testa è troppo bassa o troppo alta, la laringe viene schiacciata rendendo difficile la facile fuoriuscita del suono in primis, e quindi poi per le risonanze.
      Purtroppo non si può rendere l’idea a parole di come deve essere posto il capo, sebbene si usa spesso la metafora della posizione nobile, ossia in una posizione rilassata poco poco poco più alta, però chiunque canti sa qual è la migliore posizione per la fuoriuscita ottimale (libera e fluida) del suono.

    • All’inizio ho pensato che Mancini avesse le traveggole sul fatto che la Sutherland non sapesse fare i pianissimi e che nonna Giulia avesse battuto la testa quando scrisse che che la Sutherland non smorza mai.
      Mi sono sentito quindi i due CD “La Stupenda – The supreme voice of Joan Sutherland” e concordo in parte, ossia la Sutherland prediligi i piani ma non i pianissimi come ho invece sentito fare alla Horne o alla Callas, mentre i pianissimi li concentra a fine di parola, quindi a chiusura di parole.
      Per le messe di voce, la Sutherland va forte in quelle dal forte al piano (non pianissimo) mentre quelle complete (che la Horne padroneggiava alla grande) pp – f – pp sono rare.
      Un esempio magistrale di tecnica assoluta:
      http://www.youtube.com/watch?v=9smEr1vq5pI

  10. Vorrei aggiungere una cosa, che mi sembra importante. Su questo sito è stato pubblicato l’interessante libello sul canto di Lazaro e tra i commenti qui sopra si sono ricordate le sensazioni di grandi cantanti.
    Per ciò che riguarda il primo, lo ritengo un documento dall’indiscusso valore storico, tuttavia continuo a pensare che il canto lo si impari a bottega: anzi ritengo senza timore alcuno che la maggior trattatistica sia più deleteria che giovevole e la sospetto piuttosto figlia di un gusto positivista che avrebbe fatto scienza del nonno in carriola dell’autore di turno anziché non di una utilità pratica. Su quest’ultimo punto però mi limito al sospetto che mi ingenera la cultura del tempo in cui fu scritta. Certo quello di Lazaro è un trattato corretto nel senso che ci ricorda, mettendoli a sistema, i fondamentali oggi obnubilati.
    Sinceramente, tuttavia, non ho trovato di immediata illuminazione la descrizione degli esercizi per la respirazione descritti dal caro Ippolito nella sua prima lezione e non credo che nemmeno il suo Metodo di canto contribuisca a schiarire le idee all’allievo; piuttosto, a confonderle.

    Quanto invece alle sensazioni dei grandi, beh… sono sensazioni personalissime penso che anch’esse spesso hanno generato più mostri del sonno della ragione. Appunto perché germogliate su di un ramo dove la soggettività la fa da padrone. E’ tuttavia vero che il canto non li si può insegnare se non per immagini. Ma, ad esempio, la mia maestra smise di dire ai sui allievi di “mettere in maschera” il suono perché regolarmente questi lo ficcavano nel naso.

    • Enrico, ti do ragione su tutto. Preciso solo un paio di cose. Il canto si spiega per immagini sì… ma a volte un esempio vocale vale più di mille parole e di mille immagini, purché il maestro sappia fare un esempio valido con la propria voce. Quanto a Lazaro, alla luce della mia personale esperienza pratica, ritengo che nel suo trattato alcune indicazioni siano molto corrette.

  11. Nessuna arte, no solo il canto, è mai stata trasmessa solo per via di manualistica e trattatistica. Men che meno lo può essere il canto, che può trovare descrizioni, argomentazioni etc ma passa imprescindibilmente per il confronto con un maestro, colui che ascolta dall’esterno e “riflette” l’esito di ciò che l’allievo fa. Trattati e manuali hanno sempre avuto una componente pubblicitaria, diffusiva di certe idee, documentale ed altro. Si leggono, ci si riflette, si valutano, si conoscono, talora aiutano ma non esauriscono anzi..

      • Sì conosco questa registrazione, gira da un po’. Ma pur con tutto il rispetto da tributarsi all’Alta autorità di Recanati, trovo davvero molto pericoloso parlare di suoni che non abbiano bisogno di diaframma. Ché poi chi canta o studia canto da un po’ capisce che cosa voglia dire Gigli (e, se me lo permettete, continuo a pensarne tutto il male possibile), ma se lo ascolta il novizio potrebbe persuadersi che non tutti i suoni debbano essere appoggiati (“perché lo dice Gigli”) ciò che è esattamente uno dei più frequenti rimproveri che i competenti autori del Corriere giustamente rinfacciano ai divi di oggi.
        Concludo con un “nota bene”: quello che si sente fare da Gigli nell’audio non mi sembra esattamente una mezzavoce, quanto piuttosto una cosa più attinente al falsetto… direi una voce mista.

        MA
        e il mio è un “ma” grosso come una casa, io non conosco bene la tecnica del falsetto e tanto meno quello della voce mista.
        Anzi se qualcuno mi spiegasse una buona volta in cosa consista e in cosa differisca dal falsetto il c.d. falsettone, gliene sarei molto grato 😉

        • Ma infatti non è vero che tutti i suoni necessitino di appoggio diaframmatico. Per emettere un suono leggero non è necessario un appoggio profondo:il suono è leggero proprio perché è meno appoggiato. E poi, non esiste solo la respirazione bassa, c.d. “diaframmatica”. Esiste anche una respirazione più alta, che interessa prevalentemente il torace, e che permette a chi la padroneggia di emettere suoni del tutto privi di peso, galleggianti sul fiato. Ciò che Gigli esemplifica è la vera “mezza voce” (da alcuni chiamata anche “voce mista”, ma io rifiuto questa terminologia). Che chiaramente non è voce integrale, proprio perché non c’è la pienezza dell’appoggio! Gigli non mi sembra affatto uno sprovveduto, sapeva quello che faceva con la propria voce. Diversamente non avrebbe fatto quella carriera conservando così bene il proprio strumento per tutti quegli anni.

          Quanto al falsetto, bisogna intendersi. Esiste un falsetto piccolo (il “falsettino”) ma ovviamente questo non rientra nella vera voce canonica del canto: non è voce. C’è poi il vero falsetto, ossia il registro di falsetto-testa, di cui parlano spesso i trattati, talvolta chiamandolo solo “falsetto” o solo “testa”. Ne parla bene il Garçia. “Falsettone” è una parola gergale che non mi piace molto e che francamente non mi è mai capitato di leggere nei trattati. Con “falsettone” ci si riferisce probabilmente al registro di falsetto, per non confonderlo con il falsettino piccolo.
          Non capisco poi in che senso dici di non conoscere la “tecnica del falsetto”. Se canti da basso, baritono o tenore il falsetto altro non è che il tuo registro acuto. Ovviamente puoi emetterlo con pienezza più o meno marcata (ossia, più o meno appoggiato), ma questo è un aspetto secondario… A meno che tu non faccia gli acuti di petto, cosa assai sconsigliabile 😀

  12. Mancini, guarda, non so che dirti: io di respirazione, una ne conosco e un significato solo di cantare sul fiato. Gigli era sicuramente consapevole di come cantasse, tuttavia continuo a credere che il suo modo di spiegare il canto sia fuorviante. Come non ritengo corretto chiamare “falsetto” il registro acuto.
    Per intenderci: http://www.youtube.com/watch?v=HqbblUZ45Eg
    Qui Marconi, sia nel primo “finché ti stringo al cor” che nella stessa frase della ripresa canta il falsetto ed è evidente, a mio parere, la differenza col sovracuto di “t’amo” verso il finale del duetto, all’unisono con la Galvany.
    Tornando a Gigli, perdonerai se ti sembro sfrontato, ma dubito FORTEMENTE che Gigli non utilizzasse un’emissione controllata anche per sostenere in teatro ogni singola nota (ed erano tante, forse troppe) che eseguisse con voce quanto meno mista, se per voce mista si intende una via a mezzo tra quella piena e il falsetto.
    Comunque qui secondo me si sente abbastanza bene come passa da mezzavoce a “misteggiamenti” e pure quello che credo sia il falsettone: http://www.youtube.com/watch?v=IvuRBnE-DHk&feature=related
    Un altro esempio di falsetto? Alain Vanzo nella medesima aria: http://www.youtube.com/watch?v=5MjnIcxCz8c
    Per me invece la mezzavoce è questa: http://www.youtube.com/watch?v=un_3-NIgePA che al mio orecchio suona un po’ diversa dalle note acute nell’aria di Nadir di Vanzo.
    Infine… non lo so si sostenibile definire “falsetto” il registro acuto di Lauri Volpi. Non almeno quello splendido re naturale che esegue a piena voce nella cadenza di Raoul nel duettone degli Ugonotti che si può godere chinando il capo davanti a tanta natura in questa “cellettata” d’annata: http://www.youtube.com/watch?v=67gByGDf1C4 E se noti “dillo ancor” e “dì che m’ami” sono eseguiti sì in falsetto. Ma non il re della cadenza.

    • Io credo che semplificando un pò si arriva a capire bene il meccanismo che dal falsetto porta alla mezzavoce.
      Tutto si basa sul FIATO e sulla POSIZIONE del suono che il fiato produce.

      Nel falsetto si usa la falsa corda (da cui “falsetto”) , cioè il BORDO della corda vocale. Mi pare evidente che detto bordo non abbia bisogno di una soverchia pressione di fiato, basta quel minimo necessario. Non è un caso che i migliori falsetti, quelli più sonori e pieni, li abbiano …..le voci gravi (bassi e baritoni)! Strano, vero? Eppure anche qui c’è una logica: la corda di quelle voci è più spessa, quindi la fals a corda vibra di più. Ricordo durante una conferenza il vecchio, glorioso Taddei (con il quale ebbi l’onore e il privilegio di studiare per alcuni anni), per fare l’esempio del “Vissi d’arte” di Maria Caniglia attaccò l’aria IN TONO e a PIENA VOCE nell’ottava del soprano! Ci fu un applauso scrosciante del pubblico, perchè il falsetto di Taddei aveva una tale potenza da sembrare la voce di 4 soprani drammatici messi insieme.Aveva 80 anni ma la falsa corda robustissima e sempre BEN trattata! 😉
      Ora….il falsetto è pericoloso, perchè a furia di usare la falsa corda arriva l’ipotono cordale (un allentamento delle corde), l’aria nella voce, edemi e persino noduli, a lungo andare. Non a caso il falsetto viene chiamato “la lebbra della voce”.
      Regola: non si dovrebbe mai accennare in falsetto, meglio l’ottav a bassa ma APPOGGIANDO, cioè utilizzando sempre tutto il fiato che occorre e facendo addurre bene le corde vocali.
      Il falsettino, di cui parla Mancini, è appunto un falsetto spoggiatissimo, con meno fiato ancora…quello che le nonnine usano in Chiesa quando cantano la Messa con l’officiante.
      Il falsettone è un falsetto molto appoggiato, con più fiato dentro. Certi grandi maestri potevano addirittura renderlo simile agli acuti a voce piena…vedi Gedda, per esempio….direi lo stesso Gigli, in cui mezzavoce e falsettone erano a volte non distinguibili. Si tenga conto che in giovane età la fibra fresca (alias la corda tonica) consente falsetti e falsettoni molto più facili. Si consideri la carriera di Matteuzzi, che trionfò fino a che- passati i 35 anni- il suo organo vocale iniziò a perdere colpi. Ricordo un Barbiere in cui era, ancor giovane, la larva di sé stesso, con suoni bianchi e intonazione ormai andata del tutto.
      Nel caso di Lauri Volpi, Guru della Tecnica e Sommo Cantore, il fiato e la posizione altissima riuscivano a uniformare mezzavoce e falsettone….se dava meno fiato il suono si sbiancava (e qui Lauri Volpi risentì molto di certi equivoci sul canto ‘alato’ dei cantori dell’800…poichè la sua voce era particolarissima: scura in teatro (me lo disse Corelli) e bianca in disco), se invece appoggiava di più la voce diventava brillantissima e di impressionante volume. Fa testo l’incisione dal vivo del Trovatore con Lauri Volpi anziano (Napoli, Amsterdam anni 53-59) : Ah sì ben mio con strani falsettoni e voce che andava e veniva….Pira esplosiva, con suoni appoggiatissimi e di raro squillo.

      Quanto a Gigli, anche lui era un Mago dellla Voce e faceva quello che voleva. Sui falsettoni si riposava, ed erano così rotondi e pieni da potersi confondere con la mezzavoce. Poi, nel finale III della Manon Lescaut di Puccini tirava fuori dei suoni di ampiezza sconvolgente, fino a si naturali fantastici, anche da anziano. Mi raccontò Di Stefano che Gigli, ormai moribondo e costretto su una poltrona, parlava con un fil di voce e con rantoli terribili…per fargli un omaggio collocò sul piatto il disco dello Chénier e Gigli iniziò a canticchiare l’Improvviso, beandosi di quel brano che adorava. Giunto al si bemolle “Aaaamo!” Gigli, MORENTE, appoggiò una nota spettacolare e Di Stefano restò basito: a dimostrazione che se sai cantare canti sempre, pure morto! Ma Gigli è Gigli, parliamo di uno dei più straordinari fenomeni canori mai esistiti.

        • Davvero. Son cose che vanno tramandate, altrimenti…ma sai quanti Kaufmann e Poplavskaja ti devi beccare in futuro????
          A proposito di Gigli: PECCATO che non sia mai stato registrato (o pubblicato) il finale I di Traviata che la Callas cantò a Sanremo nel famoso ‘Martini & Rossi” assieme a Gigli (credo 1953). Lo stesso Gigli cantò con la Callas le frasi di Alfredo fuori scena e piazzò un DO incredibile su “Croce e delizia”…Sulla questione del DO di Gigli vi sarebbe da farfe uno studio a parte, poichè Gigli anziano era solito interpolarlo a piacimento e a sorpresa: finale I della Forza del destino a Buenos Aires, per esempio, o concertato di Elisir “Adina credimi”….che tipo Beniamino!!!

      • Sì, molto interessanti queste testimonianze Enrico. Taddei che canta da soprano, ad esempio, sicuramente fa uso del registro di falsetto-testa “puro”, cioè “sganciato”” dal registro di petto. Tutti le voci maschili possono imitare le voci femminili. E che il falsetto-testa di un baritono sia più corposo, in zona centrale o centro-acuta (dubito che Taddei sia salito oltre un mi o un fa4), rispetto al falsetto-testa di una voce femminile, è fisiologico: è una corda più spessa.
        La voce scura di Lauri Volpi è un altro aspetto interessante, per smentire la credenza che il tenore contraltino sia un “tenorino”… Il contraltino invece spesse volte ha voce più scura e potente del tenore classico: sono proprio due gole diverse, il contraltino ha corde lunghe e sottili, generalmente è alto di statura, ha un collo lungo e quindi ha cavità di risonanza più grandi, il tenore invece ha corde corte e più spesse, e generalmente – non sempre ovviamente – ha una statura più tozza.

        Quanto a falsetto, falsettone, voce mista, mezza voce… rispondo una volta per tutte a tutti e due gli Enrichi…

        Voce mista e falsettone sono espressioni per me prive di significato. I critici come Celletti continuavano a menarla con questa storia del falsettone (parola che io non ho mai incontrato una sola volta in nessun trattato di canto), sostenendo che un tempo gli uomini cantassero tutto di petto per poi emettere gli acuti come delle signorine… questa per me è solo una grande sciocchezza.

        “Voce mista” è un’altro concetto che non mi piace… i registri non sono gli ingredienti di un cocktail, non si possono mescolare… Semmai si possono, anzi si debbono unire, saldare insieme, educando il FIATO a passare dall’uno all’altro senza singhiozzi, senza scalini. Questi registri sono chiamati storicamente petto e falsetto, o petto e testa. Garçia parla di “petto” e “falsetto-testa”. I registri effettivamente sono tre: petto, seguito da falsetto, che prosegue poi nella pura voce di testa (propria solo delle voci femminili, o anche eccezionalmente di qualche contraltino, pensiamo a Rubini, o recentemente a Merritt).

        Quanto alla mezza voce, si può cantare a mezza voce in qualsiasi registro, in quanto la mezza voce è un effetto coloristico, un effetto dinamico, non un registro. Il controllo perfetto del fiato consente una infinita GRADUALITA’ di sfumature dal pianissimo al fortissimo, e chiaramente permette di collegare con la messa di voce il suono più sottile e leggero, alla voce piena. Quella di Gigli è semplicemente MEZZA VOCE, e così quella di Lauri Volpi.

        Poi, sulla mezza voce bisogna dire che non è affatto semplice da emettere, anzi per un principiante sarà impossibile, l’intenzione di cantare piano lo porterà solo a spoggiare, a tirare indietro, a strozzarsi. Il cantante esperto, pienamente padrone del fiato, riuscirà però a governare l’emissione leggera senza andare incontro allo spoggio. Il fatto che il diaframma tenda a salire e la gola tenda a chiudersi è un fatto istintivo, che l’educazione permette di superare. La mezza voce quindi è difficile per chi non è padrone del fiato. Ma per un virtuoso come Gigli la mezza voce è invece il modo migliore per riposarsi. Io poi credo che Gigli cantasse molto meglio a mezza voce che non a voce piena.

      • @Enrico, grazie! Mi hai confermato le cose che mi sembrava di aver inteso, ma solo a livello intuitivo sul falsettone.
        Quanto all’abilità di Gigli e Lauri Volpi di passare da mezzavoce a falsettone etc condivido tutto. O almeno questo è quello che mi è sempre sembrato di sentire che facessero.
        E, sì, stiamo davvero parlando di persone che con la voce facevano tutto quello che volevano! Piccola osservazione di colore su Gigli: quando sento le registrazioni della sua voce mi sembra ogni volta impossibile che da quel parlato gracchiante potesse uscire quella voce meravigliosa.

        @Mancini. Una sola domanda: tu canti o ci hai mai provato?

          • Idem!
            E riesci a mettere in pratica tutte le cose che hai descritto? Se sì, ti offro un caffé sotto la Madonnina e mi spieghi come fai, perché io ogni volta che leggevo un trattato (o frammenti d’esso) non ci capivo un accidente! 😀

          • Beh, un momento… se per mettere in pratica, tu intendi aver sperimentato di persona sulla propria voce, beh certamente sì. Certo poi cantare è una cosa diversa dal fare un esercizio a lezione col maestro. Se riuscissi a cantare mettendo in pratica costantemente e perfettamente questi principi, non avrei più bisogno di studiare.

  13. E’ un bell’allestimento questo Faust che ho visto ieri sera al Met, regia interessante, ambientata tra seconda (quando Faust è vecchio) e prima (quando torna giovane) guerra mondiale.
    Meno bene la parte vocale, devo dire! Pape ha cantato la sua parte, senza onore e senza gloria, in compenso è riuscito a rendere molto comico il ruolo di Mefistofele, anche nelle parti dell’opera in cui comico tale ruolo non è.
    E’ chiaro poi che Kaufmann o non possiede una tecnica vocale, oppure che ne possiede tre: in particolare ogni acuto è eseguito in una maniera diversa, a volte gli vengono bene, altre volte sono imbarazzanti. Devo dire che l’aria di inizio terzo atto è stata teatro di quasi tutti i suoi acuti riusciti, è stata eseguita bene; il resto era invece discutibile, vocalmente e interpretativamente. In generale però il migliore in campo.
    Mi ha proprio deluso la Poplavskaya, che regge sufficientemente il terzo atto ma poi rovina il quarto e tutto il quinto, con un canto incapace di rendere alcunchè.
    In generale uno spettacolo poco riuscito, molto meglio l’Hansel e Gretel di Humperdinck che ho visto stasera, il cui title role potrebbe forse calzare alla Marguerite di ieri sera…

    • Un Mefistofele che fa ringiovanire il protagonista di soli venticinque anni mi sembra un po’ un diavolo della mutua! Perfettamente adeguato al contesto, peraltro. Grazie della testimonianza “live” :) ma la Poplavskaya la vedrebbe meglio come Hänsel, come Gretel o come Strega Marzapane?

      • Una mutua che i ricchi finanziatori del met non avranno apprezzato molto!

        Lasciamo il ruolo di Gretel alla Poplavskaya! :) Anche perché il ruolo della Strega era affidato ad un tenore… e quello credo proprio lei non sia ancora in grado di fare!

Lascia un commento