Verdi Edission: Trovatore “Spessial”. “Ah sì, ben mio”

Dopo le diverse puntate della Verdi Edission già dedicate al Trovatore, due delle quali riservate alle incisioni a 78 giri in lingua italiana e straniera, il recente debutto di un giovane e famoso tenore lirico leggero italiano nel ruolo mitico di Manrico, ci ha suggerito l’idea di una ulteriore e speciale disamina di ascolti, questa volta focalizzati esclusivamente sull’aria del terzo atto “Ah sì ben mio”. Lasciamo la parola al prode Mancini.

 

Tutti rigorosamente a 78 giri, questi ascolti sono le testimonianze di una tradizione esecutiva ricca e variegata per la sensibilità stilistica e le caratteristiche vocali degli interpreti, molto diversa dalla negativa, compatta e tetragona univocità cui vorrebbe ridurla quella critica esercitante per professione l’avallo del presente mediante la damnatio memoriae del passato: ed effettivamente, non esiste condizione diversa dal rinnegamento revisionista della storia, perché questo nostro presente possa trovare giustificazione.
E’ quella critica cui fanno il verso, nelle interviste rilasciate presso le centrali del consenso, quei tenori che decidono di cantare il Trovatore senza possederne i requisiti vocali, invocando la necessità di ridimensionare la vocalità del personaggio, appannaggio per deleteria tradizione di voci scure e drammatiche che ne hanno alterato il dato anagrafico, dovendosi invece affidare il ruolo a voci dal timbro chiaro, lirico, adolescenziale… e magari anche squillante, aggiungo io. Codesta critica, nel sostenere la necessità di “liricizzare” il personaggio, sembra ignorare l’esistenza di un canto tenorile, documentatissimo dai dischi soprattutto antichi, diametralmente opposto al modello rappresentato dai vari Caruso, Merli, Del Monaco, Corelli, volutamente esclusi dalla qui proposta selezione. A dimostrare che cosa significhi l’autentico squillo del tenore romantico, senza bisogno di ricorrere al solito Lauri Volpi, del quale purtroppo non abbiamo incisioni dell’aria di Manrico che possano rendere pienamente onore alla sua arte, esistono documentazioni sonore dei leggendari tenori stentorei da grand opéra, eredi della tradizione ottocentesca che nasceva con Duprez: i francesi Escalais e Gillion, o lo spagnolo Paoli, veri e propri miti per i collezionisti, deludenti forse sotto l’aspetto musicale ed espressivo, non sempre impeccabili tecnicamente (Paoli in particolare), ma esemplificativi per il timbro tendenzialmente chiaro, mai gonfio o artefatto, e per lo squillo argentino, della vocalità tenorile ottocentesca. Più vicini ad un gusto moderno, ma con voci parimenti salde e squillanti, gli italiani De Muro e Martinelli, mentre meno famoso ma degno di nota per la qualità vocale, la forza del settore acuto, e la schiettezza di pronuncia, è l’italiano Augusto Scampini. La lezione che questi ascolti offrono agli odierni… trovatori in erba (con riferimento non solo all’aspirazione che costoro hanno di cantare il ruolo di Manrico, ma anche alla perizia con cui praticano la loro professione di cantori, o se vogliamo, per l’appunto, trovatori), è di cantare sempre con la propria voce, senza gonfiare o scurire artificiosamente il timbro, tentazione nella quale inspiegabilmente cadono proprio coloro che oggi vorrebbero offrire una versione lirica del personaggio.
Altro luogo comune propagandato dalla suddetta critica, è che la tradizione si sia fin da subito sbarazzata dei due trilli previsti in partitura. Coloro che credono che prima di Carlo Bergonzi nessun tenore abbia mai eseguito questi abbellimenti, farebbero bene ad ascoltare le incisioni del francese Charles Dalmorès, o del lettone Hermann Jadlowker, o ancora meglio quelle del tedesco Heinrich Knote e dell’olandese Jacques Urlus, particolarmente significative sotto il profilo musicale. Fa una certa impressione oggi ascoltare due celebri Heldentenor wagneriani eseguire trilli, assottigliamenti dinamici, alterazioni del colore vocale, sempre nel rispetto dello spartito, smentendo quindi anche la falsa credenza di un passato sempre arbitrario e musicalmente sciatto. Le due incisioni di Jacques Urlus (confrontando le quali invano cercheremmo segnali di cedimento vocale, malgrado siano state realizzate a distanza di diversi anni) si segnalano in particolare per la perfezione strumentale della linea musicale, del tutto scevra da portamenti e da suoni nasali o forzati nella zona di passaggio, zona della voce che, particolarmente sollecitata dalla scrittura del brano, dà modo al tenore olandese di dimostrare la propria elevata perizia tecnica. E’ istruttivo per quei cantanti che oggi non sanno fare gli acuti, ascoltare il modo esemplare in cui Urlus copre e raccoglie il suono ogniqualvolta giunga al fa acuto, mantenendo sempre una morbida cantabilità anche sulle prime note dopo il passaggio: apprendisti trovatori, imparate! Invece gli odierni esegeti del colorismo, anziché perdersi in fantasiose elucubrazioni sulle evoluzioni della tecnica vocale, farebbero bene ad ascoltare come Heinrich Knote riesca a cangiare volume e colore della voce per realizzare l’indicazione “con dolore” scritta in partitura sulla frase “Ma pur se nella pagina de’ miei destini… etc”. Ancora più esemplare, sempre per sbugiardare l’idea che i colori nel canto li abbiano inventati Jonas Kaufmann e Anna Netrebko, risulta l’esecuzione di Joseph Schmidt, notevole per fraseggio, accento, musicalità, e completa di trilli graniti.
Per offrire una selezione il più possibile ampia ed esaustiva, proponiamo anche le versioni di Leo Slezak, e quella di Richard Tauber, quest’ultima assai lodevole non solo per le consuete capacità di musicista e fraseggiatore del tenore austriaco, ma anche per l’omissione del sib non scritto, alla fine dell’aria.
Per completezza, includiamo anche l’incisione di Pertile, esempio di intensità espressiva oltreché di voce sempre timbrata e ferma sul fiato.
E per finire, proponiamo come mera curiosità anche l’incisione di De Lucia, tenore di grazia molto amato dal blog, corto per giunta, che mai avrebbe potuto essere Manrico a teatro, ma che ci ha lasciato in tarda età questa esecuzione, di destinazione certamente concertistica. Al di là del trasporto di tonalità, degli arbitrii musicali, delle libertà agogiche, ciò che troviamo di emblematico in questo ascolto è la ricchezza musicale ed espressiva che scaturisce dalla scelta di un tempo largo, che permetta al cantante di cesellare le parole e di miniaturizzare la melodia. Le esagerazioni di De Lucia, censurabili finché si vuole, sono però indicative di una tendenza che per l’epoca era la prassi comune, in netto contrasto con i tempi frettolosi e “tirati via” degli interpreti odierni, che di fatto privano il canto di intensità, poesia e lirismo. Ma è fin troppo scontato ricordare che per poter sostenere un legato ampio su di un tempo largo e appassionato, serve un controllo del fiato di cui oggi nessuno più dispone.

G.B. Mancini

Verdi – Trovatore

Atto III

Ah sì, ben mio, coll’essere

1906 – Léon Escalais
1906 – Mario Gilion
1906 – Heinrich Knote
1907 – Charles Dalmorès
1907 – Leo Slezak
1908 – Augusto Scampini
1911 – Antonio Paoli
1911 – Jacques Urlus
1915 – Hermann Jadlowker
1915 – Giovanni Martinelli
1917 – Fernando de Lucia
1923 – Aureliano Pertile
1923 – Jacques Urlus
1925 – Richard Tauber
1928 – Bernardo de Muro
1931 – Joseph Schmidt

13 pensieri su “Verdi Edission: Trovatore “Spessial”. “Ah sì, ben mio”

    • eheheheheh caro Mozart, l’ho cercata dappertutto perché avrei voluto inserirla nella selezione, ma si trova solo la cabaletta, non l’aria. Eppure dalle Grandi voci di Celletti risulta che l’abbia incisa, ma dev’essere un disco rarissimo e riversato in cd ancora non si trova.

  1. Antonio Paoli era Puertorriqueño. Abbiamo un teatro qui a Puerto Rico nomato Sala Antonio Paoli. Grazie, scusate il mio italiano, leggo Il corriere ogni giorno: un vero piacerea. Ciao. Luis desde Puerto Rico.

    • Lo so, ma a quel tempo Porto Rico era colonia spagnola, tant’è che Paoli fece il militare in Spagna prima di dedicarsi al canto, per cui in molti dizionari viene indicato come tenore di nazionalità spagnola.

      • Certo, ma quei nati a Puerto Rico in quei tempi erano di nazionalità puertorriqueña. Dopo l’invasione americana nel 1898 Puerto Rico diventò colonia dagli Stati Uniti ed in uno di quei strani e, per me, tragico succeso storico, da 1916 i puertorriqueños abbiamo la nazionalità americana. Penso a Paoli come un cantante europeo e ammiro la sua voce e la sua tecnica vocale. Grazie signor Mancini.

  2. Cito Mancini: “E per finire, proponiamo come mera curiosità anche l’incisione di De Lucia, […] corto per giunta, che mai avrebbe potuto essere Manrico a teatro […] Al di là del trasporto di tonalità, degli arbitrii musicali, delle libertà agogiche, […] Le esagerazioni di De Lucia, censurabili finché si vuole, sono però indicative di una tendenza che per l’epoca era la prassi comune […]

    Al di là del bene e del male…………. :-(

    • E quindi? Puoi parlar chiaro? La faccina triste cosa significa?

      Sono un grande amante di De Lucia e per questo ho voluto rendergli omaggio includendolo nella selezione degli Ah sì ben mio. Ho scritto che è una curiosità, trattandosi di un disco peraltro poco conosciuto, e di un ruolo estraneo al repertorio del Nostro. Spero che qualche intenditore riesca ad apprezzarlo.

Lascia un commento