I Racconti alla Scala: letargico sopore!

I racconti di Hoffmann sono stati il secondo titolo della stagione scaligera. Sono stati presentati nella versione tradizionale Choudens con alcuni inserti ( di fatto, se non erro, il couplet di Nicklausse e il finale dell’epilogo, desunti dalla versione Alkor – Bärenreiter), scelta questa, per espressa dichiarazione del direttore, dettata dal fatto di non “turbare ed alterare” la regia di Robert Carsen, incensato, via etere, dai soliti nominalmente critici. Ci sono scelte opportune ed altre inopportune e per varie ragioni. Proporre (propinare?) un allestimento di Carsen dopo un altro, salutato quale assoluto capolavoro, si è rivelato pericoloso per il poderoso ridimensionamento del mito del regista franco canadese. Ridimensionamento del mito, per chi tale lo creda, naturalmente, “re nudo” per i soliti cattivi. L’idea del teatro nel teatro (vecchia quanto il teatro e con inarrivabili esempi d’autore come la Prova di un’opera seria di Gnecco, le Convenienze donizettiane e l’Ariadne di Strauss) passata per novità per il titolo inaugurale si è rivelata inesorabilmente vecchia considerato che questo allestimento dei Contes conta due lustri e mancia. Al più possiamo precisare che la Scala, proposta quale scenografia del recente don Giovanni era in questi Contes un teatro francese. Non molto e ripeto una ridimensionata al genio. Ridimensionata ulteriore se consideriamo che la taverna di Mastro Lutero in versione bistrot parigino l’aveva pensata e proposta vent’anni or sono Hugo de Ana, che la trivialità di Olympia, bambola gonfiabile ante litteram, è ripresa pedissequa dal Casanova felliniano, che il villain in eleganti abiti da sera fu proposto da Ronconi per i Contes fiorentini del 1981, che l’ambientazione teatrale venne servita al pubblico felsineo per una Favorita “al cinema Fulgor” e che le novità si riducono alla buca orchestrale che è la casa di Crespel e le sedie del teatro francese, abitato dalla putain, che si muovono a simulare l’andatura della gondola ( alta marea e mare mosso, visto il tempo di movimento dei sedili e quello da galop della barcarola). Quanto, poi, al demonio Miracle, che si incarna nel direttore d’orchestra l’idea è la scoperta dell’acqua calda! Si parla di “teatro di regia”, ma un gesto che illumini il personaggio, che riveli del personaggio aspetti preganti e connotanti non si è visto in tutta la serata. Anzi abbiamo avuto due saggi di pessima recitazione di Ekaterina Gubanova, goffa volgare ed impacciata come Nicklausse, volgare e ridicola come Musa, assai simile ad una “donna dei baracconi” anch’essa di memoria felliniana e nella Antonia di Genia Kuhmeier, vestita da casalinga frustrata ed infreddolita con tanti di “scalfarotti” ai piedi. Tale è la potenza della regia che, ormai, pure quelli della Grisi, di solito molto misurati nel riferire sugli allestimenti hanno dedicato a tale parte dello spettacolo il primo pensiero della recensione. Ma l’assunto del direttore, prono a questa foia, meritava la chiosa introduttiva. Non c’è da meravigliarsi perché un simile comportamento assolutamente datato ed irrispettoso dell’autore è, poi, la sigla interpretativa di questi Contes. A partire dalla scelta edizione. Alle prime tre battute orchestrali è riecheggiato nella mia mente l’incipit di una nota “canzonetta” vernacola “la banda d’Affori” tale era la qualità del suono della compagine orchestrale scaligera. L’unico momento in cui l’orchestra ha prodotto un suono calibrato, morbido e tondo è stato all’atto di Antonia durante il terzetto Hoffmann- Crespel- Miracle. Per il resto il solito suono greve e impreciso. Intendiamoci bene quanto la guida è della fatta del signor Letonja non possiamo e dobbiamo meravigliarci. Per tutta la serata tempi lenti, pesanti sonorità attutite, nessuna ironia. L’ironia è uno degli elementi essenziali del titolo. Ironia e presa in giro, nella forma della parodia dell’opera seria sono una della sigle più autentiche del capolavoro di Offenbach. Basta pensare alla marcia che introduce gli invitati in casa di Spallanzani, all’evidente richiamo nel couplet di Nicklausse all’atto di Antonia agli Ugonotti e al Robert le diable nel brindisi dell’atto veneziano, alla parodia del dramma classico o dei Troiani di Berlioz nel finale, affidato alla Musa per tacere dei continui richiami ai personaggi demoniaci o mitologici di Gounod, ogni qual volta appaiano le incarnazioni villain. Tutto amministrato con letargica piattezza e con noia mortale dal direttore, senza differenza ed anche lo slancio amoroso del protagonista mancava sia nella sezione mediana dell’aria di Kleinzach che nella profferta amorosa alla bambola o al duetto d’amore con Antonia. Noiosi, e ce ne vuole persino i cori dei camerieri della taverna di Mastro Lutero. Certo che la compagnia di canto assemblata dalla Scala è ancor più letargica, letale e deludente della bacchetta. Inadeguato al ruolo Ramon Vargas, ormai privo dell’ottava acuta (a partire dal la bemolle acuto alla chiusa dell’atto di Antonia e più sopra), che , in pratica, non si sente, duro e fibroso al centro assolutamente privo di legato e di charme in una parte che passa in rassegna una vastissima gamma di sentimenti umani e mette alla frusta la fantasia dell’interprete. Ma per essere interpreti – storia vecchia e ripetuta alla nausea- occorre anche sapere usare i ferri del mestiere e persa per ovvi motivi ( decorso del tempo e repertorio oneroso) la naturale freschezza al nostro non resta che servire una imitazione di Domingo o di Shicoff. Degne compagne le tre incarnazioni dell’amore. Fischiante e stonacchiata quella di Rachele Gilmore, Olympia, il fatto che interpoli sovracuti anche oltre il mi bem non è una scusante per l’emissione di suoni più prossimi al fischio del capotreno che non agli acuti. Pochissimi colori, in una parte dove, per risultare varie, ne bastano davvero pochi. Peggio e molto di Genia Kuhmeier, una acquisizione dei teatri berlinesi del maestro Barenboim, gusto e tecnica di autentica marca provinciale teutonica. A partire dal fa acuto cominciano suoni duri e fissi e arrivata alle frasi tese ed acute della chiusa del trio con la madre e Miracle riesce letteralmente ad emettere latrati, nonostante un fiato abusivo e musicalmente orrendo prima del do diesis acuto conclusivo. Lievemente meglio Veronica Simeoni, ufficialmente mezzo soprano verdiano. Bisogna dire che non è il caso, nonostante il concorso vinto dalla Simeoni di pensare ad una voce stile Cossotto, ma neanche stile Berganza o Horne, perché si tratta di un soprano lirico, anche di bel timbro, che se sapesse cantare non griderebbe gli acuti e potrebbe aspirare, in questo titolo, ad Antonia. La giovinezza e la freschezza vocale per il momento aiutano, ma il fascino della seduttrice scafata non è neppure accennato ad onta di una truccatura stile “Moana Pozzi”. Avevano truccato da Moana della Brianza quale Musa anche Ekaterina Gubanova, come Nicklausse è solo volgare e fuori luogo. Pessima, voce piccola aspra, fibrosa, corta senza gusto l’attrice, senza gusto l’interprete nel couple del quadro di Antonia ha fatti rimpiangere –persino- Sonia Ganassi, Nicklausse dell’ultima esecuzione agli Arcimboldi. E ce ne vuole!! Il migliore in campo Ildar Abdrazakov. Non è un basso solo che in alto sale con difficoltà ( il momento peggiore Scintille diamant, la cui tessitura acuta non perdona, eseguita senza colori e ad un tempo troppo veloce e per l’aria e per l’andatura scelta per quasi tutta la serata) ed in basso non si sente ( vedi terzetto con Hoffmann e Crespel e quello conclusivo dell’atto di Antonia), gli va riconosciuto però di essere elegante in scena e di imporsi con la presenza scenica. Meno con quella vocale, ma in raffronto ai colleghi vola. Dimenticavo il pubblico, età media avanzata, risvegliatosi dal torpore ha applaudito alla fine dello spettacolo per circa 30-40 secondi. Non scherzo!!!

82 pensieri su “I Racconti alla Scala: letargico sopore!

  1. all’ascolto radiofonico,concordo sulle parti vocali con la recensione,e anche sulla brutta orchestra,sulla Simeoni devo dire che la sua prova non mi è dispiaciuta,è una buona promessa,solo che deve decidersi che repertorio vuole cantare,leggendo sul suo sito,sembra che voglia cantare tutto.
    A maggio canterà la parte di Adalgisa al Regio di Torino

  2. Dissento su due considerazioni dell’ottimo Donzelli:
    1) la regia di Carsen (vista in video) è uno dei suoi lavori più riusciti. Il “teatro nel teatro” si adatta perfettamente ai Contes (basti pensare all’inizio, l’attesa di Hoffmann dietro il palco durante una rappresentazione di Don Giovanni). Così come le altre soluzioni: non è che se un’idea è già stata utilizzata (vagamente) da altri registi è di per sé fuffa…
    2) parli, poi, di ironia come componente essenziale dei Contes. Ecco ironia non è parodia: Offenbach non intende affatto parodiare l’opera seria o i carrozzoni del grand-opéra o il solito Rossini. Sarebbe offensivo dell’altissima ispirazione dell’autore ridurlo a “presa in giro” di quei moduli espressivi (i couplets non sono invenzione di Meyerbeer, né la Musa è espressione di classicismo, e – nel 1880 – al pubblico parigino non interessava certo ritrovare echi di opere di 50 anni precedenti). Non si possono comprendere appieno i Contes senza considerare l’intera produzione offenbachiana, di cui sono la summa (soprattutto la grande opera romantica composta per Vienna nel ’64).
    Ps: parlerei di “teatro nel teatro” solo per Ariadne auf Naxos, ma non certo per lavori (a mio giudizio mediocri) come le Convenienze donizettiane e, soprattutto, quello di Gnecco (autore più che marginale)…queste ultime due sono opere “sul” teatro che riutilizzano un cliché vecchio, tipico della musica settecentesca che nulla ha di originale e di stimolante.

  3. Ma sei talmente ossessionato da Barenboim da tentare di ricondurre a lui qualsiasi cosa non ti piaccia? Genia Kühmeier non è tedesca, ma salisburghese, non si è formata in Germania, ma in Austria e non fa parte della ‘scuderia’ Barenboim, stando all’archivio di Operabase (cf. http://operabase.com/listart.cgi?name=kuhmeier&acts=+Schedule+). Mi sembra anche difficile che possa avere emesso latrati, visto che il volume è il maggior problema di questa cantante, che a me, peraltro, come Pamina è piaciuta.

    • Latrava, latrava, in alto eccome se latrava 😀 Come Antonia poi… come Pamina poi… più che Pamina al massimo Papagena o uno dei Geni…
      In Scala la portò, vado a memoria, Muti che la volle come Diana nell’ “Ifigenia in Aulide” e nell’ “Europa riconosciuta”.

      Marianne

  4. Ho seguito la diretta radiofonica. Esecuzione di un livello addirittura imbarazzante, per un teatro del livello della Scala. Bacchetta e cast erano buoni al massimo per una ripresa di fine stagione ad Avignone, Erfurt o Braunschweig.
    In quanto a Letonja, era obiettivamante difficile aspettarsi di meglio da un direttore che nei teatri tedeschi di provincia fa le riprese, nemmeno le nuove produzioni.

  5. Ho letto or ora la recensione dei “contes” sul sito Operaclik :ma stiamo parlando di 2 allestimenti diversi o ,pur avendo ascoltato alla radio anche io un allestimento soporoso,debbo pensare che i miei neuroni si stiano rarefacendo ?

      • In effetti Carsen ottiene il risultato di non lasciare indifferenti. Personalmente ho trovato insopportabile il “suo” D.G., al punto che dopo l’antigenerale ho provato a tornarci alla recita del 12 per via dell’Agresta, di Osborn e di D’Arcangelo. Ma non ho resistito e dopo il primo atto me ne sono andato, depresso oltre che annoiato.
        LES CONTES mi spettano il 1° febbraio e devo dire che, pur essendo una delle mie opere preferite, dopo quanto ho letto -e mi ha riferito un amico di cui mi fido che è stato alla “generale”- temo il peggio. Sperem …

    • Beh, il fatto che il medesimo spettacolo susciti valutazioni differenti è solo il salutare sintomo della possibilità di esprimere giudizi contrapposti: il problema è quando l’uno o l’altro vogliono imporsi come “pensiero unico”. La differenza di idee e posizioni è fondamentale per una vera discussione.

      • Vero, Duprez, però ci sono cose che stridono assai come queste:
        Donzelli: “Dimenticavo il pubblico, età media avanzata, risvegliatosi dal torpore ha applaudito alla fine dello spettacolo per circa 30-40 secondi. Non scherzo!”
        Operaclick: “Bellissimo spettacolo, premiato da un convinto successo di pubblico, che decreta una ovazione al regista Carsen, che si prende così una sana rivincita dopo i contrasti suscitati dalla messa in scena del Don Giovanni d’apertura.”
        Or qualche dubbio è lecito :)

        • Facevo parte del pubblico di età media avanzata…e trovo entrambi i resoconti veri, solo due punti di vista differenti. Il mio sarebbe : convinto successo di pubblico che dopo calorosi ma brevi applausi ha abbandonato il teatro. 

          • Ero in chat con altri amici del Blog:
            durante la recita ci sono stati due o tre accenni minimi di applausi da parte del pubblico (gli unici che applaudivano erano i coristi a comando per esigenze registiche).
            Al termine, come dice esattamente Olivia, “convinto successo di pubblico che dopo calorosi ma brevi applausi ha abbandonato il teatro”.
            Questa l’impressione per radio.

            Nello specifico:
            Vargas è come la rana che a furia di gonfiarsi si sfiata e rischia di scoppiare, ci sono momenti in cui non ce la fa e parla con un accento talmente verista che pare uscito da un film di Mario Merola (tutta la terza parte sembrava “Zappatore”), ogni acuto rischia la vita ed il passaggio è un “duro” ricordo.
            La Gubanova nel giro di un anno è una cantante goffa, sgraziata, spoggiata e tutta un fremito, nel senso che traballa, di fraseggio nemmeno sotto tortura.
            Per quanto riguarda l’Olympia di Rachel Gilmore la domanda è una: MA CHI CAVOLO L’HA CHIAMTA??? Pessimo gusto, un fischietto da arbitro impazzito!
            La Kuhmeier è piccina, tremebonda, ogni nota pare che debba frantumarsi in mille pezzi e infatti nella parte finale…
            La Simeoni è interessante, è un soprano e dovrebbe lavorarci su, ma si sente che è acerba e poi Giulietta in un atto mozzato così diventa un personaggio marginale purtroppo.
            Abdrazakov è il “migliore” se confrontato con gli altri, in alto sforza e sfoca nel resto è ruvido e sbrigativo.
            Letonja esalta il lato bandistico dell’opera infarcendola di mazzate a profusione, archi spigolosi e acuminati come chiodi e totale assenza di alcun colore sensuale, ironico, malinconico, tragico, sarcastico, nulla, anche la Barcarola sembra irriconoscibile e il finale è una cosa apocalittica.
            Letonja che con gaudio taglia e rammenda una sua versione dei “Contes” per non disturbare il Genio registico piegandosi alla sua volontà…
            Per non parlare degli speaker radiofonici che con virtuosismo Sutherlandesco hanno evitato abilmente di parlare di tutto (ovvero la sola Regia) ma non dell’opera o dei cantanti…
            Entrambi meriterebbero una “Standing Buation” culturale e intellettualissima.

            Bella, grande serata insomma

            Marianne

          • Lo confesso, sto applaudendo a Marianne… sublime nel suo intervento.
            Grazie anche a Olivia, per avermi tolto il dubbio dell’attendere o meno che emergesse una registrazione. Avanti il prossimo.

          • Grazie Rello, ma mi auguro che tu, e gli altri, possiate ascoltare la registrazione, o vedere lo spettacolo dal vivo, per potervi fare una vostra idea della serata e magari raccontarcela 😉

            Marianne

  6. Credo che ognuno possa avere le opinioni che vuole…in genere, però, non mi piace parlare di altri. Per questo vorrei evitare di proseguire nell’argomento. Invito, pertanto, coloro che sono interessati a conoscere i motivi di quella recensione, a rivolgersi direttamente al suo autore, per esprimere dubbi o fornire le proprie testimonianze e contestazioni. Grazie.

  7. Nonostante l’età media….avanzata (?)… non ho trovato noiosa la serata e lo spettacolo mi è piaciuto molto, trovo che, come ha giustamente detto Duprez, a Les Contes si addica il teatro nel teatro, la disperazione di Antonia che si aggirava tra i leggii e i posti vuoti degli orchestrali fosse più credibile che non il suo delirare in una stanzuccia. Di grande effetto, all’inizio dell’atto di Giulietta, le file di poltrone ondeggianti e, poi, come non apprezzare il telecomando che guida Olympia ! Uno spettacolo quasi mai scontato, con un pensiero comprensibile che lo sottendeva e tante piccole idee gustose qua e là, “apparentato” ma molto diverso dal Don Giovanni, anche molto più bello esteticamente. La direzione mi è parsa senza infamia e senza lode, di routine. Sul canto, pur smussando certi estremismi di Domenico, concordo con lui.

  8. diciamo tutto secondo natura e biologia. In eta’ avanzata il decollo è lento e il volo dira poco…eh!
    Quanto alla Kuhmeier è la micaela dedicata di Bimbaraboing, soprano gnagnnera di una fissita’ e modestia somme, degne della provincia tedesca ove canta. Sopporyabile Pamina, ha cantato unParis che pareva acqua fresca ed un terzetto indecente. Godetevela se vi piace, anzi….prendete e mangiatene tutti che vi piace tanto! Di questa signora ne facciamo volentieri a meno……due opere in meno di un anno!

  9. Secondo la mia esperienza, se l’esecuzione musicale è mediocre lo spettacolo bellissimo risulterà inutile se non addirittura fastidioso, soprattutto in un grande teatro dove la mediocrità dell’esecuzione musicale non ha giustificazioni. La trilogia mozartiana messa in scena da Peter Sellars a Yale poteva risultare simpatica, ma se fosse nata alla Scala l’avremmo percepita per quello che in effetti era, ovverossia goliardica.

    • Certo Lily, se l’esecuzione è mediocre nessuno passa una bella serata…così pure quando lo spettacolo fa schifo o è ridicolo. Questo perché l’opera è un organismo complesso. Quanto alla trilogia mozartiana di Peter Sellars – che conosco molto bene e che trovo semplicemente geniali – purtroppo sconta una parte musicale tra il mediocre e il pessimo: questo compromette non di poco la piacevolezza del risultato finale…a dimostrazione che nell’opera teatro e musica siano un connubio inscindibile.
      Ps: in questo senso fatico ad apprezzare pienamente le opere in forma concertante, poiché manca un’aspetto fondamentale…che non è il semplice “dato visivo” (poco cambia con un “concerto in costume” in stile Pizzi), ma è il teatro. Chi scriveva opera era molto attento ai meccanismi teatrali che la sorreggevano, attraverso una scelta precisa di soggetti, situazioni e libretti…altrimenti si sarebbero limitati a musicare l’alfabeto!

      • I concerti in costume di Pizzi avevano molti limiti, ma non quello della fantasia e dell’inventiva di scene e costumi. Anche perché Pizzi nasceva scenografo e costumista. Molto avrebbe da imparare Carsen da quella fantasia, da quella inventiva. Se non altro nei suoi ‘geniali’ spettacoli vedremmo, oltre alle sedie, qualche canapè, ogni tanto una bergère e magari, vista l’età media del pubblico e la qualità media del canto, una comoda.

        • I bei costumi (non sempre) e le belle scene (quasi mai: ricordo con orrore Maometto II e Due Foscari) non sono sufficienti per evitare la noia e la monotonia. Pizzi non è assolutamente in grado di valorizzare gli elementi drammatici di qualsiasi repertorio: un mero scenografo votato alla staticità, dove il teatro è rigorosamente bandito (il suo ridicolo Handel con i manichini di cavalli o i suoi pennacchi e i coltelli da bistecca in luogo delle spade). Pizzi, come Pier’Alli e Wilson sono – a mio giudizio – quanto di peggio possa capitare nel teatro d’opera. A quel punto metto un disco, almeno posso alzarmi e riattivare la circolazione delle gambe, prima di cadere in catalessi… Ma, confesso, io sono abbastanza prevenuto su Pizzi & C. :)

          • Ti consiglio due regie pesaresi di Pizzi (entrambe disponibili in video) nel segno della grande pittura veneziana del XVI secolo: Otello e Bianca e Falliero. Anche Pier’Alli, prima di regalarci quella “bella” Adelaide pesarese, ha firmato qualche spettacolo degno di nota. Fra i più recenti, il Pelléas (anno di grazia 2000 o giù di lì).

          • io consiglio invece i Contes d’Hoffmann di Macerata 2004 targati Pizzi, disponibili in dvd… di quello spettacolo tutto si può dire tranne che fosse brutto, statico o noioso! Lo stesso Pizzi, sempre a Macerata, ha peraltro dimostrato nel 2010 (I Lombardi alla prima crociata) come un bravo regista sappia realizzare un bellissimo spettacolo con pochi mezzi e poche idee efficaci…

          • Concordo sulla semplice bellezza dei “Lombardi” con la regia di Pizzi! C’ero e ne raccontai infatti 😉

            Marianne

          • Sull’ Otello pesarese sono d’accordissimo (forse il migliore spettacolo di Pizzi), invece non mi dice nulla il suo Bianca e Falliero (a partire dai bruttissimi costumi). Però come scordare veri e propri orrori come l’ultimo Tancredi scaligero, i Vespri di Muti, i Foscari, la Stuarda, Maometto II o certi spettacoli pesaresi come Ermione?

          • Ooops…mi ero lasciato ingannare dagli elementi “pizziani” dell’arredo :)

  10. Non credo che sarebbe errato parlare di due Pizzi: il primo arredatore, il secondo – più interessante – regista. Certo, le belle statuine degli Handel e di alcuni Rossini denunciano le sue origini – per altro nobilissime – di scenografo costumista. Ma non possiamo ignorare altre messe in scena (Cappello di Paglia, Conte Ory, Morte a Venezia, Hoffmann, ecc.) buoni frutti del lavoro di un ottimo teatrante colto, intelligente, spiritoso.

    Ciascuna Opera si porta dietro i propri problemi di lettura, di interpretazione e di scrittura scenica. OGNI OPERA, e non esistono passepartout. Alcune volte se ne azzecca la chiave, altre no. Il teatro di “idee” di stampo germanico ben si adatta a Wagner e a Strauss, meno bene al melodramma italiano del primo Ottocento, che richiede un più alto grado di stilizzazione, insomma, meno realismo (ricordi di un Trovatore alla Komische Oper di Berlino con la regia del per altro egregio Goetz Friederich, ove i suoi tentativi di giustificare ogni “andiam” del coro mi riempivano di tenerezza). Il ricercare “idee” al di fuori del testo e del clima culturale originario porta spesso ad atti di presunzione e spesso – perdonatemi – di cogli…ria. Perdonatemi ancora: un recente Nozze di Figaro con la Contessa che alla fine si butta dalla finestra é esistito davvero o è stato soltanto l’incubo di una vecchia pantegana di palcoscenico quale io sono?

  11. Bob Wilson è un ottimo esempio di artista che continua imperterrito a ripetere il SUO (per carità, magnifico) spettacolo, a prescindere che si tratti di Monteverdi, di Verdi o di Wagner. Come dicono in Tanzania, se ne hai visto uno li hai visti tutti. L.B.

  12. Il problema, Lily, è che – a mio giudizio – più degli “arredi” scenici e dei costumi, conta il teatro. L’opera non è un concerto e porta, in sé, determinate valenze drammatiche: gli stessi compositori erano molto attenti a questo aspetto, misconoscerle mi sembra eliminare un elemento fondamentale. Quello che “imputo” ai Pizzi, ai Pier’Alli, e ai vari Wilson, è quello di concepire l’opera come uno spettacolo essenzialmente statico e privo di vera vita teatrale, eleggendo la noia a supremo valore estetico. E’ molto più “regista” Zeffirelli (pur con le innegabili cadute di gusto degli anni più recenti), molto più attento al teatro e non solo al mero decoro scenico.

  13. Fondamentalmente concordo. Ma un atteggiamento di sufficienza nei confronti dello splendore visivo della realizzazione – che fa parte della tradizione italiana – mi sembra un po’ tedesco. In fondo l’attenzione (a volte perfino maniacale) per la bellezza e la giustezza di scene e costumi non ha impedito la magnifica riuscita di tanti spettacoli storici di Visconti e del primo Zeffirelli che su queste si basavano (certo, certo, c’era la Callas soprattutto, ma bisogna riconoscere a questi signori il merito di averla capita e ben servita). Non vorrei incorrere in stereotipi; i tempi sono cambiati e adesso le costumiste più brave mi paiono Marianne Glittenberg e Moidele Bickel, entrambe di area germanica.

    Da parte mia cerco di distinguere tra teatro e teatralizzazione. A proposito, c’è qualcuno che mi può aiutare su quelle Nozze di Figaro di cui sopra?

  14. ma dai donzelli sei sempre il solito criticone esagerato vabbè non saranno più i mostri sacri di un secolo fa ma in fondo si è lasciata sentire… io non mi sono nemmeno addormentato !! Ildar (ex protege del nostro eroe) non era così male e in scena ci stava bene (qui sono d’accordo con te) circa gli applausi effettivamente anche martedì tutti i vecchietti non vedevano l’ora di andare a nanna e i battimani non erano copiosi come mi ricordo certe serate scaligere anche meno interessanti e con cantanti cagnacci L’impressione è che ciò non fosse dovuto alle prestazioni vocali ma al fatto che pochi conoscono quest’opera (io l’ho vista per la prima volta) per cui le performance i più non sono in grado di valutarle Ho rivisto dopo tanti anni il buon Ezio e a lui conoscitore è piaciuta Non avevo ancora visitato questo blog scoperto per caso oggi da chi mi sopporta da oltre undici anni Ci ritornerò

    • carissimo, hai ragione….non sono quelli di cento anni fa…..perchè tra questi e i Contes Chailly Dessay Ramey Schicoff etc pare davvero essere passato un secolo!……siamo così lontani dal fare bene che nemmeno ci ricordiamo più…..a presto

  15. stavo riflettendo sulle eta media avanzata del pubblico,siccome penso che da molti anni si dice che nei teatri d’opera l’età media è sul medio alta (anche se forse non è vero)ora penso che nel corso di tanti anni tanti vecchietti sono passati a miglior vita,quindi abbiamo un ricambio di…vecchietti

    • A Domenico Donzelli e Giuditta Pasta

      Venerati Maestri,
      ho l’ardire di rivolgermi a Voi nella Vostra qualità di partecipi per eccellenza dell’evento che ebbe a celebrare l’incoronazione di Sua Maestà il Cristianissimo Carlo X Re di Francia.

      E’ naturalmente a Vostra conoscenza che il M. Rossini ebbe a ritirare la partitura in oggetto – utilizzandone per altro, più tardi, quattro brani nel suo Comte Ory – trattandosi con ogni evidenza di cosa quant’altre mai squisitamente d’occasione.

      Ciò posto, mi permetto di segnalare alla Vostra preziosa attenzione quanto è occorso dipoi, nella seconda metà del nostro disgraziatissimo secolo ventesimo, a seguito dell’attività – tanto benemerita quanto indefessa – di alcuni alacri segugi di biblioteca, i quali riuscirono a scovare ciò che Le Comte Ory non aveva assorbito.

      Tanto ha fornito occasione alla città di Pesaro a un restauro con annessa rappresentazione omaggiante l’illustre concittadino, grazie all’apporto di quanto di meglio – tra musicale, vocale e scenico – rimaneva a disposizione del secolo madesimo. Con esito, mi si permetta di dire, che sarebbe stato considerato degno della Vostra benevolenza.

      Ma ecco che, ahimé, a quel ripristino – che avrebbe avuto una ragione d’essere nella sua unicità, tal quale il prototipo – ha fatto seguito l’esatto contrario della felice e opportuna decisione del Maestro Rossini: un degrado a tappe successive ma inesorabili – a partire dalla stessa globalizzante tournée per l’universo mondo – dell’elegante e vagamente ironica leggiadria originale all’apice viennese della farsa scurrile, ove una celeberrima cantatrice catalana si esibiva – con l’ausilio di apposito cuscinetto di gomma opportunamente piazzato al posto giusto – in un fragoroso peto artificiale, ovviamente meno impegnativo di un acuto ben impostato.

      La mia domanda in proposito, circa la quale chiedo i Vostri lumi, è la seguente. Merita davvero, cosa che chiamò a cimentarsi con Voi altri tra i migliori cantanti dell’epoca, il destino una volta di più confermato dalla rappresentazione fiorentina dello scorso 18 gennaio, micidiale miscela di voci decotte e voci acerbe?

      Tanto più che pare in voga la moda dilagante in sedicenti accademie di canto di utilizzare il Viaggio a Reims come saggio di fine corso. Devottissima Vostra.
      Lily Bart

  16. Sono stato a vedere i Contes sabato sera, e, tra tutto, due sono state le cose peggiori. Innanzitutto la scenografia del terzo atto: se nel prologo e nei primi atti le idee, per quanto non originali, non erano così malvagie (soprattutto il secondo atto), nel terzo la resa visiva è stata veramente brutta. Squallida la teoria di poltrone rosse stile platea di teatro pretenzioso anni ’50, puerile il movimento ondulatorio durante la barcarola, irritante la grande ammucchiata successiva (di sesso nel teatro d’oggi se ne vede così tanto che gli spettacoli trasgressivi sono divenuti quelli dove non ce n’è), con gratuiti abbracci lesbici al centro della scena, il tutto giusto per épater les bourgeois. La vera catastrofe, tuttavia, più che i cantanti, trovo sia stata l’orchestra, in particolare archi e ottoni. Ha pienamente ragione Domenico Donzelli: i punti graffianti, dove le impennate degli archi devono farti venire i brividi sulla schiena, sono stati dei picchietii di passerotto, soporiferi, i punti dove il tappeto d’archi avrebbe dovuto creare la “magia” (fondamentali in un’opera onirica come questa) sono stati noiosi, scolastici (“dai, suoniamo ‘ste note e poi andiamo a casa”), quand’anche sonoramente brutti a causa di una compagine poco amalgamata! Degli ottoni, in particolare i corni, sarebbe pietoso non parlare: suoni imprecisi, sputacchiati, metallici, male intonati, nulla dello splendore del corno romantico, con suggello finale di SBAGLIO DI ENTRATA tra primo e secondo corno in un assolo (roba non accettata neanche nei coretti parrocchiali, figuriamoci in quello che vorrebbe essere il primo teatro lirico al mondo). Gli unici dell’orchestra che salverei sono i legni, in particolare i clarinetti, ma se non sono supportati dagli archi e soprattutto da un’idea interpretativa, un solido pensiero orchestrale, non servono a niente.

    • Maestro Viotti, benvenuto e grazie del post.
      Un solo commento ai Contes: amen!
      L’Opera di Roma l’altra sera, e parlo di coro ed orchestra, mi è parsa un blasmo per le mie orecchie. Non parliamo poi di Santa Cecilia con Pappano….

    • Venerando Maestro, per la mia breve esperienza, non rinvengo tale abbondanza di teatri trasgressivi o di scene di sesso nei teatri d’opera, maggiormente popolati da un pubblico borghese e bigotto al punto da ritenere “abbracci lesbici” ancora in grado di épater les bourgeois. Non concordo neppure sulla gratuità della “grande ammucchiata” in quanto a me è parsa solo lo sfondo ideale per la cortigiana Giulietta. Convengo con lei che, ai tempi suoi, tali sconcezze non venivano ostentate in platea, peraltro sconvenientemente ondulante, ma ben celate all’ombra dei palchi.
      Mi inchino alle sue competenze musicali, con i dovuti omaggi O.

  17. Grazie dei benvenuti e delle vostre risposte, illustri signori & gentili dame. M’auguro di incipiare da oggi un’oltremodo feconda condivisione tra spiriti musicalmente eletti quali son quelli presenti in codesto loco. A Dio!

  18. Buonasera, l’altra sera ho ascoltato con molta attenzione il soprano greco Vassiliki Karayanni : aiuto ! E, a sentire i commenti degli altri spettatori, e’ addirittura peggio della Gilmore !! Ma dobbiamo per forza sopportare queste due ?! Una curiosita’ : fino a qualche settimana fa sul sito del Teatro compariva la sola Gilmore per il ruolo di Olympia: e’ arrivata all’ultimo minuto ? Ne sapete qualcosa di piu’ ?
    Christian

  19. Buona sera, si lei ha ragione. Io ho partecipato alla rappresentazione in cui c’era la Gilmore che non mi era piaciuta affatto ma chi ha ascoltato il soprano Vassiliki mi ha detto che l’ha trovata assolutamente deludente! E’ vero, all’inizio sul sito del teatro appariva la sola Gilmore e poi, inaspettatamente, hanno aggiunto il soprano greco… Strano… Invece sul sito di Jeanette Vecchione ho letto che lei é attualmente “cover” alla Scala per la stessa opera. Quante donne!! Ma se fosse così sarebbe il colmo! Sarebbe come tenere la Ferrari in garage e fare le gare con le Panda (con tutto il rispetto per questa macchina). La Vecchione ha cantato recentemente a Parigi ed io l’ho trovata eccezionale, come anche tutto il pubblico presente a giudicare daglia applausi…

    • Cara Greta le ho appena sentite entrambe sul Tubo. preferisco la fanciulla americana alla greca, che ha la voce piena d’aria e bella bassa di posizione. L’americana ha il centro aspro però…mentre gli acuti sono belli. Non è una Ferrari in assoluto, ma migliore della Vassiliki. Grazie della nota preziosa.

  20. Appena tornato dallo spettacolo, voglio esprimere anch’io un parere su questi Contes che non mi sembra eccessivo definire come l’ennesimo flop scaligero: la sala semivuota (per i Contes d’Hoffamnn…non pe il Palestrina di Pfitzner) dovrebbe far riflettere chi di dovere.

    Resto della mia idea sullo spettacolo di Carsen: lo trovo splendido (a parte l’atto di Olympia che è poco significativo), magnificamente costruito, con immagini suggestive e colpi di teatro assolutamente geniali. Certo – ed è l’unico, seppure grave, difetto che trovo – manca una componente a mio giudizio essenziale della poetica dell’opera: la visione romantica. Il mito dell’artista come figura che si eleva in titanica solitudine sulle proprie sofferenza in nome di un ideale superiore, passa in secondo piano in una ambientazione “secolarizzata”. Carsen riscatta con un estremo lavoro sul gesto e sui simboli questa carenza…ma alla fine l’opera rimane zoppa. Comunque sia resta un gran bel pezzo di teatro.

    Molto male, invece, la parte musicale: a cominciare dal grigiore della bacchetta. A parte il pasticcio editoriale e i tagli (e se penso che alla Scala ci propinano da anni la decrepita Choudens, mentre all’ASLICO, qualche anno fa, si sono sforzati – con mezzi scarsissimi – di offrire la Kaye, mi vien da ridere e piangere), Letonja è monotono, grigio, lentissimo e pesante…davvero un insulto alla meravigliosa scrittura di Offenbach.

    Per i cantanti mi riporto, in parte alla recensione, aggiungendo che la Gilmore avrà pure degli acuti nominali (le note ci sarebbero), ma sono emesse in modo così sgradevole e stonacchiato che, francamente, mi sembrano sforzi inutili. La Gubanova si sente assai poco. La Kuhmeier è partita bene con l’aria, ma nel terzetto è miseramente affogata. Mentre la Simeoni è stata più che apprezzabile: una buona Giulietta. Sul versante maschile: Vargas è il prototipo del metodo scientifico per suicidare una voce…oggi non si sente quasi e ha un registro acuto disastrato. Naouri sarebbe stato il migliore (ottima presenza scenica, elegante, estremamente musicale e sicuramente avvantaggiato dalla padronanza della prosodia francese), ma, purtroppo, le enormi difficoltà in acuto ne compromettono la prova: un vero peccato.

      • Purtroppo sì…. Ogni acuto, comunque, era raggiunto con estrema fatica..la voce non gira bene. Peccato perché il timbro è molto bello e la dizione perfetta…

        Ps: dimenticavo…pubblico da gita aziendale, con massiccia dose di asiatici che si sentivano in dovere di applaudire ad ogni acuto.

  21. Che noia! che barba! che noia!
    Su ragazzini della Grisi, vedo che all’opera vi annoiate e addormentate spesso!Non sarà che c’è qualcosa che non va in voi? State invecchiando!
    Nel Teatraccio vi annoiate, vi addormentate poi chissà perchè vi arriva il furore! Poveri noi!
    Dopo il memorabile Don Giovanni, in cui il teatro nel teatro non c’entra proprio un bel niente e se continuate a pensarla così peggio per voi. Rileggetevi il mio post su quell’opera e capirete.
    Qui invece il teatro nel T. c’è eccome,ma lo spettacolo a me è parso memorabile, ha sì 12 anni, ma non li dimostra affatto, godibile, intelligente e diabolico, come deve essere. Direttore buono, assai misurato e per niente fracassone e ad alta velocità, come va tanto di moda.
    Cara Marianna, ma dov’eri? a teatro? a casa? a Cortina alle prese con la Finanza? La Genia latrava!Oibò!che robe! Ma M. ci sei o ci fai?
    La Kumheier a me alquanto insipida,finalmente ha cantato e bene e soprattutto ha recitato e questa è una notizia!
    Vargas, ma gli acuti li ha mai avuti? A me è piaciuto, gran bel timbro e andatevi a sentire Villazon a Monaco.
    Grande successo finale: io ERO PRESENTE, alla premiere, e posso testimoniare che io uscito dopo 7-8 minuti di applausi, la claque ha continuato ancora per almeno 4 minuti e grandissimi osanna per Carsen. Sì, questo è successo e sfido chiunque a contraddirmi. IO C’ERO!
    Cordialmente. Cap.

    • Cappottino vezzosetto, sei tornato!!! Che meraviglia!!!

      Ma che stai a dì??? 😀
      Ma mi faccia il piacere!!!! 😉
      Che simpaticone che sei, è sempre un gran sollazzo leggerti ^_^
      Ma lassemo stare, và!
      Al prossimo spettacolo, ci conto, per un’altra girandola di tue considerazioni!
      Baci baci

      Marianne

        • No no, nessun errore! Tutto giusto almeno per una volta! 😉
          Alla “Donna del lago” ci fu la conferma provata che il pubblico di quell’opera non conosceva nemmeno il nome del compositore.
          Ai “Contes” la conferma provata della claque!

          Grazie caro, mai un tuo intervento è stato così illuminante! 😀

          Marianne

    • Anche io c’ero, a me lo spettacolo è piaciuto e non ho motivi particolari per contraddirti, ma 7-8 minuti di applausi te li sei sognati ! li ridurrei a 2/3, calorosi e veloci… quella sera non avrei detto della Kühmeier che latrava, ma che fosse un’Antonia candeggiata, fissa, senza espressione, con acuti spinti e strillati si! La sua recitazione da comédie larmoyante, poi, tra il mesto e il lagnoso l’ho trovata, in tema, “patetica”. Inoltre, lasciando perdere gli acuti, che un Vargas stimbrato ed in apnea costante cantasse bene solo perché Villazòn a Monaco ha fatto peggio… si commenta da sé.

  22. ho visto les contes..ieri e vorrei fare alcune considerazioni; la “trovata” registica di far simulare a Olympia un atto sessuale
    è stato un effettaccio, una gigionata e infatti ha ricevuto l’applauso a scena aperta dal blasonato pubblico della scala;una volta le gigionate le facevano i cantanti (acuti non scritti,prolungati,ricerca di effetti) oggi son concesse solo ai registi con il benestare dei critici “ed il pubblico applaude ridendo allegramente”;
    la “trovata” delle sedie che ondeggiano(altro applauso) ha fatto sì
    che la barcarola si sentisse poco,ma questo al regista credo non importasse,non parliamo dell’orgia ormai chiodo fisso dei registi.
    Grazie otello

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