Le cronache di Manuel García. Filarmonica della Scala – Vogt – Harding, 06.II.2012

Siamo tornati in Scala, a distanza di poche settimane dall’ultimo concerto, per ascoltare nuovamente il direttore Daniel Harding. Presenza, fino a pochi giorni fa assolutamente inaspettata, l’inglese essendo stato chiamato per sostituire il M. Esa Pekka-Salonen che aveva dovuto cancellare l’appuntamento scaligero per motivi di salute. E visto l’esito del precedente concerto di Harding, la cosa non poteva che farci grande piacere.

Effettivamente è stata una piacevole, seppur parziale, riconferma di quanto avevamo ascoltato la volta precedente, ossia delle notevoli capacità e doti del direttore.

Harding resta infatti l’unica bacchetta disponibile oggi capace di portare ad una felice conclusione ogni concerto con la Filarmonica della Scala: la tiene in mano, la porta fino alla fine senza farla sbandare, riesce a tirare fuori un suono di notevole cavata e profondità.

Brevemente. Il programma proponeva il Concerto n. 1 per pianoforte di Brahms e la Sagra della Primavera stravinskjiana. Nella prima tappa del rapido percorso Harding, forse perché accompagnato da un loffio e piatto Lars Voigt, ha ridotto tutto in sordina, offrendo un suono quasi avvolto da una campana, pallido e incolore. Non brutto, tranne alcuni momenti sgarbati e sporchi (rumorose le prime battute del I e del III movimento), ma insipido e senza alcuna consistenza.

Ben più interessante la straordinaria e complessa Sagra della Primavera: grande pagina che il direttore inglese ha affrontato con grande saggezza e precisione musicale. Sarebbe comunque un peccato nascondere alcune perplessità riguardanti l’esecuzione: un certo gusto “british”, una eccessiva razionalità  e quindi mancanza di quello slancio,  di quella “follia” di cui tanto ha bisogno questa composizione. Resta però per altri aspetti un’esecuzione assolutamente degna di memoria al giorno d’oggi: fin dalle prime affascinanti battute del fagotto e per tutto il climax dionisiaco che invade lo spartito fino alla folle esplosione della Danza Sacrale che si conclude con la morte sacrificale del fanciullo, Harding ha cercato, senza ottenere in taluni punti il risultato desiderato, di condurre l’orchestra scaligera in questo crescendo di tensione senza mai abbandonarla alla sua superficialità consueta, senza farla scivolare e sempre con un suono nitidissimo.

In questa occasione però l’orchestra, che nel concerto precedente con lo stesso direttore, si era contenuta nelle sbandate, non si è fatta mancare le occasioni per mettere in mostra la sua natura solita: fiati, corni in particolare, al limite del ridicolo, stonati ad ogni ingresso, violini sfibrati e privi di unità nel suono e, complessivamente parlando, una latente pigrizia nel seguire l’agile e chiarissimo gesto di Harding.

Insomma, anche qui una conferma, triste conferma di come nulla in Scala cambi.

Confermo tuttavia la mia stima e il mio sincero applauso per chi, nello squallore odierno, cerca, spesso riuscendoci, di sollevare le sorti della musica.

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33 pensieri su “Le cronache di Manuel García. Filarmonica della Scala – Vogt – Harding, 06.II.2012

  1. Ho ascoltato per radio il concerto. Non sono affatto d’accordo sul giudizio profondamente ingiusto al pianista. Lars Vogt – che ho ascoltato diverse volte in disco e dal vivo proprio a Milano (in uno straordinario “Imperatore”) – è grandissimo solista, trascinante e dal suono direi “barbarico”… Il problema, in questo concerto, è stato proprio Harding, decisamente loffio e per nulla in sintonia col solista (che, meglio precisarlo, deve essere il baricentro dell’esecuzione). Harding faceva un Brahms classico e “british”, Vogt più tempestoso e romantico. Un cattivo assortimento di cui è responsabile il direttore inglese. La Sacre è stata deludente, come dice giustamente Garcia…troppo compita in alcuni punti, in altra decisamente pesante. Harding non può essere uomo per tutte le stagioni.

  2. Premesso che Brahms è un compositore che non amo, Vogt, in teatro, non è riuscito a dare un volume al suono, non ha cercato il colore, o forse non lo ha trovato. E’ stato un concerto noioso sia per la musica, sia per l’esecuzione.
    Stravinskj è stato, ripeto, decisamente più bello.

    • Noioso per colpa di Harding: Vogt l’ho sentito più volte ed è non meno che straordinario…la zeppa era proprio la direzione. Totalmente scollegato dal solista in Brahms e mediocre il Stravinskij. Un concerto per pianoforte e orchestra (di età romantica) è un organismo complesso in cui il solista deve dare l’identità. Se il direttore se ne frega e fa un compitino noioso non è certo colpa del pianista.
      Nel ’63 Bernstein e Gould hanno eseguito lo stesso concerto alla Carnegie Hall: il direttore non condivideva le scelte del solista (e lo ha pubblicamente dichiarato), ma, nel concerto, ha seguito l’impostazione di Gould…proprio perché è il solista a decidere. Harding non vale nemmeno l’unghia di Bernstein eppure, da brava primadonna, non ha voluto trovare la simbiosi col pianista: questa è scarsa professionalità.

  3. Io ho visto il concerto in streaming. Direi che do in parte ragione sia a Duprez che a Garcia. L’ accoppiata Vogt – Harding era male assortita e Vogt, di cui ricordo una bellissima prova brahmsiana nella grandiosa Sonata op. 5 qui a Stoccarda, mi è parso come frenato da un’ impostazione interpretativa che gli andava stretta. Molto più interessante il Sacre, ma senza esagerare. Il capolavoro di Stravinskij è una partitura di una difficoltà spaventosa, per affrontare la quale occorrono le capacità di orchestre come quelle americane o inglesi. L’ interpretazione di Harding era interessante, l’ orchestra ha risposto abbastanza bene ma non esageriamo a mitizzare un’ esecuzione al massimo di qualità media, come stanno facendo sulla stampa e nel web.
    Saluti.

    • Sicuramente nel esprimere giudizio su Harding, siamo condizionati dal fatto che al giorno d’oggi il livello artistico nei diversi ambiti ha raggiunto livelli bassissimi: è ovvio quindi che appena spunta da questa marmaglia di gente un individuo più dotato di altri, il giudizio a volte esagera nell’essere positivo.
      Sono altrettanto certo che se Harding fosse nato un secolo fa non avrebbe fatto la carriera che sta facendo adesso ma avrebbe frequentato teatri ben più scadenti.
      Detto ciò, non bisogna neanche sottovalutare il valore in potenza o in atto di una bacchetta come Harding: ha delle grandi qualità, delle grandi potenzialità e ha saputo in diverse circostanze dimostrarlo concretamente.
      Qui nessuno sta mitizzando o esaltando.
      Si sta solo esprimendo un giudizio su un artista che oggi spicca su tutti gli altri suoi colleghi per meriti concreti e propri.

      • Non credo che 100 anni fa i direttori fossero migliori di oggi – anzi, direi proprio il contrario: gli ultimi 70 anni hanno regalato bacchette straordinarie – neppure credo che Harding, se fosse nato 100 anni fa sarebbe un nessuno: ha grande talento e originalità, ovviamente non per tutti i repertori. Detto questo non ritengo affatto che Harding spicchi su tutti i suoi colleghi (Pappano, Abbado, Chailly, Gardiner, Minkowski, Boulez, Zinman, Rilling, Salonen, Thielemann, Gergiev, Herreweghe – i primi nomi che mi vengono in mente – sono tutti in attività…), piuttosto gli va dato il gran merito di aver saputo creare un certo feeling con l’orchestra scaligera, che altri suoi colleghi non sono riusciti ad avere. Certo se il confronto è con Letonja, Luisotti, Gatti, Pidò e Barenboim allora diventa un alieno… Ma se paragonato agli altri grandi (per davvero) che ho citato prima, rimane un buon direttore dal gusto molto razionale che, se in alcuni repertori è illuminante (penso a Mozart e Strauss), in altri produce una certa noia e una sensazione come di “irrisolto”.

        • Duprez, ho dei seri dubbi sul fatto che la direzione orchestrale abbia subito una storia contraria rispetto a quella del canto ossia da male a bene, tanto per banalizzare.
          Direttori come Walter, come Marinuzzi, come Mugnone, come Campanini, come Panizza, come Weingartner etc etc faccio difficoltà a crederli inferiori ad un Abbado, ad un Schippers, ad un Karajan.
          E poi, scusami, ma la lista che hai fatto non la capisco: Abbado e Chailly sono della generazione precedente (assieme a Sinopoli e Muti) rispetto a Harding. Come Rilling e Boulez. Gli altri hanno un repertorio troppo diverso da quello di Harding per poter esprimere un giudizio, a meno che Harding non inizi a eseguire Lully, Handel e Monteverdi! Certo, hanno avuto delle frequentazione più vicine a noi: penso a Offenbach per Minkowski, penso a Beethoven per Gardiner ma non mi sembra che abbiano raggiunto un livello altissimo. Dal mio punto di vista. Li ammiro, Gardiner e Minkowski soprattutto, nel loro repertorio.
          Salonen lo conosco poco, anzi pochissimo. Gergiev non lo ammiro proprio.

          • Sembra che Garcia abbia più o meno i miei stessi gusti.
            Ringrazio invece Duprez per NON aver incluso nel suo elenco Harnoncourt e Jacobs:)

          • Caro Mozart, Jacobs non lo avrei mai inserito….così come Beecham, Barbirolli e i tanti battisolfa da teatro d’opera. :)

          • Primo: sei pregato di tenere il termine “fesserie” per te..per cortesia. Fino a prova contraria non ho speso la medesima moneta per definire opinioni altrui (per quanto le possa ritenere discutibili o bizzarre).
            Secondo: avrò diritto ad avere i miei gusti e a non ritenere Beecham e Barbirolli grandi direttori??? O devo chiedere dei permessi speciali per non essere tacciato di “dire ALTRE fesserie”??? Il primo – a dirtela tutta – mi sembra la quintessenza della superficialità: sopravvalutato dalla critica inglese. Il secondo non è superficiale come il primo, ma è ugualmente portatore di quel gusto “british” che non apprezzo per nulla.

          • Scusandomi in primis se te la sei presa, posso allora anche io affermare liberamente che io invece ritengo Gardiner e Minkowski due superficiali, slavati e sopravvalutatissimi fenomeni da disco?

          • Certamente: posso non condividerlo), ma ovviamente sei liberissimo di apprezzarli o meno. Io ho una profonda idiosincrasia per il suono “british”, per il distacco superficiale e garbato, per la genericità dandy della maggior parte dei direttori inglesi tradizionali, da Beecham in poi… :)

        • Scusami, ma non comprendo il tuo passatismo a oltranza. Se per partito preso vuoi dire che oggi i direttori d’orchestra facciano tutti schifo…vabbé non vale neppure la pena discutere. Mi piacerebbe però capire in base a quali alchimie sostieni che Abbado rispetto a Panizza sia un direttore scadente. Questo atteggiamento sterile e manicheo provoca la totale chiusura. Non è che tutta la storia sia una degenerazione e uno scadimento: oggi ci sono solisti e direttori che non hanno nulla da invidiare ai tuoi Marinuzzi e Panizza o Mugnone e Campanini… A parte che l’indipendenza del direttore d’orchestra è cosa recentissima: da Mahler in poi diciamo.
          Se tu – come scrivi – ritieni Harding migliore rispetto a tutti i suoi colleghi, allora nella lista si devono includere TUTTI i colleghi in attività (compresi Boulez, Pappano e Abbado…Sinopoli, purtroppo, è morto). E, se permetti, a me pare un’iperbole… Che poi ti piaccia incondizionatamente Harding e che ogni sua epifania si trasformi in un evento musicale strabiliante…boh, liberissimo di crederlo e scriverlo, ma altrettanto libero mi sento di pensarla in modo assai differente.
          Minkowsky è, ad oggi, il miglior interprete di Offenbach, oltre ad aver dato ottime prove nella musica ottocentesca (grand opéra in primis); Gardiner è di assoluto riferimento in Berlioz e splendido è il suo Weber. Zinman, Salonen ed Herrewghe spaziano in moltissimi repertori con risultati incredibili (basta ascoltare il Mahler del primo, il Beethoven dell’ultimo e lo Stravinskij di Salonen).
          Di Gergiev cos’hai sentito per un giudizio così severo? Spero non la sola Turandot scaligera…
          Insomma c’è molta varietà e libertà…a patto, ovviamente, di non arroccarsi su posizioni tipo “dopo Furtwaengler il nulla”…perché non è così.
          Ps: Schippers di fianco ad Abbado e Karajan mi sembra un insulto…essendo il primo di livello talmente inferiore che solo per uno scherzo del destino (che l’ha fatto incrociare alla Horne e alla Sills) ci si ricorda di lui.

  4. No, Duprez, Schippers era un grande direttore; ma proprio grande. Dire che debba la sua fama al fatto di avere incrociato la Horne o la Sills è un’assurdità. Basta aver sentito la sua Manon Lescaut a Spoleto (o anche all’Opera di Roma, con Tucker e la Zeani; ne ho un ricordo incancellabile) per rendersene conto. Immagino che tu non lo abbia mai sentito dal vivo; solo questo può scusare una simile mostruosità.
    Marco Ninci

    • schippersi era un genio, e la sills e la horne no c’entrano un fico secco. dirigeva benissimo, il suo strauss mi piace quanto il suo wagner……..ma è mai possibile che per avere ragione ad ogni costo si scrivano cazzate come questa?
      per una volta sono con marco ninci

    • Ovviamente dal vivo non l’ho sentito (come nessuno di noi ha sentito Panizza o Mugnone…ma sono sicuro che anche loro sono inferiori a Faccio o Arditti…o a Nicolai, o perché non risalire a Lully?): ho le incisioni e mi sembra, spesso, alquanto pesante…ad esempio la sua Lucia con la Sills o il Trovatore con Corelli. E’ un direttore che mi dice poco o nulla: un ottimo concertatore, certo. Comunque io parlo di direttori d’orchestra di repertorio sinfonico, e in questo campo, mi spiace, a fianco di Karajan, Abbado (anche se qui lo detestate tutti) etc..non ci sta proprio. Non mi sembra che l’argomento qui sia l’opera.

  5. No Duprez in una cosa sbagli e di grosso! I direttori come Campanini, Marinuzzi, Serafin, Walter, Beecham ( che per la cronaca venne reputato da Strauss il DIRETTORE per Elektra) avevano un cosa che gli attuali e per attuali parto dalla generazione di Claudio Abbado non hanno. Amavano opera e voci e non avevano gli atteggiamenti paraculturaloidi di tutti questi signori.
    Forse erano solo più pragmatici e realisti ossia sapevano che senza cantane l’opera non si può fare. E piaccia o no questa era l’ottica di tutti i compositori, non solo Bellini e Donizetti, ma persino Strauss.

  6. Schippers era anche un eccellentissimo direttore sinfonico. Io l’ho sentito tante volte pure in questa veste e non mi ha mai deluso. Non era assolutamente pesante. In un Trovatore fiorentino della fine degli anni Sessanta, con Tucker e una stellare Caballé, dimostrò la statura di un fuoriclasse assoluto. Ciò non toglie che, al di fuori del suo repertorio di elezione, potesse inciampare. Subito dopo quel Trovatore diresse infatti, sempre a Firenze, un “Così fan tutte” di noiosissima routine.
    Marco Ninci

  7. Però qui sbagli di grosso tu, caro Donzelli, o meglio sbagli prospettiva: la musica non è solo l’opera, né con l’opera si esaurisce tutta la musica. Qui si parla di musica sinfonica, di un concerto sinfonico e di Harding in ambito sinfonico. Qui non ha senso parlare delle voci o dei cantanti. Francamente non vorrei sentire i Serafin e i Panizza alle prese con la Nona di Mahler o la Settima di Bruckner (magari in mano loro sarebbero durate 15 minuti, dopo tagli e raggiusti). Trovo incomprensibile, però, l’odio per Abbado (condiviso da tutti qui): credo che non c’entri nulla la musica in questo atteggiamento, ma un mero pregiudizio.

    Quanto alla “praticità” dei compositori il tuo discorso può valere – fino a un certo punto – con Donizetti o Rossini, già col Verdi maturo le priorità erano diverse (non si scrive più PER il cantante, ma si fa musica), a maggior ragione per Wagner o Strauss. Ma pure Handel non aveva una visione così “artigianale” dell’opera, per non parlare di Mozart o Gluck. Certo se l’alternativa è la trasformazione dell’opera in un centro di montaggio tubi o in un laboratorio di calzature (dove si lima e aggiusta senza nessuno scrupolo per…per cosa? Ripetere comodi luoghi comuni? Facilitare i capricci di divi e primedonne?), preferisco le suggestioni “paraculturaloidi” di musicisti che forse nell’opera ci hanno visto dentro musica e non solo un luogo per esibire acuti, piroette vocali e svenevolezze liberty.
    E comunque un conto è l’opera e altro la musica sinfonica.

    Ps: il primo direttore di Elektra fu Ernst von Schuch (che diresse anche la prima di Salome e Rosenkavalier).

  8. Con tutto il rispetto per l’ amico Duprez, non diciamo fesserie. Schippers nelle sue serate migliori era un grandissimo direttore. Io da lui ho ascoltato la migliore Traviata della mia vita, a Venezia nel 1972, con una Sills stratosferica e una regia di Menotti che annovero tra le messinscene più belle e poetiche da me viste. Tre giorni dopo diresse un Requiem squassante, apocalittico e straordinario nella cupezza dolente di certe atmosfere strumentali e corali, coadiuvato da uno splendido quartetto vocale che comprendeva la giovane Ricciarelli, Beverly Wolff, Gedda e Giaiotti. Due cose del genere a distanza di tre giorni…lo capite adesso perchè rimpiango quei tempi?

      • Penso che la risposta giusta sia l’audio di Marinuzzi che dirige il Manfred di Schumann: una delle più belle esecuzioni di questo capolavoro. E Marinuzzi non era solo un battisolfa accompagna-cantanti da Don Pasquale e Ugonotti. Aveva, come anche Gui, un repertorio sinfonico di tutto rispetto: Brahms, Debussy, Beethoven, Strauss, Berlioz. Non si ha nulla di quelle incisioni ma, da quel poco che è rimasto è facile dedurre la grande arte del direttore palermitano.
        E poi, non è che chi dirige opera è un direttore di secondo livello: Bonynge è stato un eccellente direttore, grande artista, raffinato, colto.
        Non è che chi dirige sinfonica è un direttore “colto” e chi dirige opera è un “tecnico”.

        • Io non dico affatto che chi dirige opera sia un direttore di serie B, dato che sempre di musica si tratta (seppur di estrazione differente e con peculiarità e difficoltà differenti), è vero però che molti direttori di serie B si sono principalmente dedicati all’opera, con il risultato di “far passare” come naturale il concetto per cui nell’opera “funzionano” anche i battisolfa (certo…a battere il tempo, non a far musica).

          Non metto in discussione Marinuzzi, gran musicista e fine direttore (anche se dell’ouverture di Manfred preferisco altre esecuzioni: Furtwangler ad esempio). Ma posso benissimo apprezzarlo (per quel poco che ci rimane) senza per questo disprezzare i grandi, grandissimi direttori che anche oggi calcano il podio.

          Non posso concordare, però, su Bonynge (che mi piace chiamare Mr. Sutherland, in senso volutamente polemico): uomo raffinato e colto, ottimo didatta probabilmente e con grande sensibilità, ma non certo eccellente direttore, anzi… Ha avuto l’intelligenza di mettersi in disparte e coadiuvare la consorte (quella sì autentica musicista). Dalla sua aveva una certa dimestichezza con le voci (anche se andrebbe ridimensionata la sua fama di conoscitore ed esperto, almeno a giudicare dalla maggior parte delle sue incisioni, dove accanto all’astro assoluto della Sutherland – che lui serviva con professionalità – c’era il nulla: dalla Tourangeau a Vernios, da Spiro Malas a Cossa, da Wixell a Opthof, da Corena alla decozione di Ghiaurov…per non parlare dei cast improbabili delle scorribande australiane). Certo è un direttore che conosce il belcanto e, senza eccellere, è riuscito ad essere efficace. Per il resto trovo che accanto ad alcune direzioni particolarmente azzeccate (Lucia e Puritani, Esclarmonde, Faust e poche altre) vi sia molto mestiere (cosa per nulla disprezzabile) e, talvolta, molta pesantezza (il clangore di piatti della seconda Norma ne è un esempio). Insomma non credo che a un direttore del genere si potesse affidare una sinfonia di Beethoven o di Mahler o di Mozart o di Schubert, ecco…né credo mi sarebbe piaciuto ascoltarla.

          E comunque – ribadisco – il mio discorso è circoscritto alla musica sinfonica.

  9. Caro Gianguido, tu rimpiangi quei tempi, ma ometti di dire che quegli stessi tempi portarono La Fenice sull’orlo della bancarotta. Come spesso ti capita di fare, ometti quello che non fa gioco al tuo discorso.
    Marco Ninci

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