Come diventare un grande regista “à la page” in 25 mosse

Un regista per essere considerato “à la page” deve:

1) Ambientare l’opera nel presente con tanto di riferimenti a guerre, nazismo, attentati, condizione terzomondista, inquinamento, malattie incurabili o meglio ancora in uno spazio vuoto o astratto, oppure in una casetta lignea/ferrosa/vetrosa o stile Bauhaus, meglio ancora in un bunker o ospedale, oppure nel consolidato “teatro nel teatro”, oppure proporre la vicenda all’epoca del compositore con riferimenti alla sua biografia o all’ambiente a lui più congeniale: Rossini in gastronomia, Donizetti in un casino, Prokofev nella Mosca del compagno Berja, etc.., smentendo la componente storica del libretto, per essere più vicina al pubblico, ai giovani e “svecchiare le incrostazioni”.
La scena è consigliabile fissa, al massimo dotata di mobilio stile “Secessione” e piano ruotante.
2) Fare indossare cappotti di varie fogge, ma di colori neutri o spenti o abiti candidi.
3) Mostrare pettorali, seni, pudenda maschili e femminili, deretani.
Questo è un obbligo morale!
4) Inscenare almeno una sequenza di stupro, un’orgia, una di maltrattamento verso animali e verso donne, trattate ovviamente come buchi da riempire o poco più.
Climax obbligatorio la scena in cui ci si droga o ubriaca.
5) Far capire, lentamente, che tutto ciò che avviene in scena è il sogno, oppure una pura follia, oppure la proiezione psico-freudiana-junghiana del protagonista fragile e complessato.
6) Riconoscere che la borghesia e la chiesa sono le vere piaghe sociali: tutti siamo puttane, spacciatori, ipocriti, sessuomani dai gusti estremi, drogati, infidi, omosessuali, transessuali, maniaci sessuali, serial killer, rissaioli, violenti, mostri schizofrenici, ossessionati dal denaro e dagli oggetti, MA in fondo falsi perbenisti baciapile con un cuore d’oro e crocifisso in tasca vittime della ruota del sistema dipinto come un tirannico regime fascistoide “che schiaccia l’individuo sotto la pesante ruota del totalitarismo armato e guerrafondaio”.
Tutto questo va denunciato e sbeffeggiato.
7) Trasformare, ad un certo punto dell’azione il/la protagonista in una puttana o in un alcolista/drogato; meglio se tutti e tre contemporaneamente.
8 ) Ergersi a essere pensante superiore e ben più intelligente del librettista e del compositore; QUINDI occorre sovrapporre una propria versione dell’opera a quello che banalmente già si conosce; il finale va ovviamente stravolto.
9) Utilizzare SOLO gelide luci di taglio, oppure al neon in puro stile “asettica corsia d’ospedale” o meglio “sala settoria di anatomia patologica”, oppure di un accesissimo color pastello o  stile “corto circuito” da integrare ad un abbondante uso di proiezioni che non c’entrano praticamente nulla con ciò che avviene in scena, e il cui unico scopo è scatenare una guduriosa sega mentale nei fans del regista.
Ancora meglio se la scena piomberà in un buio abissale in cui ognuno possa immaginare ciò che vuole.
L’accensione delle luci in sala durante la recita fa parte degli imperscrutabili obblighi morali di cui sopra.
10) Costringere i cantanti per 2/3 dell’opera a cantare sdraiati a terra, o in posizioni ginecologiche, o da contorsionista, per improvvisa depressione o perdita del controllo delle gambe o schiaffo/pugno/calcio o innamoramento.
11) Rappresentare il coro come un unica massa perversa, omogenea e giudicante il cui scopo è sghignazzare e far rumore durante la musica.
12) Prima dell’opera o di un atto integrare 20 minuti circa in cui denunciare un male della società o ridicolizzare il pubblico attraverso azioni insensate con l’utilizzo di ballerini, mimi travestiti da animali (meglio se esotici o scimmieschi), attori che reciteranno testi astrusi.
13) Risolvere il balletto, se previsto, come un sogno nel sogno, un incubo, una scena di tarantolati oppure con uno spargimento di sangue.
14) Sdoppiare o centuplicare uno o più personaggi attraverso un uso insistito di mimi e ballerini per confondere meglio le idee e l’azione: tutto ciò è molto intellettuale.
15) Inserire almeno una scena con uno specchio gigantesco, dritto o inclinato, che raddoppi e deformi le azioni e “permettere al pubblico di entrare nella scena facendone parte, rispecchiandosi nelle azioni narrate”.
16) Inserire OBBLIGATORIAMENTE un letto in scena che dovrà essere onnipresente e fulcro dell’azione, concentrando su di esso tutte le svolte sconvolgenti dell’allestimento; esso andrà ovviamente tolto allorché il libretto ne preveda un espresso utilizzo.
17) Sostituire le parti recitate nell’Opéra Comique con un testo scritto di proprio  pugno il cui linguaggio deve essere crudo, brutale, volgarissimo a abbondare di parole come “Bitch, Putaine, Whore, Motherfucker, Bullshit, Fuck, Cock, Pussy, Asshole, Faggot” e delizie simili, perchè fa gggiovane, iconosclasta e tanto “scandaloso”.
18) Affermare che il testo del libretto sia una zozzeria indecente, che non si comprende il perchè un raffinato compositore sia stato attratto da una robaccia del genere, anacronistica all’epoca e lontana dalla nostra “sensibilità moderna” e giustificare il tutto inventandosi complessi, sindromi e traumi infantili che il poveraccio di turno ha subito da bambino. Il risultato per dare nuova linfa a queste “datate insensatezze”? Il compositore dovrà apparire in scena in maniera goffa, infantile e spaesata e interagire timidamente con i personaggi che ha creato.
19) Sostituire le scene che prevedono ambientazioni naturalistiche vicino a fiumi o foreste con discariche, fogne o strada malfamate e popolate da topi giganti, puttane, trans, gay, pervertiti, spacciatori, boss mafiosi e ladruncoli.
20) Trasformare in feticcio imprescindibile i lampadari, i capelli sporchi, le pistole, i vestiti laceri, le ferite in volto, ma soprattutto gli anfibi per i personaggi “giovani”.
21) Invadere la scena con acqua, che tra uno schizzo e l’altro si trasformerà in una fanghiglia ripugnante, oppure con della sabbia così da impedire ai cantanti ogni più naturale movimento; il che si tramuterà nella mente del critico illuminato come “la materializzazione attraverso elementi naturali della fragilità, delle difficoltà e dell’ inutilità delle umane miserie e delle contraddizioni dell’anima”.
22) Far diventare protagonista assoluto della scena, al pari del letto, un gabinetto (una moltitudine sarebbe ben più auspicabile) il cui significato saranno i critici colti, che vanno in sollucchero per i sanitari, a svelarlo.
23) Permettere ad uno o più personaggi di accedere al palcoscenico entrando dalla platea a opera iniziata; se il cantante lo fa correndo, o sghignazzando, o in stato di delirio è meglio.
24) Tagliare o modificare arie o recitativi adattandoli al proprio allestimento o al proprio gusto personale giustificando lo scempio come “una operazione necessaria e culturale volta a rendere più fruibile, immediata e non distante dal gusto odierno del pubblico una vicenda francamente ridicola, poco credibile, invecchiata e fuori moda”.
25) Beccarsi sorridendo fischi e contestazioni: ciò rappresenta il personale trionfo e la conferma che il pubblico è ignorante, stolto, ipocrita, incivile, ha una sessualità repressa e vissuta in maniera malata,  e, peccato mortale, non vive di “seghe mentali”,  mentre Egli è secondo per onnipotenza e onniscienza solo dopo al Creatore!

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91 pensieri su “Come diventare un grande regista “à la page” in 25 mosse

  1. E non dimentichiamo di trasformare e travisare scientificamente le opere buffe in tragedie, i drammi in commedie e in generale qualsiasi genere nel suo opposto, perchè se no non si è capaci di folgoranti originalità postmoderniste, ma solo di pedanti passatismi repressi…. Frau Brandt, io la stimo!!

    • «In Italia ho sempre lavorato volentieri – conferma Carsen – perché mi sembra che il pubblico sappia cogliere bene l’ insieme di pensiero ed emozione che cerco di miscelare nei miei spettacoli. Il teatro è capace di elevare l’ uomo al di sopra delle piccolezze e delle banalità della vita quotidiana e l’ opera, in particolare, attraverso l’ alchimia di libretto (l’ intelletto) e musica (l’ emozione) aspira a sfiorare il divino. Ma perché si rinnovi il suo mistero occorre la disponibilità di mettersi in discussione, di non viverla come un museo ma come un luogo dove riscoprire e rivivere storie che conosciamo da sempre ma da un altro punto di vista, sotto una prospettiva inedita. Occorre anche che la politica stia al di fuori del mondo artistico. L’ interpretazione non è un fatto politico, è una nuova “composizione” che nel rispetto di quella del compositore deve godere della sua autonomia. E dato che il teatro è in grave pericolo in quest’ era di violenti tagli ai fondi pubblici, anziché questionare tra noi, dobbiamo far di tutto per la sua sopravvivenza». (Robert Carsen)
      DRIIIIIIIIIIIIIIINNNNN… è la sveglia.

  2. Uah Uah Uah!!! 😀 carissima Marianne, “geniale” (tanto per usare l’unico aggettivo che viene in mente, a ripetizione, a certa stampa quando deve descrivere queste prodezze registiche) ma ti sei scordata di dare del “cretino” a chi la pensa diversamente, condendolo con un “totalmente”, “semplicemente”, “assolutamente” a seconda delle possibili varianti.
    Più cretino di tutti, ovviamente, il pubblico che paga.
    Brava, ben così si fa!
    Salutissimi

  3. ops! Il meglio mi scordavo: per essere “a la page” (ma l’espressione ormai è antiquata, meglio usare “trendy”) bisogna denigrare sempre e tutto quanto ha fatto Zeffirelli. Sputare su Pizzi, sempre e comunque, rimpiangere che certi spettacoli visti a Mombasa o a Manaus qui, purtroppo, non arriveranno mai.
    Se poi si nominano, chessò, un Crivelli, un Fassini, non si dica Beppe De Tomasi, anatema!!!

  4. Il post di Marianne è bellissimo e ha ragioni da vendere. Purtroppo esiste l’eterogenesi dei fini. E ciò darà adito anche a stupidaggini reazionarie come quella dell’intervento che mi precede.
    Marco Ninci

  5. Ragazzi, e voi siete in Italia. Io in dieci anni di merda registica tedesca ho visto cose che voi umani….
    Aridateme un concerto in costume di Pizziiiiiiiiiiiiii!!!!
    O una di quelle belle regie di Mauro Bolognini, che ironicamente alle prove (da giovane io ho fatto tre o quattro volte la comparsa in sue produzioni) diceva sempre ridendo: “Eccheppalle sta opera…ma che ddebbo fa’, tengo famiglia..”. Eppure era attentissimo ad ogni minimo particolare e quando doveva provare certe cose si preoccupava sempre di chiedere al direttore d’ orchestra se non disturbavano la musica.

    • PER ESSERE ANCORA PIù REAZIONARIO tavole pittate, costumi di proprietà del cantante, arie di baule a manetta (vedi annetta casaloni che nella miller ci metteva presente verdi l’aria di cuniza, partito verdi la cavatina di arsace della semiramide) soprani taglia 56, tenori con le dimensioni di agustarello affre, che ai suoi tempi passava per un bellone. Qualcuno storcerà il naso ed interverrà, dicendo che è una scempio. ho già la risposta pronta: Scempio per scempio………

      • Il costume di Werther che usava Kraus -ma per carità! Archeologia allo stato puro ora che c’è lo Kaufmann, definito “storico” dai sapientoni della carta stampata- e che è stato immortalato in quasi tutte le foto, compresa la corpertina del disco EMI, era suo. Mamma, quant’era “reazionario” pure lui! 😀

    • Immagino cosa tu abbia dovuto patire…d’altra parte anche qui in Italia non si scherza…abbiamo quel signore che ha ascoltato “tutte le registrazioni del mondo” che esalta quasi sempre schifezze intollerabili (ha avuto anche il coraggio di definire il ring di Copenhagen il più bello degli ultimi vent’anni…ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!?!)

  6. Bolognini ha firmato, tra l’altro, una VEDOVA ALLEGRA stilizzata ed elegantissima, nel contempo teatralmente scattante e “ripulita dalle incrostazioni” (altra frase molto “trendy”) che prese il via al Teatro di San Carlo di Napoli nel 1985 con una superlativa, autoironica e vocalmente preziosa Raina Kabaivanska, il fascinosio Michael Melby (che non aveva bisgono di mostrare il capezzolo… per altro impircingato prima che ciò fosse di moda) con due altre due coppie eccezionali: Max-René Cosotti Camillo e Daniela Mazzucato Valencienne, da un lato, e gli irresistibili Elio Pandolfi e Slvano Pagliuca, rispettivamente Njegus e Barone Zeta.
    Fece il giro d’Italia e la si vide, anche con altri cantanti, per vent’anni e più. Non approdò alla Scala perchè certo era “provinciale”.
    Ma già, io faccio parte dell’archeologia e ho anche l’imperdonabile debolezza di avere ancora un po’ di memoria.
    😀

  7. Complimenti per l’articolo, Marianne, purtroppo è tutto vero, e confesso che io a queste porcherie (il Ballo che hai messo in video, per esempio, non sono neanche riuscito a finirlo vi vedere, già quando ha aperto-durante il preludio, per giunta-la scena sui cessi, ho spento…ebbene io a certe mostruosità preferisco le opere fatte in forma di concerto, che siano “concerti in costume” o che siano concerti veri.

    • Ha proprio ragione megacle, l’impagabile Marianne ci ha fornito (aggratisse, come direbbe lei) il primo capitolo di un nuovo “Teatro alla Moda”.

      Ma – ATTENZIONE! – la tetralogia bayreuthiana Boulez-Chereau ha ricevuto una dose di buu forse superiore all’inqualificabile “Ballo” di Bieto (quest’ultimo insignito del Premio Abbiati 2011… come dire al danno la beffa ) di cui sopra. L’argomento è importantissimo e spinoso, e richiederebbe un trattato.

      Rimando i lettori a un recente post di Donna Giulia. in cui ella sostiene che innovare si può e si deve, ma bisogna esserne all’altezza. Questo onde evitare di ritrovarci – come potrebbe succedere a evoliani e trotzkisti uniti sotto l’egida 5 stelle – strani compagni di letto.

      • Possiedo l’audio delle famigerate recite del 1976 del Ring diretto da Chéreau ed accade di tutto: la diga sul Reno soprattutto fu il pugno nello stomaco per il pubblico (emblema di tutta quella Tetralogia).
        Ma quel Ring, debitore, occorre dirlo, della Tetralogia messa in scena da Ronconi-Pizzi a Milano prima (Walkure e Siegfried, poi Sawallisch e le dimostranze del pubblico bloccarono il completamento) e a Firenze poi (dove fu uno dei massimi trionfi del teatro a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e di cui rimane una bellissima testimonianza fotografica e registica raccolte in un prezioso libro), quel Ring, dicevo, è l’esempio del VERO teatro di regia, cotruito sui gesti, sulle psicologie, sugli spazi, sulle indicazioni dell’autore prima e sulla sua filosofia, senza tradire né il libretto, né la musica. Questo è teatro vero, che sa rinnovarsi nella coerenza, nello spirito e nella bellezza e che in seguito ha portato ad altre meravigliose vette!
        Anche registi come Visconti, Strehler, Kupfer, anche i registi citati dal nostro vecchio e robusto, Zeffirelli, Pizzi e Ronconi prima maniera, etc., ma anche Sellars, Brook, l’iconoclasta Berghaus, Friedrichs, de Ana, Wieland Wagner, Ponnelle hanno saputo dare un bel po’ di scossoni al teatro presentando personaggi veri, vivi, bellissimi e teatralmente ambientazioni stordenti.
        Anche coloro che fischiarono se ne accorsero… dopo, e capirono 😉

        • Grazie, Mary.

          Dare pagelle è uno sport adorabile e liberatorio. Un giudizio personale può servire a esemplificare il proprio punto di vista, ma da solo non porta avanti il dibattito auspicato da Marianne. Avete notato notato che nel primo capitolo del suo pamphet la Nostra non fa un solo nome? La sua satira non si propone di stigmatizzare questo o quello, ma piuttosto descrivere i vezzi di una nuova “Accademia” che sta infliggendo enormi danni a un genere che tutti amiamo.

          Già, perché il “teatro di regia” è diventato negli anni quanto di più convenzionale e ripetitivo ci sia, con gli stessi pochi segni – cappottoni, tette, culi, dannati della terra, ecc (e a proposito – ti sei dimenticata – se vedo di nuovo in scena operatori e cameramen che riprendono i cantanti urlo) – che si rincorrono da una produzione all’altra e che ingenerano in noi la sensazione – se non addirittura la certezza – che parecchi di questi signori siano soltanto riciclatori indefessi di idee altrui, afflitti da sindrome “Il Gatto e la Salsiccia” di E.T. Hoffmann (il gatto spia dal buco della serratura la salsiccia che si tuffa in un pentolone di acqua bollente e ne esce tutta rorida e corroborata, ragion per cui decide di imitarla e rimane lesso)

          Il lato positivo è che – continuando ad alzare la posta dello scandalo (Rigoletto? Non Van Dam ma Van Damme, Gilda? una nana sessantacinquenne, il Duca? di certo un trans) – ormai non si scandalizza più nessuno. Perfino in Germania , patria di questo sciocco meccanismo, (Eva e Kattrina, sveglia!) incominciano ad annoiarsi e basta.

          Per concludere, voglio contraddirmi e spezzare una lancia a favore di Zeffirelli (che per altro non ne ha alcun bisogno). Chi ha fatto il più bel Falstaff (Londra, Roma, New York, Tel Aviv), la più più bella Aida (Milano ’63), la più bella Tosca (Londra ’64) che io abbia mai visto, beh, non riesco proprio a considerarlo un cagone.

          • Lilly, mi associo anche a te, espodendoti il mio pensiero in conclusione: Zeffirelli è un regista bravissimo, ha fatto delle produzioni davvero stupende e soprattutto aveva rispetto dell’opera e del compositore, quindi per me un cagone non lo è. Sta di fatto che, forse anche data l’età, le sue ultime produzioni non sono più quelle splendide e magiche che mi hanno fatto sognare per gran parte della mia gioventù. Ora molte di esse sono sfociate in un pacchiano-baraccone davvero di basso livello per lui (credo che ciò sia incontestabile), e me ne dispiaccio, perchè si merita di essere ricordato per quegli splendidi allestimenti di quando era “giovane”, non per questi ultimi. Fatto sta che io personalmente al D.G. di Carsen preferisco mille volte quello orrendo e completamente fuori tema dello Zeffiro.

          • Concordo. Forse per me è una questione di rispetto della vecchiaia, ancorché invereconda.

            Ho sempre presente la foto di Mistinguette che a Ottant’anni solleva la gonna per mostrare le gambe: un’immagine che dovrebbe servire da monito a noi anziani e non solo.

  8. In effetti, Marianne, la colpa maggiore che io imputo ai registi che tu hai così brillantemente stigmatizzato non è nemmeno qiuella di aver prodotto delle porcherie. E’ invece quella di aver dato un minimo di credibilità ai reazionari per i quali ogni discostarsi dalla lettera delle didascalie e del libretto è un delitto di lesa maestà. Hanno permesso che questi reazionari parlassero e fossero ascoltati, cosa che non sarebbe mai dovuta succedere. Reazionari che avrebbero fischiato senza problemi Appia nella Scala di Toscanini, avrebbero massacrato Roller nella Staatsoper di Mahler, avrebbero messo all’indice le regie wagneriane di Wielend, nipote del Maestro. E poi, Gianguido, tu te la prendi sempre con Carsen, come se l’unica sua realizzazione fosse stata il Don Giovanni della Scala. Eppure conosci benissimo, come li conosce Marianne, gli straordinari esiti di Carsen in molti casi, Elektra, Rusalka, Dialogues des Carmelites, Racconti di Hoffmann, Salome…Non è onesto, scusa, citare solo quello che fa comodo.
    Marco Ninci

  9. Signori cari
    il discorso da voi condotto potrebbe essere frainteso. Io considero qualsiasi cosa uscita dalla mente di Zeffirelli come un insulto all’intelligenza di un essere umano pensante e reputo le palandrane e gli arazzi di Pizzi quanto di più efficace possa esistere per deprimere uno spettatore seduto in un teatro. Ciò non mi dispensa dal provare financo compassione intellettuale per il povero Calixto Bieto, che è sinceramente convinto, con le sue trovate al limite della demenza, di “sovvertire”, di “turbare”, e di “fare scandalo”. E del tanto vituperato Carsen ho avuto modo di vedere una Ariadne semplicemente commovente, un Macbeth piuttosto anodino e il noto Don Giovanni che non mi è piaciuto manco un po’.
    Il post, che mi sembra riassuma la linea di pensiero di questo sito sugli aspetti e le rpoblematiche della regia, potrebbe lasciar pensare un visitatore come me che per voi esistono due modi di intendere il teatro d’opera: 1 Teatro classico in costumi d’epoca e fondali dipinti con i cantanti piazzati al centro del palco=unico, autentico e ragionevole modo di mettere in scena, andato perduto per via della corruzione e del grigiore democratico moderno. 2 Teatro di regia alla tedesca snob e intellettualoide=abbrutimento e degrado e financo stupro della fulgida tradizione di questa nostra vituperata forma d’arte che è bella e ci piace vedere proprio perchè ha il gusto dell’antico.
    Io ritengo che la situazione non si lasci enucleare in maniera così manichea, e sono convinto che anche voi non la pensiate effettivamente così. Ma il rischio di un simile post – che, ci tengo a sottolineare, ho trovato spassoso – è che possa essere interpretato in questo modo. Sarebbe sensato produrre un dibattito più complesso per comprendere meglio i punti di vista di ognuno.

    • Ciao Bambuco e grazie per i contenuti del tuo intervento!
      Il dibattito più complesso mi piacerebbe leggerlo qui tra i commenti, da parte di voi lettori che usufruite dell’opera, del teatro, del pensiero dei registi.
      Il pezzo vuole esasperare in maniera dissacrante i cliché del contemporaneo teatro di regia, ovvero tutto il risaputo “ciarpame” che ci tocca vedere e sovrapporre all’opera stessa.
      Non voglio fare di tutta l’erba un fascio: anche a me alcuni spettacoli di Carsen, ad esempio, mi sono piaciuti tantissimo anche con elementi discutibili (Rusalka, Elektra, Lohengrin, Traviata, Salome, Alcina, Capriccio, Tannhauser), ma poi ci ha servito il solito specchione, il nudo gratuito, pettorali, teatro nel teatro, cappottoni, luci di taglio etc. e non solo nel repellente “Don Giovanni”; e potrei continuare non solo con Bieito, ma anche con Neuenfels, Konwitschny, Schlingensief bonanima, Baumgartner, Braunsweig, lo smidollato Kusej, il sempre uguale Wilson, certi spettacoli di Jones (penso al terribile Lohengrin) oppure a quelli di Guth (regista intelligente, ma che si basa sempre sugli stessi concetti qualunque opera metta in scena).
      Ma possiamo parlare anche dei registi improvvisati, quelli che mettono in scena in pratica solo abiti in forma di concerto, quelli che mettono su solo le scene…
      Il dibattito è aperto… ed è tutto vostro! 😉

    • Caro Bambuco, tra l’1 e il 2 c’è la ragionevole via di mezzo che significa appunto innovare senza stuprare. Secondo me è lì che si dovrebbe andare a finire e non altrove.
      Non ho alcuna intenzione di scendere in insulti a registi che secondo me sono fuori luogo (sarebbe come sparare sulla croce rossa dal mio punto di vista), ma ho la convinzione che taluni un po’ troppo spesso vogliano sostituirsi agli autori e questo in tutta franchezza non mi sta affatto bene. Chiunque essi siano, a qualsiasi banidera appartengano.
      L’effetto “wow” (per dirla coi moderni) lo pretendo dall’insieme, non da due trovate sceniche o da una patetica provocazione concettuale che nulla ha di attinente con quanto si debba fare su quel palco ovvero (anche) cantare.
      Così non fosse, questi guru della neo comunicazione e (de)contestualizzazione storica, provino a passare queste idee a un Cristopher Nolan per il prossimo film. Scendano dai palchi.
      Non è questione di atteggiamento manicheo, è questione di rivedere e aggiornare ma di non fare dell’arbitrario revisionismo storico o non.
      Del resto, la favola di Biancaneve è quella, se vuoi farne un film con Julia Roberts in cui qualcuno rivede la storia o si ispira ad alcune parti della storia per raccontarne un’altra lo chiami in un altro modo.
      Si tratta di atteggiamento comunicativo responsabile che sta agli antipodi delle urla belluine di slogan e proclami, per tracciare un parallelo con quanto accade anche oggi.

  10. OK Zeffirelli fa cagare. La sua BOHEME è da vomito. Non ha mai combinato che schifezze nella sua lunga carriera.
    Pizzi, scenografo e costumista bravissimo, ha commesso l’errore imperdonabile di darsi alla regia anzichè all’ippica.
    Beppe De Tomasi -di cui ho assitito al suo debutto con la regia in un lontano 1968 al Liceo di Barcellona: era UN BALLO IN MASCHERA con Bergonzi, ma senza cessi- va mandato direttamente al rogo perchè, chiamato spesso all’ultimo minuto in situazioni border line, ha salvato spettacoli e serate. Maledetto ulteriormente, perché ad invocarlo erano spesso i Kraus, le Freni, i Pavarotti, le Kabaivanske puhaaaa! Tutta gentaglia e lui un raccomandato.
    E pensare ch’io, per non fare arrossire di sé la modernità, ho trovato interessante la MANON di Massenet di Bieito a Francoforte e, udite udite, anche il MACBETH super trash nella stessa sede.
    Mi domando, invece, e vi domando perchè Carsen debba essere sempre considerato “geniale” anche quando le ciambelle gli riescono quadrate e senza buco. Perchè Mc Vicar debba essere sempre “geniale” pur esso, pure nella brutta AIDA vista a Valencia. Con ciò non nego il valore che alle volte, oki SPESSO, hanno dimostrato i suddetti. Ma considero che vadano giudicati di volta in volta e non per partito preso. E lo stesso pretendo, però, con gli altri.
    Poi i gusti son gusti, para gustos los colores, ma non mi si venga a dire che se una cosa non m’è piaciuta è perchè non l’ho capita, quando è l’autore della regia che non ha capito la trama dell’opera!
    Infine, l’ho già scritto “dall’altra parte”, dobbiamo anche tener conto che c’è un pubblico di neofiti, che la maggior parte di coloro che vanno all’opera non macinano la quantità di spettacoli che vede normalmente (in teatro o in DVD poco conta) “l’operainomane”, mi si consenta la citazione 😉 e quindi è comprensibile la voglia e l’esigenza di ritrovare in scena quello che sta scritto nel libretto, diadascalie comprese, senza per ciò essere un retrogado, un reazionario o un cretino.
    Insomma, chiedo solo il rispetto delle opinioni altrui.
    Ma forse chiedo troppo.
    Saluti cari

      • Io son d’accordo con Giulia, mi piacciono molte cose di Zeffirelli, però son tutte produzioni di quando era “giovane” (l’Aida del ’63, per esempio è davvero un’allestimento magico, non eccessivamente carico e molto piacevole anche come regia, la boheme del ’79, bella anche quella, senza dimenticare la turandot dell’83, che poi sfociò, come del resto tutte le sue ultime produzioni, nell’eccessivo e nel pacchiano ai limiti del comico, per cui si perde anche il senso dell’opera. Ecco, di lui non salvo la Traviata, qualunque essa sia (film compreso): sempre di cattivo gusto e troppo troppo carica. E’ evidente che anche lui è in declino, basta vedere la sua Aida realizzata per la Scala nel 2006, un connubio di tubi d’oro, teste giganti che fluttuano e così tante persona in scena (anche nel 3 e 4 atto, quelli più intimi) che si perdeva appunto anche la bellezza dell’opera, oltre che l’allestimento era in se di cattivo gusto, in un Egitto semi-fantasy davvero poco credibile. Sul discorso Carsen salvo Traviata e Contes, niente di più.

        • L’AIDA di Busseto è piaciuta solo a me? :-( lì ancora una volta la vecchia zia Zeffy ha dimostrato che la classe non è farina di polenta.
          Esagerato, ridondante, rococò, frufru del tabarin fin che si vuole. Avrà pure il diritto, dico io, d’essere rimbambito quel tanto che logicamente gli compete vista l’età. Il guaio è che certi “geni” e di conseguenza le loro “genialate”, nascono male e sono rincoglioniti già dai tempi del fasciatoio.
          Del “geniale” Carsen, di cui confesso di non aver visto tutto, ma certo molto rispetto ad altri, ho apprezzato assai I DIALOGHI. Mi ha parzialmente deluso RUSALKA, non mi ha convinto “l’eterno gioco” del teatro nel teatro de LES CONTES, buono forse per l’atto di Antonia, ma fallito appieno in quello di Giulietta. Non parliamo del D.G. e di una TOSCA vista al Liceu che fu impietosamente, ma giustamente, buata. LA TRAVIATA, ancora, non mi ha fatto saltare dalla sedia. Quasi quasi gli preferisco, non foss’altro perchè è spagnolo, quella di Bieito, laddove Violetta sull’ultima frase “Ah, ma io ritorno a vivere” s’attacca al troley e con Annina se ne esce bellamente di scena lasciando di stucco e con un palmo di naso i maschietti Alfredo, Germont e Dottore.
          Il “geniale” Michieletto, per le cose que gli ho visto “mi fa che ridere” per dirla alla Buzzanca. E lo si vuol spacciare per “l’unico regista italiano intelligente”. :-( Un ROMEO ET JULIETTE con la trovata del giradischi, un PAESE DEL SORRISO a Trieste che è stato un flop, L’ELISIR D’AMORE di Valencia, presto a Palermo, in confronto del quale Zaffirelli pare un “minimalista” e una BUTTERFLY a Torino, provocatoria sì ma piebna di incongruenze drammaturgiche che nemmeno De Tomasi ciucco tradito. Battuto nel racconto della tragedia della geisha giapponese nientepopodimeno che da Giancarlo Del Monaco, in una produzione vista a Tenerife, quella sì un pugno nello stomaco.
          Sicché, forse mi scopro meno “reazionario” del predicibile! 😀

          • Cos’hanno di brutto le opere dirette da Zeffirelli che fortunatamente sono conservate in video?
            Cavalleria e Pagliacci (visti dal vivo), Carmen, Ballo in maschera, Otello (Scala non il film ufficiale), Bohéme, Traviata (vista anche dal vivo), Turandot (vista dal vivo), Tosca (vogliamo ricordare il secondo atto Callas-Cioni-Gobbi che fa tutti palpitar?), Aida… certo ci sono le cadute di stile: il film di Traviata e quello di Otello, il Don Carlo scaligero, Bohéme e Aide pachidermiche, Carmen con la ricostruzione di tutta Siviglia (ma siamo in Arena)…

            Insomma quello che più mi da fastidio è che all’opera si sovrapponga la mente del regista; la presa in giro nei confronti di chi guarda; lo stravolgimento di trama, musica, personaggi, azioni, perchè si vuole raccontare non un sottotesto, ma proprio un’altra storia: allora la si crei un’altra storia e la si racconti!
            Il grande Heiner Muller raccontò la SUA versione di Amleto, ma quando si trattò di mettere in scena “Tristan und Isolde” a Bayreuth mise in scena l’opera di Wagner in una ambientazione scarnificata e basata sulle luci, su pochi ambienti scenici, e sul concetto, bellissimo, che i due protagonisti fossero l’uno il completamento dell’altra, le due metà di una mela, la creatura platonica che divisa si ricongiunge.
            SPLENDIDO!

  11. sul film della Traviata non sono d’accordo Marianne sulla caduta di stile,a parte la valutazione sui cantanti , rimanendo solo a livello di regia è stato un buon film ben girato e belle scenografie,bella la scena girata durante l’umiliazione di Violetta presa da diversi punti con molta dinamica il tentativo di Violetta di fuggire e lui che la riprende ,e l’esprssione incredula quando capisce il gesto che stà per fare Alfredo,insomma Zeffirelli sa fare il suo mestiere..

    • Insomma… Vogliamo parlare degli stucchevoli quadretti stile Harmony che, all’inizio del secondo atto, esemplificano l’idillio campagnolo di Alfredo e Violetta? O del ridicolo e incomprensibile “sempre libera” con lei che schianta le bottiglie di champagne per terra e corre da un punto all’altro del salotto di casa come una menade arruffata? O ancora, delle didascaliche scenette provenzali che illustrano la vita di figlio di famiglia di Alfredo accanto a papà Germont e alla sorella pura siccome un angelo?

          • Come ho scritto prima, quella Traviata (insieme a tutte le altre del grande Zeffirelli) non mi è mai piaciuta e mi trovo in perfetto accordo con le vostre obiezioni. più la guardo, più mi sembra inverosimile e talmente carica da far venire la nausea (come dice Nicola, le scene girate nella casa di Parigi sembrano le stanze del Louvre), con giochi d’oro e buio che alla fine si arriva a non capire più niente. Insieme a ciò, devo confessare che a me la Stratas non è mai piaciuta, e trovo che Violetta non le si addica per niente, sia come intepretazione che (sopratutto) come vocalità.

          • P.S. aggiungo, infine che la regia e la scenografia di Traviata, a differenza degli altri allestimenti di Zeffirelli, che (più o meno) un pochino variavano, sono rimaste quelle dai suoi esordi, in qualunque circostanza è rimasta la regia che a sua volta era “copiata” (meglio appresa) da quella di Visconti. Motivo in più per trovarla ormai vecchia e noiosa.

  12. Sono d’accordo con Lily che trova il teatro di regia convenzionale e con Marianne che mirabilmente ci ha elencato gli immancabili riconoscibili elementi che lo contraddistinguono, al punto 2 avrei ancora inserito: donne rigorosamente in sottoveste. ( D’altronde chi la porta più ? solo all’opera). 2 bis. La misoginia è d’obbligo !

    Ad un estremo la regia scenografica, splendide scene e costumi con manichini in posa, e qui darei il mio personale premio non a Pizzi o Zeffirelli ma alle regie di Attilio Colonnello, in particolare ricordo un Andrea Chénier scenograficamente superbo ma immobile, un quadro vivente con decine di comparse abbarbicate in pose plastiche formanti una barricata, e la Ghena che sull’immobilità già ci metteva di suo.. All’altro estremo porrei il teatro di regia che narra una storia diversa dal libretto, qui ricorderei la Frau ohne Schatten di Christof Loy dove la fantastica vicenda si svolge in una sale di registrazione e narra le vicende dei cantanti che si immedesimano nei personaggi (?).

    Nel mezzo degli estremi tante sfumature, e qui sta anche il discusso Carsen di cui ho visto molti degli spettacoli citati; tra i belli aggiungerei le Nozze e un delicato e fiabesco Cendrillon. Va bene, il Don Giovanni non gli è riuscito, e a mio avviso neppure il Lohengrin che vidi a Parigi – il giocoso gli viene meglio – pur non esente dalla mitomania dei registi-star o dai clichés elencati nell’articolo, il suo è un fare teatro che con idee comprensibili, con personaggi che interagiscono tra loro mai avulsi dal contesto narrativo o musicale, spettacoli che oltre che funzionare dal punto di vista drammaturgico sono anche belli da vedere.

    Poi ci sono pure i brutti spettacoli tradizionali….il Don Giovanni del Met di Grandage per parlare di uno recente.

    Nei teatri prestigiosi, le possibilità di rendere infelice lo spettatore si sono nettamente moltiplicate negli anni con l’ego gigantesco dei registi, meno male che almeno in provincia non si possono permettere di pagare i loro cachet :)

  13. Mi auguro non vi siate persi il numero di maggio di una rivista musicale che non nomino. Il direttore, rispondendo a un lettore che come al solito lamenta “i fischi alla Scala”, prende cattivamente in giro gli spettatori “tradizionalisti”, facendo nel contempo una plateale marchetta al libro appena uscito di un suo noto collaboratore trasferitosi a Parigi.

  14. … vedo…. vedo…. Strisce di Gaza…. strisce di coca…. bretelle autostradali con focheroni e mamme rome…. un autogrill della catena “Momus”…. la Bartoli in sesta fila destra…. Aaaaaaaah….

  15. Grande Marianne!
    L’anno scorso, a Caracalla, un manigoldo aveva messo in scena un set cinematografico, dove si girava Tosca.
    Non basta più il teatro nel teatro, ora abbiamo il teatro nel cinema.
    E’ stato sorprendente constatare come io sia stato uno dei pochi ad esprimere a gran voce il mio dissenso. Gli altri spettatori, pur concordando con me, sembravano gli sfortunati che hanno avuto la minestra dei poveri: mestamente svuotano la ciotola, mestamente se ne vanno.
    Forse se il pubblico, peraltro pagante, fischiasse un po’ di più, le Sovrintendenze cambierebbero qualcosa?

    • Secondo me no, non cambierebbe granachè.
      Le maestranze tirano i conti, il pubblico pagante fa quadrare quei conti e le maestranze sciorinano i risultati monetari in comunicati stampa che dovrebbero essere confezionati in rotoli a strappo singolo.
      Diverso dovrebbe essere l’atteggiamento simile alla class action: non comprare biglietti.

  16. Ripropongo questo commento che scrissi alcuni mesi fa.

    Voglio dare anche io il mio contributo al teatro di regia, questa sublime arte destinata a liberare l’ umanità dolente dalle sue secolari catene.

    Vi propongo il mio Konzept per un allestimento della Norma.

    Durante l’ Ouverture, la scena rappresenta la sala del Teatro alla Scala durante il fiasco della prima esecuzione della Norma, la sera del 26 dicembre 1831. Mentre gli attori che impersonano i veri Giuditta Pasta, Giulia Grisi e Domenico Donzelli altercano con i moderni grisini in loggione, cala improvvisamente l’ attuale sipario rosso della Scala che sull’ accordo finale dell’ Ouverture si strappa.

    La scena ora rappresenta il foyer della Scala, che si alterna con l’ interno di una lussuosa villa da nuovi ricchi. Su questo sfondo si consuma una tragedia di passione e politica.
    I protagonisti:
    – Norma Lo Gallo, giovane sindacalista della FIOM
    – Pollione Monaghi, suo amante ed esponente di Confindustria, che la costringe a svolgere attività antisindacali
    – Adalgisa Masciadri, dattilografa precaria alla FIOM e nuova vittima del Monaghi
    – Oroveso Lo Gallo, pensionato padre di Norma, vecchio anarchico individualista.

    Nella scena finale tutti troveranno morte per mano di un assalto degli Indignados mentre Norma e Pollione osservano la catastrofe da un palco di proscenio tenendosi per mano, a simboleggiare il nuovo ordine economico mondiale nato dalla rovina comune di lavoratori e classe imprenditoriale.

    Che ne dite?

  17. Avete visto? Il Don Giovanni alla Staatsoper unter den Linden, che doveva essere coprodotto con la Scala, andrà in scena nell’ allestimento salisburghese di Claus Guth.
    Praticamente l’ allestimento di Carsen, che i siti gonzi e i blablologi autori di libri fuffa avevano esaltato come storico ed epocale, è stato schifato persino dai tedeschi! Serve dire altro?

    • Regia di Guth vista nel 2008 tra l’altro orrenda e anche totalmente insignificante: Don Giovanni e Leporello due tossici in mezzo ai boschi…Il solito, ormai scontatissimo, irredimibile nichilismo, le solite fissazioni erotomani tristissime… Insomma, tra questo Guth e il Carsen scaligero una guerra tra poveri (di idee)…nonostante allestimenti costosissimi…

  18. Cara Marianne,
    i miei più vivi complimenti per quanto scritto.
    Condivido pienamente, ultimamente ho visto una Carmen a Venezia che conferma praticamente tutti i punti dell’articolo.
    La “consiglio” agli scettici.

  19. …trovo geniale questo articolo.In effetti sono sempre gli stessi cliché, ma secondo lei il pubblico e soprattutto i critici non si accorgono che è tutto poi uno scopiazzare linguaggi e scenografie alla teteska?

    • Castorf, Gloger, Schlingensief, Katharina Wagner, Guth, Tcherniakov, Jones, Michieletto, Carsen e Herheim (in alcune cose), Neuenfels, Konwitschny, Bieito, Kusej, Warlikowski, Baumgartner, Loy, Nel, Kosky, Py, Kehrer, Vick (ogni tanto), Stölzl e la maggior parte dei registi che si occupano di Mozart, Haendel, Vivaldi, Rameau, Lully, Haydn, Gluck, Cavalli.
      Il pubblico ed i critici lo sanno, ma per abitudine e assuefazione o perché si aspettano esattamente quello onde procedere con capziose analisi astruse, giustificatorie e pindariche che nulla hanno più a che fare con lo spettacolo o con il teatro in genere o con la musica ed il canto, semplicemente accettano e nella maggior parte dei casi buano a sangue, almeno il pubblico.
      Se non si è capito questa è la “nuova tradizione”: essere tradizionale, e dunque prevedibile e banale, a teatro oggi significa stravolgere il testo e la musica cercando uno scandalo di facciata più che intellettuale o emotivo.
      E diventa banale tradizione proprio perché il pubblico e la critica se lo aspettano, esattamente come un tempo si aspettavano di vedere, ad esempio, le tele dipinte di “Aida” riutilizzate in un “Mosè”.

      • “Madamina, il catalogo è questo..”
        Caspita quanti nomi, forse troppi…
        Mi torna alla mente il versetto dell’evangelista Giovanni “noi non siamo di questo mondo” senza essere empio, spero.
        Il mondo della rappresentazione d’arte evolve come ogni altro mondo, triste se evolve in una direzione che non ci piace.
        Certamente non piace anche a me, ma mi chiedo in che misura questo è attribuibile alle mie personali istanze. Se quella è la strada, la strada dell’appiattimento ai canoni della attuale cultura popolare e della televisione commerciale e non ci sono altri segnali, che fare?

  20. Perfetto! Un vademecum che non può fallire. Soprattutto il regista alla moda farà intendere che in fondo non solo il libretto ma anche la musica è una porcheria indigeribile per un pubblico “mederno” e che quindi ben le sta se viene smontata, straziata, visisezionata, violentata per far emergere i “lumi” che egli (il regista) , quale novello Prometeo, sta portando ad una umanità fessa. Soprattutto mi raccomando in ginocchio… i cantanti sempre distesi per terra, possibilmente con lo sterno spiaccicato sul pavimento… mi raccomando, è essenziale!

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