I venerdì di G.B.Mancini: impariamo ad ascoltare. Quinta puntata: Joan Sutherland in Sonnambula.

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Le discussioni di questi giorni sulle interpreti di Amina, mi suggeriscono una puntata di imparare ad ascoltare in cui analizzare i limiti di una storica virtuosa come la Sutherland nell’eseguire una pagina cantabile di scomoda tessitura centrale come Ah non credea mirarti. Lo scopo non è distruggere un mito ma semplicemente imparare obiettivamente ad individuare taluni difetti non trascurabili. La prima frase è già una prova difficile per testare la limpidezza, la fermezza e l’uguaglianza della voce nella zona centrale ed in particolare nella zona critica del primo passaggio di registro. Nell’attacco, la vocale A sul mi3 è mal risolta, la paura di cadere nel registro di petto – di per sé già insensata, essendo il mi3 piena giurisdizione di tale registro – produce un suono stimbrato, molto indietro, non pronunciato, floscio. La cantante non vuole e non riesce ad aprire e schiarire il suono temendo di compromettere la salita e di creare bruschi “scalini”. Tutta la frase risulta così poco limpida, le vocali sono tutte estremamente arrotondate e poco a fuoco. La resa espressiva perde inevitabilmente di schiettezza e comunicativa (confrontare la fresca semplicità di una Pareto). Salendo oltre il re4 la voce trova poi la giusta posizione e si fa bellissima, ma ancora su “passasti” le A sono chiuse, schiacciate, anche nasali. Nella frase “Potria novel vigore il pianto mio recarti” sulla A di “piAnto”, sempre in zona centrale, la voce si chiude bruscamente e va nel naso, rompendo l’omogeneità della linea. Stessa cosa su “recArti”, c’è proprio una paura di dire A. I limiti dell’organizzazione vocale non fondata sulla parola emergono poi quando la cantante cerca di impegnarsi per pronunciare, per “dire”, per fraseggiare, ma non fa che sovrapporre all’emissione una sottolineatura posticcia della consonanti, spezzando fatalmente il legato. Bellissimo il trillo su “ravvivar l’amOre”, facile bella, rotonda e sfogata la successiva A di “piAnto”, vocale che in zona acuta – sol4 – non le dà problemi. Il brano tuttavia mette in luce come pochi altri i limiti di tale organizzazione vocale. Ovviamente è nella successiva cabaletta, che qui non analizzo, che possono emergere compiutamente i pregi di tale cantante.

G.B.Mancini

122 pensieri su “I venerdì di G.B.Mancini: impariamo ad ascoltare. Quinta puntata: Joan Sutherland in Sonnambula.

  1. Grazie, Tamburini. Dopo questo ascolto ho riascoltato la Sutherland in Sonnambula incisa nel 1963 , nella stessa aria, e la chiusura sulla vocale A e’ gia presente , anche se meno accentuata ( ad ex in potria novel vigore il pianto mio recarti e’ udibile la stessa chiusura che pero’, mi sembra, meno nociva per l’omogeneita’ della linea vocale)

  2. come assiduo lettore di questo sito, non mi sarei mai aspettato un “Impariamo ad ascoltare” del genere: mi sembra quasi una prosecuzione del precedente su D’Arcangelo e lo è in effetti, solo che qui non si tratta del solito “nome famoso” eccessivamente pompato di fans e dalla critica. Questa volta si è andati troppo oltre, a mio avviso.

    • …prendila costruttivamente, come me. Tutti sanno che la Sutherland O una mia debolezza dunque….ascolta, rifletti e obbietta….niente santi, nemmeno i venerati. Quanto a D’Arcangelo…..altra categoria rispetto alla sutherland…..chiss: che carriera avrebbe avuto alla sua epoca!
      Io comincio ad obbiettare a Mancini che O una sutherland molto avanti. PerchO non prendi quella della prima incisione?

      • Premetto che la Sutherland è una delle mie poche, pochissime, certezze esistenziali…
        In linea di principio l’ascolto potrebbe anche essere meritorio: il compito dell’analisi deve essere applicato anche ai mostri sacri. Ma a me risulta assolutamente irricevibile. Questo non per dogma (anche perché per me la Sutherland è kerygma, non dogma…), ma perché i dettagli rilevati non inficiano, a mio parere, in alcun modo l’armonia totale del pezzo, che precede, tra l’altro, una cabaletta come al solito strepitosa.

        • La pronuncia affettata sporca irrimediabilmente la linea, il legato, e questo inficia eccome la buona riuscita di una cantilena come questa. Una melodia che si snocciola nel centro della voce richiede inoltre perfetta uguaglianza e sostenutezza lungo tutto la gamma, aspetto assai deficitario nell’organizzazione vocale della Sutherland. E’ questo il senso della mia analisi, non certo evidenziare solo errori isolati.

      • Cara Giulia,
        sono d’accordo con te sul fatto che “niente santi, nemmeno i venerati”. E’ anzi proprio il rigore (oltrechè tante altre virtù…) di analisi che mi fece iniziare a leggervi quotidianamente ormai da ben 5 anni.
        Però, da lettore della prima ora, mi aspetterei qualche risposta nel merito a Mancini. Ad esempio quando descrive i centri della Stupenda con il perentorio
        “spappolati”.
        A me non sembra. Nemmeno a 54 anni.
        Voi (anche Donzelli) che l’avete sentita in Teatro, pensate così? [Non mi pare possibile, a patto di non contraddirvi (cosa che dubito)].

        Con la stima di sempre. Vostro devotissimo, MB

        • Rispondo io. Ho ascoltato tre volte la Sutherland in teatro, in due concerti ad Asolo nel 1979 e a Venezia nel 1982, nonchè nella Lucrezia Borgia del 1980 a Roma. La voce correva benissimo lungo tutta l’ estensione. Non so cos’ altro replicare al post nè al commento di Duprez che demolisce completamente la Sutherland come artista. Evidentemente, ascoltiamo in maniera diversa…
          Comunque mi permetto di dire che questo giocare al Beckmesser non porta da nessuna parte. Se ci mettiamo ad analizzare nota per nota tutti i cantanti della storia del disco, ce ne sarebbero forse, e dico forse, uno o due che ne uscirebbero indenni.

          • Se avessi letto con più attenzione il mio commento non avresti scritto che “affosso la Sutherland come artista”: semplicemente evidenzio come – a mio gusto – il canto non possa ridursi a bel suono (nel caso dell’ascolto proposto neppure tanto bello). E’ proprio l’atteggiamento contrario di un Beckmesser, il quale avrebbe elencato su una lavagna il singolo trillo, l’acuto, la roulade impeccabile, il picchettato perfetto e, alla fine, avrebbe dato il massimo dei voti…incurante dell’espressività e del senso generale. A scanso di equivoci – e mi pare pazzesco dovermi giustificare in tal senso – amo moltissimo la Sutherland PER CERTE COSE, per altre non posso mentire a me stesso per “culto della personalità”.

          • per te è senza accento. l’hai detto mille volte. e lei qui ha l’accento dell’elegia, dell’idillio. sonnmabula non è la norma.

        • Alla domanda ho già risposto nell’analisi, dove non ho scritto niente di generico ma ho indicato precisamente esempi di suoni scorretti, segnali di un centro mal posizionato. Se quelli che io ho indicato vi sembrano suoni belli, giusti, ben pronunciati, espressivi, allora ribadisco che mai titolo fu più appropriato per tale rubrica di “imparare ad ascoltare”.

          • mai titolo fu più appropriato per tale rubrica di “imparare ad ascoltare”

            Caro Mancini,
            nella tua superbia superi chiunque. Non ti offendere però. Infatti in questo sei unico ed inimitabile. Te lo dico perchè sembri non avere mai dubbi. Su nulla. E questo tuo modo di essere, seppure questa nostra società lo incoraggi (i sicuri sono vincenti etc…), è contario a chi si mette sulla strada delle riflessioni sull’Arte. Io ti leggo da quando intervieni in questi lidi. Sono spessissimo d’accordo nel merito di quanto tu scrivi (tra le altre apprezzai molto la tua recensione di Manon. Ma anche tante altre tue posizioni. Anche quelle idealiste e modellate sulle idee del canto della scuola romana). Tuttavia se fossi meno assertivo (anche con te stesso, suggerirei, non solo in ciò che scrivi) ne guadagnerebbero molto le tue analisi.

            Scusami ancora se mi sono permesso. Con rispetto, MB

          • I dubbi li ho eccome. La mia opinione sulla Sutherland è assai mutata negli anni, c’è stato un periodo in cui la consideravo una certezza, un modello di perfezione, poi ho dovuto ridimensionarla, e questo proprio perché non ho mai smesso di avere dubbi e di farmi delle domande. Nell’analisi ho segnalato col microscopio cos’è che non funziona nel centro della voce, e che per me compromette un’esecuzione convincente in un simile brano cantabile che si snocciola tutto nel centro, e che richiede necessariamente a mio avviso il canto sulla parola. E qui nessuno ha saputo controbattere. Mi si dice: la Sutherland non è mai indietro. E invece io ho evidenziato il contrario. Il confronto poi può sempre essere di aiuto, ma se non vi basta il confronto con il centro di una Dal Monte o di una Pareto per comprendere dove stia la differenza tra lo smalto di un centro chiaro brillante e cristallino, ed un altro con vistose carenze di posizione, omogeneità e focus, devo concludere, essendo io sicuro di quanto affermo, che non abbiate una coscienza, un orecchio abbastanza sviluppati. Non è superbia: se io dico “quel suono è indietro”, e voi dite di no, allora o ho ragione io, oppure avete ragione voi, tertium non datur. Mi pare quanto meno dovuto da parte mia essere sicuro di ciò che qui scrivo, non ti pare? Pertanto non è superbia la mia ma semmai serietà, giacché se venissi qui a scrivere cose delle quali non sono sicuro ed in cui non credo sarei solo uno sciocco.

    • andati oltre? e perchè mai? per lesa maestà? Inappuntabile analisi, al microscopio direbbero taluni, tassonomica, quasi maniacale, a mio parere spietatamente aggettiva. Io considero un segno di rispetto verso l’arte del canto e verso l’arte della grande Joan ascoltare con attenzione e non in modo acritico anche le sue esecuzioni. In teatro non ci dovrebbero essere idolatri. Non possiamo criticare aspramente il pubblico bue solo quando applaude stelline e divette da teatroni americani e dischi che non compra nessuno. La Sutherland è stata una grandissima cantante ma questo non toglie che quanto scrive Mancini su questo brano sia corretto; e questo perché nel canto , nel canto professionale, nel canto d’arte la perfezione non esiste, in nessuno, neanche nella stupenda Joan. Serva da lezione questo ascolto, questo nonostante quanto sottolineato da Mancini, bellissimo ascolto. Infondo la rubrica si chiama “impariamo ad ascoltare”… e come dice madame Grisi, “niente santi, nemmeno i venerati”.

      • Ti ringrazio per aver capito qual è lo spirito di queste mie dissertazioni. Non direi però che questo sia un bellissimo ascolto, anzi, penso che l’Amina della Sutherland, qui come vent’anni prima (giustamente osserva il Sig. Fazzari che gli stessi errori si presentavano allora identici), sia stata sempre pesantemente compromessa da questo suo centro tutto spappolato e dalla pronuncia innaturale e manierata.

        • Caro Mancini, l’analisi ci sta. Tuttavia, mi si permetta di tacciare l’analisi stessa di “faziosità” nonostante sia corretto evidenziare anche nei mostri sacri i difetti per sottolineare il fatto che con tutta probabilità nessun essere umano sia scevro da difetti (uso “difetti” per significare gli scostamenti dalla pura teoria) su quanto viene definito IL CANTO. Parallelamente nell’analisi qui postata in particolare non ravvedo osservazioni che non siano già note, nonostante il fatto di aver preso una delle registrazioni peggiori della Sutherland abbia giocato “faziosamente”, qui, a favore di una disanima sui difetti. Non mi aspetto un venerdì riparatore con pagine splendide della Sutherland ma almeno una spiegazione del motivo per cui sia stata analizzata questa pagina e non altre. Insomma, Mancini, perchè si è voluto giocare facile?

          • Avrei potuto prendere la stessa aria vent’anni prima l’analisi non sarebbe stata diversa, ascoltala e fa gli stessi errori. La scelta è caduta su questa versione per puro caso.

      • non lesa maestà: credo che chiunque qui sappia di come la Sutherland tramutasse alcuni suoni in altri, a scapito della purezza delle vocali (anche perché sono cinquant’anni che ce lo ripetiamo). Detto questo, mi sembrano esagerati i rilievi negativi fatti all’esecuzione, scelta soltanto nella logica di “affossare una e innalzare altre”….Se iniziamo a picconare tutti e tutto, alla fine rimangono solo macerie.

        • Però, Raaf, qui non si tratta di “picconare” per mero gusto demolitorio – non è questo il discorso di Mancini – semplicemente propone un’analisi funzionale ad un concetto di musica ben preciso.

        • Caro Raaf, non credo che l’intenzione di Mancini fosse quelle di affossare una per innalzare le altre ma solo di sottolineare un suono buono da uno meno buono all’interno di un brano. Sarebbe fin troppo facile vivisezionare lo stesso brano eseguito da un altra cantate, magari del cosiddetto starsistem…, mi sembra intellettualmente onesto fare lo stesso lavoro anche con i grandissimi. Non voglio fare il difensore di M. che si difende solitamente benissimo da solo, ma questa rubrica vorrebbe dare a chi non ha ancora una sufficiente frequentazione, diciamo un orecchio sufficientemente allenato, un vademecum per distinguere un suono emesso in modo perfetto da uno no. Che la registrazione sia quella del’80 e non quella degli anni ’60 poco importa; anzi, la registrazione di una Sutherland un po’ più anziana è funzionale allo scopo di questa rubrica e permette di percepire meglio queste differenze. In fondo è lo stesso motivo per cui si è postato qualche puntata fa, un De Luca degli anni ’40 e non quello di quarant’anni prima. Poi i giudizi possono sembrare più o meno esagerati e probabilmente il mio giudizio personale è più simile al tuo che a quello di Mancini. In ogni modo, citando Duprez, mi sembra si sia fatto un “utilizzo dello strumento critico con rispetto, ma senza totem o tabù.”
          tutto qua. 😉

        • no questo no. Adesso mancini si è infilato per questa via e ne risponde. E voi gli rispondete. La sutherland non sarà mai afossata da nessuno, men che meno qui. Il senso di ìmparare ad ascoltare è un puro esercizio di ascolto, ossia impariamo a rispondere dopo aver pensato. Mancini provoca per via delle risposte sulla Toti, e VOI rispondete come lui risponderà anche delle sue provocazioni al limite….questo disco fu ritenuto abbastanza brutto quando usci. Anche io presi atto che la stupenda era invecchiata. Ma se uno è invecchiato, lo è. Anche se lo vorremmo senza tempo…

          • Non mi sembra corretto definirle “provocazioni”: i rilievi di Mancini – in questa incisione come in quella del ’62 (o come in altre) – corrispondono ad effettive problematicità della grande cantante, che vengono in evidenza laddove al canto funambolico (ornamentazioni e virtuosismi) si sostituisce la necessità del canto sulla parola (recitativi e cantabili). Bellini è, in questo senso, più difficile di Donizetti o Verdi.

  3. La Sutherland è immortale! che meraviglia, davvero così si impara ad ascoltare! tecnica impeccabile, estensione mozzafiato e voce di ferro! complimenti Mancini e grazie di averci regalato questo gioiello della lirica, purtroppo ormai scomparso.

  4. Preferisco diecimila volte le O della Sutherland anziana al tono da Vispa Teresa di Toti Dal Monte, o agli scornacchiamenti della Callas di Edimburgo 1957. Rispetto le opinioni altrui, ma in questo caso sottolineo il mio più completo disaccordo con l’ autore!

  5. Sono completamente d’accordo con l’analisi di Mancini. E non solo in riferimento a questa brutta incisione dell’80 (una delle peggiori uscite da casa DECCA), ma anche alla precedente (ben più riuscita). Il problema è il solito, che ben evidenzia Mancini: cos’è il canto? Suono o musica? Il mero suono, pur se “bellissimo” (e non è certo il caso di quest’ascolto), se privato di un’espressione non si tramuta in musica. L’opera (e il canto) in quanto forma artistica deve comunicare qualcosa…e lo fa attraverso l’espressione del significato contenuto nella scrittura testuale e musicale. Se, come è – purtroppo – questo caso, si prescinde TOTALMENTE dalla parola cantata (è evidente l’inerzia espressiva, il “gramelot” linguistico, la dizione sgangherata, il disinteresse a “comunicare un senso” di ciò che si canta, l’articolazione incespicante). Resta solo il suono (come certo Karajan). Bello, per carità, ma solo suono. In questo ascolto, poi, emergono quei difetti messi in luce dal ruolo e dal brano, ossia i centri appannati e molli che mal sostengono il cantabile: e si badi che in un brano siffatto poco o nulla contano gli atletismi o gli esibizionismi di acuti o sopracuti (che sono solo un condimento e che, privi di sostanza, sono solo uno spreco). Il canto – come lo intendo io – non può essere ricondotto al mero “suonismo” e a qualche sghiribizzo da virtuosi. E non è una questione di “natura contro tecnica” (vera fesseria), giacché la resa del testo attraverso l’espressione del significato (con mezzi musicali) è la tecnica più importante e difficile. Certamente nell’incisione del ’62 la maggior freschezza vocale mascherava i problemi, ma erano lì, presenti anche allora (centro floscio e incomprensibile articolazione della parola). E poco vale l’orgia di colorature e cadenze che cinguettano in acuto se cantabile e recitativo sono “tirati via”… Provare per credere: si confronti il recitativo d’ingresso “Care compagne” della Sutherland (entrambe le versioni) e uno qualunque della Callas…si apre un mondo diverso e una civiltà musicale differente. Questo non vuol dire “lesa maestà”, ma utilizzo dello strumento critico con rispetto, ma senza totem o tabù. La mia personale storia di ascoltatore d’opera inizia propria con la Sutherland e le sue incisioni Decca (a cui sono ovviamente molto legato), allora il suono mi bastava…poi si cresce e si confronta e, nel mio caso, non è bastato più. Non è Bellini, non è Sonnambula: è la Sutherland che emette delle note (belle o brutte, a seconda dell’anno) disinteressata a tutto il resto.

    Ps (polemico): non capisco come si possano definire “scornacchiamenti” quelli della Callas e poi chiudere occhi e orecchi per quello che combina la Stupenda con recitativi e cantabili (e non si tratta di una O): non apriamo, poi, il capitolo Norma e “Sediziose voci”. Provocatoriamente potrei dire che magari alla fine piazzerà qualche mi bemolle o re sopracuti nelle cabalette o in chiusura dei pezzi (ammirevoli certamente come gesto atletico, non certo per la bellezza musicale)…ma, a questo punto, anche un clackson emette un bel suono (se preso isolato) senza per questo tradursi in musica. :)

  6. Signor Battistini, serva vostra. Eccomi.
    Quando ascoltai la Sutherland in teatro a Genova eseguire l’Ah non credea di Sonnambula ero in compagnia di un vecchio callasiano della mia città. Nel foyer del Margherita Giorgio Gualerzi, mi duole dirlo, si era appena esibito in un breve a solo ad alta voce, per dotti amici, che faceva più o meno così “ è finita, è inutile…è finita”.
    Il ritorno da quel concerto fu me una vera croce: già ero rimasta scioccata dall’a solo rubato nel foyer, ma per tutto il ritorno il vecchio callasiano, che certo non si ricorderà, fece a strisce la mia Stupenda per via della sua incapacità di dire e fraseggiare ( ed io, che ero la più giovane del plotone, dovevo accettare di non essere in grado di capire e che il mio apprezzamento fosse errato.)

    Per me la Sutherland è sempre stata una cantante speciale, ma anche una cantante da difendere nell’arretratezza culturale della campagna da cui provengo, perché tutto si è sempre risolto nell’esprimere come la Callas vs non esprimere come la Sutherland. Una noia mortale! Che l’arte del belcanto sia mimesi e metafora da quelle parti passa poco, è un ‘idea profondamente intellettuale, quasi aristocratica, che tutt’ora manca ( in fondo è la patria degli acutomani..)
    Mi si obbiettava parte di quello che Mancini qui obbietta, che senza la parola, ossia la dizione e l’accento sulla parola, non c’è canto. Rispondo che sono d’accordo, ma lo invito anche a risentire la dizione della prima incisione della Sonnambula della Sutherland, dove questa era ancora quella prima maniera, chiara, non pavarottesca, ma chiara. Poi non lo fu più, per ragioni che sono note ai più. Ma con la dizione non cambiò il canto della Sutherland, semmai cambiò ad un certo punto il baricentro della voce, che dal modello alla Galli Curci ( evidentissimo), si fece più scura e più ampia sul centro perché nel repertorio arrivò la Norma etc.. Un cambio legato al repertorio ma forse anche al fatto che la Sutherland veniva tacciata dai contemporanei ( posta callasiani ) di astrazione ed inespressività, avendo come modelli chiari quei 78 giri da cui il buon Mancini oggi prende le mosse per le sue obiezioni. Non sono così convinta che la dizione della Sutherland fosse pasticciata come si dice, per me è un luogo comune generalizzante ( non è sempre uguale, nel bene o nel male), ma prendiamolo per buono. Per me il canto di questa donna è talmente straordinario nel LEGATO, liquido, dolcissimo, avvolgente, che già da solo senza parole arriva al concetto, arriva a dire in Sonnambula. Quello che Amina esprime nel “Come per me sereno”, ossia quello che prova in quel momento di grande e pacata felicità attraverso parole che sono una metafora naturalistica, è nel canto della Sutherland. Ed il suo canto è il più metaforico ed astratto che si possa volere, tanto da essere un’idea pura, strumentale, metafisica. Non c’è dubbio su cosa stia cantando lì, e credo che nessuno più di lei vocalmente abbia saputo cantare meglio l’idillio, il clima bucolico ed agreste in era moderna. La Pasta era diversa? Lo credo. Ma la Sutherland così canta la Sonnambula, e funziona come credo funzionasse in teatro grazie anche all’ampiezza di un mezzo che nei dischi non credo si percepisca. Diverso è l’affaire Norma, che esula da queste risposte. E diverso ancora il caso della Borgia.
    La Sutherland è una. Una sola, perché di strumentalità analoghe le epigone non sono più state capaci, ed hanno dovuto misurare il loro limite nel canto scegliendo quella via, proprio per il modo di cantare e sapere legare al centro, laddove tutti i leggeri di oggi stentano o sentono la scomodità della tessitura, ossia la cavatina ( la siciliana lasciamo lì per ora..). La Callas esprime, caro Duprez, dice. Ma dice con una poetica che discende dal naturalismo, quella in cui la voce cambia seguendo l’azione drammatica, ossia se è una bambina, avrà la voce chiara e da bambina, perché la voce deve descrivere la realtà. Ho sempre creduto che questa grandezza della Callas fosse il suo limite “filologico”, perché se questi titoli sono concepiti ancora in una concezione MIMETICA dell’arte, che c’entra la realtà? Il realismo timbrico che c’entra? L’idea è astratta, e và dispiegata con gli strumenti di chi si esprime nel mondo degli ideali. Mi meraviglia che l’obiezione venga da te, il più dotto ed intellettuale tra noi: se fai il filologo, devi farlo fino in fondo. Quando discutiamo sulla Russ e la Callas nel duetto del Nabucco, caro Mancini, dico lo strepitoso duettoNabucco della Callas, quante volte abbiamo detto che la Russ canta senza mai un solo colore grifagno nel timbro e ne fa ugualmente la più straordinaria e mordente esecuzione di sempre, anche rispetto alla Callas? Caro Mancini, se questo discorso del nostro amico Semolino tu lo accetti e tanto ti piace, perché non lo accetti per la Sutherland in Sonnambula?
    Quanto all’audio che tu hai postato, io non sento centri spappolati. Io sento una cantante con la voce invecchiata ed indurita, con una fluidità diminuita nel legato. Sento una cantante vecchia, che è invecchiata per certi versi ( penso alla Devia) anche abbastanza presto ( ma quante Norme ha cantato? Le hai mai contate…..un numero mostruoso che ai più sfugge, ben superiore a quello della Callas nello stesso lasso di tempo….). La voce sarà ancora peggiore in Bolena, ma lì l’operazione sul testo ha reso diversamente dalla Sonnambula con Pavarotti, perché alle prese con il mezzo carattere i difetti timbrici pesano di più….Se usciamo dal sublime idillio, quale è poi l’accento per una cantante che non ha i propri modi nel fraseggio scottesco o callasiano? I dischi antichi che tu ben conosci cosa ci portano? O sublimi strumentiste come la Kurz, che era anche una fraseggiatrice, ma che la risolve così. O la Galli Curci, che è il modello della Sutherland..IL modello calla siano, se ci fai caso NON ESISTE su Sonnambula, nemmeno la Lehmann
    Per me hai fatto solo l’analisi di una cantante con la voce vecchia, non più al top, cui l’idillio non sta più e che in prima ottava non è mai stata salda come una Siems o altre dei 78 giri. Punto. Quante volte abbiamo detto che se fosse nata 50 anni prima sarebbe stata una delle tante nel mazzo, o, al contrario, che lei è l’ultima di loro? E che rispetto a molte di loro aveva questa prima ottava non brillante?
    Credo che, data la polemica sulla Sonnambula veneziana, avresti dovuto per onestà, e non per ripicca, uscire con una Sutherland al top, per confrontarti alla pari con il tuo link alla Toti. Perchè allora lì sono dolori per le bamboleggianti signore del post liberty falsamente bambine, falsamente pure etc… Perché mai e poi mai la Sutherland ha accettato, cosa invece che la Callas, più ancorata di lei ai modelli italiani pregressi, ha invece fatto, di misurarsi col naturalismo deteriore dei soprani precedenti della Toti e della Carosio in grande voga ( la Pagliughi è già diversa..) ben sapendo che Amina, giovane fin che vuoi, non è pensata per avere la voce da bambina. Bellini non avrebbe mai potuto pensare ad una bambina, mai! Men che meno affidando il ruolo ad una cantante tragica come era la prima interprete.Se poi vuoi dimostrare che anche la Sutherland no è perfetta, lo sappiamo già. Rocordati quando scrivi che i 78 giri sono roba per pochi ascoltatori e che chi legge non può sempre cogliere fino in fondo quello che dici. Contestualizzare meglio ti servirà per la prossima puntata a farti meglio capire come devi imparare che anche parlare di tecnica non si può decontestualizzando tutto, età, carriera, etc..Hai scritto e adesso ne rispondi.

    • Queste però sono speculazioni intellettualistiche, e in tal modo si finisce per dar ragione a quanti sostengono che il belcanto sia una paccottiglia di suoni tutti uguali e che per esprimere sulla parola sia necessario uscire dagli schemi delle buone maniere vocali, tralasciare il legato, la proiezione, cambiare la tecnica… quando invece non esiste nessuna contraddizione tra le giuste maniere vocali e la vera espressività sulla parola, ed anzi sono due aspetti che collimano in chi sappia cantare. Schipa ne è il massimo esempio, e non mi si dica che Schipa non era un belcantista. La storia della didattica vocale settecentesca ed ottocentesca è attraversata da un unico fil rouge: l’importanza basilare riconosciuta alla pronuncia nella corretta impostazione del suono, la pronuncia che deve essere nitida, mai affettata, di modo che non si perda neanche una sillaba. Le cronache dell’epoca ci raccontano di come quei mitici cantanti fossero artisti espressivi, vari, capaci di “dire”, autentici attori vocali, magari con qualche pecca sul lato del suono, ma l’espressività era sempre al primo posto. Nei 78 giri bisogna saper sentire che un cantante come Battistini, di estrazione ottocentesca, discendente dei Tamburini e dei Cotogni, del quale tutto si può dire meno che sia di scuola verista, è un maestro del dire, della parola a fior di labbro, del recitativo. E non tutti i suoni di Battistini sono belli e levigati, anzi, talora è apertissimo al limite dello sguaiato, schiarisce molto e quasi schiaccia taluni suoni, facendo storcere il naso a certi odierni critici incompetenti formatisi sulla fasulla perfezione dei dischi del Dopoguerra. Lo stesso vale per un Marconi, che era un cantante naturale, un superdotato con una innata dote vocale e comunicativa, una specie di Di Stefano. Come fate ad apprezzare quel che resta di Marconi nei 78 giri e a non sentire che il suo canto con la Sutherland non c’entra NIENTE? E’ questo che ci documentano i 78 giri. Ascoltate i vecchi pianisti, sentite quante note sbagliavano, ma quelli erano musicisti veri, mica macchinette da studio discografico. Toti dal Monte che lo vogliate o meno discende dalla scuola del belcanto, studiò con la Marchisio come la Raisa. L’idea del belcanto che ci siamo fatti nel Dopoguerra con la Sutherland e la Horne è sostanzialmente figlia dei disco, ed è la risposta storica agli eccessi di certo verismo deteriore, ma ci ha inculcato un’idea di belcanto meramente edonistica e sonoristica, di un perfezionismo da disco che è solo mera cosmetica. Belcanto è qualcosa di più dal mettere in fila le note come fa una Devia. Il belcanto è naturalezza, ars celandi artem, semplicità, labor limae, VERITA’ di accenti, varietà di colori, è pronuncia perfetta che significa suono perfetto, legato, voce leggera, a fior di labbro. Ascoltate una cantilena cantata dalla bravissima Dupuy, cantante qui giustamente stimata, e ditemi se cantava come la Sutherland. Il verismo fu la degenerazione della classicità, della verità del belcantistico “dire” sul fiato, in affettazione, pomposità e platealità. E’ molto più VERO il belcanto del verismo. Per questo rifiuto i discorsi che fai sulla mimesi e sul naturalismo, e do ragione in pieno all’esperienza dei vecchi loggionisti che ti accompagnavano a teatro. Se sullo spartito c’è scritto “Casta diva”, io devo dire “CASTA DIVA” e non “costo dovo”, e questo non è naturalismo ma è cantare nell’UNICO MODO GIUSTO.

      In passato anche io adoravo la Sutherland e la preferivo alla Callas. La coscienza però si sviluppa, ed è necessario oltre che intellettualmente onesto da parte mia rimettere continuamente in discussione le mie certezze passate e presenti. La Sutherland nei ruoli Pasta ritengo sia del tutto fuori luogo, diverso il discorso in una parte come Lucia.

      • allora, togliamoci di torno dal monte e raisa, perchè tra le due c’è un abisso. ti ricordo anche che la raisa nei gravi mica è gran che, e che la toti sul piano delle agilità non è nulla di fronte alla sutherland, tanto per parlare di tecnica. tu dici cose giuste, a cui io ti obbiettp una cosa sola in fatto di canto belliniano: quale altro soprano ha fatto in bellini meglio della sutherland se escludiamo maria callas.
        la strumentalità in bellini c’è, e tanta e finisce per pagare anche quando nnon si accenta evidentemnte. vorrei farti fare una disamina di tutte le beatrici di tenda che conosciamo, eper misurare la modestia di devia, anderson, freni, kabaivanska, gruberova…. Parliamo di elvira? le migliori moderne sono la devia, e la pratt di questo giro aslico. e sono state strumentali come la sutherland, meglio anche della sills….le vogliamo risentire? idem Sonnambula che ha problemi di tessitura centrale…..come Norma, per la stessa diva, che ti porta ad accentare in una zona dove la voce a questi soprani lirici di coloratura si scompone ma ti impone di arlo causa la vis tragica del personaggio. Allora devi dedurre che la strumentalità paga in bellini, anche se non esaurisce. io la sento bene questa cantante, e capisco quello che tu dici per l’accento. ma fa cose tanto straordinarie che tu sottovaluti ( come l’ampiezza che aveva in teatro e ch oggi nessuno ha…) che pagano e tanto e che la collocano lassù in alto.e nonpuoi tacciarla di non belcantismo, perchè è follia pura, perchè al limitee io posso ben dire senza legare, ma allora parlo! Il suo legato, cui tu non dai giusto rilievo, è qualcosa di formidabile e per nulla scontato, sennò di sutherland nel avremmo fabbricate varie mentre invece è ancora lì da sola, a meno di non andare a ritroso.Quello che la Sutherlnad fa in Casta diva è straordinario, altro che casto dovo: se questo le serve per realizzarla così, a me va bene, perchè non usa la dizione per barare come la Cedolins alla fine. se mi sai dire solo quello della sua Casta diva beh….è uno dei must vocali più incredibili ditutto il novecento. vedi il dettaglio ma no la sostanza del canto allora.
        attento alla storia della parola, perchè senza il canto non hai schipa ma la erlizius.se poi mi vuoi dire che di fronte alla Lehmann è limitata, ti dico di si.Anche di fronte alla Siems. ma oggi, se ti esprimi così la gente ti legge in rapporto al presente e non al passato da cui tu parti. idem quando la tratti come diva del disco, perchè oggi vuol dire altro. anche la Callas fu una diva del disco ed ha doppiato alcune incisioni diopere di cui poteva fare benissimo a meno, ma erano altri tempi. non parliamo delle studer o delle ricciarell, fai attenzione a farti intendere.

        • Esattamente. La Sutherland sarebbe una diva discografica e la Callas no? La Callas ha inciso circa 25 opere complete e una dozzina di recitals, legata da un contratto in esclusiva con quella che allora era una delle major discografiche più potenti del mondo. Anche Caruso e Gigli erano divi del disco, in rapporto alla loro epoca. Caruso fu il primo artista in assoluto a vendere un milione di copie di un disco, la sua incisione del “Vesti la giubba”. Ma poi il “perfezionismo discografico” è una di quelle teorie di origine celibidachiana che a me convincono poco. Per fare due esempi, io ho ascoltato Karajan e Benedetti Michelangeli dal vivo e posso assicurare che erano ancora più perfetti che nei dischi.

      • Io non le trovo “speculazioni intellettualistiche”, ma necessaria messa in discussione del SENSO di questa aria, che deve essere garantito – come fa la Sutherland – nella sua rarefatta malinconia e nella sua trascendentale e dolente poeticità. Io faccio parte della schiera di quelli che si sono sentiti quasi “traditi” da questo ascolto, perché, in quanto affamati di qualità, serietà e amore incondizionato per l’Arte, sono destinati a trovare nella Stupenda un riparo sicuro dalle sofferenze e dai fastidi provocati dalle volgarità che provengono oggigiorno da ogni dove quando si tratta di canto lirico. In fondo, caro Mancini, il tono un po’ autoptico della tua analisi, che dice cose anche condivisibili (non da me), decreta la fine di ogni vitalità e di ogni magia di questo ascolto, che a me appaiono ogni volta che lo sento. Nonostante questo senso di “tradimento”, tuttavia, non ho trovato l’analisi dell’ascolto e la successiva, animata, discussione, per niente offensiva (e, quando qualcosa tocca così nel vivo, non può essere offensiva neanche l’indignazione…). Sinceramente trovo la questione della dizione della Sutherland, della sua oggettiva difficoltà a volte di scandire le parole, di una noia mortale, cosa che sicuramente non condividerai. Non perché la dizione impeccabile e cristallina della Dal Monte non mi procuri piacere, ma perché trovo un SENSO mirabile nella performance della Sutherland, un lirismo struggente che si sposa perfettamente con questa musica prodigiosa e che va al di là dei SINGOLI SIGNIFICATI sicuramente umanamente perfettibili… Certo, anch’io penso che la Callas sia di una bellezza abbacinante in questa parte e la preferisco proprio per la sensibilità nettamente superiore a tutte le altre, per il senso del “RACCONTO” che comunica in maniera trasparente (senso che c’è a iosa anche nella Dal Monte, ma con molto meno struggimento interpretativo e meno poesia), forse non totalmente convincente nella Stupenda… Ma ciò non toglie che quando ho bisogno di un ascolto di questa aria, punto sul 2 fisso: prima Maria poi Joan.

          • sì cari miei, avete ragione entrambi perché la musica è sicuramente anche effetto, il suono è anche magia, la parola è sogno e poesia, e la voce di J.S. è strabella anche quando un dice nulla; ma l’Opera, è primaditutto un Dramma. Messo in musica, ma è un dramma, e questa sua caratteristica va sempre messa al primo posto, per il rispetto di che ne è stato l’Autore. E il cantante che fa tutto questo, è più degno di rispetto di quello che non lo fa, poi quello che lo esegue meglio, è ancora migliore di quello che si è esercitato meno ecc. ecc. Allora tutta la tecnica imparata, tutta la tradizione ascoltata, saranno messe al servizio di un dramma. Lo so che non era facile per J.S. immedesimarsi in un’orfanella dei monti che non viene capita nemmeno dal fidanzato, e istituisce un parallelismo tra il destino del suo sogno e quello di un fiore appena còlto, ma io cosa ci posso fare? Primaditutto viene la comprensione del GENERE, la sua adesione ad esso, altrimenti stiamo parlando di bellezza di musica, di melodie, di voci, di suoni, ma non di Opera!

          • Sembra che rispondo a me stessa, ma in realtà rispondo all’interessante obiezione di Fabrizio qui di seguito, perché non trovo il “Rispondi” sotto il post di Fabrizio… Esprimo il mio pensiero: il problema non è che la Sutherland non riusciva a immedesimarsi in una orfanella (cosa che potrebbe essere vera, perché con una voce del genere si può essere maggiormente inclini all’immedesimazione in personaggi più radicali e imperiali), ma è che questa musica mostruosamente soave e sublime non è una musica per una specie di Heidi… Una musica così eterea e parole così dolenti indicano un andare al di là di se stessi, una purezza estrema, purezza che almeno secondo me diventa quasi un’idea platonica, avulsa da ogni riferimento contestuale, da ogni limitata comprensione raggiungibile da una contadinella, che porta in una specie di empireo del sublime. Per questo l’interpretazione della Sutherland mi soddisfa (per non parlare della Callas…), proprio perché quest’aria viene intellettualizzata in un sublime senza tempo e senza spazio, una Svizzera intesa come luogo della bellezza nella sua versione più trascendente. Ciò non toglie che sul rispetto del dramma sono d’accordo, ma in quest’aria il dramma, secondo la mia interpretazione sicuramente un po’ pesante e assolutamente problematica, nasce dall’incomprensione della purezza estrema da parte degli umani, che si impone come vera e realizzabile solo in una dimensione essenzialmente metafisica.

  7. Cara Giulia, sapevo che prima o poi sarebbe uscita la questione del “naturalismo”, mi stupisce, però, sia stata tu a sollevarla. Già, perché, in questo caso, nulla c’entra con l’esempio riportato. Anzi rilevo un’incoerenza rispetto a quello che scrivi e hai scritto. Mi spiego:
    – il canto meramente “astratto” (cioè slegato dalla parola) non esiste: sarebbe un mero suono e non avrebbe bisogno di un testo da intonare. Ma l’opera esprime, attraverso la musica (non i versacci ovviamente), determinati significati che si trovano nelle parole.
    – che il canto non sia una mera sequenza di note o di suoni, lo dimostra la sua stessa storia, a cominciare dal “recitar cantando” monteverdiano, e all’attenzione nella scelta dei testi.
    – quando Haendel o Mozart o Rossini o Donizetti, scrivevano la loro musica, partivano dalle soluzioni drammatiche del testo e le trasformavano in musica: ovviamente con valenza differente a seconda dell’epoca. L’opera esprimeva idealità, così come conflitti politici sino a rapporti individuali. Non è mai stato solo un suono: altrimenti non ci sarebbe stato bisogno della voce, sarebbe bastato un clarinetto o un oboe.
    – proprio l’epoca del melodramma – l’800 – evidenzia l’importanza del testo: certi ruoli conquistavano il favore delle primedonne (a discapito di altri), proprio per “il personaggio”. E’ profondamente “antifilologico” sostenere il contrario, ossia che al cantante dell’epoca interessasse solo il suono. Basta leggere le critiche del tempo e le recensioni di quegli spettacoli (c’è uno splendido volume che raccoglie le critiche coeve a tutte le prime donizettiane: so che lo possiedi anche tu…guarda cosa scrivono quei critici). Ma ci sono anche le lettere dei compositori che esplicitano quel che si richiede dal cantante: è non è mai il solo suono.
    – tu stessa, in molte recensioni o commenti, di spettacoli visti insieme a teatro, hai lamentato ora la mancanza di tragicità dell’una, ora la volgarità inadatta al ruolo di regina dell’altra etc…: se il canto fosse mero suono, questi aspetti non sarebbero rilevanti, come invece lo sono.
    – profonda differenza esiste tra la resa espressiva del testo e il “naturalismo” spiccio: piuttosto la Callas ha sottratto certi ruoli a suddetto naturalismo…la sua Lucia, ad esempio, aliena da ogni bambinesco atteggiamento (al contrario di tante che l’avevano trasformata in un’innocente mentecatta dalla vocina esile e pronta al coccodé), la sua Amina che è priva di ogni bamboleggiamento da tradizione (cosa che invece non riesce compiutamente alla Sutherland, che recupera, il tono piagnucoloso che mal rappresenta il personaggio creato dalla Pasta, senz’altro più complesso e sfaccettato). Non trovo alcun “naturalismo” nei suoi grandi personaggi verdiani e non parliamo di Norma che, a mio giudizio, rimane esempio irraggiungibile del tragico in musica. Certo la Callas non si accontenta di eseguire note, ma ne esprime – col canto e non coi versi – il significato.
    – ma, se per assurdo, il canto – come mi pare tu sostenga – non deve essere altro che bel suono e tecnica virtuosa, come la mettiamo con altri repertori successivi al belcanto? Come la mettiamo con Wagner (il cui interesse fondamentale è il wort-ton drama)? Come con Puccini e le sue dinamiche fortemente drammatiche? Come con Musorgskij o Shostakovich o Prokofev? A meno di ritenere che tutto ciò non sia opera o canto…ma sarebbe cosa ridicola.
    – il canto deve esprimere qualcosa, altrimenti non è canto. E quel qualcosa non può essere limitato all’altezza delle note e al loro rapporto armonico. Ed è così da Monteverdi a Henze. L’artificiosità (cosa ben diversa dall’astrattezza in un certo repertorio) è un difetto e non un pregio.
    INTENDIAMOCI: non credo affatto che la Sutherland sia solo “bel suono”, ma tende a dare maggior rilievo al suono rispetto al testo (e questo per evidenti problemi di articolazione della parola). La Callas, invece, è molto attenta alla resa del testo senza rinunciare alla chiarezza del canto e all’emissione. “Naturale” non è una bestemmia, anzi, il canto ha da essere “naturale” altrimenti non è canto. Trovo, ad esempio, incomprensibili certi rilievi di taluni che ritengono l’artificio una sorta di quid pluris poiché espressione di tecnica sopraffina anche in presenza di voce “brutta”. Credo sia una contraddizione in termini. Se il canto appare poco naturale, poco limpido e poco facile siamo di fronte a impostazioni scorrette…molto più scorrette di un trillo mal eseguito o un acuto leggermente calante. La naturalezza, la chiarezza e l’espressività è questione eminentemente tecnica!

    • io non credo che l’entrata di Aminia della <sutherland sia mero suono. Non mi hai ancora detto cosa le manca per DIRE. Cosa NON ESPRIME.
      Definisci cosa lei deve esprimere e in cosa manca.
      la Callas ha relittti di naturalismo..li ha eccome! ma in una idea sempre progressiva dell’interpretaazione, per te si può solo essere o avanti o indietro ma mai a metà.Ci sono lati moderni, molti, in lei, ma anche lati vecchi, o meglio del suo tempo. Quanto al mero suono di cui io mi lamenterei, nessun moderno ha mai cantato come la Sutherland, nessuna! la sua ampiezza e proiezione, che le consentivano di avere mordente e penetrazione, noi oggi nemmno sappiamo che siamo. certo che mi lamento del mero suono della devia….me ne lamento eccome, soprattuto se con voce inadeguata canta opere tragiche. per suonarle occorre altro mezzo vocale. Questo è il lato deteriore del sutherlandismo, siccome lei suonava oggi tutte suonano, con pifferi e flautuzzi, e le loro epigone con ottavini sfiatati pure sgangherati. Ci siamo dimenticati grazie ai dischi della sua ampiezza…quella di cui ti parlavano quelli che l’hanno sentita dal vivo negli anni sessanta e settanta, quella caratteristica per cui si è permessa i ruoli tragici di belini e donizzetti. Nel belcanto la Sutherland non è tornata più in nessuna per me. Le hanno fatto il verso, ma mai hanno cantato come lei. MAgari avevano la coloratura, o l’estensione. ed i modi erano plausibili in certe opere, ma come lei …nada;c’è suonare e suonare.
      e adesso spiegaci cosa le manca in Come per me sereno perchè io non lo so…
      Poi riperenderemo gli arogmenti ottocenteschi di cui parli magari ripartendo da Fidelio…o dal post che adesso devo fare su Rinaldo per Claudiodileva….mimesis

      • Ma insomma, il recitativo richiede mordente, la voce deve stare davanti, agganciata alla pronuncia, sui denti, la Sutherland non riesce a dire neanche una frase, e nei cantabili di tessitura centrale la voce è inevitabilmente floscia, e non è vero che sia disinteressata alla pronuncia, lei si impegna ma risulta solo affettata, perché si tratta di un limite squisitamente tecnico, e nient’affatto di una scelta stilistica. La Sutherland non sapeva legare sulla parola. La liquidità e la scorrevolezza le aveva solo in vocalizzo.

  8. Mi sono immaginato un giovane che, poverello, interessato all’arte del canto, voglia approfondire l’argomento, e, poverello, legga questa rubrica, senza sapere cosa significa appoggiare, impostare, arrotondare, passare, legare, sostenere, etc. etc etc. etc. etc. e, poverello, non sappia neppure cos’e’ un arpeggio, una ribattitura, un suono tubato, una nota ingolata, un acuto fisso, una linea di canto omogenea etc.etc. etc. etc.etc. e, poverello, non conosca il francese, il russo, il tedesco, lo spagnolo, il latino etc. etc.etc. etc. etc. (non sapendo quindi se Boris si debba pronunciare Pòris o Barìs, o se Euryanthe si pronunci Iuriant o Oiriante) e, che per imparare ad ascoltare si ritrovi la Violetta della grande Dal Monte, o la Leonora della discreta Parsi-Pettinella o i resti del grandissimo De Luca. E, sempre piu’ poverello, scopra che “alla balla del re” della Stignani, o “perquoquete qvei vili” della Nilsson, o “vanemant ma bion eme’ ” di Bergonzi o ” Disch toire olle” della Price, esattamente come la “costa dova” della Sutherland siano men che stupende. Ma, se partissimo dalle basi? Eviteremmo, forse, che il poverello ritorni esausto a Madonna, e non ultimo servirebbe, come Donzelli, mi scrisse alcuni mesi or sono, ad orientarci. Ancora un passo, e scopriremo pure che ” Ma la sola ahime’ son io ” eseguita da Joan Sutherland e’ fluida e scorrevole, e non solo nei vocalizzi.

      • Senno’ che cosa Giulia mia? Qui’ le conosciamo tutti le registrazioni della Joan.
        Live era esattamente come in disco, almeno fino al 75/ 76, (e tu sai benissimo che per me le date sono importantissime) e tanto basti. E non mi si venga a dire impariamo ad ascoltare! Io imparo da chi mi sa insegnare qualcosa. Rispetto tutti, come ben sai…

        • l’imparare ascoltare per me non è solo questione di formule ma anche di sensibiltà ,Mancini evidentemente ha una sua sensibiltà oltre che la competenza,se per lui la Joan ha quei difetti e lui li argomenta sarebbe giusto rispondergli in tema.

          • Mancini ha un sentire vicinissimo al mio anche se non se ne e’ reso ancora conto. Per quanto riguarda invece la Joan ripeto per la centesima volta che NON ho mai ascoltato NESSUNO che sia perfetto se non in qualche frase o qualche passaggio. Ciao

  9. Per quanto mi riguarda Mancini può scrivere quello che vuole, è libero di esprimere la sua personalissima opinione e tutto quello che gli passa per la testa, come tutti coloro che ho il piacere di leggere qui tra amici, passanti e lettori.

    Concordo in pieno con la Grisi, Donzelli e Tamburini.

    Detto questo mi dissocio in toto da quello che ha pubblicato di cui non condivido nemmeno i puntini sulle “i” e che ritengo oltre che pochissimo rispettoso nei confronti di una Sutherland, pochissimo meditato, soprattutto se l’alternativa deve essere una Toti dal Monte, soprano che sapeva certamente cantare, ma i cui suoni leziosi, sbiancati oltre l’incosistenza, aperti, lattiginosi e noiosi detesto con tutta l’anima, e l’ennesima demolizione sistematica ad opera del nostro.

    Vado a riascoltarmi la sua “Sonnabula”, la prima edizione… che è meglio!

    Cordialità

    Marianne

    • L’argomento del “rispetto”, però Marianne è – scusami – di pochissimo pregio. Perché mai si dovrebbe negoziare una propria idea per “rispetto”? Rispetto di chi? Di cosa? Di una carriera? Siamo arrivati al “culto”? Tanti anni fa qualcuno, in base ad analisi considerate “irrispettose” ed “eretiche” sostenne che era la Terra a girare intorno al Sole, e non il contrario. Gliene dissero di tutti i colori e lo accusarono di mettere in discussione persino Aristotile (e la Bibbia). Alla fine ristabilirono l’ordine e costrinsero il malcapitato a ritrattare, ma checché grandi uomini dicessero il contrario, la Terra ha continuato a girare intorno al Sole del tutto indisturbata.
      La “questione Sutherland” non è certo paragonabile al processo di Galileo, ne convengo, ma provo sempre un certo fastidio quando ad argomentazioni meditate (che pure si possono non condividere) si ribatte col dogma (è così perché è così) o con l’accusa di eresia.

      • Certo che la questione Sutherland non è paragonabile al processo di Galileo, non ho processato Mancini e non intendo farlo e difenderò ad oltranza la sua possibilità ad esprimersi nella massima libertà di idee e concetti come meglio crede, ma sai bene che non ragiono per dogmi o eresie.
        Si, io alcuni artisti li rispetto profondamente, senza altarini, senza candele, senza “rosari”, ma li rispetto soprattutto per i segni tangibili che hanno lasciato. Per i fatti!
        Sarà un discorso demagogico? Populista? Buonista? Pazienza, ho dei punti fermi come tutti. Problema mio.
        Il punto è che la Sutherland non è certamente una Machaidze, una Rancatore, una Netrebko, una Petersen, una Opolais, una Ciofi, una Yende, una Petibon, una Pendatchanska qualsiasi.
        Possiamo divertirci a smontare e demolire ogni cosa, anche i punti fermi, anche le certezze, anche i cantanti come la Sutherland: infatti prima o poi mi aspetto che nei “venerdì” arrivino anche Schipa, Kraus, Leider, Larsen-Todsen, Lemeshev, Kipnis, Lilli e Lotte Lehmann, Plaçon, Mardones, Callas, Lauri-Volpi per concludere via via con Eduard de Reszké, Nellie Melba, Toti dal Monte.
        Finirà così, è inevitabile!
        Saranno spappolati a modino, in maniera certamente meditata, certamente scientifica, certamente condivisibile da taluni… tutto bene, tutto giusto, tutto da rispettare.
        Ma, per deformazione mia, che ci vuoi fare, anche in quel caso mi dissocerò totalmente da quanto scritto, proprio per quel rispetto che provo verso il lascito di quegli artisti.
        Senza altarini, senza eresie, senza candele, senza “rosari”.

        Con amicizia

        Marianne

        • Non capisco proprio dove stia la mancanza di rispetto nel prendere una registrazione per fare alcune osservazioni nel bene o nel male circa la resa vocale. Direi che è molto più mancanza di rispetto parlare della Dal Monte nei termini derisori e iperbolici in cui viene descritta qui da te o da Mozart2006. Io non ho fatto iperboli ma ho solo evidenziato certi passaggi vocalmente problematici, secondo dei criteri ben precisi che adotto per tutte le voci che ascolto.

          • Mi consola il fatto che un giorno toccherà anche alla dal Monte…
            Quel giorno non mi dissocerò 😉 e qui concludo i miei interventi. :)

            Marianne

        • Duprez, ti ho già risposto, mi pare. I difetti dell’ una sono imperfezioni tecniche, quelli dell’ altra sono manchevolezze nell’ impostazione di base. Che poi un cantante dalla voce male impostata possa emozionare un certo tipo di pubblico, non ci piove. Di Stefano in alto urlava letteralmente, ma la gente alle sue serate andava in delirio. La tua tesi non tiene conto di che tipo di emozioni si tratta.

      • Lungi da me attribuirti atteggiamenti che so benissimo non appartenerti, Marianne, e convengo sul fatto che ciascuno abbia i suoi punti fermi, ma il rispetto per un artista non mi potrà mai far percepire i suoi difetti per pregi…del resto, parafrasando Karl Kraus, ci vuole almeno un difetto per essere perfetti. :)

        • Come nella vita, le persone e quindi gli artisti, le accetti per quello che sono, pregi e difetti, tutto incluso! 😉
          Non vagheggiando o inseguendo inutili quanto noiose e inesistenti perfezioni, accetto anche i difetti di determinati cantanti (sono consapevole anche io che la Sutherland abbia i suoi difetti di pronuncia, abbia un registro grave “parlato” e qualche volta al centro possa apparire tubata) soprattutto se oltre ai difetti mi regalano qualcosa di “bello”, di “positivo”, di “affascinante” e mi lasciano appagata, perchè soddisfano i miei parametri: per questo non mi riconosco affatto nel pezzo di Mancini. 😉

          Marianne

          • ragionamento pericoloso …potrei dire la stessa cosa della Netrebko sono consapevole dei difetti,ma mi piace lo stesso,perche anche lei mi ragala qualcosa di bello..la bellezza della voce ,

          • 😀
            Pasquale, ma io parlavo, per mio gusto e miei standard ovviamente, di cantanti VERI del livello “Sutherland” avendo già premesso che per me Lei non era a livello delle altre che ci sorbiamo oggi (Netrebko compresa. La quale dopo avermi disgustato dal vivo in Scala eviterò accuratamente di incontrare… spero!).
            Se ti piace Anna buon per lei e per te :)

            Marianne

          • Beh certo pasquale…a te piace il soprano 4 Salti in Padella e va benissimo. Mica a tutti deve piacere il risotto alla milanese, c’ è tanta gente che piuttosto preferisce un BigMac con le patatine…

          • Cari Mozart e Marianne..troppo comodo così: “electa una via non datur recursus ad alteram”…pertanto se il fatto che piaccia o emozioni o appaghi o regali qualcosa di bello, pur in presenza di difetti, vale per la Sutherland, allora vale per chiunque altro…che sia un cantante da “4 salti in padella” o da “guida Michelin”. Ovviamente mi risponderete: ma qui si parla della Sutherland e non è ammissibile il paragone…e saremmo di nuovo al punto di partenza: l’argomento ex auctoritate che si risolve in un lapidario “è così perché è così”. Amen risponda la celeste schiera…

          • Caro Duprez, qui è questione solo di stabilire dei parametri professionali minimi per stabilire se una è una vera cantante o no. La Sutherland, con tutti i rilievi fatti da Mancini e da te, che non condivido ma rispetto, risponde a questi requisiti professionali, la Netrebko assolutamente no, ecco tutto. Spero che almeno su questo punto non ci sia nulla da obiettare…

          • Non è questo il discorso, Mozart. Io non parlo né della Netrebko né della Sutherland ora: chiedo solo di spiegarmi com’è mai possibile che i difetti dell’una scompaiono per via delle belle sensazioni e quelli dell’altra no. Sto ragionando per assurdo in base ad un’argomentazione che voi mi avete sottoposto, e la sto portando alle sue estreme conseguenze logiche.

          • No, no, niente “belle sensazioni” o “emozioni”, parlo di valore del cantante, di perizia tecnica, di aderenza stilistica, di voce sovrumana, di bellezza timbrica e anche di fraseggio!
            La Sutherland descritta da te e Mancini non è la Sutherland, mi spiace per te e lui, ma non la riconosco, non è quella che ascolto!
            La Sutherland ha fatto una carriera di mezzo secolo che merita tutto il rispetto e ad altissimi livelli, se mi si parla di lei come una dilettante tecnica che non copre i suoni e li emette indietro io mi sganascio dalle risate, se mi si dice che non aveva una dizione chiara posso anche capire, ma quando mi si dice che era inespressiva scuoto la testa, in più mi viene a dire che è inespressiva uno, Mancini, che rifugge dall’interpretazione! Già il fatto di seguire passo passo i segni espressivi della partitura E’ interpretare, riuscire a variare le dinamiche, i colori delle frasi E’ interpretare e la Sutherland lo ha sempre fatto, in più sia in Adina, Turandot, Amina, sia nelle arie di Odabella, Elettra dell’Idomeneo, sia in molte altre incisioni (non tutte ovvio 😉 ) io la capisco e non perchè conosco il libretto!
            Se tu e Mancini non riuscite a capire tutto questo è un problema vostro, non mio!
            La coloratura fluida, esattissima, fluorescente, che lascia senza fiato sia per la bravura sia per la spontaneità diventa già un mezzo espressivo, l’accento sublime, levigato e lunare E’ espressione del canto! Non è tragica come la Callas? Non è sconvolgente come la Callas? Non è graffiante come la Callas? E chi se ne frega!!! E’ la Sutherland, è un’altra sensibilità, è un altro approccio che a me piace comunque!
            Aveva al centro ha QUALCHE VOLTA dei suoni tubati? E chi ha detto il contrario? In basso parlava? Certamente! Ma il resto lo ha sempre cantato BENE con disciplina, serietà, professionalità ed addirittura commuovendomi nelle parti tragiche, guarda un po’!!!
            Tutto questo differenzia una Sutherland da una Netrebko (voce impastata e indietro, dizione farfugliante, patata in gola, dura e legnosa, fraseggio nullo o circoscritto ad un nervosismo becero, asma al posto del controllo del fiato) altro che “l’emozione” o “le belle sensazioni”.
            Se poi vogliamo fare l’elenco dei ruoli in cui considero la Sutherland STORICA non ho problema alcuno a farlo, il problema è: facciamo l’elenco in cui è storica la Netrebko (o chi per lei) e poi ridiamo.
            Per questo considero nulle le considerazioni di Mancini e non ritrovo affatto la cantante che conosco, amo e rispetto.

            Penso di essere stata chiara ora.

            Marianne

          • Riposto nella giusta posizione.

            Duprez, ti ho già risposto, mi pare. I difetti dell’ una sono imperfezioni tecniche, quelli dell’ altra sono manchevolezze nell’ impostazione di base. Che poi un cantante dalla voce male impostata possa emozionare un certo tipo di pubblico, non ci piove. Di Stefano in alto urlava letteralmente, ma la gente alle sue serate andava in delirio. La tua tesi non tiene conto di che tipo di emozioni si tratta.

          • intanto Mozart riconosci a Mancini nonostante che tu non sia d’accordo con lui,che anche la Joan aveva dei difetti tecnici,cosa abbastanza grave in una cantante idolatrata..

          • Hi hi adesso pasquale è contento…pensa che se anche la Sutherland può essere criticata, allora la Netrebko si possa rivalutare. Disilluditi caro, le due cose non sono collegate. La Sutherland ha dei difetti, come qualsiasi artista della storia, la Netrebko paragonata all’ australiana non è una cantante perchè manca di requisiti minimi professionali, ecco tutto.

  10. A quanti mi obiettano la faziosità nella scelta della versione di Sonnambula che la Sutherland incise nell’80, rispondo che se avessi scelto di analizzare la versione in studio del ’62 le osservazioni che avrei potuto fare sarebbero state le stesse, in quanto i problemi allora erano sostanzialmente gli stessi, e anzi avrei dovuto aggiungere che le difficoltà a sillabare nel centro determinano una intonazione ed una linea imprecisa e strascicata, oltre al ricorso a sgradevoli portamenti. E se vi piace questa cosa qui, e non vi piace la Dal Monte, devo ribadire che il titolo della rubrica è “imparare ad ascoltare”.
    http://www.youtube.com/watch?v=167RDqXygXc

  11. comunque quello che piace a me di Mancini è la sua fredda analisi,anche su cantanti blasonati,non si lascia influenzare dal nome,ed è convinto delle sue opinioni,e le argomenta con dovizia di particolari,che si possa essere d’accordo o meno con quello che scrive è giusto,ma un vero critico è cosi che si deve comportare

  12. riascoltata nel disco del 62. Io quei suoni li definisco molto coperti o al limite tubati. Paura di bamboleggiare? May be…certo che il legato è mostruoso, qualcosa che per me non ha pari nell’età moderna. Suoni indietro però per me non ce ne sono. Anche la dizione non è scnadita, articola poco ma ……per la prima volta da quando è venuto qui a scrivere, non sono con mancini. Sotto la voce non è brillante come al centro e in alto ma non è nemmeno fuori fuoco…è solo opaca

    • Però Giulia, parli di:
      – suoni coperti o al limite tubati;
      – dizione non scandita;
      – articola poco;
      – voce non brillante nel medio/basso registro;
      – voce opaca in basso;
      A parte la generosità nel salvare “tutto sommato” la dizione (che trovo come sempre assai difficoltosa: certo meglio qui che 20 anni dopo, ma insomma…), anche tu rilevi certi problemi in quel ruolo (infatti qui si parla di Amina). A tuo giudizio (e a quello di moltissimi altri) sono poco rilevanti, ma ci sono. Poi convengo con te sulla estrema bellezza del suono (nel ’62, non certo in quella dell’80) e del legato strepitoso e della scorrevolezza nei passi d’agilità. Tutto incontestabile, ma – lo domando senza polemica – il suono può bastare?

    • Il legato al centro non è affatto mostruoso, se dici che quello è legato non sai bene cos’è il legato. Ha problemi a sostenere in quella zona della voce, non essendoci saldezza di pronuncia non c’è saldezza di linea, non c’è saldezza di intonazione, non c’è saldezza di legato. E’ palese, basta sentire la prima frase “ah non credea mirarti”, carente di omogeneità, timbro, intonazione. La voce deve essere CHIARA, non scurita e opacizzata in quella maniera. Suoni indietro ce ne sono eccome, tutto il centro è sostanzialmente biascicato mollemente, e questo significa suono indietro. Il suono avanti nel centro è quello di una Pareto, di una Dal Monte, di una Callas, salvo una certa dose di gola quando voleva esagerare nei gravi. Se l’ascolto dei 78 giri non ci permette di riconoscere neanche questo, mi chiedo cosa li ascoltiamo a fare.

        • Ma no dai, vispa Teresa! per la precisione, bisogna dire che quella della Del Monte fu una delle voci meno fonogeniche degli anni ruggenti e che quello postato da Mancini nel post su La sonnambula veneziana è un riversamento piuttosto infelice. La stessa incisione, con qualche armonico in più la si trova sempre su youtube provate ad ascoltare e fate un confronto: http://www.youtube.com/watch?v=gbBrLgO2Cys è evidente che la Dal Monte tiene i centri chiari (il famoso “color chiaro” che altri hanno ben spiegato) è evidente la scuola della Marchisio, l’imposto ottocentesco e le affinità con altre allieve della stessa scuola. Sempre per la precisione bisogna anche ricordare che il “color chiaro” dei trattatisti tanto bene eseguito dalla giovane Toti, nella seconda parte della carriera diventò affettazione, sbiancamento, bamboleggiamento e maniera. Ma non è il caso di questa registrazione, dove i centri sono chiari ma sempre leggermente raccolti e la voce sempre bene proiettata. Qualche anno fa una collega mi prestò un cofanetto con l’intera discografia della Toti (credo edito da qualche banca per qualche anniversario). Lo ascoltai e lo computai con estrema attenzione e questo passaggio verso la maniera si sente. Le date sono importanti. Ricordiamo che debuttò nel 1916. La Dal Monte fu un fenomeno, ebbe un successo incredibile e contò un gran numero di imitatrici che iniziarono a totidalmonteggiare come scrisse un critico di cui non ricordo il nome, ovviamente imitandone i difetti. Celletti scrisse “non s’accorsero (le imitatrici ndr) che la vera Toti Dal Monte era diversa e che l’oggetto della loro imitazione era una cantante in declino- ….clamorosamente affermatesi negli anni venti, era rimasta prigioniera dell’immagine che la critica e il pubblico s’erano formati di lei. A furia si sentir esaltare la dolcezza e la commovente fragilità che il candore del suo timbro prestava ad alcuni personaggi… aveva voluto superare se stessa, naturalmente eccedendo.”
          “Ah! non credea mirati” postato da Mancini a me piace e molto, come mi piace questo: http://www.youtube.com/watch?v=hJoV-eQNafg (riversamento non buono, ma non c’è di meglio nel tubo) o questo: http://www.youtube.com/watch?v=4-dfzADT3xY&feature=fvst
          qui c’è ancora Toti Dal Monte, in altre incisioni più tarde come la brutta Madama Butterfly con Gigli e Basiola c’è una signora di mezza età che totidalmonteggia per fare la voce di una ragazzina di anni “quindici netti, netti”.

          • Condivo al 100% ciò che dici, molto diversa la prima Toti da quella declinante di fine carriera, anche se non trovo brutta la Butterfly, direi piu’ che altro alterna ed in qualche momento in “difesa”ma la grande Toti in piu’ di un momento viene fuori…

          • L’aspetto importante da te colto è proprio quello dei centri tenuti sul color chiaro, che aiuta a tenere la voce alta, leggera, e a non farla scivolare indietro. Oggi qualcuno storce il naso a sentir cantare in questa maniera, senza rendersi conto che sono queste le autentiche maniere dell’antica scuola. Il colore oscuro fu un’invenzione del romanticismo, la ricerca poi di un colore oscuro e drammatico sui centri è una pratica che interessa i cantanti del Dopoguerra, ossia la piena decadenza del canto.

          • Un cantante, intelligentissimo non solo musicalmente ma anche vocalmente, che utilizzava un timbro chiaro sui centri e sui gravi era Blake, il quale applicava in maniera forse fin troppo meticolosa nient’altro che i precetti del Garçia.

        • Temporibus ho assistituto alla Sonnambula scaligera 55e ad una folle generale.Tutto era giocato su una figuratività anche sonora alla Bernstein,dopo la scena del sonnambulismo scattava un carillon stregato.La Toti stimava la diversissima Maria,ma che quest’ultima abbia imitato la Toti in un ruolo Pasta è scherzo o è follia.Quanto agli scornacchiamenti che sarebbero ka coloratura della Callas,è uno offesa ,non una critica del giudizio.Possibile che per far emergere la grandezza,relativa come ogni cosa umana,della Joan si debba offendere.Non vi siete chiesti perchè anzichè servirsi di un banale principe consorte condividere con Bernstein Karajan,Goilini,Schippers,Gavazzeni,sia alla fine più umile nei confronti dellarte?

          • i suoni sbiancati di Maria in sonnambula da dove vengono? Mica li fa nei vespri o nel macbeth….dunque secondo te? Quanto al proncipe consorte, è fola vecchia . Non era affato un consorte imposto ma ina aprte della sua ragione di essere cantante ed artista….però se ancora non lo sai, ‘ inutile che offendi su…!

  13. Devo una risposta a Giulia che mi chiedeva cosa non trovo in questa esecuzione, che cosa non esprime per me:
    – innanzitutto per percepire chiaramente il testo e comprendere la scansione delle frasi e il loro significato, occorre leggere il libretto, altrimenti il recitativo assomiglia ad una serie di vocali e consonanti con poche relazioni tra loro. E questo è, a mio gusto, riprovevole;
    – secondo: manca, sempre a mio parere, la scorrevolezza (sostituita dall’artificio) e, soprattutto nel cantabile, abusa del tono generalmente “patetico” o “lagrimevole” nel momento che, a rigore, dovrebbe essere il meno “larmoyante” dell’opera. Infatti Bellini – attraverso una sapiente scelta tonale (da Re minore a Fa maggiore sino alla modulazione nel Mi bemolle maggiore) “mostra” in musica gli stati d’animo della sua protagonista (e la musica è SEMPRE “mimesis”) dalla gioia velata di malinconia della seconda parte del recitativo (il Fa maggiore è la tonalità della Pastorale di Beethoven o dell’Autunno di Vivaldi) al suo “trionfo” inteso come piena realizzazione del suo amore (con la chiave “eroica” del Mi bemolle: come la Terza di Beethoven o l’Imperatore, o l’Ottava di Mahler o l’Heldenleben di Strauss). La Sutherland, in questo brano, non riesce a trasmettermi questo passaggio…canta (pur con un legato sopraffino) tutto allo stesso modo, e sembra che arrivi alla cabaletta con un senso di liberazione (finalmente può mostrare le sue straordinarie qualità di virtuosa). In particolare non sento il passaggio tonale tra prima e seconda parte del recitativo, o meglio, sento che cambia (giacché le note cambiano), ma non trovo la corrispondenza nell’espressione della voce. Nel cantabile non avverto quel tono “eroico” che mi fa percepire la Callas (la gioia del momento, l’eccitazione, la felicità), ma sento una elegia un po’ trascinata (e con fastidiosi portamenti, è vero). Potranno pure sembrare dettagli marginali (ma si parla di giganti del canto, non di mediocri mestieranti, ergo i particolari fanno la differenza), ma non credere che Bellini abbia scritto quella musica in quel modo semplicemente pensando alle note: nossignore. Avrà letto il testo e le parole gli avranno suggerito quella specifica modulazione. Per rappresentarla musicalmente, il cantante deve cogliere le sfumature del testo e riprodurle con naturalezza, altrimenti non comunica nulla se non ciò che è scritto sul pentagramma (Horowitz diceva che la musica sta dietro le note). Io credo che in questo brano la Sutherland non riesca a comunicare ciò che, invece, è capace di evocare la Callas. Tutto qui.

    • avendo letto con scrupolo le argomentazioni di tutti e rispettandole, appoggio con assoluta adesione quelle di Duprez. Si tratta proprio di civiltà musicale, di estetica diverse. La ricchezza della voce di J.S. è stupefacente e non c’è nulla da fare, il suo gusto per la coloratura di eredità barocca la porta a fare delle cose al momento insuperate. Tuttavia come Amina è poco credibile perché pensa più alla voce ed ha, paradossalmente, “troppa” tecnica rispetto al ruolo, e i “difetti” rilevati da Mancini sono anche il risultato di un approccio un po’ pigro, di un adagiarsi sugli allori in cui un’artista del suo calibro e soprattutto con una tale ricchezza di materiale, cadeva spesso, molto spesso, per le orecchie di chi vorrebbe sentire nell’Ah non credea qualcosa di “storico”, o storicamente collocabile (nel nostro immaginario Ottocento). Credo si possa parlare di manierismo, in questi casi, ma non sono sicurissimo che sia applicabile davvero agli interpreti (anche questa è una parola abusata). La disamina dei suoni intubati, messi nel naso accanto a quelli splendidi, raggianti, di poche note più su, è quindi esattissima e giustificata, a patto che non sia provocata proprio da questo disagio che l’ascoltatore provvisto di bagaglio culturale non può non avvertire. Insomma, credo che Mancini ci volesse far sentire come un complesso ruolo italiano mettesse in difficoltà una cantante che si era posta tantissimi problemi ma non tutti quelli necessari per risolverlo, talvolta. Quanto ai difetti naturali dellla Callas (dal peso corporeo alle fratture della gamma vocale), ritengo invece che siano stati più caparbiamente (e in modo suicida ) emendati in nome di una resa artistica che non mirava né al pubblico, né al direttore né ad amina, ma a Bellini: il tutto è durato dal marzo 55 all’agosto 57, e aveva 32-34 anni, un soffio, una stagione di una giovane donna, nulla più, una manciata di recite quasi tutte già “perfette” dall’inizio, ma perché erano il risultato di una ricerca musicale iniziata vent’anni prima con la De Hidalgo e che passava da Dinorah, da Lucia da Norma stessa ecc. (sere fa un amico mi diceva: ma la Callas ha cantato tutto! e io ho risposto: non è assolutamente vero, ha cantato pochissime cose, solo quelle che le interessavano); e tuttavia l’ultimo Ah non credea risente di ulteriori spunti di riflessione che ancora oggi incutono soggezione. Che poi fosse già in declino fisico e scornacchiasse un po’, è ovvio, lasciò pure il ruolo.

      • Mi conforta che almeno uno riesca a percepire la giustezza delle osservazioni che ho fatto in merito ai difetti di questa esecuzione vocale. Lo scopo dell’analisi era dare dimostrazione del perché giudico Amina un ruolo poco adatto alla voce ed al modo di cantare della Sutherland. Siccome nei commenti della Sonnambula veneziana se ne era parlato, ho trovato opportuno dettagliare. E l’ho spiegato evidenziando le carenze in zona centrale ed i problemi a pronunciare, atteso che la prima ottava e la pronuncia a fior di labbro costituiscono per me requisiti fondamentali per rendere in modo convincente una parte scritta per Giuditta Pasta. Ed erano proprio questi invece a mio avviso i punti deboli nella voce di Dame Sutherland. Per questo ho sempre preferito la Sonnambula della Callas, perlomeno nei recitativi e nei cantabili, non nei pezzi acrobatici dove invece hanno la meglio gli acuti argentini e la fluidità nel canto fiorito della Joan. La valanga di risposte indignate che ho ricevuto non mi tocca minimamente, essendo esse solo il segno di uno scarso senso critico e di una maniera di attaccarsi ai propri cantanti preferiti che sfiora l’idolatria. Ed è proprio questo feticismo una delle ragioni della sordità del pubblico, oggi come ieri.

        • (io difenderò a spada tratta la Maria anche nei pezzi acrobatici, perché trilli scale ecc. sono sempre musicalmente integrati in un discorso unico del ruolo cantato, e scritto da un unico compositore, così come certe sfumature nel canto spianato, certe sue mezzevoci nei recitativi, sono tecnicamente difficili quanto e forse più dei passaggi vocalizzati. Tra l’altro, era sempre precisa, intonata e mai esagerata, ma che volete di più? D’altra parte, la salute laringea (e non solo) di J.S. è talmente debordante quando canta, che è un piacere assoluto sentire come si diverte. Detto questo, non si riesce a capire perché nel 59-60 con Serafin cantasse in un modo che poi abbandonò, e non è solo un fatto di lingua! Forse la accusavano (ingiustamente) di essere poco drammatica? Infatti dopo io ho l’impressione che lei cerchi di rendere drammatico il suo suono, artefacendo l’emissione, e non a caso nei ruoli italiani, dove tutti la aspettavano al varco dell’espressività. Sarebbe stato meglio invece si fosse fidata solo di se stessa, che avesse continuato a cantare come con Serafin, e non avesse perso quei bellissimi centri che aveva nel ’60.

          • Sottoscrivo ogni parola! Ho sentito recentemente una incisione del rondò finale di Sonnambula del ’59 diretta da Serafin, sembra un’altra cantante! Centri cristallini, chiari, leggeri, sottili come non li avrebbe mai più avuti! D’altronde lei stessa dichiarava che Serafin fu l’ultimo grande direttore che capiva di voci.

  14. Un ultimo commento, e dopo la discussione per me può considerarsi definitivamente chiusa. Gli anni della Sutherland al top sono quelli fino al ’60/’61, come ha osservato anche Michael Aspinall in un articolo apparso su una rivista in occasione della scomparsa della primadonna. Allora c’era una migliore omogeneità del centro con l’acuto, una pronuncia più nitida, un suono più chiaro e cristallino nel medium e assai meno molle, fosco, ingolfato. Sentire per credere:
    http://www.youtube.com/watch?v=edZy_H6edT4

  15. Dato il coinvolgimento e la discussione suscitati da questo argomento, sono andato a rispolverare un po’ di live dell’australiana vedendo un po’ la situazione (in specifico: Covent Garden 1960, Met 1963, Sidney 1965, Covent Garden 1968): quello che appare lampante, e che mi conferma un’idea già da tempo presente, è come la registrazione in studio sia un campo maledetto per l’ascolto delle voci ed in questo caso di quella della Sutherland non ai primissimi anni di carriera (in quelli credo che nessuno possa dire di male), che inspiegabilmente tende a chiudere i suoni eccessivamente e non solo in Sonnambula (fermo restando che comunque sono buone esecuzioni anche quelle in studio). L’esecuzione in teatro ci presenta la verità dei fatti: una voce perfettamente libera, uniforme in tutta la gamma, una pronuncia anche buona se vogliamo, accettabile almeno, un legato impressionante, una morbidezza e una corposità dei suoni che non ho più sentito in registrazioni degli ultimi 50 anni e quello che più importa una fantastica padronanza dei colori e delle sfumature ed una ricchezza nella mezzavoce, legati ad un senso della musica supremo, che rendono il personaggio prima che la cantante. Le note riguardanti il centro spappolato, la voce indietro, le nasalità, il bel suono senza attinenza a nessuna realtà e nessuna interpretazione non hanno praticamente senso e rappresentano soltanto la stagionale ricaduta nei soliti luoghi comuni, con l’aggiunta di una intellettualizzazione forzosa e cervellotica: passi la singola critica, che si può rivolgere a tutti, anche ai più grandi, che si chiamino Schipa o Callas o chi volete, ma prendere a riferimento questa cantante come un primo timido passo verso il decadimento dell’arte del canto francamente non è accettabile. Ed io non lo accetto da questo sito.
    Purtroppo io vivo di ricordi altrui: mi hanno raccontato della Sonnambula scaligera di cui non esiste nulla purtroppo della Sutherland e Kraus (quest’ultimo apostrofato come “castrato” da qualcuno: per la Scala, da un certo punto è entrata in vigore la legge del contrappasso…): da allora non si sono più sentite cose del genere.

    • anche io ho ripensato come te. Per me indietro la sutherland non ci va mai…mai! Come quelle dei 78…vanno indietro? No. Altri difetti, ma indietro no, come la callas, anche sfasciata non va mai indietro…

      • cosa intendi esattamente per indietro? perché secondo me – ma può darsi che mi sbagli, per questo vorrei un chiarimento sul concetto, anche per gli altri – indietro ci vanno spesso tutte e due, quando non fanno o non possono fare attenzione al punto di risonanza di certe note. Credo che nelle incisioni in studio, o in teatri dove la voce ritorna poco, sia facilissimo andare indietro, specie per voci molto ricche. A patto che per indietro si intenda un suono che PUR essendo appoggiato correttamente, non entra tutto nella maschera

    • Caro Raaf, una delle persone che chiamavano castrato Kraus, e’ stato visto da me lo scorso anno applaudire entusiata La Sig.na Machaidze nell’ Elisir d’amore, e urlare “bravo, bravissimo” al Sig. Villazon. Non e’ un marziano, e’ una persona che frequenta quel che rimane della Scala da una cinquantina di anni esattamente come il sottoscritto. Non solo, sempre questo Signore ha affermato che Martina Arroyo in Aida nel 1972 “faceva solo versi”, che Carlo Bergonzi nel 1962 non era in grado di cantare Verdi perche’ rispetto ai grandi (Del Monaco e Di Stefano nel 1962!) era un “panchinaro” , e, perla tra le perle, che prima della Callas alla Scala cantavano delle zanzarine come la Pagliughi o dei tromboni come la Caniglia…Vedi un poco tu… E non affliggerti per la mancanza del documento live della Sonnambula scaligera, era cantata esattamente come quella dell’edizione Decca 62 il che vuol dire cantata benissimo, l’unica cosa che il disco toglie all’ Amina di Joan Sutherland rispetto alle recite scaligere e’ il volume che, ti garantisco, era notevole. E Amina, sempre secondo me, non e’ affatto il personaggio meglio cantato dalla cantante australiana a Milano. La voce della Sutherland va indietro? No caro, proprio no. La voce della Callas usurata va indietro? Neanche. Tanti problemi a livello di sostegno del fiato, oscillamenti anche palesissimi nel registro superiore, ma indietro no (sempre per me sia chiaro). Ti chiederei, se vuoi, di dirmi cos’e’ la legge del contrappasso. Grazie

  16. A me sinceramente non piace leggere queste discussioni. E non perché Joan Sutherland sia una cantante intoccabile o men che meno perfetta, quanto piuttosto perché si parla di una delle cantanti che dell’onestà professionale ha fatto un perno della sua lunghissima carriera e qui viene dipinta come qualcosa che non è mai stata. E qui si sbaglia già molto perché nel criticare una cantante che non ci piace ma che ha avuto una grande rilevanza storica bisogna sempre cercare di mantenersi più obiettivi possibili, se non rispettosi. Dipingere la Sutherland come una diva del disco scassata è semplicemente una falsità. Quindi o ci si è espressi male o si deve migliorare il tiro.
    Dire che la Sutherland sia inespressiva per via della dizione è falso, perché in musica l’espressione passa ANCHE dai colori e dalla tecnica vocale, che sono la base PER poter essere espressivi. Se ascolto Selma Kurz cantare un’aria italiana in tedesco mi emoziono non certo perché colgo la perfetta dizione quanto perché mi colpiscono i giochi dinamici, i colori di cui è pieno il suo canto e la tecnica con cui questo arriva ad esprimere qualcosa. Lo stesso valga per la Sutherland, che qui viene dipinta come una sorta di cialtrona Caballè che non è mai stata, la quale tramite i colori, il legato, il canto, ha sempre cercato di esprimere qualcosa. In Sonnambula come in altre opere, sfido chiunque, infatti, a trovare una Beatrice di Tenda più eloquente, espressiva e dolente di quella della Sutherland, con la stessa perfezione musicale e vocale e invito a compararla bene con tutte le cantanti che vi si sono cimentate e naufragate, vedi Anderson, Devia ecc. E insistere sul fatto che sia “inespressiva” è in parte ledere la professionalità e l’onestà che sono stati alla base della carriera di Joan Sutherland, che non ha mai preparato una parte a metà. E chi vuole sentire può mettere su un qualsiasi suo disco, in studio o live, prendere uno spartito e sentire.
    Ognuno è libero di esprimere quello che più ritiene giusto, ma personalmente penso che ci sia modo e modo e una certa opportunità di fronte a quanto si esprime parlando d’opera.
    Io personalmente non entro oltre nella polemica, ma assicuro tutti che la mia stima personale della Sutherland non è diminuita di una virgola e che mi terrò stretti tutti i suoi live di Sonnambula e non solo.

    • qui prendo un po le difese di Mancini,ha semplicemente proposto un ascolto l’ha analizzato, svicerato per la sua rubrica,non c’era nessuna intenzione da parte sua come penso da parte nostra sminuire il valore di una grande cantante.

    • Adolphe, che dirti oltre che essere con te d’accordo in particolare per la chiusura del tuo post? Non credo tuttavia che il Mancini abbia il piglio o il desiderio di veder bruciare in piazza ogni cosa che riguardi la Sutherland. Anche perchè non credo riuscirebbe a raccogliere molte adesioni :)
      Insomma, non la farei così pesante. E manco io ho cambiato idea in relazione ai miei ascolti della Sutherland.

  17. A conclusione di due giorni di dibattito, sintetizzo la mia posizione. Mancini come chiunque altro è liberissimo di mettere in evidenza quelli che per lui sono difetti. Quello che io, come Adolphe, non accetto è definire la Sutherland un prodotto discografico. Questo lo contesto aspramente, perchè una Sutherland non può essere paragonata a una Netrebko o a una Bartoli qualsiasi.

  18. Mancini, ancora una cosa: se davvero la chiarezza della dizione per te è un elemento imprescindibile, mi dici come mai ti entusiasmano i cantanti russi e tedeschi dei primi tre decenni del secolo quando eseguono il repertorio italiano nella loro lingua materna? Il tedesco magari può darsi che lo sai, (anche se è molto difficile per un italiano valutare la qualità della pronuncia, te lo dico per esperienza personale visto che io ci riesco da non molto tempo, e sono 15 anni che abito in Germania) ma non mi venire a raccontare che sai giudicare la scolpitezza della dizione in russo!

    • La chiarezza di pronuncia è un aspetto basilare, la parola è ciò che caratterizza e distingue la voce umana rispetto ad un qualsiasi altro strumento musicale, ed in questo sono confortato anche dal parere di trattatisti come Tosi, Mancini, Mengozzi, Lamperti e via dicendo. Detto questo, la pronuncia diventa funzionale all’analisi vocale in quanto essa sta in rapporto di interdipendenza, di causa-effetto con l’emissione. Il fatto che la Sutherland non abbia una pronuncia scolpita è l’effetto – e allo stesso tempo la causa – di quel centro giù di posizione, di quella patata che ha in bocca. Non è semplicemente un fatto di dizione – allora dovrei correggere le inflessioni dialettali, gli errori negli accenti: ma non è questo che faccio – ma di suono avanti, sulle labbra, e di articolazione. Analizzando la pronuncia quindi analizzo il suono e la correttezza dell’emissione. Se ascolto cantare in russo inevitabilmente possiedo meno strumenti per capire e valutare l’esecuzione. Comprendere quel che un artista mi sta cantando non è certo un aspetto superfluo nell’ascolto. Ma il punto è che al di là della lingua, se un suono è avanti, sul fiato, un orecchio cosciente riesce sempre a sentirlo. Però, faccio un esempio, se non so che la pronuncia di una lingua come il francese è fatta anche di suoni nasali, e ascolto qualcuno cantare in quella lingua pronunciandola correttamente, quindi emettendo anche suoni nasali ove la pronuncia lo richieda, rischio di fraintendere e di dire che quello sbaglia perché canta nel naso! Pertanto sì, la lingua è inevitabilmente un ostacolo. Ed è proprio per questo che per cantare qualsiasi brano bisogna perlomeno conoscere la fonetica della lingua in cui è scritto: il rispetto del testo non è certo secondario rispetto alle note.

      Va detto poi che si può anche avere la voce tutta proiettata avanti pur pronunciando poco. L’italiano di una Melba non è certo preciso e scolpito, una cantante come una Galli Curci non di rado scivolava sulle parole poco curandosi di pronunciarle, ma il suono però restava sempre a fuoco (in ogni caso la pronuncia poco chiara non è certo un pregio, anzi). Nella Sutherland è diverso, i problemi di pronuncia vanno a braccetto, stanno in rapporto di causa-effetto con determinate carenze di emissione nel centro, qualunque fosse la lingua in cui doveva cantare.

    • no caro davide, non gli è stato concesso, ma affidato da noi. E la gestirà sin tanto che gli andrà di farlo, perchè è una rubrica utilissima sia perchè è un ascoltatore finissimo e capace, sia perchè si impara anche nel disaccordo come oggi. Non siamo un giornale di carta, ma uno spazio aperto di discussione che pubblica tutti e che offre alla discussione, persino agli insulti, quello che pensa. Se ci pensi bene, imparare dipende da noi, mai dagli altri, diversmente si viene addestrati…e la rubrica è ìmpariamo a, non facciamoci addestrare. Ci hai conosciuti ed hai visto come siamo tra di noi, liberi, indipendenti e diversi. Per la prima volta avete visto una delle nostre discussioni sino ad oggi private. Siete troppo abituati a siti e carta da water dove si censisce la gente per ciò che pensa per capirci? Con la joan abbiamo capito molto di lei e di noi oggi, anche mancini. Abbiamo imparato su lei, la callas e la totti tutto quello che sta nei post che mancini ha provocato , quanto conta ancora per la maggior parte di noi ben oltre la callas che siamo invece più disposti a discutere……anche con chi non è un autore del sito Non credevo! Guarda con quale forza è stata difesa qui….non so altre come lei. Non ci sono opinioni non esprimibili, nemmeno quelle scandalose come è parsa questa di Mancini. Basta garantire ad ognuno la replica e continuare a sperare che tutti alla fine pensino con la loro testa. Spero che prossima puntata di Mancini sia sulla….Studer!

    • Tempo al tempo. Poco per volta caro Devoti, i tiri verranno rettificati, da parte nostra che leggiamo ed ascoltiamo, e da parte di Mancini che per fortuna si e’ assunto l’onere di scrivere e proporre. Certo le provocazioni non mancheranno mai, senno’ a cosa servirebbe una rubrica del genere? Dovessi scrivere chi e’ la miglior Gilda da me ascoltata mi massacrerebbero ahahaha…Pero’ poi forse qlc. andrebbe a riascoltarsela. Mancini e’ gran conoscitore, e quando la sua conoscenza verra’ espressa in modo che tutti, dico anche i neofiti, e non solo i vecchi babbioni come me, possano comprenderlo, il gioco sara’ fatto! Sempre con provocazione di fondo eh, intendiamoci. Intanto due ragazzi mi hanno telefonato per sapere chi sono De Segurola e la Parsi-Pettinella, e se ci sono dei due artisti altri brani che non siano quelli postati su yt; il che significa che i giovanotti in questione non hanno letto i soliti “Carreras was in glorious voice” o “La Flagstad e’ Isolde troppo matronale”. E poi, le opinioni sono opinioni, discutibili certamente, le sue, le mie ed anche quelle di Mancini. Qui’ ognuno dice la sua, per fortuna, e cmq. ci si ritrova a confrontarsi su argomenti che ci interessano. Per me la Toti non canta come la “Vispa Teresa”, ma, certamente non sminuisce la mia stima nei confronti della persona che l’ha scritto, ci mancherebbe. Buon pomeriggio.

      • e se il signor Fleta volesse raccontarci ciò che crede della sua lunga esperienza teatrale di cose sentite live, nel bene o nel male, a cominciare da quella signora mitica che palava delle sverze del Met, darebbe al nostro passatismo un contributo di vita vissuta e nono solo discografica. ma siccome il signor Fleta è pigro……amen!

  19. Rispondo alla Sig.ra Grisi.La Callas trovava un colore di voce per ogni ruolo,certo alleggeriva.Dal Monte Carosio Pagliughi non erano i suoi modelli.L’allestimento Visconti-Fiume s’intende con l.’entusiastico apporto di Bernstein valorizzava una nuova Sonnambula.Se ne accorse bene Eusebio:”non è la candida Amina la sua,ma,i costumi adiuvando,ma una statua di Saxe,che contiene un carillon stregato.La scena del sonnalbulismo è una creazione tutta sua,tale da spazzare il ricordo di ogni altra interprete”. L’ultima Amina l’ho sentita qui con la Devia ancora splendida.La Sutherland alla Scala nella Semiramide e nella Beatrice.Stupenda belcantista..

    • Non era il suo modello? E se anche lo fosse stato? Io credo che se da sessant’anni a questa parte i cantanti avessero saputo prendere esempio da una come la dal monte adesso non saremmo costretti ad andare a teatro per fissare lo scorrimento di sottotitoli.

    • era tanto nuova che si fece la solita sonnambula con i soliti tagli, che non sipenso che elvino fosse un protagonista e la maria tanto prigioniera del mito delal toti perchè la sua idea non era cantare amina come la pasta, ma dimostrare di essere brava come la toti e la cigna messe insieme aveva una dizione tanto perfetta che ho sempre pensato che cantasse “patria” e non “potria”. esattamente come la toti, anzi la TATI!!!!!!

      • Guarda che anche la Sonnambula della Sutherland è tagliata e propone tutti i trasporti e gli scambi di linee di tradizione (anche i più orribili), in più Mr. Sutherland – nella brutta incisione dell’82 – scorcia pure il finale dell’opera eliminando del tutto il coro e concludendo l’opera anzitempo… Poi, francamente, muovere appunti sulla dizione della Callas per difendere la dizione di una che più o mena canta in un misto tra Ruzante e il gramelot di Dario Fo, mi sembra quantomeno pretestuoso. Se il “potria” della Callas assomiglia a “patria”, mi piacerebbe rifletter sul “UO non crodea murrarti su pressto ustintto fiòore, pessesti ua ar d’ammououore etc…” che si può benissimo verificare dall’ascolto fornito e che, mi pare – ma magari sbagliano le mie orecchie – non corrispondere affatto a quanto si trova scritto nel libretto di Romani.

      • Io posso anche condividere l’osservazione per cui l’emissione di voce molto chiara e aperta – il che di per sé non è un difetto – della Dal Monte possa produrre delle O che in zona centro-acuta tendono alla A, come magari capita di fare anche alla Callas – anche se è un fatto normale e direi comprensibile che salendo verso l’alto le vocali tendano ad allargarsi, capitava ad un Tamagno, ad un Battistini, non mi scandalizzo se capita ad una Dal Monte o ad una Callas, anche se forse a questa tale inconveniente può esser costato la voce. Non capisco però, il perché non si riesca ad ammettere che di suoni che non vanno bene ce ne siano pure nella Sutherland. La Sutherland è intoccabile le altre invece sì?

    • giardi che io non penso in termini negativi la questione della Toti modello. Penso che la Callas come ogni altra cantante abbia vissuto in un mondo cui non era estranea. Si nasce in un mondo e non si può non esserne infleuzati. Oggi critchiamo il gusto che muta nel tempo, ma il gusto è relativo al periodo. Influenza un pieno apprezzamento presente ma non si può non tenerne conto quando si guarda indietro. Rutti i grandi hanno avuto modelli, sia tecnici che di gusto….pensiamo oggi con florez ad esempio o tutte gruberovine del piffero che cantano donna anna. La callas è nata in un mondo ove Amina non era concepita come una parte scritta per la Pasta ma come una dolcissima fanciulla dalla voce trasparente e la Toti stigmatizzava il modello imperante. Pergiunta la Callas era afflitta sempre dalla questione timbrica….che oggi noi non capiamo, ma per allora…caspita da che voci era stata preceduta o contemporanea. Intelletualmente poi la questione del colore è figlia del verismo….dunque trovo normale che bamboleggiasse toteggiando.

  20. beh io da quando ascolto opere se non ho il libretto o i sottitoli in teatro non è r che riesca ad afferrare, tutte le parole,specie quei testi e parole antiche e desuete,leggendo i vari commenti non è che fans non abbiamo ammesso delle imperfezioni(Inon dico difetti sennò mi sbattono in faccia la Netrebko) solo che la levatura di questa cantante è tale che è come cercare i peli nell’uovo,ma riconosco che sei un ascoltatore dall’orecchio fine,e in questi più di due o tre anni che ci leggiamo stai crescendo..il mentore Semolino sarà contento,a proposito Semolino quand’è che ti degni di uscire dalla stanza dei cilindr, e partecipare alle discussioni.

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