Non c’è più Manon…alla Scala

Una noiosa e soporifera serata conclusasi con quattro fiacchi applausi questa Manon scaligera.

Tutti contenti perché non ci sono state riprovazioni e questo ormai è sinonimo di successo. Talvolta si è troppo stanchi ed amareggiati anche per riprovare. Talvolta.

A riprova dell’assoluto disinteresse del pubblico per gli spettacoli ammanniti dal massimo teatro milanese sia il fatto che alle ore 18,45 fossero ancora disponibili 40 ingressi in piedi e che nel corso della serata il loggione fosse desolatamente vuoto. E taccio dei 200 posti comparsi, miracolosamente disponibili, nella giornata di ieri. Non si adduca quale scusa la stagione avanzata e la calura perchè nella torrida estate del 1984 per le Lucie con Serra/Kraus e Gruberova/Dvorsky il loggione, ancora non condizionato (nel senso della climatizzazione), era stracolmo. La verità triste e dolorosa ad onta dei peana di radio osanna e della inspiegabile proroga sino al 2017 di Stéphane Lissner è che tali spettacoli non interessano più a nessuno.

Persino in luoghi virtuali che della benevolenza e del buonismo fanno loro bandiera mi si riferisce che si parli ormai di un teatro prodotto turistico.
Aggiungo io che si dovrebbe anche parlare di un teatro sostitutivo del circolo serale ricreativo per anziani.

Non è stata in grado di far accorrere un minimo di pubblico neppure la  teoria di forfait, tutti prevedibili, della scritturata diva dell’altrettanta diva, propagandata per miracoloso rimpiazzo, che nelle more andava cancellando tutti gli impegni da tempo assunti, sino a che ci è rimasta la cantante prevista per il secondo cast.

Il vuoto, il disinteresse, i turisti che costituiscono il pubblico sono questi i veri, autentici argomenti su cui parlare, non le ipotetiche disapprovazioni.

Ma il problema stava ben prima e ben a monte a partire dalla bacchetta Fabio Luisi, debuttante a coronamento di una carriera nel maggiori teatri dell’orbe terreste ed in titoli ben più impegnativi del capolavoro di Massenet. Il qual capolavoro, al di là delle pagine popolari è un  banco di prova cospicuo ed oneroso, perchè il chiamato direttore deve gestire il finto Settecento del primo quadro del terzo atto, il naturalismo del primo e del secondo, quando sono in scena gli innamorati, i quadri di colore ossia tutta la prima sezione del primo atto, sino all’ingresso della protagonista, vuoi nel terzo sempre prima dell’ingresso dell’impennacchiata protagonista, cui si aggiungano i chiacchiericci delle bigotte di San Sulpizio, la tensione drammatica della cosiddetta scena della seduzione e il quadro più  moderno che è la scena del gioco all’hotel di Transilvania, che senza mezzi termini e maggior crudezza cita Traviata con l’irruzione di Des Grieux padre, che riporta  il figlio sulla presunta retta via ed abbandona Manon al proprio destino di donnaccia.  Insomma non poco.  E poco abbiamo avuto perché passato lo slancio del preludio iniziale il primo atto è trascorso smunto e sbiadito, i due concertati all’atto secondo e quarto, “passati via” senza colore e sì che nei due ensemble si consuma parte rilevante del destino dei protagonisti. Il peggio al terzo atto dove il colore finto Settecento, le danze dei membri dell’Opera, piuttosto che la gavotte sono stati
amministrati con una soporifera noia e peggio ancora il quadro di san Sulpizio dove i cicalecci delle beghine risultavano piatti e slentati e la seduzione di Manon, piuttosto che i turbamenti amorosi ed erotici di Des Grieux per nulla amplificati e sostenuti  in orchestra. Preciso
che cantanti come la Jaho e Polenzani ne avevano irrinunciabile necessità. Lo stesso dicasi per la tensione drammatica dell’hotel della Transilvania dove la bruciante passione e voglia di vivere di Manon e la situazione di estremo peccato e riprovazione sociale descritta da
Massenet potevano al più ricordare una rustica kermesse. Allora qualcuno dirà che quelli della Grisi vogliono una Manon verista (e di malcanto ne abbiamo subito molto, come diremo di seguito)  e che invece Fabio Luisi ha privilegiato l’aspetto patetico, dolce, descrittivo e via con lo sciroppo della perifrasi. Sbagliato e sbagliato per due motivi:  primo perché il blocco del terzo e del quarto atto della Manon non è per nulla  dolce, patetico e descrittivo e poi perché una simile scelta implica tempi lenti e richiede cantanti capaci di tenute di fiato. Ovvero merce vocale oggi irreperibile.

Siccome era stato prescelto e non ha rimpiazzato qualche divo, dedito al forfait, e quindi non scattano abusate giustificazioni cominciamo dal protagonista maschile  Matthew Polenzani.
Non ci sono parole per descrivere il canto aperto in zona centrale ed ingolato di questo tenore, davanti il quale il prototipo di canto aperto ossia di Stefano potrebbe definirsi tenore, che pratichi una troppo marcata copertura del suono in zona centrale alla Bergonzi. Un simile metodo di canto implica che la profferta amorosa di “nous irons à Paris”, del sogno, luogo dove il tenore di grazia trova il proprio momento di più vasta e, magari, zuccherosa espressione  sono stati risolti con un timbro scarsamente amoroso fiati corti suoni prossimi al falsetto nei pochi tentativi di addolcire il suono come alla ripresa dell’aria. Per contro quando la situazione chiede slancio e mordente come al quadro di San Sulpizio a partire dall’aria sino alla scena del gioco i limiti della natura e della tecnica danno luogo ad un Des Grieux, che griderebbe ove dotato di voce ed invece ci ammorba con suoni aperti e salite agli acuti dure e faticose. A fatica posso trovare un momento soddisfacente della serata.

Ma in questo gli è pari la protagonista.  Siamo onesti gli agenti della signora Jaho hanno provato a spacciarla per soprano tragico da repertorio post rossiniano con risultati indecorosi e documentati.
Evidenza emersa anche in ruoli come Violetta che, ipoteticamente, potrebbe anche convenirle, come Manon. Le converrebbe solo se sapesse cantare  e siccome basta guardarla per un istante per rendersi conto delle carenza di base non ha suono nella prima ottava, se canta
oltre il mezzo forte dal do4 al fa4 emette suoni faticosi e le cose non vanno meglio quando tenta di cantare piano, esibendo pigolanti falsetti. Gli acuti  faticosi nel primo atto, divengono forzati e crescenti a partire dal secondo e assurgono ad urla dal terzo in poi dove, improvvida, la signora interpola alla gavotte un re nat, strillo che si ripete alla fine del quarto atto. Nel dettaglio di questa prestazione “Waterloo” al “picciol desco” la cantante è incapace di legare i
suoni, alla scena del Cours-la-Reine manca di civetteria ed eleganza e gli acuti sono, appunto urla; la tessitura e l’orchestrale la mettono a dura prova all’ingresso di Manon a Saint Sulpice e le cose non migliorano alla scena della seduzione dove quando canta piano “la mia non è la mano” è piatta e monotona (non solo di canto, ma pure di interpretazione dobbiamo riferire) salvo regalare un “Manon” alla chiusa parlato, come pure l’ “Enfin”, che rende le generose
veriste  – Mafalda style – fini dicitrici e castigate cantanti. Tralasciamo per chiudere la fatica e le difficoltà al quarto atto per concludere con una morte piatta ed inespressiva come lo stradone ideato quale scenografia per il quinto atto.

E così veniamo all’inesistente regia di Laurent Pelly, che è lautamente retribuito per non suggerire un gesto, un motto che non superi la ordinaria convenzione, buona per tutte le coppie di innamorati da Sonnambula a Gianni Schicchi, salvo una pecoreccia chiusura della seduzione su un lettuccio, che in un angolo della chiesa come se un abate avesse casa ed ufficio nel medesimo luogo, sacro per giunta. Pessimo gusto.  Pessimo gusto pseudo minimalista, che ambienta in una poco credibile fine della belle époque l’opera con qualche
piuma e qualche cappello a larga tesa per le signore, salvo poi, in obbedienza al dettato minimalista far indossare il solito cappottino e far sfoggiare piedi nudi  all’atto quinto, perché nelle odierne metafore cappotto e piedi nudi configurano quella che a Milano più gustosamente si chiama “la povertà, la miseria e la bolletta”. Ieri sera tanta, troppa per la prosopopea di un teatro, che non esibisce eppure la qualità di  un buon panettone industriale, tanto per riprendere l’immagine di un teatro per turisti.

Dei comprimari capitanati da Jean-Philippe Lafont  taccio. Per la verità dovrebbero tacere loro.

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33 pensieri su “Non c’è più Manon…alla Scala

  1. Convido in molti punti questa recensione. Dissento solo per quanto riguarda Luisi la cui direzione non l’ho trovata così malvagia, sopratutto rispetto ad altre bacchette ascoltate di recente.
    Per quanto concerne i cantanti, forse molti lettori di questo blog dissentiranno da me ma ho rimpianto la Netrebko, la Damrau, la Amsellem, la Massis, la Mula e la Voulgaridou (queste ultime due protagoniste della Manon nel 2006). La Jaho, infatti, al di là di un colore di voce che personalmente non trovo brutto, la trovo terribile quando sale in acuto dove la voce diventa fibrosa, molto metallica e stonata (gli acuti interpolati alla fine di “Je marche sur tous les chemins” e “Obéissons quand leur voix appelle” erano terribilmente calanti e veri gridi; mi sono stupito che nessuno dal loggione si sia lamentato; stessa cosa la conclusione del IV atto. Quando ascoltai la Damrau o la Amsellem, ameno gli acuti non erano stonati). Un po’ deludente anche “Adieu notre petite table”: la Netrebko l’avrebbe eseguita meglio con buona pace dei detrattori. Giustifichiamo la Jaho dicendo che era il suo debutto alla Scala (sostituendo nomi importanti che molte aspettative avevano suscitato nel pubblico) e quindi l’emozione ha giocato brutti scherzi.
    Da Polenzani mi aspettavo di più…e ho rimpianto Vargas e Alagna, i quali, soprattutto l’ultimo, hanno offerto, a mio modestissimo parere, belle prove in questo ruolo. Voce timbricamente più bella, qualle di Alagna, non ingolata, maggiore espressività e maggiore agilità negli acuti (Polenzani l’ho trovato molto fisso in alcuni punti).
    La regia nulla di che. Meno terribile di altre ma per il ritorno di Manon in Scala mi aspettavo qualcosa di più,

  2. Troppo buono!

    Soprano non pervenuto. O meglio pervenuto anche troppo con i suoi urli crescenti e fissi. Timbro terribile. Privo di qualsiasi attrattiva. Tecnica zero.
    Almeno la Dessay si sarebbe sbattuta un po’ su qualche tavolo!
    Tenore piattissimo, ingolato, con voce indietro e stimbrata. Buono forse per un coro amatoriale.
    Direzione fracassona anche se dò ancora una possibilità al direttore (in altro repertorio, forse può funzionare).
    Seconde parti non pervenute.
    Regia? Scene? Non c’erano.
    E’ interessante andare, per il dopo teatro, in via Filodrammatici a vedere la fauna adorante e ruffiana che si riunisce all’uscita degli artisti. Uno spettacolo vero!

  3. Caro Donzelli, oggi in questa risposta inizierò con piccoli prologhi di questa “Manon”, accaduti dal mio punto di vista. Sono piuttosto sul comico, di questi tempi ho scelto la suddetta strada per non cadere in una crisi depressiva…
    1. Ho tentato di convincere un mio amico ad andare a vedere questa “manon”, gli ho detto “dai, c’è la Dessay, vai a fischiarla (pratica che adora)”. lui ha detto “vediamo….”. Primo cambio di cast. Allora gli ho detto “beh, comunque c’è la Netrebko, su!”….lui si è fatto offrire la somma di €5 per andare a vederla. Secondo cambio “c’è la Jaho”….lui mi ha detto “no, questo non me lo puoi fare, guarda, riprenditi i tuoi soldi”….non l’ho più sentito da quella volta….
    2. Sai secondo me qual’è il motivo di tali applausi sciatti e tristi? i tanti cambi: il pubblico (una parte, tanto ce n’era poco a quanto leggo, perchè credo non mi sia mai capitato di vedere gli ingressi numerati non venduti interamente), con tutte queste modifiche, non capiva più chi c’era in scena, e allora, giù con gli applausi “politically correct” del tipo “brava, molto brava….ma chi c****o è???”.
    3. Lissner confermato fino al 2017? niente di meglio, io sono già su un sito di ricerca case per trovare dimora in Alaska, terra meravigliosa…possibilmente un affito quinquennale…
    Detto questo torniamo seri…sull’opera non ti so dir molto, dato che ne io ne i miei conoscenti siamo stati tanto coraggiosi da andarla a sentire, quindi farò una cosa che non mi piace, ma che risulta necessaria. vado per deduzioni, per registrazioni.
    La protagonista (ammesso che fosse quella e che non l’avessero cambiata all’ultimo) mi sembra una “cantante” molto vorrei ma non posso. cioè una che vorrebbe essere come la Netrebko, una Diva Moderna, ma che, ahimè si deve accontentare per limiti estetici o altro…senza tralasciare che canta come una capretta, e la trovo molto affaticata da subito.
    Luisi (cito solo i due “protagonisti” della serata) non l’ho sentito molte volte, ma non mi dispiaceva. Se vorrai potrai tranquillamente chiarire questo fatto, di sicuro avendoo sentito più recentemente mi potrai fornire testimonianze più concrete.
    Il terzo elemento di cui parliamo e la Scala, e qui non c’è che un punto interrogativo: Che fine farà? io mi auguro (anzi prego, ormai…) che tale punto rimanga il medesimo per 5 lunghissimi anni di dittatura trash, e che poi possa trasformarsi i un bel punto esclamativo, che accompagna la nostra frase tipicamente milanese: Ma vada via el cul! (spero di averlo scritto bene). Spero, appunto…si, spero…..
    Chiedo scusa in partenza se il commento è un po’ troppo piccantello o esagerato, ma mi è venuta una gran rabbia a sentire certe cose, quindi mi scuso in partenza con tutti. Grazie.

  4. Donzelli chiedo scusa ma te,e questo signore (che non metto il nome ma sai sove trovarlo) avete visto è ascoltato la stessa cantante ?

    “Ermonela Jaho sostituisce le annunciate prime donne ( Dessay e Netrebko) raccogliendo anch’essa un meritato successo. La parte di Manon, assai complessa, vuole un soprano lirico che sappia anche essere disinvolta nelle acrobatiche colorature del terzo atto, e il soprano albanese, anch’essa debuttante alla Scala, ci pare che si disimpegni bene.
    Soprattutto l’interprete sembra aver colto in pieno il lungo percorso della protagonista: dalla povera adolescente di provincia tutta stordita e rassegnata nel primo atto alla donna turbata, malinconica ed indecisa tra la voglia di vivere nel lusso e l’amore semplice ma povero e sincero del secondo atto; dalla spensieratezza scintillante della cocotte tutta colorature, picchiettati, trilli e sovracuti del terzo – dove emerge una bellissima donna al centro di mille attenzioni maschili – alla seducente ed esperta nell’arte amatoria del terzo atto; dall’arrivista ossessionata dall’oro del quarto atto alla donna avvilita, umiliata e malata, che diviene saggia suo malgrado, mentre ricorda con tanta nostalgia i bei momenti d’amore col suo Des Grieux.
    Ebbene, la cantante, senza avere un timbro smaltato, è leggera in “ Je suis encor tout étourdie” e “Voyons, Manon, plus de chimères”. Trepidante ed entusiasta nel primo duetto con Des Grieux. Appassionata nel recitativo che precede l’aria “ Adieu, notre petite table”, poi tutta presa da indugi, accento sommesso e chiaroscuri in piano ben calibrati.”

    incredibile la differenza di valutazione
    va bene che poverina è rimasta da sola a cantarsela la Manon
    forse vogliono dare un po di coraggio a “quest’umile ancella ” dopo che le dive sono rimaste a casa a “curarsi”
    mai ascoltata dal vivo ma all’ascolto delle registrazioni non mi sembra un fenomeno.

  5. Non voglio scendere nell’arena e difendere tenore e soprano che, personalmente, non mio sono parsi così catastrofici martedì sera. Trovo solo scandaloso che alcuni lettori-commentatori scrivano peste e corna SENZA ESSERE STATI PRESENTI ALLA RAPPRESENTAZIONE. E’ poco serio da parte loro. Saluti

    • Io c’ero e non so chi mi ha trattenuto dall’andar via.
      Terribile, noiosa, cantanti da un tanto al kilo. Diciamoci la verità! Basta con questi soprani dalla voce stimbrata, brutta, fissa, stonata. O vogliamo dire che è, almeno, una grande interprete?
      No perchè allora veramente siamo alla frutta. Anzi lo siamo.
      Tenore dilettante da oratorio. Suvvia! Ma ci siamo dimenticati Kraus, per citare uno deglu ultimi grandi?
      Non per fare il passatista ma c’è un gap terribile, un salto di 100 anni (nel senso del peggioramento) e non di 10 anni. E non parlatemi del gusto che proprio non è il caso.

    • Non so a chi Lei si stia riferendo. Io, che di solito sono molto indulgente (ed anche giovane senza alcuna velleità di capirne), ero presente martedì sera. La cosa che fa riflettereè che un noto sito di recensioni di solito molto buono, una volta tanto ha scritto le stesse cose che si leggono qui. La cosa csomai su cui riflettere è venga rivolto qualche fischio alla Mosuc (che almeno canta intonata) e martedì sera non ci sia stata neppure una persona a lamentarsi dello spettacolo.
      Mi viene un’altra riflessione: come in tanti aspetti della vita moderna, anche nelle regie operistiche ci sono le “cose di moda”: ora va di moda il letto in scena…Netrebko e Mattei entravano su un letto nel Don Giovanni, Mosuc, Álvarez e Barcellona anche loro su un letto (bianco o rosso) in Luisa Miller, infine anche in Saint Sulpice non poteva mancare il letto.

    • Ascolta Billy se per caso ti riferivi a me voglio solo dirti che, come ho scritto anche nella mia prima risposta, detesto andare per conoscenze indirette o per supposizioni, ma ovviamente io non posso presenziare a tutte le recite che vengono qui recensite, e allora cosa dovrei fare? scrivere solo in quelle da me viste? ma se io voglio esprimere solo la mia opinione, da appassionato, secondo te non posso farlo “perchè non c’ero”? scusa la poca modestia che uso attribuirmi, ma credo di avere abbastanza esperienza per dire che una coma la Jaho la senti una volta e quella rimane, non è la cantante che magari dici “toh, stasera invece mi ha stupito!”, perchè non può farlo. E ti prego, se ti riferivi a me (potrei anche sbagliarmi) dimmelo in maniera diretta, non mi offendo! ognuno ha il diritto di dire cosa pensa e ognuno ha sua volta ha il diritto di concordare o contestare. Saluti.

  6. E’ chiaro che non ci trovavamo di fronte né a un Kraus , né a un Valletti, né a una Sills. Tutti e due , però, cercavano di interpretare seguendo le indicazioni del direttore (che non erano male) . Polenzani apriva certamente troppo la vocale A , ma non mi è parso così “indietro” , certo era falsettante, ma sulla linea di molti tenori di scuola francese tipo Henri Legay per intenderci. Nell’insieme, a mio avviso, mi è parsa un’esecuzione molto più credibile dell’orrenda Luisa Miller di settimane fa.
    http://www.youtube.com/watch?v=toKyp5788j8

    • senti però Billy..tutti cercano di intepretare e seguire il direttore. non è un buon argomento.
      Erano mediocri..lei con un timbro brutto, emisisone asperrima, dopo il secondo atto tanti di quegli urlacci..mi è parsa fare qualcosa più di lui, ma è una cantante con troppi limiti tecnici in un mezzo vocale mediocre. lui canta come un pesce lesso: potrà in qualche platea straniera trovare consensi com tenore elegante, ma una voce morchiosa, nasale e schiacciata. le frasi buone, coperte, sono state rare e quasi casuali. l’intento era quello di cantare da eunuco…possiamo fare confronti con la Miller o altro, ma qui ormai di che parliamo? se sia meglio questo o quel difetto. ma parlaimo sempre di cantanti men che provinciali e male impostati. sempre male impostati…..non abbiamo più nulla.

  7. Sono questa volta d’accordo con le opinioni negative di tutti, in particolare per la Jaho e per quel manipolo di bassi/baritoni che la Scala osa mandare in scena. Ma non sarebbe ora che qualcuno (magistrato?) incominci a indagare sul perché di certe scritture? Guarda caso, la Jaho – veramente una nullità – condivide l’agenzia con la Harteros, che ha sostituito in Suor Angelica al Covent Garden. Non sarà che certe “indisposizioni” sono programmate per lanciare certi elementi? Niente di nuovo, ovviamente, Caballé docet.
    Polenzani invece non mi è dispiaciuto affatto, e così pure Luisi, che anzi ho trovato una delle pochissime ragioni perché la serata non fosse tutta in negativo.

  8. scusate, ma se quasi nessuno di voi ritiene che oggi vi sia una Manon o un Des Grieux attendibili (così come mi sembra leggendo questo blog nessun cantante attendibile in generale visto che ho letto pessime recensioni di tutti i migliori interpreti oggi in circolazione), mi dite che ci andate a fare a teatro a spender soldi?
    vi conviene continuare a sentire a casa vostra seduti su un comodo divano le incisioni di cinquant’anni fa o più. Fate meno fatica e sarete meno incazzati.
    (per inciso io la manon con Kraus l’ho vista dal vivo trent’anni fa, ma che senso ha scomodare sempre i fantasmi del passato?)

  9. Caro ottimistone, io sono un grande frequentatore di concerti sinfonici e cameristici, e in questo ambito un pianista che stecca o non sa fare le ottave e le scale cromatiche, oppure un violinista che stona sulla quarta posizione o non sa fare i passaggi a corde doppie, semplicemente non è ammesso a esibirsi in pubblico. Dai cantanti pretenderei semplicemente lo stesso, ossia note il più possibile corrette, e non mi sembra di chiedere la luna…

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