Sorella Radio: Artaserse da Martina Franca. I sogni son desideri

“Si compie questa sera il sogno di Rodolfo Celletti, che avrebbe voluto allestire quest’opera a Martina Franca, ma non disponeva di cantanti adeguati”.

Con l’Artaserse di Hasse si è aperta l’edizione 2012 del Festival della Valle d’Itria. L’affermazione sopra riportata è stata prodotta nel corso degli eruditi conversari, abituale riempitivo delle dirette e differite musicali sul terzo canale della radio pubblica. Radio pubblica cui spetterebbe il compito, arduo e oneroso e quindi meritevole di pubbliche sovvenzioni, di fare cultura e informazione. Il che significa anche, all’occasione, saper ribattere ad affermazioni come la summenzionata, in luogo di adeguarsi a priori e per principio all’opinione manifestata dai propri ospiti, per quanto colti ed affabili.

Si sarebbe potuto per esempio rispondere che all’epoca di Rodolfo Celletti a Martina Franca si allestivano senza problemi tutti gli autori del belcanto, Rossini in primis, e, di quelli, anche titoli composti per autentici fuoriclasse. Non solo, ma gli stessi venivano proposti in edizione pressoché integrale e con dovizia di inserti e variazioni che forse scandalizzerebbero i filologi moderni, ma rientravano perfettamente negli schemi previsti dalle prassi esecutive in vigore all’epoca della composizione.

In secondo luogo mai Celletti avrebbe considerato adeguati all’allestimento di un titolo di belcanto i controtenori convocati all’occasione. Nel proporre titoli pensati per musici il critico ha sempre fatto ricorso, e giustamente, a voci femminili. È pur vero che, nel presente allestimento di Artaserse, falsettisti e voci femminili, nonché l’unica voce di tenore presente, cantavano tutti allo stesso modo. E allora a maggior ragione non si comprende per quale ragione il personaggio di Arbace, interpretato alla prima veneziana da Farinelli, sia stato affidato al controtenore Franco Fagioli, quando l’antagonista, il perfido Artabano, creato dall’evirato cavalier Nicolini, era il nominale contralto Sonia Prina.

Del pari misteriose permangono le ragioni, all’interno di un allestimento che si pregiava di portare in scena la prima versione dell’opera (Venezia, Teatro di San Giovanni Grisostomo, 1730), di inserire un’aria dal Motezuma di Vivaldi, composto tre anni dopo. A parità di filologia si sarebbe potuta interpolare la gran scena di Arsace o magari lo scongiuro di Ulrica. La ragione che la parte scritta per il cavalier Nicolini, giunto alla fine della carriera (di fatto Hasse lo fa vocalizzare su un’ottava abbondante e gli affida molti passi patetici in recitativo, che il cantante doveva risolvere magistralmente, attesa la sua fama di grande attore), fosse troppo semplice e quindi bisognosa di virtuosismi aggiuntivi, che rendessero giustizia all’arte della signora Prina, trova immediata smentita all’atto pratico dell’esecuzione, che vede la cantante cempennare maldestramente le agilità, con suoni artificiosamente gonfi e non di rado anche stonati. Sempre per proseguire con il cellettese abbiamo sentito per tutta la sera cantare in eurosbobbico (malgrado tutti gli interpreti coinvolti fossero di madrelingua italiana), perché in assenza di un corretto imposto vocale la netta e scandita articolazione della parola, così importante nella messinscena di un testo metastasiano, rimane un miraggio o una pia illusione. Altrettanto dicasi della salita agli acuti, che non può avvenire quando in prima ottava si siano aperti i suoni, a imitazione dei peggiori esempi del canto verista tra le due guerre. Abbassare il diapason da 440 a 415 non serve, in questo senso, se non a contenere, in misura parziale, i danni. Nei passi di canto fiorito abbiamo poi udito sgallinacciamenti diffusi, segnatamente con riferimento alla parte di Mandane, creata alla prima veneziana da Francesca Cuzzoni, già prima Cleopatra e Rodelinda. Sciatta e routinière la condotta musicale di Corrado Rovaris, che a parte gli archi sfrigolanti, elemento costante dei complessi che seguono le cosiddette pratiche filologiche, ha diretto una cupa tragedia familiare e politica come se si trattasse di un intermezzo comico, con tempi generalmente stringati e colori brillanti che sembravano mettere in burletta il tono ora patetico, ora tragico del libretto. Ne è sortito un bel (si fa per dire) carnevale baroccaro, cui offrivano un determinante seppure involontario contribuito le urla, diciamo scomposte, di una parte del pubblico dopo le arie solistiche, segnatamente nell’atto conclusivo.

E per chiudere con una nota di vero passatismo, divertiamoci a ipotizzare un cast Martina Franca 1985 per il titolo in oggetto. Celletti per primo avrebbe avuto qualcosa da osservare al riguardo, non foss’altro che scegliere gli esecutori in funzione del titolo da allestire, e non al contrario individuare il titolo partendo dai cantanti di cui si dispone, è una delle cause principali di tanti pietosi spettacoli del nostro presente.

Artaserse – Dano Raffanti

Mandane – Lella Cuberli/Mariella Devia

Arbace – Martine Dupuy

Artabano – Carmen Gonzales

Semira – Daniela Dessy

Megabise – Maria Dragoni

Dir. Alberto Zedda

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24 pensieri su “Sorella Radio: Artaserse da Martina Franca. I sogni son desideri

  1. Tutto abbastanza vero. Io ero presente a Martina Franca. Dissento solo sull’eccessiva severità nei confronti di Rovaris (che con l’orchestra che si ritrovava ha fatto fin troppo) e sull’esecuzione di Fagioli: nulla a che vedere con l’orrendo Fuentes postato.http://www.youtube.com/watch?v=l6ZzrJ8TQdA Fagioli ha suoni molto meglio sostenuti e (incredibile) all’aperto nel cortile di Martina Franca possedeva la voce che correva meglio e riempiva lo spazio senza problemi. E’ vero che la sua pronuncia va perfezionata e che certi “contorcimenti” posturali non sono troppo gradevoli, ma fra i falsettisti da me ascoltati dal vivo è forse il migliore. (Per quanto riguarda l’amato Celletti non oso immaginare cosa avrebbe detto di una Zaira , prossimo titolo, con Enea Scala nel ruolo di Corasmino)

  2. Vorrei precisare, però, che l’orchestra diretta da Rovaris non è un “complesso specializzato in pratiche filologiche” (almeno lo fosse!) e, piaccia o meno, la questione del diapason non è un vezzo “baroccaro”: ostinarsi ad eseguire l’opera settecentesca a 440 Hz (magari, poi, dovendo abbassare di mezzotono) è una forzatura (ma sarebbe da abbassare anche quello di Rossini, Bellini e Verdi per ricondurre a tessiture più umane). Così come il vibrato largo “alla Bruckner” (magari con 30 violini primi) non mi pare il più adatto per la musica barocca. Detto questo Il Festival di Martina conferma il suo primato (negativo).
    Ps: non è questione di preferire Oberlin o Fagioli o altri…gli è che il falsettista non dovrebbe essere impiegato per sostituire i castrati…non lo dico io, che posso pure essere un cretino, ma anche Haendel era dello stesso avviso…e qualche credito bisognerebbe pur darglielo…

    • Sull’uso dei mezzosoprani-contralti quali sostituti dei castrati, credo, siamo tutti d’accordo. Purtroppo all’estero, più ancora che da noi, non sembra che la pensino allo stesso modo.
      In ogni caso, se proprio devo, preferisco un falsettista “decente” a un mezzosoprano svociato…..

    • Non credo che Tamburini intendesse tradurre l’abbassamento di diapason come “vezzo baroccaro”, ma più semplicemente ricondurre al fatto che sia col diapason a 440 sia a 415 se canti male, canti male.
      Concordo con te sul ripensamento del diapason in base agli autori ed alle loro epoche, ne abbiamo già parlato, come concordo sul discorso circa l’impiego di falsettisti per interpretare ruoli scritti per castrati che nulla hanno a che fare con la loro “falsa” vocalità.

  3. Peccato, me lo sono perso! Dispiacere sentito per me, che la musica del Sassone amo particolarmente.
    non avendolo ascoltato, non esprimerò pareri sui cantanti. Rimango un po’ perplesso dall’inserimento dell’aria di Vivaldi: procedimento legittimo nella realtà operistica d’allora ma non giustificabile oggi, anche stilisticamente parlando, tanto meno se poi vai a sbandierare con orgoglio l’esecuzione del 1730.

    Ahimè la piaga del falsettisti sta infettando tutti i teatri europei. Domina il pensiero “se facciamo opera barocca almeno uno ci deve stare, che sia ruolo principale o ultimo dei comprimari”. Certo, sarebbe stato peggio con la v-v-v-vvivica genaux che tanta splendida musica hassiana ha distrutto (uno per tutti l’incisione del Solimano)!

    Una domanda per chi ha seguito l’esecuzione: come sono stati realizzati i recitativi? Nel teatro metastasiano se si operano tagli eccessivi o se si eseguono con sciatteria e poca chiarezza di dizione, si finisce per non capire più nulla dell’intricatissima trama, che in essi interamente si sviluppa.
    Interesse maggiore dato anche dalla qualità degli stessi, che Farinelli apprezzava al punto di imporne l’uso anche durante una rappresentazione dell’Artaserse di Vinci…

  4. Ho visto lo spettacolo, e proprio i recitativi lasciavano a desiderare. Intanto velocissimi, e poi incomprensibili (come le arie, del resto): In particolare son rimasto deluso da Fagioli, che nell’Aureliano e nella Rodelinda mi era sembrato accentasse molto meglio il testo, e nell’Artaserse invece non faceva capire una sillaba. Ma anche gli altri non erano da meno: sembrava che volessero sbrigarsi per non annoiare troppo, il che è un assurdo trattandosi poi di Metastasio e di un’opera che dura quattr’ore quasi e di cui non si riesce a seguire la storia (forse pensano che non conti?). allora tanto valeva mettere i sopratitoli, ci sarebbero state meno defezioni: l’altra sera fra il freddo e la lunghezza, eravamo rimasti ben pochi come ai tempi della Poppea di Zedda-Dessì-Ligi…
    Però su Fagioli come vocalista sarei meno severo: è un surrogato, d’accordo, ma rispetto all’orrore di uno Scholl (ma l’avete sentito il suo Giulio Cesare ultimo con la Bartoli? una vera pappa) e di altri, mi sembra ancora notevole, nonostante le disuguaglianze e una certa attenuazione negli acuti. Anche la Prina non mi è sembrata stonare, e certo il timbro del mezzosprano aveva più mordente di quello del falsettista (giusto il personaggio, dunque), ma io ho visto la seconda recita. La Schiavo starnazza un po’, leggera leggera, ma non sfigurava; la Bove quasi non si sentiva. Il tenore faticava molto ad essere incisivo in una parte di baritenore, troppo grave per lui, ma era l’unico a farsi capire. Più donna che mai il secondo falsettista. La direzione era in effetti troppo veloce e un po’ tirata via, le sonorità grattanti o sferraglianti (l’orchestra di quasi soli archi!). Comunque nell’èra di Segalini abbiamo visto e sentito di motlo peggio.

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