Cecilia Bartoli: “Mission” … Impossible!

Prima di recensire questo recital dobbiamo ammettere un fatto fondamentale:
in questi anni non possiamo negare di aver trattato male, a volte malissimo Cecilia Bartoli, figura emblematica, carismatica e certamente multiforme nel panorama musicale degli ultimi vent’anni.
Ammettiamo anche di non averla compresa, di averla derisa o stroncata, perché non ne capivamo la profondità, la cura del dettaglio, la raffinatezza del repertorio, la giocosità del personaggio, l’istintivo, accattivante ed immediato relazionarsi col pubblico, certe scelte ardite, inusuali, anche benevolmente snob, per tornare alle origini dell’opera stessa, della musica stessa, esplorando con studio maniacale le possibilità tecniche ed espressive del canto e della voce.
“Mission” il suo ultimo recital, omaggio necessario al genio musicale di Agostino Steffani (1654-1728) eclettico compositore di origini veneziane dalla proteiforme e misteriosa carriera ecclesiastica e diplomatica, ma soprattutto fondamentale anello di congiunzione tra Monteverdi, Cavalli, Vivaldi ed Haendel, dicevo, rappresenta una preziosissima pietra miliare (e pesante pietra di paragone) del percorso di riscoperta non solo di Cecilia Bartoli, ma soprattutto un tassello di enorme valore della musica barocca e pre-barocca italiana.
Il risultato, e so che vi lascerò a bocca aperta per questa mia affermazione, è il classico disco da “Isola deserta”!
Chi affronterà il repertorio “Barocco”, fin dagli albori, dovrà, giocoforza confrontarsi con la netta linea di demarcazione tracciata dalla Bartoli con questo CD.
La cantante dopo 25 anni di carriera dimostra di essere ancora una esecutrice strepitosa, un perfetto strumento nelle mani del suo repertorio. La smaltatura di timbro inconfondibile ed ovunque omogeneo, davanti ad una maturazione artistica di questo livello, fanno un tutt’uno con una emissione morbidissima eppure solida, un appoggio ed un controllo del fiato da manuale, una proiezione del suono, una compattezza, una scorrevolezza lungo tutta la gamma dell’estensione che definirei esemplari, come la una musicalità da sempre “la sua tazza di Tè” come direbbero gli inglesi, una liquidità ancora ammirevole nello svolgere la coloratura barocca tanto vertiginosa da travolgere l’ascoltatore.
Il dominio espressivo, la dizione eccellente animata da un fraseggio che letteralmente brucia e vivifica ogni sillaba, ogni cifra della parola, ogni sussulto agogico e fonetico della frase, viene esaltata con il giusto stile ed un gusto personalissimo eppure sempre spontaneo, nonostante certi accenti certamente caricati, ma pertinenti e del massimo interesse recitativo e teatrale.
Magnifica, ad esempio, la scolpitura delle consonanti, seguite da vocali dai colori intensi e cangianti, il che rende la sua declamazione increspata in un’aurora boreale di suggestioni. Finalmente possiamo parlare del potere della parola all’interno del linguaggio musicale, attraverso un mezzo, la voce, perfettamente emessa, alla quale viene dato un continuo, coerente trascolorare senso drammatico.
Le arie, accuratamente scelte dal catalogo operistico di Steffani, e tutte, diciamocelo, sublimi, sono banchi di prova per una vocalista tecnicamente a prova di bomba, che si lancia, senza rete, ma con  spavalderia, affrontando l’ostica scrittura attraverso assottigliamenti repentini, dolcezze vocali, rallentati e rubati, bagliori di viperina perfidia, abbandoni sensualissimi e voluttuosi sostenuti dalla preziosità di un legato mai così cristallino, senza per questo essere leziosa o manierata, ma sempre turgidamente elegante…

BASTA!!!
Basta così! Io c’ho provato, credetemi, a mettermi nei panni del critico della stampa ufficiale, quello che, vuoi o non vuoi, ne devi parlare bene, perché è conveniente e perché sei amico e fan; io c’ho provato con tutte le mie forze a immedesimarmi nelle milioni di persone che ogni anno aspettano il suo CD e lo accolgono come la dimostrazione che Dio esiste e attraverso di Lei ci rivelerà qualcosa di nuovo e si bevono tutte le riscritture storiche, romanzate e giustificatorie, che si cuce addosso da anni; io c’ho provato a trovare qualcosa di bello, a farmela piacere, a capire in cosa consista la sua grandezza. L’ho anche vista e “ascoltata” dal vivo…
NIENTE!!! Non ci riesco! Ed ora, per non farmi ribrezzo, torno nei miei panni.

“Mission” è un esempio perfetto e furbissimo di marketing e pubblicità.
Copertina pacchiana e “Shock” (omaggio evidente allo Zio Fester della “Famiglia Addams, alla calvizie del povero Fasolis, all’ “Esorcista”, al “Nosferatu” di Murnau ed Herzog, a padre Amorth, a vari preti della letteratura e delle fiction, al Blofeld di “007”, etc.), interviste e video, giochino mistery per titillare la curiosità dei fan, una scrittrice americana, Donna Leon, appassionata di musica barocca, che basa i suoi gialli sui luoghi comuni italioti e li ambienta anche a Venezia città nella quale vive, alla quale tocca, rendere la biografia del povero Steffani contorta e ricca di complotti sospesi tra politica e Vaticano (e se non c’è anche un accenno di ambiguità sessuale non gioco più); mancano solo le magliette, le tazze, il DVD ed il videogioco per i-pad e i-phone, che comunque verranno a breve pubblicati. Insomma roba che farebbe gola a trasmissioni trash come “Voyager” e “Mistero.
Tutto graficamente molto curato, molto divertente, molto ammiccante, molto cool, molto tecnologico, molto alla portata di tutti con un clic; ma anche molto vuoto, molto falso; ma i bartoliani, perché a loro non la si fa, sapranno certamente apprezzare e amare!
Il marketing è questo, e va bene così.
Un prodotto di qualità, dovrebbe, a parer mio, giustificarsi da solo senza sovrastrutture che ne rendano sofisticato involucro e contenuto.
Insomma, se volete convincervi che Steffani sia un eccelso compositore incompreso, ingiustamente dimenticato, e riscoperto dalla salvatrice Bartoli, e su questo avrei molte riserve soprattutto dopo l’ascolto del CD e dei risultati discutibili raggiunti dalla “Niobe” diretta da Hengelbrock, e sia davvero il fondamentale anello di congiunzione per comprendere realmente la musica di Monteverdi, Cavalli, Vivaldi ed Haendel (anche Scarlatti, Carissimi, Peri, Lully, chi volete voi insomma), vedrete che questo CD sarà la vostra salvezza!

Brevemente: rocambolesca personalità quella di Agostino Steffani, compositore veneto che ha saputo sfruttare e reinterpretare, fin dall’adolescenza, gli insegnamenti dei suoi maestri in campo musicale e dei suoi mecenati in campo politico, religioso e diplomatico.
Si inserisce nel solco degli allievi di Francesco Cavalli, e della tradizione dei compositori della Repubblica Veneziana, ma fu anche cantore ed organista grazie agli insegnamenti di Jahann Kaspar Kerl dopo il trasferimento, giovanissimo, a Monaco di Baviera per volere di Ferdinando Maria e consorte colpiti dalla sua eccezionale bravura.
Fu allievo di Ercole Bernabei, una volta tornato in Italia ed iniziò, nemmeno ventenne, a comporre le prime Messe per la Cappella dell’Elettore di Baviera ed a pubblicare i primi lavori (Salmi, Sonate per quattro strumenti, duetti, brani per basso continuo); ma continuò anche ad approfondire lo stile dei suoi contemporanei grazie ai primi viaggi diplomatici tra Francia ed Italia che lo portarono ad confrontarsi con Lully ed a esibirsi alla corte di Re Luigi XIV.
Prese i voti e fu nominato Abate a Lipsia.
Dal 1681 in poi inizia parallelamente la carriera di compositore di opere, soprattutto in Germania dividendosi tra Amburgo, Hannover, Dusseldorf, Spiga, con un successo travolgente, che lo aiuterà a muoversi tra le corti ed i teatri europei, potendo contare sul privilegio della traduzione in tedesco dei libretti, e quella ecclesiastica, che lo guiderà, grazie al contributo di potenti protettori e con merito, a posizioni sempre più rilevanti nell’ambito di Concili e Università, fino a missioni politiche sempre più prestigiose.
Nei primi anni del ‘700, a causa di una carriera diplomatica sempre più impegnativa, decise di firmare le sue composizioni utilizzando il nome del proprio copista: Gregorio Piva, per questo motivo il corpus delle opere e degli oratori di Steffani appare incompleto.
In compenso designò suo degno successore come Maestro di Cappella, un “certo” Haendel e, negli ultimi, anni visse tra Roma, Hannover e Francoforte sul Meno ove morì nel 1728 dopo una brevissima malattia.

La musicalità precisa e naturale; il controllo del fiato che le permette attacchi il più delle volte puliti e intonati, sempre se non decide di miagolarli o emetterli fissi, ed anche messe di voce suggestive; il timbro personalissimo che la rende immediatamente riconoscibile; l’essere, suo malgrado, una affabile e simpatica intrattenitrice quando deve affrontare il pubblico; ecco, questi sono i pregi che mi sento di ascrivere a Cecilia Bartoli.
Diciamo la verità: la cantante oltre all’isterismo esasperato e lezioso nelle arie più liliali o di furore, ed alla mestizia sospirosa e galleggiante nella quale sono immerse le arie più drammatiche, espressivamente parlando, non ha altre sfaccettature emozionali: quindi una volta notata tale alternanza il giochino diventa ripetitivo e fastidioso.
Il CD è una raccolta sceltissima di arie tratte dallo Steffani operistico e, nella maggior parte dei casi, di prime incisioni assolute.
La cosa che lascia perplessi, oltre alla quantità delle tracce, è la loro durata, che va dal minuto scarso ai sei minuti al massimo: tale brevità lascia spiazzati, perchè se alcune arie possono brillare anche da sole, altre sembrano sospese nel vuoto, incomplete o assimilabili a recitativi più che a pezzi solistici e tale sensazione di incompletezza può risultare monotona e inopportuna. Magari una ricerca diversa, e le raccolte di Steffani si prestano perfettamente, ed una quantità inferiore avrebbe giovato all’operazione.

Per praticità ho preferito riordinare le tracce raccogliendole in base alle opere da cui sono state estrapolate.

Dall’ “Alarico il Baltha, cioè l’Audace, Re de’ Gothi” (Monaco, 1687) possiamo ascoltare due “arie” tratte dal II atto: “Schiere invitte non tardate”, affidata all’omonimo protagonista, e “Si, si riposa… Palpitanti sfere belle” intonata dal personaggio di Sabina.
La prima è un’aria di bravura ricca di fuoco, dal tono certamente trionfalistico, accompagnata da uno scialo di trombe, timpani, pifferi, cembalo, e rappresenta il biglietto da visita del recital; e già abbiamo un ritratto di ciò che ci aspetta: i mordenti fatti ascoltare dalla Bartoli sono risolti con una “coloratura” a frullino (cit. amico Mario), ormai dura come un sasso che schiaccia la dizione oltre che spingere indietro il timbro costretto a diventare gutturale e ridurre i Sol della ripresa a squitii dalla dubbia intonazione.
La seconda, con accompagnamento di violini, viola, flauti, basso continuo è un’aria del sonno, così la voce costretta (non da Steffani) ad alleggerirsi si spoggia completamente aggrappandosi alla gola: il tono è lezioso, ovviamente, e tanto per fare del naturalismo spiccio, l’ineffabile Cecilia piazza sulle pause coronate due bei sbadigli che molti troveranno divertentissimi, quanto necessari e autoironici, ovvio… perché il teatro è anche questo e via blaterando.
Da “I trionfi del fato” (Hannover, 1695) le arie scelte sono: “Mie fide schiere all’armi… Suoni, tuoni, il suolo scuota”, in realtà un’aria doppia in quanto fusione voluta da Steffani di un brano cantato da Iarba, personaggio, appunto dei “Trionfi” e uno composto per il personaggio di Erta nell’ “Arminio”, ed il duetto tra Enea e Lavinia “Combatton quest’alma”.
Ascoltare questi due brani fa male; un male fisico, fastidioso, martellante: è come essere costretti nel primo caso ad assistere ad un mix letale tra Jodel e gargarismi, cantati in una lingua che ha spappolato vocali e consonanti. Nessuna fantasia, per quanto fantasioso possa risultare un trapano elettrico. Un abominio vocale per amanti dello splatter baroccaro estremo; nel secondo, complice la voce nasale, vetrosa, adenoidea, gutturale, “falsettante”, poggiata su corde vocali di carta velina del falsettista Philippe Jaroussky, che fa eco punto per punto ad una Bartoli travestita da cavalletta tarantolata, sembra di ascoltare una delirante parodia in salsa barocca del duetto dei fiori della “Lakmé” di Delibes: scoprire chi sia Enea e chi Lavinia in questo duetto è perversione pura!
Ben cinque le arie tratte da “La verità contenta” (Hannover, 1693) le arie di Alcibiade “Notte amica al cieco Dio”, “Svenati, struggiti, combatti, suda”, quelle di Aspasia “Foschi crepuscoli”, “Deh stancati o sorte”, il duetto “Volate”.
L’emissione escogitata dalla Bartoli in “Notte amica al cieco Dio” è basata sull’alternanza di un continuo sospiro, appoggiato chissà dove, a fissità in pianissimo, che forse farà la gioia dei seguaci dell’ipnosi dalle menti più aperte e dalle orecchie più chiuse, meno delle persone che vorrebbero comprendere anche il testo senza dover alzare il volume dello stereo al massimo per udire i succitati rantoli. Tra l’altro l’orchestra è posta talmente in secondo piano rispetto alla voce che sembra un’unica nota tenuta per oltre tre minuti.
Se per i fans della cantante trovare gradevole il suono di un trapano è cosa naturale buona e giusta, troveranno l’aria di furore “Svenati, struggiti combatti, suda” assolutamente un must: la coloratura, le scale ascendenti e discendenti, per giunta ingolate, imitano perfettamente il soave e melismatico ronzio dell’utensile.
Più liriche e distese “Foschi crepuscoli” e “Deh stancati o sorte”, entrambe incentrate su un declamato che sfrutta la morbidezza del registro centrale con brevi mordenti e qualche discesa nel registro grave, purtroppo affrontati con attacchi miagolanti, suoni fissi, voce che galleggia piccola e semi inudibile sul nulla ed un tono manierato in cui imita se stessa dando solo un senso mesto e finto di dubbio gusto.
Per lo scialbo duetto “Volate” si rimanda, per il commento, al precedente duetto Bartoli-Jaroussky.
“La superbia di Alessandro” (Hannover, 1690) viene omaggiata con l’aria di Ermolao “Non prendo consiglio” e quella di Alessandro, con Coro, “Tra le guerre e le vittorie”.
Tracce entrambe brevissime, in cui la voce oltre a gorgogliare istericamente di gola nel registro centrale, con qualche variazione verso acuti appena toccati e che ovviamente non girano, nulla aggiungono nel loro insistito monocromatismo spiccio.
Anche “Niobe, regina di Tebe” viene omaggiata con cinque arie: Anfione “Ove son? Chi m’aita?”, “Dell’alma stanca a raddolcir le tempre”, Niobe “Amami e vedrai”, i duetti Niobe-Creonte “T’abbraccio, mia Diva” e Niobe-Anfione “Serena, o mio bel sole… Mia fiamma… Mio ardore”.
In queste arie la Bartoli ha il pregio di tentare l’impresa di raccogliere la voce e spingerla verso una espressività trattenuta, nostalgica e delicata. Le arie sono anche in questo caso più liriche e spianate nella prima parte, centralissime (la nota più acuta è un La, raggiunta nelle colorature o nei vocalizzi), mentre nelle sezioni successive si creano occasioni per dei trilli sul Do diesis centrale, per delle scale ascendenti e discendenti o della coloratura di forza.
Il fraseggio però è micidiale per quantità di noia: l’abuso di piani e pianissimi spoggiati, e a lungo andare così stucchevoli, diabetici e ripetitivi da cariare i denti, di note gravi sul primo passaggio sono spinti, stimbrati, piccoli e sovente stomacali; il trillo è inerte o appena accennato; la coloratura di forza squittente e fluida come un frammento di ghisa.
Fastidiosi come due zanzare petulanti e ostinate i melensi, ridondanti e noiosissimi duetti con Jaroussky: il problema di questa “Niobe” , affrontata in tal maniera (strada già percorsa da Hengelbrock) è il banalizzare e trasformare musica altrimenti interessantissima in una sequela di brani flaccidi e musicalmente sovrapponibile alterando il fragile equilibrio espressivo e tragicomico creato da Steffani.
Mi domando quale sia il criterio alla base di interpretazioni del genere che, più che coinvolgere, conciliano nervosamente il sonno… per tramutarlo in incubo!
“Tassilone” (Düsseldorf, 1709), anch’esso partecipa con altre 5 arie: Rotrude “Più non v’ascondo” e “Padre, s’è colpa in lui”, Tassilone “Sposa, mancar mi sento” e “Dal tuo labbro amor m’invita”, Sigardo “A facile vittoria”.
Con la prima aria di Rotrude la Bartoli si trasforma in una gaudente e saltellante  bambina iperattiva dello “Zecchino d’Oro” che porta in concorso una canzoncina tutta Jodel oscillante e melassa: beata lei che è contenta! Nella seconda aria è al contrario talmente scontenta che miagola, si lagna e fissa le note.
La prima aria di Tassilone vorrebbe essere patetica e commossa, e con altra artista lo diventerebbe,  invece qui è solo una interminabile sequela di sospiri e pianissimi; la seconda mette inutilmente in mostra gola e rantoli di stupore.
Nell’ aria di Sigardo, scritta in chiave da contralto, la Bartoli tenta una messa di voce metallica su un La centrale e si esibisce in un fantatrillo nella ripresa variata dell’aria che poco diverge da ciò che abbiamo ascoltato in precedenza.
Semplicementi angoscianti le tracce rimanenti come: “La cerasta più terribile” da “La lotta d’Hercole con Acheloo”; la piagnucolosa e involuta “Morirò tra strazi e scempi” dall’ “Henrico Leone;, l’allucinante duetto “Timori, ruine” ovviamente con l’onnipresente vocetta stridula di Jaroussky, da “Le rivali concordi”; l’inconsistente corale “Non si parli che di fede” dal “Marco Aurelio”; l’emicranica “Da le stragi” dall’ “Arminio”.
A questo punto pensavo, al massimo dello scoramento, “Tutto è perduto, dunque!”… ma ecco che appare un raggio di speranza; ecco che si affaccia una perla luminosa di sublime bellezza il cui valore musicale, più che vocale, appaga l’ascoltatore da quanto prima ascoltato.
C’è speranza!
La Ciacona tratta dal “Servio Tullio” (Monaco 1686) intonata dal personaggio di Tanaquil “Ogni core può sperar” è realmente un gioiello prezioso che varrebbe la pena ascoltare da un soprano migliore della Bartoli, perché l’andamento largo ha il respiro ampio e la raffinatezza accorata propri del Canone di Pachelbel (1680) , capolavoro sublime, e sarebbe bastato pubblicare solo questa piccola meraviglia.
Accompagnata dal basso continuo, che esegue una melodia brillante, raffinatissima in piano, dai violini, dalla viola, ai quali è affidato un andamento più contenuto e declamatorio ornato da trilli, note ribattute e parche, ma efficaci variazioni, la voce deve andare in crescendo, per poi ciclicamente diminuire l’intensità nel registro centrale, sempre con dolcezza e trasporto, mentre il sottofondo, nella ripresa, assume connotati sempre più fantasiosi ed elegiaci. Davvero una bellissima scoperta.

Ho una grande stima nei confronti del Maestro Diego Fasolis, soprattutto alla luce dei ragguardevoli risultati ottenuti sia in ambito “Barocco” sia con compositori a cavallo tra ‘700 ed ‘800 (uno su tutti: il sorprendente Paer).
L’accompagnamento in “Mission” rivela delle ottime intenzioni in fatto di agogica stringata, ma mai soverchiante, e interpretazione molto fedele alle esigenze espressive di Steffani: il problema si trova nel complesso “I Barocchisti”, in cui l’intonazione periclitante soprattutto di archi e trombe, certe secchezze, certi schiacciamenti timbrici tipici degli strumenti originali rendono il suono, che vorrebbe essere terso e luminoso, fastidioso da ascoltare.

Ora scusatemi:  dopo questo scialo bartoliano, torno ad ascoltare le mie amate Schumann-Heink, Onegin, Stignani, Horne, Berganza, Arkhipova, Obukhova, Troyanos etc. fantasticando, se possibile, sul vertiginoso risultato tecnico, espressivo, musicale, che avrebbero potuto ottenere voci del genere nell’affrontare un compositore come Steffani… ed anche per disintossicarmi dalla Bartoli!

 

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103 pensieri su “Cecilia Bartoli: “Mission” … Impossible!

  1. Cecilia Bartoli, opera singer, da Singer, macchina da cucire!
    Cecilia Singer, che ha capito che il pubblico si può raggirare in ogni modo possibile cavalcando la novità, anzi “la trovata”, perché ogni suo disco è una trovata da ricco Dulcamara. Un elisir per il pubblico allocchito e boccalone, disposto a priori a farsi abbindolare dalle chiacchiere. Cecilia Bartoli è certamente un’artista vera perchè incarna e rappresenta i valori della nostra modernità, del il pubblico odierno: la pseudocultura ( il vero culturale di cui paravamo tempo fa ) che ti fa sentire alla moda, la superficialità e l’ignoranza. Un vero simbolo del nostro tempo.

  2. La Bartoli può forse essere considerata il massimo compendio della decadenza canora, musicale, artistica… o anzi il suo più estremo compimento, il suo emblema. Decadenza la cui causa principale ovviamente è il disco. Cantante da dischi, la Bartoli, voce fasulla, inventata, teatralmente insignificante, che mai avrebbe potuto esistere se non grazie a microfoni e studi d’incisione. Probabilmente è lei la più grande impostura mai creata dalle major.

  3. L’ennesima, allucinante, prova della regina degli impostori, al pari della variante maschile, Kaufmann, e non a caso, considerato che, al netto della mancanza di tecnica, di gusto e di qualsiasi rispetto per l’arte, hanno in comune una rara bruttezza della voce, oggettivamente gradevole come delle unghie lunghe che rigano una lavagna chilometrica.
    Sottolinerei la pregevolezza del photoshop della copertina originale: tanto è opportuna quella modificata (zio Fester da urlo!), tanto è stomachevole quella originale. Almeno lei guadagna soldi, ma come si fa a “giustificare”, a trovare una ragione, non dico razionale, ma qualsiasi, per quelli che investono su queste oscenità e ancor di più per i sordi (e in malafede!) masochisti che le comprano? Una risata li seppellirà… sì, ma quandoooooooooooooo?

  4. So che vi verrà voglia di lapidarmi, ma fatemi dire che, se non altro, Kaufmann in tearo si sente e riesce a “passare” l’orchestra. La Bartoli nemmeno quello. Solo se canta con accompagnamento di pianoforte o in sale piccolissime riesce ad arrivare alla terza fila!

      • mi riferivo alla bruttezza della voce, al fatto che, almeno per le mie orecchie, entrambe le voci quando le ho ascoltate anche dal vivo mi sono risultate davvero fastidiose, urtanti, un grugnito quella di lei, un latrato quella di lui. poi, a livello fenomenologico-manageriale, le differenze sono evidenti: almeno lui non crede di essere lo scopritore di un patrimonio occulto e il depositario di una sapienza sconosciuta agli autori stessi.

  5. non conosco questo disco nè ho una particolare simpatia per la Bartoli. Ma una cosa va detta: ha inciso dischi importanti per il repertorio, romanze che non si sentivano da secoli. Questo va a suo onore. L’articolo così positivo mi invoglia di sentire il disco.
    La copertina vuole imitare quelle dei dischi di Mina con immagini strane.

  6. Peccato che Cecilia Bartoli sia così poco apprezzata in Italia e soprattutto che molte considerazioni critiche siano dense di luoghi comuni. Io l’avevo sentita la penultima volta Vicenza nel concerto in cui pur con la nota voce piccola aveva emesso un mi bemolle intonatissimo nella grande scena dalla Zelmira e l’ultima volta a Salisburgo in Giulio Cesare. Fu straordinaria e abile da non far notare i limiti di peso specifico affiancando a se cantanti che pure non potendo vantare strumenti poderosi di batterono con onore nel cimento haendelliano.-
    Insomma le edizioni in disco della Sutherland e della Sills trovarono finalmente a distanza di quarant anni degna interprete.-
    Io ho sentito dal vivo tutte le grandissime che qui tutti amiamo e considero la Bartoli una grandissima.-
    Il fatto che pochi frequentatori di questo blog saranno d’accordo con me, mi fa pensare alla strana deriva che subiva Von Karajan quando smise di frequentare golfi mistici italiani.-
    Io ho trovato un biglietto per Norma (che forse é la mia opera preferita) che non ho mai potuto ascoltare dal vivo da una grande interprete (rammento che la Caballé la cantò passabilmente l’ultima volta nel 1977 mentre a Macerata qualche anno dopo il documento sonoro in mio possesso deve considerarsi alla stregua di una curiosità) e sono convinto che Cecilia Bartoli non arriverà impreparata a quella produzione.-

    • Ma cosa c’entra la “voce piccola” con l’emissione di un Mi bemolle? Anche alcune cantanti di “Musica leggera” possono emetterlo, forse. Il problema, a parte il fatto che in un teatro normale e con orchestra non si riesce a sentirla, e il suo orrido gusto nell’eseguire agilità e abbellimenti. Come giustamente dice la Grsi: Borletti, punti perfetti.(La citazione pubblcitaria avrà probabilmente senso solo per ascoltatori di una certa età…) Confronta il suo Rondò dalla Cenerentola con quello della Berganza, Horne ecc. e poi ne riparliamo.

    • La prego, dica quel che vuole, ma non paragoni la Sutherland o la Sills alla Bartoli, in primis per un motivo di timbro: già, perchè vorrei ricordare che, nonostante la Signora abbia cantato in tutti i ruoli vocali possibili, rimane un mezzosoprano nemmeno troppo pulito. In secondo luogo, queste due grandi (e vere!) Dive, sapevano cantare, la Bartoli no. E’ proprio una questione essenziale, come vede.
      Per quanto riguarda la Norma le consiglio vivamente di regalare il biglietto, perchè se non l’ha mai sentita dal vivo non è certo con la Bartoli che dovrebbe iniziare. E’ un ruolo (cosa non nuova, in questa divetta da disco) totalmente inadatto a lei, e il fuori repertorio unito alla totale mancanza di un concetto primitivo di Belcanto daranno vita ad un risultato probabilmente inquietante. Le auguro buona fortuna, fiducioso che, almeno dopo Norma, la Bartoli non le piacerà più.
      Saluti.

    • Per me Cecilia Bartoli è superiore alla Callas stessa, ed è oggi l’artista più completa per tecnica, accento, fraseggio, interpretazione!
      Un’artista sorprendente a 360°!
      La ascolterei tutti i giorni!!!
      La sua “Norma” sarà un’esperienza trascendentale, ascetica, estatica, ma soprattutto EMOZIONANTE! Ho già i fazzoletti pronti per contenere le lagrime.
      Non vedo l’ora che a “Norma” venga ridata la sua vera voce! Spero faccia anche il MiB… ed il mondo, dopo, non sarà più lo stesso!

        • beh il biglietto della Norma non lo regalo, piuttosto se qualcuno dei detrattori della Bartoli mi vende quello per il recital del 3.12 alla scala glielo pago bene e gli risparmio una serata dove si stuferebbe. Pollione non lo farà Florez ma un altro peso piuma: Osborne.

          • E vorresti togliere agli eretici con i pregiudizi il gusto di redimersi?
            GIAMMAI!!!
            Fai la fila 😉

          • Continuando su questa strada, mi auguro con tutto il cuore che lo stato italiano non finanzi più l’opera lirica, così la Bartoli e tutti quei lavandini ingorgati dei suoi colleghi non canteranno mai in Italia!

          • e allora vedi caro alberto che tio sei già risposto da solo. MAI un peso piuma per giunta con emissione un tanto al tocco ha cantato pollione. basta guardare che cosa cantassero i più famosi pollione a partira dal primo per arrivare a tamberlick e tacciamo della frequentazioen che ne ebbero persino cantati wagneriani, che – a prevenire le solite eccezioni stile ziette della critica- erano ben diversi dagli attuali urlatori svociati. perdona la franchezza
            dd

    • Per Alberto.

      Cerchero’ di procurarti il biglietto per la tua amata Cecilia. In cambio, mi dirai dopo lo spettacolo e guardandomi negli occhi, cio’ che veramente pensi.

      Per Misterpapageno:
      Hai sentito veramente dei bei mi nella Borgia della Gruby? O era una frase simpatica? Mi han fatto sentire un suo finale dove lei s’aggirava in mezzo a delle sedie con la stessa espressione facciale del suo Devereux-levaparrucca e guarda che mi son spaventato, ma sul serio eh! Pensa se la vede un bambino in fascia protetta. I sopracuti………a tal digh!

      • ciao miguel, il biglietto l’ho poi trovato e pur con i limiti di volume che mi costringevano a tirare le orecchie che per fortuna ho abbastanza a sventola, ho scritto che mi é piaciuta. Tu alla fine cosa ne dici?

        • Per Albertoemme.
          Ciao caro, non ti dico niente del concerto di Cecilia per il semplice motivo che non sono abituato a parlare di cose che non ho visto o sentito.
          Il mio ultimo concerto vocale alla Scala (Florez a parte) risale ad alcune stagioni or sono: un concerto di Sonia Ganassi che vidi solo a meta’: data la pochezza proposta me ne andai a casa. (Libero di non credermi ma e’ cosi’). Cecilia Bartoli l’ho vista in teatro tre volte: un Comte Ory a Milano dove la Signora non si sentiva, ma si muoveva molto bene, una Cenerentola a Bologna dove la Signora non si sentiva e non si muoveva neanche tanto bene, ed un concerto al Conservatorio di Milano, dove la Signora canto’ benino, si sentiva benissimo e stava ferma, pur assumendo le piu’ svariate espressioni, dal credibile al faceto. Quando espressi quest’ultimo giudizio mi venne detto che la Signora io l’avevo sentita semplicemente perche’ “microfonata” , termine e concezione a me sino ad allora sconosciute, e che ancora oggi faccio fatica a comprendere.
          La carriera della Bartoli l’ho comunque seguita attraverso video e dischi, ed alcune cose mi sono anche piaciute . Non la trovo un pigolante sopranino leggero, non la trovo la caricatura di una cantante, e non trovo che insieme alla Netrebko sia il peggio di cio’ che si possa ascoltare, che vuoi caro, io penso di aver ascoltato ben di peggio. Ma sinceramente dal 1999 in avanti questa donna non ha fatto altro che peggiorare, questo nessuno lo puo’ negare dai, e il suo canto oggigiorno fanno veramente pensare ad un tacchino che abbia ricevuto una notevole scarica elettrica. Leggo sempre piu’ spesso che la Bartoli ha sempre cantato cosi’, secondo me non e’ vero,(le scale erano migliori, il fiato distribuito meglio, il grave meno forzato e la ricerca dell’espressione da due soldi a tutti i costi meno esasperata), rispetto comunque le opinioni altrui, e lo sai bene. Per me e’ in costante peggioramento, quindi un suo concerto non andro’ piu’ a vederlo. Ciao caro.

          • t ringrazio della risposta. Le tue considerazioni sono sempre interessanti e mai sconcertanti. Riflettero’ sui peggioramenti tuttavia avrei notato due miglioramenti: meno aria meno boccacce. Presumo non t interessi una verifica. Se presumo male dammi una mail che contenga circa centocinquanta mb

    • Ma certo che mi sono risposto da solo, le orecchie le ho anch’io ma uno che va all’opera per divertirsi non va per essere rassicurato solo se ascolta un Pollione ideale (per es. con un tonellaggio alla Corelli). Ci va anche per essere provocato e stuzzicato da qualcosa di diverso. E’ovvio che ad un volume della Bartoli è opportuno affiancare un volume compatibile. Ad ogni buon conto se riesco a trasferire in mp3 una recita in mio possesso di Comte Ory alla Scala 20.1.1991 vi metterò a disposizione un paio di estratti dove competono le vodi di Matteuzzi della Bartoli e della Devia. Oggi ho fatto una verifica che non contraddice le mie convinzioni sulla voce della “poco amata”.
      Riscontrando il paragone Bartoli/Bocelli di cui a un precedente commento dissento sulla sua fondatezza. La voce di Bocelli dal vivo si restringe in maniera anomala negli acuti mentre la Bartoli che per me ha un meraviglioso passaggio di registro nella zona acuta (vedi Cleopatra o anche l’Isolier nel duetto col Conte) si espande in maniera corretta acquistando anzi consistenza ed armonici.-
      In definitiva Bocelli (che comunque ha bassi e centri interessanti) é effettivamente un cantante limitato al disco, la Bartoli no…é sicuramente una cantante sui generis non identificabile nella categoria dei mezzo soprani o dei soprani. Anche il famoso mi bemolle chiosato in un precedente commento é chiaramente “una rondine che non fa primavera” ma chi lo avrebbe preteso da una cantante che nel 1999 era considerata mezzo soprano e che ancora la Decca definisce mezzosoprano?. Ecco un’esempio di provocazione in sala da concerto che può diventare emozione (almeno per me)

      • La Bartoli è un sopranino di coloratura che con furbizia, ingolando ha saputo spacciarsi per mezzosoprano, finendo comunque dopo i primi anni per tornare al proprio registro naturale, ossia quello sopranile.

      • E’ una vociuzza falsa, un insetto che squittisce, emette rutti in basso e fa boccacce afonoidi al centro. Una creazione farlocca del disco. Non paragonerei Osborn alla Bartoli quanto a volume. Osborn è un puro contraltino, non certo un tenore da Norma, però almeno ha acuti facili e squillanti, ed è assai più dotato del collega Florez.

      • Senti, albertoemme, io quel Comte Ory in Scala l’ho fatto, e Cecilia – a differenza della Larmore, con cui divideva il ruolo – in sala, purtroppo, proprio non si sentiva.

        Di quanto è successo dopo non ho contezza. So solo che i risultati odierni delle sue scelte e del suo lavoro io, personalmente, li trovo grotteschi e mistificatori.

        Volendole bene, mi auguro che, almeno lei, sia contenta.

      • Se parli di una registrazione radiofonica stai prendendo un abbaglio.(i microfini possono far molto) Io ho assistito (due o tre volte non ricordo) a quel Conte Ory seduto in platea e ti assicuro che quando cantava la Bartoli NON SI SENTIVA QUASI NULLA. Mentre la voce di Matteuzzi correva tranquillamente in sala. La Bartoli fu accolta da scarsissimi applausi e, se ben ricordo, da quella volta non cantò più in Scala.

      • vidi quel comte io pure. Il mio vicino mi chiese: ma la bartoli quando canta?…gli dissi che aveva già cantato. Fu un trionfo per devia e matteuzzi, la bartoli non se la filò nessuno …..non pervenuta.

    • la recita del Comte Ory in questione non é ovviamente una registrazione della radio, appunto per questo appena ve la proporrò penso la riterrete interessante. Controllerò ma era una colonna sulla destra verso il centro in prima galleria. Concordo che il successo fu per la Devia e Matteuzzi, ma anche Desderi e la Bartoli ebbero successo (da un punto di vista proustiano il nome della Bartoli non mi diceva nulla all’epoca ma ricordo benissimo che pur consapevole del suo limitato volume mi piacque parecchio). Cmq vorrei fare una domanda e sarò grato a chi ha voglia di rispondermi seriamente “qualcuno di voi ama (anzi non esageriamo, meglio dire sopporta senza destabilizzarsi) i difetti oggettivi di un cantante di spiccata personalità?” faccio degli esempi Di Stefano dopo il 58, Montarsolo, Panerai dopo il 75, Caballè post 75, Taddei post 75, Lauri Volpi del dopo guerra ecc.

      • Prima di tutto per i cantanti che citi parliamo di cantanti a fine carriera, tranne di Di Stefano che è stato un astro; la Bartoli è così da 20 anni, fotocopia di se stessa! 😉 poteva essere diciamo buona fino all’89, poi il suo declino è stato totale.

        Per rispondere alla tua domanda, trovo tutti enormemente fastidiosi dopo la data da te segnalata, però ripeto, per Panerai, Caballé, Taddei, Lauri Volpi, che sono dei cantanti storici, c’è l’attenuante dell’età!

          • ma perché montarsolo era uno dei più bacchettati da Celletti (che per me da ragazzo era il vangelo), eppure quando uscivo da una sua recita ero felice come una pasqua. Poi ti diro che ieri risentivo qualche brano dal primo Barbiere ufficiale di Abbado e la “calunnia” in tono (mi pare ma controllerò) di Montarsolo mi é piaciuta parecchio. Più di quando ascoltavo quel disco in vinile. Piuttosto notavo che la Berganza (cantante che ovviamente adoro) nella cavatina fa proprio il minimo sindacale (e se lo può permettere). Ah a proposito e il volume della Berganza? Come si sentiva alla Scala? Rompeva i timpani?

          • si sentiva forte e chiaro. la signora pare abbia dichiarato attraverso un noto quotidiano nyorkese alla tua fanciulla squittente che lei al met non aveva mai avuto bisogno del microfono per farsi sentire, come fece invece miss bartoli. ma tu le storie della bartoli le sai solo a senso unico…..non sarai mica il suo pr, noto “giornalista” alberto m???

          • Se è ben proiettata, come nel caso della Berganza, la voce arriva fino alla piccionaia del Loggione, e senza rompere i timpani,ma son cose che si sanno 😉

  7. mi era stato detto che alla sua italiana i algeri s sentiva poco e la mia registrazione live non sembrava smentire la circostanza. io la berganza l ho ascoltata. solo alla fenice che ha un acustica che favorisce le voci piccole e percio chiedevo. cmq non sono il pr della bartoli l ho ascoltata tre volte e ho otto dieci cd. e’ solo yna cantante che m piace che trovo fantasiosa personale e. tecnicamente solida ed e’ sicuramente un peccato che abbia un volume limitato. ma nelle sedi giuste e affiancata da cantanti d analogo volume puo essere molto ma molto emozionante

    • Caro alberto, il fatto che a te piaccia la Bartoli è una tua personale e soggettiva considerazione: nessuno può ovviamente attaccare e per quanto mi riguarda, rispetto il tuo personale piacere proprio perché tuo.

      Il fatto che tu voglia ergere questa cantante con una buona musicalità e preparazione musicale ma con voce piccola, con scarso peso e di nessun interesse timbrico particolare – una voce comune – che canta MALE (posizione bassissima ed ingolata, pessima emissione, scarsissima proiezione, coloratura mal eseguita, tensioni tremende che si esprimono con le facciacce, boccacce e tic) e che è buona solo a sfornare dischi in virtù di una immagine creata ad hoc dalla e con la sua casa discografica, seppur riscoprendo un repertorio non conosciuto, se permetti, è priva di alcuna ragione e la Bartoli pur rimane dal punto di vista vocale una nullità storica!

      Purtroppo per età e geografia, non ho mai sentito la Berganza e la Bartoli (ancora) dal vivo, ma ti invito amichevolmente a non continuare nel confronto perché qui nel blog c’è gente che di Berganze e Bartoli ne ha masticato più di te, e fino ad ora hai fatto solo una figuraccia paragonando la proiezione della Berganza con quella della Bartoli! 😉

      • non m pare di aver paragonato la proiezione della bartoli a quella della berganza anzi ho chiesto se qualcuno l aveva ascoltata in un importante prima scaligera. cmq io giudico solo cantanti che ho sentito dal vivo ivi comprese tutte le grandi belcantiste del dopo callas; segnatamente caballe >10 sutherland 4 verret > 10 bumbry 2 horne > 10 berganza 1 freni > 20 valentini> 20 m. manca la sills ma penso possa bastare. o no?

        • Ciao AM,
          Va bene, volevi sapere se qualcuno ha sentito l’Italiana del 73?
          Si, l’ho sentita.
          L’ho trovata preparatissima sia scenicamente che vocalmente,
          colore sombre, emissione stupenda, dizione buona, fraseggio elegante e malizioso allo stesso tempo, registro acuto un poco indurito rispetto alla Berganza dell’anno precedente, coloratura ottima, volume limitato, proiezione antologica, timbro seducente,
          voce di uguaglianza poco paragonabile a qualsiasi artista dal 1973 ad oggi. Si sentiva in Teatro, tranne che nel finale atto primo, e devo dire che, tutto sommato, mi e’ piaciuta parecchio. Ciao. Miguel.

  8. pure io ho sentito la berganza in scala nell’opera, precisamente barbiere, che fu il suo debutto alla grande scala e poi cenerentoia la voce si sentiva in ogni ordine di posti, il virtuosismo era notevole grazie al controllo magistrale della respirazione. Non era il virtuosismo della horne dell’ assedio, ma la misura e la tornitura del suono della berganza non erano della horne

  9. Scusa, Misterpapageno, qui nessuno fa figuracce perché non siamo a degli esami. Albertoemme è un uomo di mondo e queste cose le sa benissimo, come dovresti saperle anche tu. Ha chiesto alcune notizie riguardo alla Berganza, che non ha mai sentito dal vivo, e gli sono state date. Poi avrà le sue idee sulla Bartoli, che non piace neppure a me; ma che queste idee siano tali da esporlo a figuracce, questo no, no davvero. E chi sarebbero qui questi coltissimi censori capaci di far fare figuracce a qualcuno? C’é Hermann Abert? C’è Paul Bekker? C’è Giorgio Vigolo? C’è Fedele D’Amico? E allora…
    Marco Ninci

    • La figuraccia di AlbertoEmme risiede nella sua domanda retorica, pretestuosa e supponente “Ah a proposito e il volume della Berganza? Come si sentiva alla Scala? Rompeva i timpani?” degna nota di uno che la Berganza non l’ha sentita per niente in teatro – se non una volta come testimonia – al quale poi gli è stato risposto giustamente che si sentiva benissimo da chi l’ha sentita!
      D’altronde, caro Marco, non siamo molto lontani dalle tue figuracce quando parli di canto 😉 non sai e sfarfalli!
      Come spesso succede, non cogli al volo l’occasione per tacere e leggere semplicemente invece di mettere naso ovunque, da buona maestrina; infatti l’unico che crede di essere sempre in cattedra sei tu, non io, e se non hai questa percezione esterna di te stesso, fai una analisi delle tue interazioni sociali: a non essere che riesci a farci pure una nuova pubblicazione accademica!

  10. A parte il fatto che quegli storici, cha facevano anche i critici di giornali, espressioni come “oca starnazzante” o “lavandino ingorgato” non le avrebbero mai usate. Purtroppo chi ha introdotto questo modo di esprimersi nella critica musicale è stato Celletti. E questo non si può perdonarglielo, perché il pubblico è fin troppo contento di assumere in proprio questi usi sgraziati. Gianguido loda giustamente i blog tedeschi, fra cui Tamino Klassik. Ma sa anche fin troppo bene che là, se ad uno venisse in mente di usare espressioni simili, non arriverebbe mai alla pubblicazione.
    Marco Ninci

    • Ho letto ben di peggio nella prosa di Beniamino del Fabbro, oppure in alcune pagine di Giudici, oppure, guardando fuori dall’opera, nelle recensioni ufficiali cinematografiche, in alcuni blog che parlano di Cinema, Libri, calcio, persino Cucina o Televisione, ed in videorecensioni su Youtube. Solo che in questi casi nessuno dice nulla e nessuno si lamenta dei toni.
      Quindi, caro Marco, non parliamo di Celletti a sproposito, come oggi è moda soprattutto tra i suoi patetici imitatori consapevoli e “con la mente aperta” (e le orecchie chiuse). come il vaso di Pandora di ogni male, perché la critica feroce esiste da quando Adamo ed Eva furono creati dalla terra e lo sai perfettamente anche tu.

    • Prima di essere cantante la Bartoli è – a mio avviso quasi esclusivamente – fenomeno mediatico, e come tale andrebbe studiata. Introdurre criteri di giudizio vocali validi per Callas, Sutherland o Berganza equivale a paragonare camelie con coccodrilli: si ingenera solo confusione, dando credito a strategie di marketing.

      Niente Celletti quindi, ma un buon sociologo, magari con competenze musicali (il di lei caso rientrerebbe benissimo nel discorso di Perniola contro la comunicazione).

    • Ma se uno anziché cantare emette suoni da lavandino ingorgato, perché non dirlo a chiare lettere? O se un sopranino canta col coccodè?
      Qual’è il problema?
      E poi il grande Celletti era in buona compagnia. Ricordo che il critico genovese Guido Tartoni, ebbe a scrivere “.. gli acuti diventano urla da gallina strozzata …“ a proposito di una declinante Angela Gulin; “esponente della scuola del muggito” a proposito di più di un baritono.
      A Roma si dice: “Quanno ce vò, ce vò”.

  11. Con le mie considerazioni su Cecilia Bartoli -alla vigilia del suo ritorno alla Scala, nostro palcoscnico di riferimento, sapevo che avrei provocato delle reazioni, consapevole che la maggioranza degli storici commentatori di questo blog che seguo con piacere da anni non la apprezzano. Non é comunque mia intenzione “provocare” ma capire le cause di questo disprezzo perché, ripeto, i conti non mi tornano. Cioé certi giudizi su certi cantanti non mi sembrano poi coerenti e compatibili con quelli svolti nei confronti della Bartoli. Assimilare la Bartoli a un trapano o dire che fa rutti in basso mi sembra assurdo (ho avuto la fortuna di ascoltare da vivo il trillo della Sutherland e la sfortuna di ascoltare i rutti del mio compagno di banco al liceo: entrambi virtuosi nelle rispettive specialità) giacché i trilli della cantante sono assai migliori di come più d’uno/a li ha giudicati e i suoi rutti assai peggiori di quelli del mio amico.-
    Ho introdotto poi la questione Teresa Berganza perché era considerata una fuoriclasse pur con una voce piccola e chiesto conferme al riguardo (ringrazio anzi chi ha fornito una convincente testimonianza).-
    Perché? perché la voce piccola é a mio avviso un difetto non più grave di altri che contraddistinguevano le grandi voci del passato.-
    Di voci piccole ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno: soprattutto laddove un cantante costruisce con contributi di autodidatta la propria tecnica (pensate anche alla ottima cedolins quando tebaldeggia che vi fa pensare “si brava però per imitarla dovresti avere il doppio della tua voce”) o a Carletto Bergonzi che -mi si riferisce- negli anni 70 in loggione era accusato di avere una voce “che non passava” (cosa che francamente mi pare strana).-
    Si tratta di saper fare cast omogenei con cantanti adeguati al peso specifico delle proprie voci poi l’orecchio si adatta.-
    A proposito: un piccolo riferimento al bell’articolo della Signora Brant (che ovviamente non condivido nel giudizio). Non sottovaluterei Jarrussky: nel disco “Mission” da lei recensito é vero esce maluccio e un po’in retroguardia. All’ascolto dal vivo é invece molto interessante. In quella voce così effeminata (da record dei controtenori del dopoguerra) c’é qualità, metallo, proiezione e anche un certa elasticità. Insomma potrebbe “passare” anche alla scala.-
    Chiuso l’inciso, decisive nella “querelle Bartoli” mi paiono le osservazioni del Sig. Donzelli che mettendo a confronto B e H mi fa evocare un immaginario match fra due grandi stars che finisce 1 a 1 perché la difesa aveva preso un gol di troppo o l’attacco ne aveva mancato uno facile.-
    Quando avevo sentito la Berganza a Venezia, regalò come bis la cavatina del Tancredi e la Horne andò sul 2 a 1, poi ascoltando le due Carmen incise dalle predette il risultato si modificò ancora (come? dai che lo sapete….).-
    Insomma tutte le grandi hanno difetti o punti deboli ma questi non possono portare a condanne a morte o all’ergastolo…forese nemmeno a trent’anni di reclusione con le attenuanti prevalenti sulle contestate aggravanti.-
    Infine voglio dire che le osservazioni
    Una voce piccola non é un difetto
    dovreste sentire i veri rutti di un mio caro amico

    • Forse non ci siamo capiti: la voce piccola non è un difetto e non è il metro di giudizio sulla quale si basa la stroncatura. E’ proprio tutto il resto! La proiezione, dal vivo (ed io, ripeto, dal vivo l’ho “sentita”) non fa passare la voce e questo a me non sta bene! E figurati se cerco la perfezione assoluta; ma le basi minime del canto e dell’interpretazione, quelle si.
      Se per te va bene, tanto meglio.
      Sul resto è tutto scritto e argomentato nel pezzo, trapano incluso.

      Sulla mia micidiale allergia alla corda controtenorile-falsettista (sia di natura storica, sia di natura uditiva) non ho fatto mai mistero.

    • Alberto, secondo me tu non capisci o non metti a fuoco il problema: un cantante ha come fine ultimo TECNICO quello di farsi sentire, quindi – come dice la cara Sutherland “respira, appoggia, proietta” – emettere e proiettare in modo buono. La Bartoli non emette e non proietta in modo buono. Quindi, se ancora non fosse chiaro, il problema non è la voce piccola della Bartoli: come dici, anche la Berganza, Blake e Matteuzzi avevano un voce piccola, è vero, ma sapevano emettere e proiettare!!! La Bartoli non emette bene e non proietta, mangiandosi il suono!
      Di metafora, come si può considerare un buon carro da traino un carro che ha l’asse rotto (la Bartoli) mentre ci si accanisce su un carro con un ottimo asse ma magari ha il cassone leggermente aperto (altri cantanti che fanno il loro lavoro pur con qualche pecca)?
      Trovo il tuo ragionamento del tutto pretestuoso e se mi permetti, non riesci a focalizzare le priorità o qualità prioritarie TECNICHE di un cantante, ossia respirare, appoggiare, proiettare! Se manca una di queste, ciao ciao!!!
      Non parliamo poi dell’espressione, perché questa è più soggettiva, ma a me vengono i brividi nel sentire la Bartoli con tutti quegli squittii, sospiri, suoni ingolati, colorature da vero trapano (è ormai arcinoto che il buon Tosi sconsigliasse di fare le colorature come un ga-ga-ga, cosa in cui la Bartoli è maestra sopraffina), per non parlare poi delle facciacce, che sempre il Tosi sconsiglia consigliando ai cantanti di guardarsi allo specchio!

    • Jaroussky un cantante elastico? “Caldo Sangue” dovrebbe essere attaccato con una messa di voce!Ma la senti la voce fissa? o_O http://www.youtube.com/watch?v=gxnjo903WEU
      Jaroussky è la Bartoli dei controtenori: voce cortissima – canterà bene in una quinta, il resto è tutta ingolatura o urla – con influenze nasali, voce schiacciata e tirata, poco flessibile se non consideriamo le risorse che può esibire solo in disco come i pianissimi alla Bartoli!

      Alberto, ma hai idea di come si canti il Barocco? XD

      • porca miseria fa proprio pena in quel pezzo! (mi sembra però una tessitura da sopranista) In tante altre incisioni é però migliore o forse é migliorato. Ammetto che é sempre fisso però ha altre doti che altri controtenori non hanno o avevano.-
        Ammetterai tu che il canto dei controtenori é comunque una “convenzione” che si può o (come scrive la Signora Brandt più sotto) non si può accettare. Tuttavia i confronti anche per lui (Jaroussky) si devono fare con gli altri controtenori ascoltati (dal vivo) negli ultimi trent’anni (io mi sono fatto varie trasferte berlinesi per ascoltare negli anni 90 Kovalsky che penso sia il più completo). Ho amato molto anche J. Gall che però nell’ottava bassa scendeva a qualche compromesso extra controtenorile. Sei d’accordo?

        • Anche io sono un ascoltatore molto critico nei confronti dei controtenori, sopratutto quelli tecnici come Christofellis che non sopporto e se sparissero, non mi cambierebbe niente; per non parlare di quelli che usurpano ruoli espressamente contraltili o scritti comunque per voce femminile (vedi e.g. il Tancredi rossiniano). Purtroppo non conoscevo né Kovalsky né Gall, ma da qualche rapido ascolto concordo su Gall, che mi sembra molto buono http://www.youtube.com/watch?v=QYzWhdcoiek, e non un controtenore tecnico ma, mi si passi il termine “naturale”, ossia degli uomini con voce maschile nel parlato ma che cantando hanno una trasposizione di ottava per ragioni fisiche – conformazioni particolari della laringe. Stessa cosa per questo altro controtenore contraltista http://www.youtube.com/watch?v=ZjlsdEcLVv4

  12. Premetto che non sono un fan della Bartoli e nemmeno un vociologo esperto come quelli che scrivono qui; sono soltanto un melomane, più abituato alla musica sinfonica, che giudica un’esecuzione nel suo complesso, non vivisezionando il singolo suono. Siccome però vorrei che il repertorio venisse allargato, chiedo ai numi tutelari dell’arte del canto chi oggi possa farci conoscere le arie di Steffani. Mi piacerebbe avere nomi di cantanti VIVENTI e non fare la gita al cimitero abituale in questo sito

  13. Esiste certo, è sempre esistita una critica feroce, Marianne. In questo il “Corriere” si inserisce in una lunga tradizione. Rimane il fatto che questa critica feroce non è stata quasi mai il meglio che i suoi autori riuscivano ad esprimere. Beniamino dal Fabbro era un fior di critico; ma se si pensa che i suoi strali feroci hanno avuto di mira la Callas e Benedetti Michelangeli, ci si può domandare se tanta ferocia non poteva essere applicata meglio. Così per quel grande intellettuale che fu Eduard Hanslick; ma proprio Ciaikovsky e Bruckner e Puccini doveva stroncare, con commenti prossimi all’offesa personale? La mia impressione è che la ferocia critica molto spesso (per non dire quasi sempre) abbia a che vedere con problemi umani, troppo umani e molto poco con le ragioni dell’arte.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Molte volte credo che ci siano molti più problemi umani ed anche gravissimi sul palcoscenico e dietro il palcoscenico che hanno ben poco a che fare con le ragioni dell’arte, che tra le parole di una recensione nella quale si argomenta un’idea.
      Questo fa comodo dimenticarlo, soprattutto, perchè è più facile autoconvincersi che tutto va bene piuttosto che ascoltare e guardare per pensare, approfondire e capire.

      Ma, solo io per ora ho ascoltato questa suprema maraviglia di “Mission”?

      • Però Signora Brandt (con tutto il rispetto dovutole) quando ha il coraggio di sbilanciarsi con un esempio quale quello di Maria Pizzolato (che é cantante simpatica ma con con indubbie carenze) uno come me nutre dubbi sull’uniformità dei suoi giudizi. Cerco di spiegarmi meglio: ho le stesse perplessità di quando i conduttori della barcaccia se la prendono con il Maesctro Muti e poi portano all’empireo Oleg Cateani.
        Condivido le considerazioni del Sig. Ninci sulla critica feroce che però sono d importanza capitale nel mondo dei musicofili. Restano impresse nella loro memoria e le “toppate”, come quelle da lei ricordate, imprese che ci ricordano la differenza fra un critico ed un artista.

        • Ma non ho mai detto che la Pizzolato sia priva di carenze: l’ho recensita due volte indicandone le carenze ed i pregi, senza trasportarla in alcun empireo e sempre in recite dal vivo, credo di conoscerla.
          Mi è stata posta una domanda ed ho risposto: per me la Pizzolato, con le sue carenze, credo sia un (mezzo)soprano promettente ed onesto, che reputo migliore rispetto ad una Sonia Prina, ad una Daniela Barcellona, ad una Joyce DiDonato, ad una Veronica Simeoni, ad una Magdalena Kozena, ad una Cecilia Bartoli, a tutta quella schiera di vociuzze baroccare.
          Se fossero ancora in carriera la Arkhipova, la Onegin, la Schumann-Heink, la Cossotto, la Horne, la Berganza, la Troyanos, la Stignani, la Obukhova, come ho scritto nel pezzo, indicherei loro ad occhi e orecchie chiuse!
          Non vedo dove sia il problema!

          Per quanto riguarda le toppate: qui ancora nessuno mi ha dimostrato che questo CD sia un capolavoro e che Cecilia Bartoli sia una cantante perfetta o quanto meno dignitosa, onesta e tecnicamente ferrata.
          Quindi le toppe cercale altrove o chiedi alla tua sarta 😉

          • mi creda le toppate non erano riferite a lei. Una toppata si semina e si raccogie dopo almeno dieci vent’anni (come stigmatizzava il Sig. Ninci). Su Mission me lo sono riascoltato proprio perché ho letto attentamente la sua recensione e confrontandolo con Sacrificium l’ho verificato come di valore inferiore. Forse come ha scritto anche lei troppi pezzi e quelli tratti dalla stessa opera non sono in fila. Però avendo il CD natura documentale -visto che quasi nessuno ha la possibilità di accedere alle partiture originali- più materiale abbiamo meglio é. Tornando alla domanda del Sig. Nick Shadow penso che il fascino dei castrati (che sono le voci a cui secondo me si ispirava il compositore di Castelfranco) si coglie meglio in disco pur con tutte le relative manipolazioni che si debbono mettere in conto. Sotto questo profilo può andare molto bene un peso piuma come l’innominabile, che però possiede il senso orgiastico della coloratura (come scriveva qualcuno), un buon trillo (spero per la maggioranza di voi) e spero (almeno per molti) l’ABC del canto patetico

      • Buongiorno Marco. Ridurre l’intransigenza – per altro pirotecnica – di Marianne nei confronti di fenomeni profondamente mistificatori (e di questi stiamo parlando, non di Callas né di Benedetti Michelageli) a semplice “caso umano” è operazione che attribuisco al tuo lato Nanny-Carabosse. Molto più interessante sarebbe se, invece, ci dicessi la tua sull’argomento specifico.
        Un saluto affettuoso.

      • Buongiorno Marco. Ridurre l’intransigenza – per altro pirotecnica – di Marianne nei confronti di fenomeni profondamente mistificatori (e di questi stiamo parlando, non di Callas né di Benedetti Michelageli) a semplice “caso umano” è operazione che attribuisco al tuo lato Nanny-Carabosse. Molto più interessante sarebbe se, invece, ci dicessi la tua sull’argomento specifico.
        Un saluto affettuoso.

          • Perfetto.
            E comunque, se seguissimo il ragionamento di Marco, saresti finita in soffitta in ottima compagnia: Swift, Twain, Tieck, Karl Kraus, Gadda, Nabokov, Gore Vidal…

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