Le cronache di Manuel Garcia: Viva Verdi?

Avrei voluto parlarvi di un bel concerto di canto, delle arie alternative scritte da Verdi per Ivanoff, Moriani e De Candia, del grande divo maltese Joseph Calleja, ma anche stavolta, come ormai sembra essere un’abitudine in Scala, ci siamo trovati davanti a tutt’altra cosa, a causa dell’assenza del tenore protagonista.
In sostituzione delle arie proposte nel primo programma, sono state offerte al pubblico milanese, per la celebrazione del bicentenario verdiano della Filarmonica della Scala, la sinfonia del Nabucco e della Giovanna D’Arco, l’ouverture del Jerusalem con balletti annessi, e, nella seconda parte, la sinfonia e le Quattro Stagioni dei Vespri Siciliani.
Un programma discutibile, dal mio punto di vista, di cui è stato davvero difficile capire l’intenzione: celebrare il Verdi “minore” con i pezzi meno conosciuti o fare un concertone di gala con i pezzi più celebri, considerando il bis della sinfonia dell’opera convenzionalmente nota come “la maledetta”? Non si è capito.
Si è solo capito che questo concerto è giunto in Scala non tanto per celebrare di facciata Verdi, quanto, forse, per pubblicizzare l’ultimo parto della Decca,casa discografica celebre per le sue recenti e discutibilissime scelte di marketing: il disco “Viva Verdi”, con, guarda caso, la Filarmonica della Scala e Riccardo Chailly. Inutile aggiungere che in seconda di copertina del libretto di sala era stata inserita una accattivante pubblicità del suddetto prodotto… Sistemi ormai di bartoliana memoria!

Come in disco, anche in concerto la Scala ha deciso di affidarsi a Chailly una bacchetta d’esperienza, di gusto, di classe e di fama, ma che stavolta, ahimè, ha deluso, e non poco.
Sin dalle prime battute della sinfonia del Nabucco e così pure per tutti i pezzi della I e della II parte, l’orchestra ha mostrato quella che da sempre è la sua grande abilità: il rumoreggiare. Abilità che la bacchetta protagonista ha deciso di alimentare e sostenere continuamente per tutto il concerto, ad ogni f, ff o fff. Ma si sa il fracasso è ormai diventata un qualità degna del più fragoroso degli applausi da parte del pubblico…
Si aggiunga a ciò una mancanza di vigore e di forza nei momenti più melodici e di ampio fraseggio dove Chailly ha optato per una direzione decisamente loffia e debole. Emblematico in questo senso il celebre tema dei violoncelli nella sinfonia del Vespri, privo di dinamica e di concretezza, senza alcuna differenza col pp precedente.
E così pure nei balletti dove ad una interpretazione più spigliata ed agile si è preferita una lettura pesante, pallida ed eccessivamente metronomica.
Certo, Chailly tiene l’orchestra, non la perde e la controlla ma per un direttore del suo livello era d’obbligo andare oltre questo livello d’esecuzione degno solo di un Barenboim o di un Dudamel.
È rimasto un concerto interessante più che per la qualità della musica, per il contesto in cui si è svolto, tra giornalisti costretti a pagarsi il biglietto di tasca propria con notevole stupore degli incauti, o forse poco cortesi, bigliettai, ed entusiaste madame e vestali del sacro tempio che con ovazioni di risorgimentale memoria del tipo “Viva Verdi” hanno salutato un concerto che di verdiano aveva solo il cartellone.

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