I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Juste Nivette nella Juive.

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Ascoltiamo la voce di questo antico e ormai pressoché dimenticato basso francese (classe 1866) alle prese con una parte di basso profondo scritta per il leggendario Nicolas Levasseur, quella del Cardinal Brogni dalla Juive di Halévy, opera oggi scomparsa dai cartelloni ma ancora regolarmente rappresentata ai tempi di questa incisione, cavallo di battaglia dei maggiori bassi dell’epoca, alcuni dei quali, come ad esempio Navarrini o Mardones, ci hanno lasciato le incisioni della cavatina e della maledizione. L’ascolto è istruttivo perché ci insegna come anticamente i bassi sapessero cantare con la propria vera voce, con naturalezza e semplicità di imposto, senza quelle distorsioni di emissione derivanti dalla simulazione di un finto colore e ampiezza, marchio di fabbrica dei vociferanti bassi moderni. Questa caratteristica, comune a tutti i cantanti antichi, è quella che oggi fa storcere il naso all’appassionato medio, formatosi sui dischi e assuefatto al malcanto delle ultime decadi, come dimostra lo stolto commentatore nell’intervento sottostante il video,  che mi pare significativo riportare anche qui:”Ma se costui poteva incidere a Parigi nel 1906 con questa voce insulsa, e la più totale mancanza di cura nella già precaria tecnica vocale, cosa pensare della reale prassi vocale ottocentesca???”
La voce parlata che annuncia il brano eseguito ed il nome dell’esecutore è facilmente riconoscibile come appartenente allo stesso Nivette,  a riprova della bontà dell’emissione che passando dal mero parlato al canto non subisce artificiose alterazioni (il cantante cioè, per dirla in gergo, non “fa” la voce). La tonalità del brano è curiosamente alzata di mezzo tono, peraltro si tratta di una tessitura piuttosto grave e centrale che poco si proietta sulla zona acuta. Sentiamo fin dall’attacco una pronuncia nitida, un suono pulito, libero, sfogato, timbrato e rotondo, eleganza nella linea di canto ed intonazione precisa. La voce checché ne dica lo sprovveduto commentatore ha pure un timbro caldo e pastoso. L’estensione richiesta non supera qui il do#3, nota sulla quale il cantante non mostra alcuna incertezza nel passare alla corda acuta: manovra evidente ad esempio nello snocciolare l’abbellimento su “mon Dieu” a 0’32’’, meno evidente a 0’48’’, su “la clémence”, una A sonorissima, sfogata e squillante assai distante dai rigurgiti ingolfati delle attuali “tecniche”. Nella cadenza finale il cantante copre un’estensione di due ottave piene, spingendosi dal do# acuto fino al do#1, e togliendoci così ogni dubbio circa la sua natura di autentico basso.

4 pensieri su “I venerdì di G.B. Mancini: impariamo ad ascoltare. Juste Nivette nella Juive.

  1. Precaria tecnica vocale? Nivette?
    A parte la bellissima esecuzione dell’aria di Brogni, che non abbisogna di ulteriori commenti, Nivette non ha mai inciso nulla di deludente, e la sua registrazione del “Lac” di Niedermeyer e’ uno dei capolavori di tutti i tempi.

  2. Non conoscevo questa incisione di Nivette. Sicuramente molto interessante. Il fatto che l’aria sia cantata un semitono sopra può derivare dal fatto che Nivette esegue la discesa al do grave non prevista nello spartito originario (che prevede un mi grave). Interessante anche l’emissione dei due do# (do nella versione originale). Secondo me nel primo caso (sulla vocale E) Nivette tiene il suono ancora molto coperto e oscurato, mentre nel secondo caso (vocale A) è già in suono di testa e la nota è veramente molto bella.
    Un’altra incisione superlativa della cavatina di Brogni è, a mio parere, quella incisa da Ezio Pinza (in francese nel 1927 e in italiano nel 1923) reperibile anche sul tubo
    http://www.youtube.com/watch?v=TLAZTuf2T4U
    http://www.youtube.com/watch?v=tNYFGgcbhmQ
    Per legato, morbidezza, bellezza del timbro, perizia tecnica, fraseggio e aderenza alla situazione scenica, l’interpretazione del grande basso romano resta un punto di riferimento assoluto e si pone a distanza siderale dai bassi dell’attuale star system.

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