Quaresimal XX: Dietrich Fischer-Dieskau

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Qui è tutto pseudo: pseudo voce, pseudo tecnica, pseudo gusto, pseudo cultura. Se avesse la voce canterebbe come i migliori, che poi sono i peggiori, esponenti della scuola del muggito, ma qui non c’è neppure la voce, visto che DFD era, a tutti gli effetti, un tenore.

E domani, per nostro e vostro sollievo, saremo giunti a metà quaresima. Un po’ de usigen!!!

61 pensieri su “Quaresimal XX: Dietrich Fischer-Dieskau

  1. Sono pienamente d’accordo con Donzelli. Fisher Diskau è stato, a mio avviso, uno dei cantanti più sopra valutati degli ultimi 50 anni. Certamente era un cantante musicale e alieno da sguaiataggini o cadute di gusto ma era un tenore mancato che ha cantato il repertorio baritonale (o adderittura basso baritonale) solo per l’incapacità tecnica di cantare nel proprio registro non avendo la sua voce nulla a che fare con il registro baritonale o, men che che meno, con quello basso baritonale.

  2. Non sono del tutto sicuro che Dieskau fosse “a tutti gli effetti un tenore”, però non mi è mai piaciuto granché e ahimè tuttora non riesce a piacermi per quanto mi possa sforzare di capirne i pregi…

  3. Cari grisini, siete molto simpatici e vi leggo sempre con grande interesse. Non c’è dubbio che le vostre osservazioni offrano sempre molti più stimoli e spunti di riflessione rispetto agli inconsistenti trafiletti dei cosiddetti critici titolati, e sono sempre quindi sempre degni di lettura. Tuttavia spesso mi trovo in disaccordo dal vostro punto di vista (o da alcuni dei vostri punti di vista, perché fortunatamente non la pensate sempre tutti allo stesso modo) e questo è uno di quei casi. Capisco molto bene che Fischer-Dieskau sia uno di quei cantanti che possa dividere radicalmente ammiratori e detrattori, per l’approccio sia vocale che interpretativo. Si può anche rilevare l’indubbia fortuna che ha avuto nell’apparire e nell’imporsi in un momento, l’immediato dopoguerra, in cui la Germania doveva trovare un simbolo culturale di riscatto spirituale dopo la vergogna del nazismo: Fischer-Dieskau rappresentò, e volle rappresentare, quel simbolo, e lo svilupparsi dell’industria discografica ne fece un “marchio” a livello mondiale. In altri contesti e altri periodi storici avrebbe avuto probabilmente molta più difficoltà a imporsi, e non ricordo quale direttore d’ orchestra diceva di lui (all’inizio degli anni ’50) che era un cantante che doveva essere “protetto”. Indubbiamente lo fu, ma io credo che abbia dimostrato di meritare fino in fondo quella protezione. Capisco molto bene che chi ha un’altro tipo di suono come ideale possa non apprezzarlo, ma io credo che l’inconfondibile suono di Dieskau rappresenti una delle più preziose ricchezze musicali del novecento.

    • ciao Idamante e benvenuto. Approfitto del tuo post, perchè tocca un tema per noi molto interessante e che si ricollega alla prime due delle 4 tesi enunciate dalla Pasta qualche tempo fa. Vorrei pregarti di chiarire il concetto del tuo post. Cioè FD come simbolo della nuova germania, di un insieme di valori positivi etc….ma che vuol dire poi sul piano del canto? Ci sarebbe un canto buono ed uno cattivo?…..scusa ma io il salto dal vocale al politico non lo riesco a fare dunque, tu come fai quando lo ascolti?

  4. grazie dei complimenti. Per fortuna abbiamo opinioni diverse. E rispettiamo le altrui. Ma con il senno del poi di rinascita culturale nell’opera ed a questo campo mi limito nel mondo tedesco dopo il secondo conflitto mondiale ne vedo poca. In fondo posso anche concordare con te che il nostro di questo dopo guerra fosse un simbolo. Ciascuno di noi lo dice nella propria ottica. Io mi tengo ad esempio frau leider o frau lemnitz

    • Ciao Bud,
      Parlando del post del Tannhaeuser,
      trovo che Dieskau sia spesso calante, non sappia legare, non sappia eseguire i piani e tantomeno i pianissimi, strascichi i suoni, non abbia la minima capacita’ di passare, e spesso al posto dei suoni in tessitura medio-grave esibisca dei piccoli muggitini, diciamo da vitellino.
      Ma, trovo che sia piacevole da ascoltare : e’ elegante, buona dizione (forse solo un poco troppo berlinese ), senso del fraseggio, colore comune ma tutt’altro che brutto etc etc etc.
      Ci sono vari modi d’ascoltare, a me Dieskau non dice molto, proprio perche’ tecnicamente non e’ mai stato a posto.
      Pero’, hai letto i commenti posti sotto la pagina da te postata?
      Ecco, per tutti quei Signori e quelle Signore,
      Dieskau e’ un miracolo, tranne per uno che gli antepone Terfel.
      Anche per Albertoemme, il nostro baritono e’ eccezionale.
      E’ cosi’: diversi siti, diverse opinioni, diversi modi d’approcciare il canto. Trovo inoltre che sia proprio un baritono.
      Canta un poco con il gusto di Gino Latilla, ma lo trovo baritono, un baritono confidenziale.

      Per Idamante.
      Ciao, e innanzitutto benvenuto.
      Anch’io come te, trovo che il suono emesso da Dieskau sia inconfondibile, e le voci facilmente riconoscibili sono una buona via per il successo, sia esso discografico o no.
      A me ripeto, non piace, ma, son d’accordo con Fazzari, non lo trovo affatto quaresimale.
      Fosse quaresimale lui, dovrebbero esserlo i quattro quinti di tutti i cantanti. E parlo di cantanti, poiche’ l’artista nel suo insieme e’ piu’ che interessante.

      Per i padroni di casa.
      Ciao a tutti,
      non posso sapere cosa ci riserverete nei giorni prossimi, ma al momento penso che Villazon sia il piu’ quaresimale, in assoluto.
      La Silja e’ al secondo posto.

        • Rodolfo Celletti definisce il suo Wolfran “Magnifico; ha una soavità, un raccoglimento, un’espressione estatica ideali”. Dunque sono in buona compagnia. Non che Celletti sia il Vangelo (per me resta comunque il più completo esperto di voci italiano) ma, come ben sai, su questo blog viene spesso citato (anche dai padroni di casa, vedi l’ultimo articolo sulla Muzio) come riferimento autorevolissimo. Quindi: due pesi e due misure?

          • tu postuli l’equivalenza di pensiero tra noi e celletti, noi pensiamo di essere affini ma mica sempre la pensiamo come lui. Esattamente come non siamo identici tra noi nel modo di pensare. Credo, se ricordo bene, che lo ritenga un fraseggiatore, ma che sul vocalista abbia a volte da dire. Credo che anche questa discussione verta più sul vocalista che sull’interprete, posto che non mi pare celletti ne faccia un modello tecnico o lo paragoni ai baritoni di scuola italiana o alla gramde tradizione wagneriana degli janssen e c….però ti do ragione su una cosa, è un cantante migliore di una meier….,avvicinarli è penalizzante per fd. Non credo che la meier si sarebbe imposta mai nel tempo di fd…..

          • Caro Billy,
            Ho conosciuto Celletti, ci siamo parlati piu’ d’una volta e lo stimo come il maggior critico da me letto ed ascoltato-
            Ma, se nel brano da te postato, che inizia con “Wie Todesahnung”, sento un attacco ingolato, una e di Todes priva di ogni armonico e la a di Ahnung calante, tra l’altro con la voce che dice Annunch invece che Ahnung, (E siamo solo alle prime due parole), ti dico che per me non e’ bravo. Che lo pensi o non lo pensi Celletti, Gualerzi, Blyth, Morez o chi per essi. Magari sento male io, che male ci sarebbe? Tutti sbagliamo. E ti aggiungo anche che Dietrich e’ tra i migliori 10 Wolfram del dopoguerra ed in generale del disco. Di quelli BRAVI BRAVI, ce n’e’ pochi, caro.
            Ma ascolto senza pene il Wolfram di Dieskau, ci trovo dei difetti, lo dico, ma questi difetti sono perle rispetto ai difetti dell’ultimo baritono due anni or sono a Milano.
            E aggiungo che tanti difetti c’erano anche nelle sue Liederabende.
            Ma tanti. Un abbraccio.

          • io credo anche che celletti comoscesse il fd dell’opera italiana. Le sue recensioni wagneriane spesso si appoggiano ad altri e non so quanto davvero avesse approfondito i temi dei cantanti da wagner, e quali incisioni storiche conoscesse…..

          • Mah… ho ascoltato il brano del Tannhäuser , in tutta onestà non è affatto male, anzi direi che qui è molto buono…

          • prova la morta la morte di posa….la sto risentendo adesso……..per me è elegante, pochi armonici, nessuna specialità timbrica, sale con note nasali e schiacciate….

          • Rispondevo a MiguelFleta… l’aria di Wolfram del ’49 francamente è molto bella, non ci sento tutti i difetti che lui dice, sarà che era giovane…

          • Caro Miguel
            anch’io ho conosciuto di persona Celletti, tanti anni fa. Fu a Martina Franca quando vennero allestiti i due “Barbieri ” . Lo ricordo amabile e rilassato, del resto era nel suo regno della bellissima Valle d’Itria. Ricordo anche le prove del Barbiere rossiniano con la Dupuy , scenicamente terribilmente a disagio nel ruolo di Rosina, sbottare con un irresistibile “ridatemi Arsace!!” Bei tempi…..

  5. per quanto il sito possa avere interesse a pubblicare pareri opposti. Il sottoscritto trova FD un cantante eccezionale e straordinario nel senso stretto perche’ aveeva doti d fantasia e imprevedibilita’ rare. Amo molto i suoi Decca verdiani. Posa Rigoletto Macbeth possono essere una miniera d spunti x le giovani generazioni alla stegua dei migliori 78 giri

    • Con tutto il rispetto paragonare in Verdi FD ai migliori baritoni dell’era del 78 giri mi sembra francamente assurdo. Certo rispetto a cio’ che si e’ sentito ieri sera nella diretta radio dal MET del Don Carlo, il nostro e’ un baritono verdiano di altissimo livello.

    • http://www.youtube.com/watch?v=TtFpdn8aEaY
      credo che questa incisione esemplifichi in modo perfetto pregi e difetti di Fischer-Dieskau nel repertorio verdiano. Elegante ma manierato, lezioso ma capace di rendere come pochi altri i palpiti di un uomo innamorato , artefatto ma timbricamente inconfondibile. A me ricorda un’altra incisione interessantissima ma discutibilissima (seppur tecnicamente superiore) di una pagina del Trovatore: “Stride la vampa” cantato dalla Horne.

      • e hai paura a dirlo che l’Azucena lasciata in disco dalla Horne sia interessantissima? Per me lo fu anche Amneris cantata a Salisburgo nel 77 o nel 78 (registrazioni che riascoltavo recentemente). Ad ogni buon conto si parla tanto di duttilità dei cantanti, io senza con questo voler imporre la mia visione, ritengo che anche l’ascoltatore deve essere particolarmente duttile nell’apprezzare non solo il cantante ma anche l’artista altrimenti si diventa come dei Beckmesser che nell’evidenziare i difetti vocali (cosa che chiunque é in grado di fare dopo aver assimilato qualche libro di celletti che ti da i fondamentali) dimenticano il valore della fantasia e della comunicativa e più in generale dell’originalità. In ogni caso ritengo che questo sito sia nato per i vociomani ed é giusto che le polemiche nascano sugli errori veri o presunti che siano dei grandi miti canori del presente e del passato.-

  6. Cari Grisi e Donzelli, no certo, il salto dal vocale al poltico io non lo so proprio fare. Donzelli citava la Lemnitz: considero la sua Pamina assolutamente meravigliosa, eppure era una fervente nazista, quindi non è questo il mio discorso. Né credo che esistano un canto buono e uno cattivo tout court, fra i quali quello del dopoguerra rappresenterebbe il polo positivo (sarebbe un bel ribaltamento di quanto in generale qui si sostiene!): più in generale non sono d’accordo con chi qui ritiene che il canto sia uno e uno solo, anche se avere le idee così chiare sul proprio ideale sonoro può indubbiamente essere fertile e produttivo soprattutto dal punto di vista didattico. Io semplicemente notavo che Fischer-Dieskau si trovò a rappresentare una nuova figura di cantante-interprete, e che la congiuntura internazionale probabilmente propiziò la sua affermazione in un momento in cui la Germania aveva bisogno di simboli culturali di rinnovamento.
    Dal punto di vista dell’interprete la sua novità è abbastanza evidente. Figura di intellettuale a tutto tondo, autore di numerosi libri musicologici e sull’interpretazione, ebbe un approccio “enciclopedico” con il repertorio: per la Deutsche Grammophone incise tutta la liederistica di Schubert, Schumann, Brahms, Wolf, ecc. (impresa prima e dopo di lui rimasta intentata). Anche in ambito operistico e oratoriale il suo repertorio era di vastità oceanica (fin troppo, forse…)
    Dal punto di vista vocale, che è quello che qui più interessa, mi sembra che la “novità” delle sue caratteristiche sia comunque da legare alla sua concezione del canto come “mezzo” per l’interpretazione musicale e non come fine: quindi estremo controllo del vibrato, parchissimo uso dei portamenti, suoni sempre presi dall’alto, attenzione maniacale alla linea secondo una prospettiva di accentuazione musicale e poetica più che meramente vocale (cioè la qualità e lo “sfogo” del singolo suono vengono spesso sacrificati al contesto complessivo della frase, con risultati che ovviamente possono non piacere a tutti).
    Si potrebbe andare avanti, anche se poi il rischio è sempre quello di generalizzare: è chiaro che non bisogna enfatizzare la programmatica discontinuità di Dieskau con l’anteguerra tout court, anche perché lo stesso Dieskau era un entusiastico fan dei suoi predecessori. So che addirittura aveva un libro pieno di fotografie autografate di Tauber, Schlusnus ecc., che anche in tarda età mostrava commosso ad amici e conoscenti..
    Assolverei poi totalmente Dieskau dalla responsabilità di essere stato un “cattivo maestro”: è ovvio che essendo stato un punto di riferimento assoluto abbia creato molteplici influssi, sia positivi che negativi. Però lo dissocierei del tutto dagli aspetti più deteriori e commerciali del presente: vederlo qui nella stessa rassegna in cui compare Villazòn che canta “Dalla sua pace” con la mano sul cuore fa un certo effetto…

    • idamante, se tu non fossi venuto, avremmo dovuto inventarti, perchè ci consenti di affrontare un tema su cui stiamo, alcuni di noi, rimuginando da tempo. Diamo per indiscutibile la figura di intellettuale, perchè è indiscutibile. Vorrei però farti tornare al canto, cioè al fatto che esista un altro canto, quello in cui la parola, la fonetica, erodono il suono ed il legato. Non lo inventa fd, ma nasce assai prima, risalendo il tempo si va dritti dritti a cosima wagner ed al suo intorno, alle sue manipolazioni del pensiero wagneriano. Non voglio invadere o spacciare per mie considerazioni che mi vengono dalle mie conversazioni con la pasta, ma ti assicuro che fd, se messo in prospettiva storica, ne esce come un vocalista figlio del wagnerismo deteriore di cosima, ripulito da un aplomb intellettuale. La germania post nazismo ha negato il grande canto per risalire, buffo ma vero, alle origini delle distorsioni del pensiero wagneriano, poi strumetalizzato dal nazismo. Fd è come la meier per i mezzosoprani, la signora schwarzkopf dei soprani etc….stesso genere di cantante affettato e mai spontaneo dove, ripero, la fonetica, corrode il suono e passa in primo piano. Fleta lo ha descritto con precisione. Io, in breve, non amo la durezza del suo canto, l’esasperazione e l’accentuazione del parlato, fatto che per me supera i limiti tecnici indicati da fleta. A te la parola adesso….

      • Grazie del caloroso benvenuto, cara Grisi, anche se temo che in generale non potrò intervenire con molta assiduità. Confesso di ignorare completamente le teorizzazioni di Cosima Wagner e del suo circolo: può darsi che tu abbia ragione, e che sia effettivamente rintracciabile questa ascendenza della vocalità di Dieskau. La questione è molto interessante, e ti ringrazio di averla posta alla mia attenzione, però mi sembra che, al di là delle filiazioni culturali, quello che poi alla fine conta davvero è se i risultati artistici siano convincenti o meno. A te non convincono, e per ragioni fondate su elementi indubbiamente reali: l’attenzione alla dizione di Dieskau che conduce necessariamente alla diminuzione della perfezione del legato. Non c’è dubbio che il legato sia una delle basi del canto, e che il legato ideale lo si studia esercitando le vocali e non le consonanti. Ecco perché l’italiano, lingua vocalica per eccellenza, è sempre stata considerata giustamente la lingua naturalmente più predisposta al canto. Il tedesco, non si scappa, è lingua più consonantica dell’italiano. La scelta di Fischer-Dieskau fu quella di sottolineare e rivendicare questa caratteristica “innaturale” del tedesco, anziché ridimensionarla: per cui è chiaro che per i fautori dell’antica arte del canto all’italiana la sua scelta suona artificiosa e “non spontanea”, ma nella sua ottica rispondeva invece a quella subordinazione della vocalità pura all’interpretazione di cui dicevo prima, oltre che a una diversa idea di suono. Probabilmente si è allontanato dal dosaggio classico dei diversi “ingredienti”, ma a me sembra che per gran parte della sua lunghissima carriera abbia trovato un equilibrio mirabile fra di essi. Magari il legato non è all’italiana, magari ogni suono non trasfonde immediatamente in quello successivo, ma la tensione lineare, quella è sempre lì: ogni suono scaturisce “necessariamente” da quello precedente, e questo per me vale più di un puro legato immacolato. Fra l’altro proprio negli ultimi anni di carriera la sua dizione divenne molto più imprecisa e acquisì la tendenza a “vocalizzare” un po’ le consonanti, ma nel suo caso questo costituiva un chiaro segno di declino…
        Per quanto riguarda la dottissima risposta della Pasta, essa apre una serie dei questioni estetiche a cui veramente non avrei il tempo (e sinceramente nemmeno le competenze nell’ambito di storia della vocalità) per rispondere. Dico solo un paio di cose: è effettivamente probabile che Dieskau non sarebbe stato in grado di prodursi in un regolare canto all’italiana, infatti ho esordito dicendo che ha avuto la fortuna di fiorire e di affermarsi in un determinato periodo, mentre in altri contesti non avrebbe avuto successo. Questo però non ci porta molto lontano: è come dire che che se Bach fosse nato nell’Italia dell’Ottocento, o semplicemente si fosse recato a Londra insieme a Haendel, non avrebbe avuto alcun successo ed avrebbe scritto robaccia perché non aveva il senso del teatro e trattava le voci come se fossero strumenti. è possibile, ma Bach è una cosa diversa da Haendel e va valutato per quello che ha avuto l’opportunità di fare, e così Fischer-Dieskau.
        C’è poi la questione sollevata dalla Pasta della
        negazione della legittimità di una dicotomia fra le diverse scuole di canto: so che qui è opinione corrente che il perfetto cantante educato alla scuola italiana sia in grado di affrontare con tecnica E QUINDI espressività adeguata più o meno ogni repertorio. Bene, io non lo credo. Non è tanto il problema delle scuole di canto che vorrei toccare: ho già detto che per me il canto non è uno, ma credo che tutti i bravi insegnanti si riconoscano in alcuni principi fondamentali che sono peraltro quelli del canto all’italiana (anche all’estero si studia ancora il Vaccaj, mi risulta). Quello che vorrei sottolineare qui sono proprio le differenze COMPOSITIVE delle scritture vocali dei diversi repertori. è problema questo che riguarda non solo la fonetica ma proprio la scrittura musicale, e che meriterebbe ovviamente più ampio spazio del mio accenno. Con Rossini in parte, e più decisamente con Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini, si afferma una scrittura vocale in cui il culmine della frase musicale coincide quasi sempre con la nota più acuta (non necessariamente nel registro acuto), assecondando così una delle caratteristiche più spontanee e naturali della voce. Potremmo parlare dell’invenzione di una scrittura vocale “ergonomica”, corrispondente all’invenzione del nuovo pianismo di Chopin e Liszt e del nuovo violinismo di Paganini. Il repertorio tedesco in generale non fa sua questa scrittura: né in Weber, né in Wagner, né tantomeno nella liederistica. Ecco quindi che un modo di cantare “naturale”, “spontaneo”, “all’italiana” in molti casi può venire in collisione con la scrittura musicale, anche se la collisione potrà in molti casi risultare gradevole. Prendo come esempio, molto piccolo in verità ma significativo, proprio il duetto del Don Giovanni con Schlusnus postato da Tamburini, da confrontarsi con la versione con Dieskau e la Streich su youtube, sempre in tedesco (non sono bravo coi link, sorry). Nell’incipit è abbastanza chiaro che per Schlusnus il punto culminante della frase è su HAND (e poi su WIEderstreben): sul do diesis, che è la nota più acuta della frase, la voce si espande naturalmente, per poi smorzarsi sul la, fa diesis e si successivi. Il risultato è in verità gradevolissimo per la qualità dell’emissione e il velluto della voce, ma la stessa accentuazione musicale sarebbe inaccettabile per un violinista o per un pianista: si direbbe che spezza la frase, che suona “verticalmente” (il do diesis è sul battere), mentre per un cantante questo passa in secondo piano per la diversa natura dello strumento vocale. L’approccio di Dieskau è chiaramente diverso: per lui il do diesis è di passaggio, mentre i culmini sono i due SI prolungati in sincope, cosicché la tensione lineare risulta proiettata “in avanti”. Il risultato potrà piacere o meno, ma la lettura musicale è indubbiamente più “giusta”, più aderente alla scrittura mozartiana. Poi se volete potete dire che a Dieskau l’espansione sul do diesis sarebbe riuscita meno bene che a Schlusnus, ma ripeto, così non andiamo molto avanti..
        Ho fatto per comodità questo esempio piuttosto piccolo, ma credo di aver reso l’idea. A mio avviso una corretta impostazione vocale “all’italiana” è una plausibile garanzia di una interpretazione corretta solo (o soprattutto) nel repertorio italiano (e per certi versi francese) da Bellini in poi. In molti altri casi un imposto “spontaneo” e “naturale” può non coincidere con una lettura “autentica” del testo musicale. Detto questo, si può preferire quello che si vuole a seconda delle personali inclinazioni. Mi sembra di aver chiarito io da che parte sto, però può dipendere dalle giornate e dall’umore: qualche volta mi sono divertito anche ad ascoltare lo Staendchen cantato (e suonato!) da Tauber in parrucca…
        Passo e chiudo, per ora.

        • beh idamante, non vorremmo certo risucchiarti nei nostri vortici. Certo….interventi così articolati occupano molto tempo ….. Ci premeva iniziare a parlare della questione che con fd è stata messa in campo, perchè è nodale per il canto odierno. Dunque, ne abbiamo approfittato. E credo che proseguirà col quaresimal di oggi.

    • Ciao Idamante,

      trovo che la contestualizzazione storica del canto di FD che hai fatto sia giustissima. Ed è, come ha già detto Giulia, una storia lunghissima che risale fino alle “riforme” di Cosima. (La Brandt ne aveva scritto benissimo tanto tempo fà nei “venerdi di Wagner”.)

      Io vedo le cosa cosi e con questo aggiungo a quanto detto da Giulia circa le riforme della fonetica nella “nuova” scuola tedesca: Dire che FD considerava il canto come “mezzo” e non come “fine a se stesso” vuol dire introdurre quella dichotomia che domina nella percezione delle differenze delle scuole di canto. Il canto all’italiana non è affatto un canto in cui il suono è posto come fine a se stesso. Quando realizzato nel modo giusto, è un canto che consente simultaneamente una massima risonanza acustica, una duttilità della linea ed un’articolazione limpidissima. (Il nostro Mancini non fà che ripetere questa semplice verità.) Vedi la Muzio, per prendere un esempio “attuale”. Il dilemma tra canto come “mezzo” e canto come “fine” arriva solo con i cambiamenti di tecnica e di generale approccio estetico dei tedeschi. FD, avendo una emissione piuttosto bassa e dura, semplicemente NON PUO unire i tre elementi elencati da me circa il canto all’italiana.
      Anche se hai ragione circa quanto hai scritto sulla crisi ideologica della Germania del dopoguerra, il fenomeno di FD e del successo del suo approccio vocale ed intepretativo bisognrebbe sicuramente considerare nel ambito di una genealogia riguardando il perché della creazione di una nuova scuola propriamente tedesca. C’era ovviamente una certa scuola tedesca ahche prima di Cosima. Però mi sembra che questa scuola avesse consistito nella semplica ricerca di una massima conciliazione della fonetica tedesca con la tecnica italiana. Era uno sforzo di tenere la risonanza e facilità che consteniva la tecnica italiana applicandolo alla lingua tedesca. Quello che arriva con Cosima e poi con la scuola della Martienssen-Lohmann (della signora che è al capo della fondazione di una scuola fortemente istituzionalizzata e che pare rimanga la fonte per una buona parte della nuova scuola tedesca) è l’idea di una riforma estetica, una riforma del SENSO del canto, attraverso il potenziale del tedesco e delle esigenze – espressive, ideologiche, politiche, estetiche – della cultura tedesca. Il discorso sulla prevalenza della parola, una certa (e per me molto vaga) “spiritualizzazione” del canto, l’idea di una communicazione che considera la voce come “mezzo” etc., sono tutte delle cose che, essendo principi di approccio forse assolutamente legitimi in se, finiscono per mangiare l’esteriorità del suono (quello che in realtà è l’essenza del suono). Il canto viene asfissiato da spirtiualizzazioni, “interiorizazzioni” ed altri strumenti ideologichi che tendono per forza ad asfissiare il suono: 1. Il suono è posto come mezzo, 2. Però il mezzo è il mezzo di un’idea espressiva che deve penetrare ed andare attraverso il mezzo, lasciandolo dietro di se. 3. Cosi, si finisce, a causa della tendenza descritta ci sopra e che non può non essere eccessiva, ad avere una “scuola” vocale – vedi quella contemporanea dei nordici – che non sa più niente del suono, nemmeno come mezzo. Si ha un’ideale completamente VERBALE di una espressività e si vuole realizzarlo, senza sapere, pur chiamandosi “cantanti”, come farlo cantando. Alla fine si mangia anche quell’espressività a cui ci si aspirava. O rimaniamo con declamatori che parlano o ci sono quelle come la Dasch che non sà nemmeno articolare.
      Ai tempi della guerra e del dopoguerra c’era una ragione a questa “cosa” e i primi prodotti avevano un suo perché. Una delle più famose allieve della Martienssen-Lohmann è Elisabeth Gruemmer che, pur dimostrando un’emissione leggermente gutturale e qualche durezza qua e là, rimane una grandissima professionista ed un’artista affascinante. FD è stato un passo molto più “avanti”; vedo proprio i libri che volano a sommergere il suono con varie intelletualizzazioni e gli eccessi nell’articolazione. Oggi c’è solo un patrimonio che ha perso contesto e efficacia materiale. E’ per questo che fanno ridere i mille imitatori di FD che ho recentemente sentito nei vari teatri tedeschi.
      Non so se sono chiaro. Sono idee che sto digerendo man mano che scrivo. Una parte però è già stata formulata nella mia analisi di Lotte Lehmann esecutrice di lieder.

      • Signora Giuditta io la farei comunque più semplice, i cantanti come FD quando salgono alla ribalta hanno delle caratteristiche innovative e rivoluzionarie in senso stretto che se stessimo giocando a scopa diremmo “sparigliano” le carte. C’é sempre una forte componente intellettuale e concettuale (almeno nella volontà di arrivare per primi nella propria coscienza di artisti) che fa si che questi cantanti che possono lasciare sconcertati gli uni, ammirati gli altri provochino poi schiere di imitatori che non danno grandi contributi alla storia della vocalità (nello specifico si pensi al FD dei poveri di cui al quaresimal n.XVII) che anzi possono condizionare negativamente. Ieri Caruso fu molto innovativo e tuttora si discute se in prospettiva il suo sia stato un contributo positivo o negativo. Anche oggi Cecilia Bartoli ultima (forse unica) artista baciata da quella gloria discografica che dal dopo guerra e fino a quindici anni fa ha stabilito -giuste o sbagliate che fossero- le gerarchie dei cantanti ha detto e dice qualcosa di nuovo e di stimolante che in questo sito non trova apprezzamenti così da finire presumibilmente anche lei come FD nella rubrica oggi a lui dedicata.

        • Caro Alberto, gli appunti tecnici fatti da fleta sono chiarissimi, e di questi il cantante rende conto al pubblico. a cominciare dalla pronuncia artefatta, figlie della tecnica ma anche del suo manierismo vocale.
          In termini di canto e solo in tali termini si pone la discussione. il resto, le glorie, le fanfare, la fama, sono solo polvere accessoria intorno all’essenza dell’analisi su un cantante, che sta solo sul canto.
          FD non è un caso isolato, nè lo paragonerei a Caruso, sebbene anche questo imperfetto, perchè fd non è nemmeno un capostipite in fatto di gusto. piuttosto siamo di fronte a fenomeni che, prorpio perchè recepiti in modo esteriore, in forza dei discorsi intellettuali o commerciali che tu riprendi, hanno lasciato conseguenze negative sugli epigoni. Baritoni migliori di fd ve ne sono parecchi che ben hanno ottenuto lo scopo che fd si sarebbe prefisso e che avrebbe conseguito. E di loro non si parla in questi temini, semplicemtne perchè hanno cantato e non si sono dati un cotè intellettuale.
          Dunque, o ci dimostri che i difetti indicati non esistono, oppure se essistono ci devi dire perchè debbano essere taciuti e/o passati per “espressione” moderna e megliore di altri che sono più in linea con una concezione ortodossa del canto.
          Perchè di fondo, a ben vedere, il malcanto si fonda sui due presupposti: 1) assenza di orecchio fino, quindi di una idea di suono bello 2) ideologie sull’espressione che vanno oltre il rispetto dello spartito maturate a tavolino dopo il compositore.
          Lascerei la Bartoli dove si trova, perchè è di fatto la fine del canto lirico, la massemediatizzazione della voce disimpostata e la manipolazione della musica e della sua storia a fini commerciali, nient’altro.

          • vedo che state discutendo su Posa. Beh se prendi la sua scena finale é ovvio che tutte le disomogeneità di FD emergono lampanti ed evidenziano una voce tutt’altro che verdiana. Però il suo ingresso “E’ lui desso l’infante” “Carlo ch’é sol…” (vado a memoria) il duetto con Fillippo sino a quando la tessitura non diventa troppo acuta, li trovo geniali. In questo senso (rispondendo a Paolone) scrivevo che uno come FD può dare ai giovani “spunti” degni dei grandi baritoni del 78 giri ai quali il nostro non vuole proprio essere paragonato. Di genialità di FD se ne trovano cmq anche in Falstaff, Macbeth, Rigoletto che a prescindere dalle mille censure che si possono fare o dai trenta difetti che si posso cogliere sono personaggi mai banali. Inoltre voglio dire che nell’unico mio ascolto dal vivo il carisma dell’uomo era debordante e il successo che ebbe alla Scala fu enorme (ricordo minimo quindici-venti chiamate)

  7. Pasquale caro vedrai che la vanità di Donzellesky ci riservare altre sorprese e un finale con il botto che io già prevedo. Cmq il mio aggettivo eccezionale va inteso come “fuori dell’ordinario” non pretendo mica che a tutti piaccia o che piaccia in tutto

  8. Per Mancini.
    Ciao Mancini, hai ragione, nel 49 Dieskau era giovane, eppure io i difetti li sento ugualmente.
    Nelle incisioni del 54 del 60 e del 61 ci sono gli stessi difetti, ma la dizione e’ decisamente migliore e l’interprete piu’ vario.
    Ritengo che il recitativo precedente la preghiera, e parlo proprio di quello del 49, non sia cantato bene, e non trovo sia cantata bene neppure la serenata di Don Giovanni.
    Certo e’ che i veri disastri vocali sono altri. Ciao caro.

    • Nella serenata di Don Giovanni l’emissione è tutta un po’ in bocca, indietro, impastata, artefatta. Nell’opera italiana non mi piace. Anche il suo tanto celebrato conte delle Nozze è stucchevole, manierato… Però quel Wolfram io non mi sento proprio di dire che sia malcantato.

  9. Sono d’accordo con Mancini: Fischer-Dieskau nell’opera italiana proprio non mi piace. Trovo francamente pessimo il suo Verdi manieratissimo, artificioso, lezioso (nonostante Celletti, inspiegabilmente, lo trovi degno di grandi elogi). Unica eccezione un Ballo in Maschera in tedesco (’55 credo). Pure in Mozart non mi soddisfa per nulla, proprio perché mancante di quella naturalezza e spontaneità di emissione (oltre ad un fraseggio sempre manierato). Però in altri repertori – Wagner, in particolare, e nei tanti cicli di Lieder – lo trovo ottimo (anche se generalmente preferisco altri cantanti).

    Non condivido affatto, però, la definizione di “tenore”: purtroppo noi siamo fuorviati da una generale bitumazione dei registri così da farci scambiare la chiarezza di emissione – e il baritono non è un basso con gli acuti – per registro tenorile. La stessa cosa avviene con la corda di basso: se si ascoltano registrazioni antiche si nota come le voci fossero più chiare di quelle generalmente associate al registro (e viziate da artificiali inscurimenti).
    Del resto lo stesso Don Giovanni mozartiano dovrebbe avere voce chiara, agile e giovanile (basta guardare il repertorio dei primi interpreti e le testimonianze in merito, dove la voce di Luigi Bassi viene definita di chiarezza quasi tenorile).

  10. @albertoemme: sbagli, caro albertoemme. Per capire se un cantante canta bene o male, non basta leggere Celletti! Bisogna ascoltare tanto, farsi “istruire” da chi più perito e avere dei punti saldissimi di ascolto! Aggiungerei anche che bisognerebbe per lo meno provare a cantare per capire meglio ancora, ma questo è un passo in più 😉
    C’è differenza tra il dire “non gira l’acuto” e “non fa bene il passaggio perché non abbassa la laringe e non crea spazio all’interno”: una cosa è capire il suono, la seconda è capire cosa succede ed essere pienamente coscienti e avere conoscenza della voce 😉

  11. Caro Albertoemme, a proposito del tuo intervento del giorno 11 marzo alle ore 11,04,in cui citi di nuovo la Bartoli . Ti inviterei ad ascoltare quanto mandato in onda oggi dalla Barcaccia : una aria del conte ory di vienna cantato dalla suddetta.Con tutta la mia disponibilita’ a non avere preconcetti di sorta l’impressione che ne ho riportato e’ di una estrema sgradevolezza , quasi cantasse per prenderci in giro.
    E’ indecente la proposta di inserirla nel Quaresimal ?

  12. si solo che non capisco uno che ha ascoltato la Bartoli,commentandola alla barcaccia,ha detto che è dotata di un gran volume,due sono le cose,o cantava in uno stanzino a venti cemtimetri dall’orecchio del sudetto commentatore,oppure era dotato di un udito super 😀

  13. Ciao massimo. cercherò di recuperare quell’ascolto della barcaccia e ti dirò. Ma tu avevi sentito quella cosa che ti avevo mandato? Perché era fedelissima mentre quella che aveva girato su Youtube era un po’ manipolata. Per Pasquale: io sono un grande ammiratore della Bartoli però di voce ne ha veramente poca per cui non so cosa sia successo alla barcaccia dove tuttavia é così presente la voglia di far spettacolo che magari uno che interviene per dire una castroneria risulta funzionale allo show

    • albertoemme, ha ragione Billy Budd a dire che le tue arrampicate sugli specchi per difendere l’ indifendibile fanno tenerezza. Una volta è la registrazione manipolata, un’ altra volta i fischiatori non erano cento ma quarantaquattro in fila per sei col resto di due, la prossima volta dirai che il giorno prima le era morto il gatto…
      Senza entrare nel merito delle tue elucubrazioni, non pensi che il tuo adorato Vogt sarebbe il Pollione ideale per la Cecy? Sarebbe interessante, invece del romano in Gallia il proconsole in Capponia…XD

  14. ma ci sarà Osborne che é il re dei suoni misti sconosciuti al grende jean baptiste de mancinì 😉 l’alva dei tenori wagneriani dovrà aspettare la nomina a monsignore, per ora resta arciprete

  15. Sorvoliamo sul fatto che mettere Fischer-Dieskau nella stessa serie della Eaglen e di Villazon è un’operazione ridicola. Altra cosa è discutere certe sue caratteristiche, come è stato fatto in alcuni commenti. Ma è il fatto in sé che sconcerta. Poi, caro Mozart, Albertoemme adorerà a torto Vogt. Ti ricordo però che in fila fra gli adoratori di Vogt ci sei in primo luogo tu. Al telefono mi hai detto a chiare lettere che Vogt era un cantante bravissimo; l’hai detto a me, che l’avevo ascoltato in Euryanthe a Dresda e ne avevo ricavato una buona impressione. Anzi, direi che eri molto più entusiasta di me. Guarda che non sono rimbischerito e che la memoria ce l’ho ancora molto buona. Rimangiarsi quello che si è detto per amore di una battura, oltretutto non proprio eccelsa, non è un granché.
    Marco Ninci

  16. MOOZART DISCOOLPATI !!!!!!! scherzo ovviamente caro amico e padre…per metterti di buon umore ti faccio un’altra arrampicatina sulla Eaglen. Io c’ero alla sua Norma dal vivo a Ravenna (con la Mei, La Scola e un compianto basso greco) e c’ero alle sue prove successive (ad es. Siegfried e Crepusculo -come dice Lissner- ….bene: era una cantante che un pareggio per me lo portava a casa. La voce non aveva la proiezione di un drammatico e suonava un po’ piatta, però il colore era buono e piuttosto omogenea. Insomma vittorie poche ma qualche pareggio (che fuori casa vale di più) yes.-

  17. Sentimental
    Questa notte infinita
    Questo cielo autunnal
    Questa rosa appassita,

    Tutto parla d’amor
    Al mio core che spera
    Ed attende stasera la gioia
    D’un’ora, d’un’ora con te,

    Sentimentaaaal,
    Come un bacio perduto
    Sentimentaaaal,
    Come un dolce segreto.

    Sentimmmmennntal
    Come un sogno incompiuto
    Come questo saluto,
    Che il cuuuorrre sa dar,

    See ntttiiii men taaaaaaaaal!!!!!!!!

  18. Celletti il più grande esperto di voci ? Infatti descriveva Morino come il nuovo Rubini e Raffanti migliore di Pavarotti ! Ah ah ah !! Ascoltai in teatro fd in quattro occasioni . Una delusione completa. Tecnicamente incompleto e colore per niente baritonale.

    • sei molto simpatico !!! io invece quando l’ho ascoltato invidiavo i miei amici rimasti a casa magari ad ascoltare De Luca, Galeffi,Stracciari,tagliabue ecc ecc.una delle mie tante qualita’ e ‘stata la tenuta di frasi lunghissime sorrette da un perfetto canto sul fiato. quindi evidentemente di polmone ne basta meno di mezzo !!!! ( parlo per farinelli naturalmente, non ho questa presunzione)

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