Wagner Edition – Die Feen

Per uno di quegli strani paradossi della storia, la prima opera completa di Wagner, venne rappresentata per ultima e solo dopo la morte del compositore. Die Feen, infatti, conobbe il proprio battesimo teatrale, la sera del 29 giugno 1888, a Monaco, amorevolmente preparata dall’allora direttore sostituto del teatro: Richard Strauss. Strauss lavorò per ben tre mesi alla partitura, convinto che con Bülow indisposto, sarebbe toccato a lui dirigere l’opera che tanto lo stava coinvolgendo (“Sono al colmo della felicità: magnifica la trama, nei finali degli atti si sente odore di Beethoven, qua e là anche di Weber e di Marschner, ma si sente già l’unghiata leonina di Wagner”), ma alla vigilia della prima, la sovrintendenza gli preferì il suo superiore gerarchico, Franz von Fischer, definito dal compositore, non senza una certa esagerazione, “un delinquente sul podio direttoriale” e ancora “mestierante della musica e privo di talento”.

Wagner iniziò a lavorarci a 20 anni, e fu il suo primo lavoro compiuti dopo tre tentativi abortiti: il primo, Leutbald, rimase probabilmente allo stadio di libretto; del secondo (un dramma di argomento pastorale) non sopravvive neppure il titolo; il terzo, Die Hochzeit, rimane un abbozzo, poiché la sua composizione venne interrotta per insistenza della sorella, che lo giudicò “ripugnante”. Dopo aver portato a termine la partitura, Wagner cercò invano di farla rappresentare, sino a che, nel 1835, accantonò ogni progetto relativo alla sua prima creazione, per dedicarsi al suo secondo e, ahimè, assai più scadente lavoro: Das Liebesverbot.

Per un giovane musicista tedesco nei primi anni del secolo XIX modello obbligato era, ovviamente, Weber, fondatore dell’opera romantica e paradigma a cui rapportarsi. Non fa eccezione Wagner che proprio all’autore del Freischütz e, soprattutto, di Oberon si ispira esplicitamente, senza dimenticare la lezione di Marschner (di cui allestì, come direttore d’orchestra del teatro di Warzburg, Der Vampyr) e del successivamente disprezzato Mendelssohn. Die Feen è, infatti, una autentica opera romantica. L’improbabile vicenda, tratta da un lavoro di Gozzi e ricollocata da Wagner in un’ambientazione nordica (l’originale si svolgeva in un Oriente fantastico), si caratterizza per la scarsa efficacia teatrale e rivela un testo assai macchinoso, verboso e prolisso con molti squilibri nella struttura e nella distribuzione delle scene. Tuttavia, pur partendo da una base scadente e confusa, Wagner veste il suo ambizioso libretto con musica di straordinaria efficacia e inventiva, soprattutto se rapportata all’inesperienza del musicista debuttante (altre opere prime di altrettanto grandi compositori – penso a Verdi, Bellini, Donizetti e anche Rossini – non possono vantare analoga freschezza). Certo non mancano le lungaggini e le pagine meno ispirate, ma complessivamente dimostra un’ottima conoscenza tecnica (dovuta all’approfondito studio dei modelli di cui parlavo più sopra), mestiere e originalità (soprattutto se si confronta con le due successive). Opera romantica e magica: al centro la figura della fata Ada che si innamora del mortale e nobile Arindal (i nomi dei protagonisti sono recuperati da Die Hochzeit), il quale all’esito di improbabili e complesse vicende (per la cui conoscenza rimando alla lettura di un riassunto della trama) riuscirà a conquistare l’immortalità e l’amore. Mondo magico che si scontra con mondo reale quindi, amore e morte, armonia e guerra, sogno e razionalità: la più tipica espressione delle contrapposizioni del romanticismo. Ada ricorda molto da vicino le grandi eroine weberiane: Agathe, ma soprattutto Rezia (al secondo atto vi è una grande e difficile aria per lei che ha più di un rimando ad “Ozean, du Ungeheuer”), il suo personaggio, sospeso tra umano ed inumano, tra le forze misteriose della natura e la caducità della vita reale si incarna in un ruolo di estrema difficoltà vocale: richiede un registro sicuro e svettante nell’acuto, corposo nei centri ed estremamente resistente (la parte, come tutta l’opera del resto, è particolarmente lunga). Una “tromba d’argento” per cui non si può non pensare alla Nilsson (che infatti fu una straordinaria Rezia). A ciò si aggiunga la padronanza del canto di agilità (Wagner qui risente ancora delle influenze mutuate dal melodramma italiano). Ad essa sono affidate alcune tra le pagine più belle dell’opera, a cominciare dalla delicata cavatina del primo atto mentre il deserto si trasforma nel giardino delle fate: quasi un sussurro malinconico che sfocia poi in un duetto più movimentato (ad uso di cabaletta) che insiste sul registro acuto (assai impervio per il tenore). Vertice della partitura la grande scena ed aria di Ada collocata nel mezzo dell’atto II, “Weh mir, so nah die, fürchterliche Stunde”: introdotta da un ampio e drammatico recitativo di struttura metrica irregolare e spezzato da sfoghi orchestrali e squarci più cantabili, in cui la voce sale e scende lungo il pentagramma alternando malinconia e dramma, senza alcuna tregua per l’interprete, trova sbocco nell’aria vera e propria, quasi “di furore” (con abbondanti ornamentazioni) pur nell’alternarsi di ampi strappi lirici. Una cavalcata di quasi 12 minuti che non è esagerato definire una delle creazioni più felici di Wagner.

Tante altre tuttavia, sono le pagine notevoli dell’opera, che si segnalano per la straordinaria bellezza dell’invenzione musicale: la lunga Ouverture romantica innanzitutto (brano che conosce un relativo successo concertistico); i monologhi di Arindal (tenore la cui vocalità rimanda al Florestan di Beethoven), sia quello del primo atto sia il “delirio” del terzo, interrotto dalla voce malinconica di Ada con uno straordinario effetto di momentanea calma e pace; il finale I; l’introduzione all’atto II con la splendida aria di Lora, di purezza cristallina, appena screziata da un accenno di coloratura; il finale III, con la scena delle prove e il suggestivo lied del tenore con accompagnamento di arpa. E poi i tanti cori, i singoli pezzi d’insieme, gli interludi sinfonici. Non molto riusciti, invece, gli episodi comici che restano a margine della vicenda, con l’intento di alleggerirne la portata drammatica, ma così male inseriti nella struttura generale (qui Wagner paga l’inesperienza, oltre ad una scarsa dimestichezza con elementi di commedia) da risultare solo fuorvianti e fastidiosi (musicalmente, poi, sono assai modesti). Opera quindi, che richiede grandi interpreti, grande orchestra (l’accompagnamento musicale è di ampiezza e complessità sinfonica), e un grande direttore che sappia ben dosare i vari ingredienti, evidenziarne i tanti pregi, dargli coesione e coerenza, valorizzare gli episodi (tanti) migliori e far passare in secondo piano certe ingenuità e asprezze (magari con qualche taglio, perché no?).

Poche sono le incisioni disponibili sul mercato (soprattutto se rapportate alla sterminata discografia wagneriana). La più risalente nel tempo è quella incisa in modo semiufficiale nel 1976 dal vivo e diretta da Edward Downes (che inciderà pure Das Liebesverbot e l’unica edizione completa della versione originale di Rienzi) che ha il vantaggio di presentare integralmente la partitura. Di qualche anno successiva, nel 1983, a Monaco (nell’ambito delle celebrazioni per il primo centenario della morte di Wagner) l’edizione diretta da Sawallisch che pratica alcuni tagli alla partitura, con l’intento (assai apprezzabile) di correggerne i momenti più squilibrati, ridimensionandone la verbosità ed eliminando certe inutili lungaggini. Più recenti l’edizione registrata dal vivo a Cagliari nel 1998 e quella  ripresa a Francoforte nel 2011.

Opera complessa dunque, ingiustamente espulsa dai mistici rituali di Bayreuth, vista con fastidio e disprezzo dai tanti bidelli del Walhalla, ripudiata con imbarazzo dallo stesso autore, eppure lavoro che rivela il mondo e la cultura musicale entro cui si forma il fenomeno wagneriano (e che riecheggerà nelle sue opere almeno fino al Lohengrin). Non un incidente di percorso sulla strada che porta alle smisurate creazioni nibelungiche, quindi, ma insostituibile punto di partenza per trovare una più giusta collocazione alla parabola wagneriana, naturalmente a patto di svegliarsi dall’ubriacatura dei cantori dell’assoluta unicità della “musica dell’avvenire”.

 

Richard Wagner

Die Feen

Romantische Oper in drei Akten

Atto I

Atto II

Atto III

Der Feenkönig : Friedemann Hanke
Ada : Gundula Janowitz
Arindal : Josef Hopferwieser
Gernot : Alfred Sramek
Gunther : Franz Kasemann
Farzana : Margareta Hintermeier
Zemina : Graciela de Gyldenfeldt
Lora : Ilona Tokody
Morald : Hans Helm
Drolla : Rohangiz Yachmi
Harald : Charles Naylor
Ein Bote : Anton Wendler
Die Stimme des Zauberers : Walter Fink

Orchestra e Coro dell’Opera di Stato di Vienna

Direttore d’orchestra : Sixten Ehrling

Vienna, 13 Febbraio 1983.

Atto I

Ouverture – Albert Coates (1932)

Immagine anteprima YouTube

Ouverture – Franz Konwitschny (1952)

Immagine anteprima YouTube

Ouverture – Wolfgang Sawallisch (1983)

Immagine anteprima YouTube

Atto II

Aria di Lora: O musst du Hoffnung schwinden – June Anderson, Wolfgang Sawallisch (1983)

Immagine anteprima YouTube

Aria di Ada: Weh’ mir, so nah’ die furchterliche StundeBirgit Nilsson, dir. Sir Colin Davis(1972)

3 pensieri su “Wagner Edition – Die Feen

Lascia un commento