Ascolti comparati: Magda Olivero versus Kiri te Kanawa. “In quelle trine morbide”

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Il giusto ritiro di Mancini dalla severa periodicità dell’impariamo ad ascoltare imponeva di continuare nella strada dell’ascolto e dell’esercitazione dell’apparato uditivo dividendo l’arduo compito fra tutti o almeno alcuni di noi, nella speranza di non deludere i lettori, cui già annuncio che la turnazione predisposta prevede anche nuovi interventi di Mancini.

Abbiamo scelto “gli ascolti comparati” questa modalità apre orizzoni  anche ad ascoltatori non molto allenati e magari interessati solo ai cantanto attuali e del recente passato e magari limitati ad un solo repertorio.

La prima proposizione comparativa offre una divina: Madga Olivero. Divina a furore di popolo, esempio assoluto di arte e dedizione alla  musica  (cantasse al Met o a Rosignano Solvay) riflettiamo sulla sua ARTE quale protagonista di Manon Lescaut dell’omonima opera pucciniana. Le trine morbide sono una romanza di rimpianto e rimembranza per il perduto ardente e giovane amore, barattato per l’oro e l’agio  del vecchio Geronte.

La pagina è di ricordo non di disperazione e, quindi, devono essere banditi effetti drammatici e facili lacrime.  E, per la cronaca, a questa idea si attenevano anche artiste di comprovato gusto e fede verista come Mafalda Favero. Fedele a questo principio, sorretta da una tecnica esemplare l’Olivero emette, ad onta del tremulo della voce, suoni in una posizione di quella che, gergalmente dicesi maschera, altissima anche nella zona medio grave. Questo le consente di smorzare dove e quando vuole ( in pratica non vi è parola che non venga dall’Olivero modificata nell’intensità) di reggere senza riprese di fiato abusive e senza arbitri frasi scomode come “ ed io che m’ero avvezza” con tanto di rallentando e smorzando su “voluttuosa”, che è la parola più importante della frase sino al si bem di “or ho” smorzato e rubato con la frase successiva. Un capolavoro tecnico che diviene un capolavoro espressivo. Ancora il rallentando su “bianca” prepara la chiusa intimistica del “di pace ed amor” dove la cantante di Saluzzo piazza un altro colpo “alla Olivero”  cantando pianissimo di “pace” e ancor più piano, ma con un suono saldissimo e fermissimo l’”amor”. Osserviamo, quanto alla dizione che l’Olivero accentua con  la pronuncia delle  dentali e della arrotate  il valore delle parole dal “fReddo che m’agghiaccia” idem le “infuocate bRaccia” che evocano la passione e l’amore con il giovane Renato Des Grieux.

Poi paragoniamo e paragoniamo non già con cantanti dal facile effetto o dalla tecnica scalcagnata, ma con Dame Te Kanawa, che anche lei imposta in chiave intimista la romanza.  Eppure la differenza è subito evidente con l’attacco fisso della romanza , un’idea di fissità e rigidità del suono che impedisce di dare senzo al “silenzio, freddo che m’agghiaccia”, ove per dare senso è sopratutt la impossibilità a qualunque modulazione del suono. Anche la parte più “infuocata” della romanza ossia il “ed io che m’ero avvezza” è proposto  senza mende vocali (salvo il registro basso piuttosto vuoto), ma senza un colore, bandita ogni sonorità che non sia il mezzo forte. A riprova della piattezza sia che nella sezione ” oh mia dimora umile” ovvero quella del più lancinante ricordo il “tono” della cantante è esattamente identico a quello della sezione precedente, salvo la smorzatura (era ora!) sul “bianca”.

16 pensieri su “Ascolti comparati: Magda Olivero versus Kiri te Kanawa. “In quelle trine morbide”

  1. La fonazione in maschera della Sig.ra Olivero (Magda resta con noi, grazie) appartiene alla scuola di chi ha imparato a cantare quando le regole di fonazione erano di fondamentale importanza per dare al suono, alla voce, alla frase, la giusta intensità, il giusto colore, il giusto significato.
    Poi c’è l’ intelligenza dell’ interprete, da cui non si può prescindere, e La sig.ra Olivero ha sempre dimostrato di averne da vendere.
    Sorvolo sul tremulo, di ridicolo peso – insistete eh ? – sul quale mi sono già esposto a sufficienza in occasioni precedenti…e comunque, fonare in maschera è, a mio modo di vedere, quanto di meglio ci possa essere, sia come ascoltatori, sia in altro ruolo.
    Il guaio è che ormai ci vuole il mitico lanternino per trovare qualcuno che, oltre a provarci, ci riesca.
    Oggi – scusate la digressione – si va di gola – e quanto -, di naso, e non si studia abbastanza, la maschera per molti è roba da carnevale purtroppo.
    Il paragone con Kiri te Kanawa è, a mio parere, decisamente impietoso nei confronti della neozelandese : i suoi alti – tralascio gli acuti – sono un po’ opachi, tradiscono l’origine da mezzo, l’ incipit è insicuro : fa una “gobba”, piccola, ma la fa, il si bm di “or ho tutt’altra cosa ” – riascoltare – è forte, duro, mentre La sig.ra Olivero “tremula ” meravigliosamente sul pentagramma.
    Il finale, con quel “di pace” quasi sussurrato da Magda, …va bè, basta.
    La tecnica, la Signora Te Kanawa, la conosce, ma non basta a supplire ad alcune lacune, soprattutto di colore e intensità – tutto troppo forte, almeno per i miei gusti – oltre che, scusate, di “intenzione”, che fanno di questa fin troppo malcantata pagina una delle migliori opportunità perdute da troppe soprano non all’ altezza ma, si sa, è una pagina di effetto e allora…
    La tanto conclamata – almeno si dice dai più, ma quali? – dolcezza della voce di Kiri Te Kanawa a me dice poco, ho in mente altre dolcezze, creme, vere e proprie panne montate, che fanno impallidire questa.
    Infine, si concordo, è un cantare abbastanza piatto, apprezzo l’ impegno e l’ intenzione, ma mi fermo qui.
    Scritto senza intenzione di offendere.
    Grazie sempre a Donzelli.

    • L’aspetto chiave qui è proprio la capacità di dare SIGNIFICATO a ciò che si canta, prima di tutto con la pronuncia nitida, “avanti”, a fuoco… La Olivero in questo è esemplare, il suo è un canto sulla parola, all’italiana, mentre la Te Kanawa produce solo suoni (brutti suoni, spesso indietro, fissi e non perfettamente intonati).

  2. Anche per me il paragone è un po azzardato, ma tuttavia curioso.
    Da una parte un mito! una vocalità unica, ben consapevoli del timbro non bello e di un eccesso di vibrato, la Olivero fu un genio dell’interpretazione e della tecnica. Inoltre in ogni sua nota vi è il sapore autentico di un Puccini e del verismo in generale….la Olivero è l’incarnazione di una tipologia interpretativa che grazie alla sua genialità e longevità artistica, ha abbracciato buona parte del novecento, annoverandosi come una cantante imparagonabile e sopra le parti. La Kanawa invece fu un buon soprano lirico dal timbro gradevole e sicuramente bello. Dotata di buona tecnica e professionalità ci ha regalato ottime interpretazioni. Brava, anche bravissima spesso, ma non di certo un mito. In Puccini se la cavicchiava, presentandosi come una cantante sulla scia di un vero mito come la Tebaldi, di cui la Kanawa fu,almeno in Puccini,una copia minore e molto meno dotata vocalmente.

  3. Grandissima la Olivero. Se i moderatori lo consentono, racconterò che da ragazzo sono entrato in contatto con il mondo dell’opera ascoltando i “divi” di allora (Carreras, Domingo, Cappuccilli etc). Chi mi ha spalancato nuovi orizzonti fu proprio l’ascolto (casuale) della divina Magda che interpretava Liù nella prima incisione discografica completa della Turandot di Puccini e, con lei, di un altro, a parer mio, grandissimo cantante, il tenore Francesco Merli, Calaf in quella vecchia ma ancor oggi notevolissima incisione dell’ultimo capolavoro pucciniano. Da allora ho messo da parte Domingo & C. ed il mio approccio all’arte del canto è radicalmente cambiato.

    Sulla Te Kanawa posso dire che ha fatto buone cose, che aveva un mezzo naturale se non privilegiato, sicuramente importante. Tuttavia il confronto con Magda Olivero la vede soccombere nettamente. Ciononostante è pur possibile parlare di confronto. Mi chiedo cosa vorrebbe fuori se la Olivero venisse confrontata con qualche diva dell’attuale star system, tipo, che so, la Netrebko.
    Grazie per lo spazio (e per la pazienza).

  4. so di attirarmi le ire di tutti o quasi ma nonostante la grande tecnica della sig.ra Olivero il suo costante tremolio mi impedisce di apprezzarne la grandezza. L’unica cosa che per me la rende davvero unica e’ il “tutt’altra cosa”: nessuno lo canta come lei e per me quella frase e’ la chive dell’aria dell’opera. Forse solo la Scotto al MET. Della TeKanawa neanche parlarne. Il costante accento anglosassone e’ insopportabile. Giovincore

  5. il confronto puo’ stuzzicare laddove evidenzia la cantante che canta rispetto a quella che suona. Pero’ io non ho sentito ne l una ne l altra dal vivo e non me la sento di entrare in profondita’. Posso pero’ dire che la Netrebko nel repertorio della Te Kanava potrebbe esserle superiore Nella stessa Violetta la N che io non considero niente d speciale la trovo superiore (v edizione diretta Mehta con Kraus)

  6. Non posso aggiungere nulla a quanto scritto dagli esperti. Voglio solo portare un ricordo, ancora vivissimo, dei primi anni ’70, a Genova. Ero poco più che un bambino (sono del ’58), ma ricordo come fosse ieri il suo “Manon Lescaut mi chiamo” di entrata, che mi rapì e mi fece innamorare di Magda. E poi le trine morbide, e tutto il resto fino al “sola perduta abbandonata”. Rinunciai a non so quanti gelati per andarla a rivedere. Gli esperti, che sanno leggere gli spartiti e conoscono la tecnica del canto possono apprezzare fino in fondo la grandezza dei giganti, ma anche un semplice appassionato come me, che si affida solo alle emozioni che gli artisti possono suscitare, si sente trasportato in un’altra dimensione quando ascolta Magda. L’unico rammarico è che, vista Magda, non riesco più ad andare a vedere Manon Lescaut e Adriana Lecouvreur.

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