Sorella Radio: Don Carlo a Torino. Noseda va al massimo

Spinge sull’acceleratore il maestro Noseda alla guida della sua bellissima orchestra torinese: alza le velocità medie di percorrenza del Don Carlo, e si fa criticare dal pubblico, che non riesce ad abituarsi ai suoi tempi celeri e a certe sonorità troppo intense, talora un po’pesanti.
Personalmente la critica che mi sento di fare al maestro Noseda è di altro genere, ossia il non avere riprovato antecedentemente la prima parte del cast, per certi aspetti inadeguato a Verdi, per certi aspetti indecente. Ha staccato i soli tempi che potevano consentire di arrivare in fondo alla serata a siffatti cantanti, mancando in tutto o in parte dei requisiti basilari per affrontare l’opera, fatto peraltro già chiaro sulla carta al momento della pubblicazione della stagione. E il fatto che il pubblico abbia, comunque, applaudito cantanti, che sono nomi noti ed amati perché hanno una carriera felice alle spalle non significa che la loro prova sia stata positiva, ma soltanto che la gente è ormai disabituata all’ascolto e che l’educazione e la sensibilità per il canto è fatto ormai d’altri tempi.

La velocità di Noseda, dicevo, mi è piaciuta, perché retta da un‘orchestra precisa, di bel suono, equilibrata tra le varie sezioni, per nulla priva di colori, in perfetta sintonia con il coro, sempre altrettanto capace di prove di alta qualità. Certo, un passo tanto spedito ha tolto parte della monumentalità e del clima da grand-opéra che caratterizzano Don Carlo anche nella versione italiana in 4 atti, ma dato che sulla scena più che re, regine e nobili, ci sono delle voci limitate e disgraziate, che già alle prese col rango ed il fraseggio che connotano i rispettivi personaggi sono come quei rari nantes in gurgite vasto della letteratura latina, direi che Noseda ha operato la scelta più saggia, opportuna e opportunista possibile. Se il cast non canta, non si va molto lontano in Verdi, soprattutto questo Verdi, dunque tanto vale tirare i remi in barca ed evitare che i signori sul palco, come si suol dire, ci restino “in mezzo”. Abbiamo già visto troppe volte le prodezze di maestri sognatori, che staccano tempi estatici, quasi fermi, mentre sul palco i cantanti in debito di ossigeno e senza legato si strozzano e latrano più del dovuto (per tutti il re delle idee bellissime ma campate per aria, anziché sul palco, è stato il maestro Muti, oggi seguito dal maestro Gatti). Se Noseda avesse percorso l’affascinante strada delle velleità chissà cosa sarebbe accaduto a questo povero Don Carlo, parecchio mal cantato, nei migliori dei casi…insignificante.

Già, perché il meglio è arrivato dalla componente inodore, incolore e insapore della compagine vocale, ossia le due voci gravi maschili protagoniste.
Il migliore di tutti è stato il placido Ildar Abdrazakov, imperturbabile e dolce Filippo, che se canta piano riesce ad esprimere il dolore del re, ma non ce la fa ad andare oltre, ossia a far salire il suo personaggio sul piano dell’autorevolezza, della forza politica, della ieraticità e della monumentalità oltre che della ampiezza e grandeur vocale. I tempi veloci mascherano la latitanza del fraseggio, che non va oltre qualche rara frase, diversamente è il mezzoforte sistematico. Sul forte l’ampiezza non arriva, ma non c’è nemmeno la benzina nel canto in souplesse. La voce resta bella, gli acuti i migliori del cast, ma Verdi è oltre la sua voce, che viaggia poco e poco si espande.
Il signor Ludovic Tézier, con la sua voce da baritono mozartiano, di poco volume, pochi armonici, nasalità marcata, nessun “giro” salendo agli acuti, tutti regolarmente indietro e sfocati, vive il suo momento di gloria nel canto verdiano di oggi, desertificato dalle voci importanti. Il mezzo è modesto e ciò gli impedisce, per fortuna nostra, di essere volgare e retorico. Il suo canto, composto per forza di cose, non possiede una vera nobiltà di linea, né riesce a rendere l’idea di quello che è il fraseggio di Posa perché ha problemi di volume e di legato e, a monte, di tecnica. L’italiano è bello, si sentono anche delle intenzioni ( ricordava un po’ troppo il disco di Fischer Dieskau ), ma non c’è vera dinamica, causa il mezzo ed il modo in cui lo manovra. Posa è un terreno per fraseggiatori sopraffini, vari, naturalmente nobili, che devono mettere la voce perfettamente collocata per essere all’altezza di quello che Verdi pretende. Tézier se la cava nella conversazione ma quando arrivano le frasi ampie, magari anche acute, dove c’è bisogno di lasciare andare una voce che è inferiore alle esigenze della parte, il suo Posa è minimo e striminzito. Gli acuti sfuocati gli tolgono ulteriormente la possibilità di essere incisivo. Abituati, però, a prove volgari da parte della maggioranza dei suoi colleghi, Tézier sembra un supercantante.
E qui le note positive sull’esecuzione finiscono, mentre iniziano quelle dolenti.
Completava il cast maschile il protagonista impersonato da Ramon Vargas. Tenore di lungo corso, dalla ex bella voce, ormai consumata dall’applicazione sistematica ad un repertorio troppo pesante. Ramon Vargas applicato a Verdi soffre già in Traviata, perché sul passaggio il tenore ha sempre mostrato la corda come chi canta più di natura (generosa) che grazie ad un controllo tecnico. Su una vocalità più pesante ed intaccato dall’usura, il tenore latino ha esibito un centro largo con frequenti note scoperte, acuti sforzati talora steccati. Accentare con una voce insufficiente e senza squillo gli è stato impossibile, la linea di canto tutta sul forte o mezzoforte. Frasi come “Io l’ho perduta, io l’ho perduta, ei sua la fe”, per non parlare del “ Sarò tuo o Fiandra”, come i momenti generalmente pesanti come “Sotto il mio piè si dischiude la terra “al duetto con Elisabetta tutti da dimenticare per l’inadeguatezza evidente del tenore al ruolo.
Né le cose sono andate meglio sul versante femminile. La signora Barcellona, la sola del cast a possedere una voce di potenziale tonnellaggio adeguato a Verdi, collocata a cantare circa una terza sopra la sua abituale altezza di contralto rossiniano ha esibito tutti vizi tecnici che, da sempre,la caratterizzano. La dote poderosa non le basta per gestire lo stile, lo slancio, il registro acuto, il LEGATO della scrittura verdiana, impegnativa perché passa dalla leggerezza delle fioriture della Canzone di ingresso alla solennità regale della seconda aria, con le sue ascese verso l’alto, per mezzo del pedale cui è chiamata nella scena del giardino. Solo se messa sul fiato la voce può essere “girata” al registro superiore, e reggerne la scrittura legata. Si è udita una Canzone del Velo al limite del caricaturale, cempennata, a suon di colpi di strozza, con tanto di trilli scritti bellamente spazzolati via come non può accadere ad una voce proveniente dal belcanto. L’esecuzione degli staccati resterà memorabile nella memoria degli udenti. Le cose non sono andate meglio alla seconda scena, di cui ha retto bene l’impeto delle frasi iniziali “O don fatale o don crudele..” , mentre nella sezione centrale “ O mia regina io t’involai..” e frasi seguenti ascendenti, ove il legato è scomparso, sostituito da un’esecuzione latrata (mi scuso per il termine impietoso, ma non saprei trovare altra definizione), fatta di fibra e fissità. Anche la scena del giardino è sta intaccata dal “buco” nella voce che l’ha costretta a gridacchiare l’invettiva “ Trema per te falso figliuolo..”. Insomma, una grande voce senza il background tecnico necessario, cui la scrittura verdiana, lo slancio e l’altezza della tessitura hanno impedito di mimetizzarsi o nel falsetto in cui è solita ripiegare nell’esecuzione delle agilità o nel canto di gola. Un successo di pubblico, che prova l’attaccamento di questo ai suoi beniamini indipendentemente dalla qualità della prova che sono in grado di produrre, come gli audio che vi proponiamo dimostrano.
Di Barbara Frittoli quale Valois non so davvero che dire. La sua prova fiorentina era già stata chiarissima qualche anno fa circa la sua inadeguatezza alla parte, essendo che di Verdi le stanno, per natura vocale, Desdemona, Alice, forse Traviata e  null’altro. Oggi come oggi che abbia tentato di passare in Valois, che richiede altra voce, ben più importante, ed altro regale accento è solo sinonimo del “tutti per tutto tanto chi se ne frega”. Il canto, però, è disciplina ferrea che colpisce tutti quelli che ne infrangono le regole, e chi si trova male in arnese sul piano tecnico, per vizi antichi, paga pegno. La trasmissione radiofonica è stata impietosa nel denudare pubblicamente la prova pessima della cantante nostrana in grande declino. Il soccorrevole Noseda ha tentato di aiutarla, staccandole delle belle velocità come al duetto Carlo Elisabetta, ma non c’è stato nulla da fare. La voce non gira per nulla nel registro acuto, la bem e la nat sono note ineseguibili in queste condizioni; i gravi inesistenti, e soprattutto il centro, senescente, senza eleganza, schiacciato e spinto sulla vocale “e”, provano il crepuscolo vocale di Barbara Frittoli. Spiace sentire un cantante così in difficoltà, al punto da omettere di cantare frasi del quartetto Rodrigo Filippo Eboli Elisabetta, ed un quarto atto tutto da dimenticare. Su questa prova il teatro e/o il direttore musicale avrebbero dovuto intervenire per onestà, o forse correre ai riapri anche prima delle recite ( l’Elvira scaligera bastava ed avanzava per capire che Elisabetta era fuori portata del soprano).

Un grande successo per il Regio, in forza anche del bell’allestimento di De Ana, riuscito solo in parte, ma che per i tempi che corrono non è poco.

Gli ascolti

Verdi – Don Carlo

Atto I

Io l’ho perduta…Io la vidi e il suo sorriso…E’ lui!… desso… l’Infante!…Dio, che nell’alma infondereRamón Vargas, Roberto Tagliavini & Ludovic Tézier (2013)

Nei giardin del belloDaniela Barcellona & Sonia Ciani (2013)

Atto III

Ella giammai m’amò…Dormirò sol nel manto mio regal – Ildar Abdrazakov (2013)

Giustizia, o Sire!…Ah! sii maledettoBarbara Frittoli, Ildar Abdrazakov, Daniela Barcellona & Ludovic Tézier (2013)

O don fataleDaniela Barcellona (2013)

Atto IV

Tu che le vanitàBarbara Frittoli (2013)

 

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19 pensieri su “Sorella Radio: Don Carlo a Torino. Noseda va al massimo

  1. Venerdì sera la Frittoli è stata sostituita (peccato, avrei voluto sentire dal vivo il suo stato vocale odierno) dalla seconda, Svetlana Kasyan, la quale sembra volerla imitare nel colore brunito e nel fraseggio un po’imbronciato. L’aria del V (qui IV) atto, con l’acuto finale, è stata il suo momento migliore. Spiace constatare che per avere una parvenza di baritono verdiano ci si debba rivolgere ad un francese. Rispetto alla radio, dal vivo gli acuti della Barcellona – il finale dell’aria! – sono meno “raccapriccianti”, almeno la distanza li attenua un po’ rispetto all’effetto che fanno in cuffia !! Ramon Vargas invece di compensare con la recitazione i limiti vocali da voi descritti, ha reso il personaggio poco plausibile, una specie di Calimero che saltella e abbraccia Rodrigo in maniera un po’ infantile (l’Infante di Spagna…).
    Filippo II è un po’ al di sotto della tradizione; mi è piaciuto di più nel duetto iniziale con Rodrigo ma poi non dimostra di possedere la grande voce (VOCE) che da un ruolo tale mi aspetto. Sicché “Ella giammai m’amò”, non arriva a stupire come quello di altre edizioni, in cui veniva letteralmente riempita la sala di suono, pur se molto meno rifinito. L’affondo di “ceder dovrà sempre all’altare” è proprio modesto. Almeno ha una corretta pronuncia… Pure formato ridotto l’Inquisitore per cui il loro colloquio non ha nulla della maestosità, crudezza e vera e propria paura che emerge da quelli Ghiaurov-Talvela o Christoff-Neri. Nemmeno scenicamente appare impressionante il ritratto dell’inquisitore cieco.
    Legati a quella poltrona per 3 ore con un breve intervallo tra 2° e 3° atto forse non ce lo meritavamo! Così come nel giugno 2006 – medesimo allestimento scenico con Furlanetto, Urmana/Dyka(!) – l’edizione presentata è quella italiana in 4 atti. Peccato: a costo di arrivare in teatro una o due ore prima si sarebbe potuto vedere uno spettacolo – quantomeno la versione modenese con l’atto di Fontainebleau – di una certa coerenza drammatica. Oppure, vista l’occasione della festa del Regio, la versione francese (trovo la traduzione italiana proprio brutta) già fatta negli anni ’90. L’allestimento si potrebbe definire di corretta normalità, con un’autodafé un po’ interlocutoria (non ho capito niente).
    Ormai il Regio di Torino compone le stagioni con quasi tutti allestimenti di proprietà già visti nel passato recente (quest’anno Chénier, Don Giovanni, Matrimonio, Don Carlo tra i titoli “nuovi”, oltre agli spettacoli di repertorio Bohème, Traviata e Italiana fuori abbonamento). Mi sembra troppo.

      • Certo non auspico che si sperper denaro pubblico in nuovi allestimenti ma trovo che, negli ultimi due anni soprattutto, questa tendenza a riutilizzare allestimenti passati ha portato all’appiattimento della programmazione su titoli tutti di repertorio. Niente Candide, Cendrillon, Mefistofele, Street Scene, Corsaro, Midsummer night’s dream, Mitridate, Esclarmonde, Streetcar named destre, per citare titoli non di repertorio ma veramente belli fatti prevalentemente negli anni ’90 a Torino. Avrà pure il Regio in magazzino allestimenti di proprietà di opere che non sono repertorio? E il Rossini serio oltre Semiramide e Tancredi? E la Tetralogia? E il barocco?
        Il repertorio fa vendere biglietti e il teatro è sempre pieno….ma, per me, che noia.

        • d’accordo in linea di principio, ma un soprano da Esclarmonde o un contralto da Semiramide e Tancredi siamo in grado di reperirli?
          e lo dico con dispiacere perchè sono tre titoli che vedrei molto molto volentieri.

          • Ewa Podles che vent’anni fa faceva bene sia Assur che Tancredi non sarebbe più in grado di cantarli? Chiedo perché a Pesaro non c’ero e non so se avrebbe ancora l’elasticità per quei ruoli che mi basterebbe facesse anche al 70 % di come li ascoltai. Circa Esclarmonde me la ripassero’ perché non ricordo a memoria l’estensione della parte che fu della Sutherland ai suoi due terzi circa di carriera. F. Cedolins non potrebbe farcela ? Credo abbia ancora il re bemolle e la ricordo come una delle più corrette nell’aria di sortita della Luisa Miller, che é un po’ una cartina tornasole della capacità di una cantante di picchettare e colorire con una voce da soprano lirico

  2. su questa recita di oggi pomeriggio (secondo cast) rispetto all’ascolto radiofonico della prima,devo rivalutare Noseda ha saputo dare una sua idea e concenzione nell’interpretare questa recita,per i tempi ho notato una certa sua tendenza nel velocizzare alcuni passaggi,ma nei passaggi dove si richiedeva una lettura piu lenta,come nell’aria “Ella giammai m’amò di Filippo o “O Carlo, ascolta” aria di Rodrigo ,Noseda ha saputo dare il giusto tempo.
    Per tutta le recita si è impegnato con cenni, suggerimenti ai cantanti perchè cantasserò come lui riteneva piu giusto,specie nei concertati per tenere bene unita e amalgamata la buca con il palco,e ci è perfettamente riuscito,Noseda a mio parere si stà confermando un grande direttore,e penso che sarà una grande risorsa per tutti.
    Scenografia molto bella, bellissimi i costumi,un vero spettacolo per gli occhi.
    Purtroppo il lato dolente sono i cantanti,cominciando dal protagonista Alex Vicenz un omaccione,ma con la voce inversamente propozionale,piccola a tratti quasi afona
    senza proiezione,come si dice in gergo si cantava adosso,la voce rimaneva sul palco,solo verso la fine “Ma lassù ci rivedremo duetto tra Carlos ed Elisabetta ha avuto un guizzo cercando di mettere un po piu di voce,riuscendoci in parte(magari gli avranno detto che lo pagavano la metà se non tirava fuori un po di voce):D,
    un po meglio la Chiuri discreta “Nei giardin del bello (Canzone del Velo)” e nel don Fatale .
    Giacomo Prestia ha saputo dare una buona prova,ma niente di speciale il suo Filippo.Delle voci maschili il migliore mi è parso Dalibor Janis un marchese di Posa che ha
    cantato discretamente dando una giusta interpretazione colore e fraseggio alla parte,peccato che difetti nel legato,e anche lui canta con una posizione della voce abbastanza bassa,a tratti molto ingolata,e falseggiante,comunque discreto,e ha cantato decentemente” Per me giunto è il dì supremo ,Carlo ascolta”.
    Verdi in quest’opera sà ben sfruttare la musica per esprimere i sentimenti,come in questa morte di Rodrigo,è come sarà nel finale nel duetto di addio tra Carlo e Elisabetta con quel triste e straziante sottofondo musicale).
    Marco Vinogradov ha cantato il grande inquisitore senza infamia e senza lode,comunque vero basso profondo non lo è.
    Il soprano russo Sventlana Kasyan ero curioso di ascoltare questa giovane(per mia natura mi piace ascoltare dei giovani cantanti,e anche giovani musicisti,anche per questo vado spesso ai concerti del conservatorio Giuseppe Verdi qui a Torino)
    la mia impressione che è una bella voce,un bel timbro, facilità nei passaggi al registo alto,una buona proiezione,discrto volume,ma deboluccio sul registro centrale,inesistente in quello grave(nel tu che vanita,dove c’è un passaggio che richiede una discesa verso le note basse (accento)”la pace nella fe ”
    il soprano non ha nemmeno tentato di scendere ha semplicemente tentato di gonfiare la voce per cercare di dargli un po di peso,ma senza risultato,io la vedo in ruoli
    piu leggeri, Elisabetta non è per lei attualmente,comunque è giovane,ma mio avviso anonima, nel livello generale dei soprani attuali.
    teatro esaurito in ogni ordine(a parte i tre palchetti laterali vicini al palco,che per la presenza della cornice che circonda il palco,per migliorare l’acustica,non vengono dati.
    Comunque ha ragione il sovrintendente,è stato un errore ricostruire il teatro con una capienza di soli 1800 posti,il progetto iniziale prevedeva 2500 posti.

  3. Ho sentito la diretta radio e questa volta mi sento di non condividere completamente il giudizio della sig.ra Grisi. Infatti penso sia stata fin troppo benevola e generosa, in particolare nei confronti di Tezier e Vargas. Vargas e’ stato semplicemente pessimo perche’ le sue attuali condizioni vocali non gli consentono non dico di interpretare ma neppure di solfeggiare correttamente il 20% della parte. Egualmente disastroso e’ stato Tezier la cui tecnica di fonazione e’ talmente precaria da far abortire sul nascere anche i pochi tentativi di interpretare rispettando lo spartito.

  4. per Tamburini: effettivamente la voce della Cedolins in quella Miller (che ho controllato essere del 2010) non ha più la freschezza che aveva nelle prime Luise (mi pare di ricordare quella di Bologna 2003 ?) però le sue agilità non le trovo scandalose. Se pensi ai precedenti nella prima aria affrontati da cantanti già in carriera da un pezzo. Ad es. Caballé, Gasdia, Ricciarelli o quella che ha inciso il ruolo con Lauri Volpi. Ricordo poi una certa Esperian…mentre la Frittoli alla Scala nel 2002 fu piuttosto brava. Et de hoc satis!

  5. Ieri sera (per la cronaca giovedì 8 di maggio), ho avuto ancora una volta, la dabbenaggine, di seguire una rappresentazione lirica, quale, nella fattispecie, una replica del recente Don Carlo verdiano allestito dal Nuovo Teatro Regio di Torino, teletrasmessa da Rai 5 ; risultato : semplicemente “perchè ?!” Perchè, continuare ad illudersi che possano esistere nuove voci, quando nelle note biografiche wikipediane, tutte quante francesi -“la grandeur” colpisce ancora – del Tézier, Lui si autodefinisce adirittura un’artigiano, ma di cosa? E’ un’insolenza il solo pensarlo ! Ma che si riascoltasse, per favore, le varie registrazioni esistenti del Rodrigo di Gobbi, che lo stesso Celletti, non poteva in alcun modo minimizzare. Giovani impertinenti, questo sono. Il resto è nulla !!! Ma dov’è finito il “Recitar cantando”?,colle sue : nuance, i legati, gl’immascheramenti degli acuti, le timbrature, l’importanza dello smorzare, le corone, etc., la presenza scenica, poi … lasciamo stare. Quanto a Don Ramon Vargas, ma chi lo ha scarcerato ?! Ma, neanche il peggior e vieto Bonisolli , potrebbe gareggiare assieme a lui, ma da dove lo hanno cavato ? Perchè, dunque, rovinare le pagine più belle della nostra musica, della nostra storia ? E se, l’altra sera , invece, avessero voluto rappresentare, che sò La forza del destino, o addirittura l’Otello, quale strazio avremmo dovuto sopportare. Sì che amarezza, la più perfetta delle arti, così vilipesa e ridicolizzata, oggi !!! Temo, che purtroppo, vada di pari passo colla corruzione generalizzata di questa infelice epoca, priva di una ben che minima costruttiva autocritica e di un serio procedere. Con ciò, vado a consolarmi con qualche storica incisione, magari col duetto (questo, tutto quanto eroicamente duellato) dell’atto III della “Forza” con Don Alvaro/Del Monaco e Don Carlo/Bastianini o più in là, con qualche scintillante pezzo di Lauri Volpi del Trovatore nell’edizione di Amsterdam del 1954, per esempio il Finale atto I. Addio, sublimi incanti del pensier ! Addio schiere fulgenti, addio vittorie … a la prochaine fois.

    • non volevamo dedicare alcun chè a questa trasmissione televisiva, ma il tuo intervento, caro tamberlick, mi offre la scusa per scrivere. Almeno non faccio la figura di essere il primo ed il solo mal disposto verso quello che non abbia almeno trent’anni di anzianità. Concordo su tutto e salo e pepo la pietanza dell’insoddisfazione. Ma dove hanno accattata quella poverina per la sopertura di Elisabetta la voce se fosse a posto sarebbe da Manon, Adina, Liù, Mimì ed invece alle prese con un ruolo Falcon naufraga miseramente. A parte il non aver le note tanto che la prima ottava è sistematicamente stonata, ma almeno stare in scena con regale nobiltà. E la Barcellona una pseudo rossiniana che arranca ed annaspa nelle poche ornamentazioni del velo che emette urla in luogo di acuti, ma la gente non la sente e, poi, altrove mi riferiscono che la povera elisabettina sia stata riprovata e questa eboli applaudita e lodata. Orecchie a due velocità
      Per riparare l’apparato uditivo a pezzi mi sono premiato con la eboli di elena nicolai

      • Concordo é stata una recita terribile. Anche Tezier che in Onegin e in Lucia di Lammermoor mi era piaciuto, nei suoi momenti migliori sembrava Zancanaro nei momenti peggiori. La Barcellona ha fatto una figura indegna. Vargas sembrava il pesce spada del vecchio e il mare all’arrivo in porto. La russa é stata una palla tremenda. Noseda era poco convinto e salverei solo regia e Abdrazakov che pure (grazie ai tecnici del suono) a volte mi pareva più vuoto di come é dal vivo. Amareggiato e sconcertato do forfait per il don carlo in cinque atti di Firenze dove avevo un agile biglietto di galleria centralissimo che regalo se a qualcuno interessa.-

      • Caro “Canticum collegam” Donzelli (visti i nostri rispettivi nickname elettivi), ti ringrazio veramente del fraterno appoggio testè dimostrato e volevo segnalarti, sempre se non la conosci e per i tuoi giusti premi consolatori, un’edizione della ripresa dal vivo di una recita al Festival di Salisburgo datato 1958, direzione Karajan (primo stile, quello meno rallentato, per intenderci) del Don Carlo con un Eboli/Simionato notevolissima, da parallelare a quella fondamentale della tua Nicolai ed accompagnata da un Rodrigo/Bastianini interessantissimo (antecedente alla sua rovinosa malattia, ma certo risultante più “villain” del grande Titissimo Gobbi), da un Re Filippo/Siepi dignitosissimo (e poco bleso, per fortuna), e dai più deboli : Don Carlo/Fernandi ed Elisabetta/Jurinac (il soprano austro-croato mozartiano, amante di turno a quell’epoca del grande bramino salisburghese), la meno convincente di tutti, edita in due CD dalla Deutsche Grammophone nell’ormai lontano 1995., che spero si possa trovare ancora in commercio. Se la dovessi ascoltare, fammi avere il tuo franco parere, un grazie e a presto. T.

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