Ascolti comparati. “Ah! se tu dormi, svegliati”: Elina Garanca e Guerrina Fabbri.

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Confessiamo che questa puntata di Ascolti comparati, dedicata alla melopea del Romeo di Vaccaj, brano amato dalle primedonne e per questa ragione spesso proposto come numero alternativo nei Capuleti belliniani, prevedeva, nel momento in cui è stata per la prima volta pensata, tutt’altro confronto. Partendo dalla recente notizia del rimpiazzo di Elina Garanca a opera della navigata Vesselina Kasarova nel Werther viennese, avevamo pensato di comparare per l’appunto in “Ah! se tu dormi, svegliati” il (nominale) mezzosoprano lettone e quello bulgaro, distanti per l’anagrafe solo undici anni e qualcosa di più in termini di durata della carriera sulle scene liriche. L’ascolto delle due esecuzioni, sostenuto dalla lettura dello spartito, ci ha indotto a scartare questa accoppiata, perché questa rubrica prevede una comparazione che, per risultare efficace, deve proporre letture e, ove possibile, interpretazioni, che radicalmente si discostino l’una dall’altra, anche solo per alcuni aspetti. Al netto della diversa qualità timbrica, peraltro livellata dal medesimo, e oggi abituale, oscuramento artificioso del suono, che porta a tubare la prima ottava nel tentativo di renderla più piena e vellutata, la Kasarova e la Garanca risultano assolutamente sovrapponibili, entrambe caratterizzate da una diffusa difficoltà a legare i suoni (difetto di capitale importanza in un brano di canto spianato, in cui la qualità del legato incide in maniera determinante sull’effetto della musica) e dall’incapacità di trovare un’omogeneità tra il registro medio-grave e i suoni al di sopra del do (sporadici, ma nondimeno presenti, e quasi imprescindibili laddove si voglia, come si dice in gergo e come sarebbe doveroso, diminuire, inserendo variazioni e fioriture, un brano di difficoltà esecutiva tutto sommato limitata). Abbiamo quindi pensato di proporre, accanto alla divina di oggi, una star di ieri, Guerrina Fabbri, che passa, e non senza fondata ragione, per uno dei misteri, o se si preferisce, dei fenomeni meno comprensibili della storia del disco. Leggendo le recensioni entusiastiche che suscitavano le performance della Fabbri e ascoltando i dischi incisi agli albori del ventesimo secolo, quando la cantante non arrivava ai quaranta anni di età (in compenso era prossima ai venti di carriera), riesce difficile comprendere, e ancora più difficile condividere, quell’entusiasmo, vuoi per il sistematico e ostentato ricorso a note di petto, che mal si conciliano con le ideali e stilizzate passioni di un Romeo o di un Arsace e che valsero all’esecutrice la nomea di “svaccona”, vuoi per l’uso e, sovente, l’abuso di portamenti. Eppure, ascoltata dopo la Garanca, la Fabbri risulta un modello e un esempio di uniformità tra i registri vocali, oltre che una virtuosa di scuola e (questo però era quasi ovvio) un’interprete varia e coinvolgente. Si ascolti ad esempio la frase “Sorgi mio ben mia speme” con salto di ottava (dal mi bem grave al mi bem centrale) e scala discendente al fa centrale: su quest’ultima la Fabbri esibisce un posizionamento della voce che le permette di passare a piena voce dalla zona dei primi acuti ai suoni centrali, senza che ne derivi una disomogeneità tra i registri (il famoso “scalino” nella voce), mentre la Garanca, che tenta di alleggerire il suono per minimizzare la medesima disomogeneità, perde il sostegno della voce e finisce per farfugliare. Ancora, alla frase “Amor ci condurrà”, costruita con una nuova scala discendente dal re acuto al sol centrale, la Fabbri esibisce un suono, pur in piano, compatto e di grande fascino timbrico, mentre la Garanca gridacchia il re, sussurra le note successive (omessa l’acciaccatura sul si bem, rispettata invece dalla Fabbri) e apre il suono (senza eguagliare la potenza strumentale della cantante ferrarese) sul sol di “condurrA’”. Poco o nulla sostenuti, nella frase immediatamente precedenti, i si bem della Garanca su “Amore”, mentre la Fabbri, con autentica prodezza, li emette senza soluzione di continuità rispetto al re grave precedente (“insiEME”), salvo poi ricorrere a marcati portamenti verso il basso (re e mi bem di “AmoRE”). La Fabbri interprete emerge su una frase di per sé non ostica, ma collocata proprio sul do centrale, vale a dire le due ripetizioni della parola “Amore” (sibem-re-do, labem-do-sibem), la prima in mezzoforte, imperiosa, la seconda in un languido piano. La Garanca, semplicemente, non pervenuta, o meglio, pervenuta solo per la macchinosità del canto in “piano”, frutto di insufficiente sostegno, in quella zona della voce. Arrivata al salto d’ottava “Vieni” (mi bem acuto-mi bem centrale) la Garanca esibisce nuovi suoni tubati e al limite dell’intonazione, mentre la Fabbri, pur ricorrendo ai soliti portamenti verso il basso, riesce nella prima parte della cadenza conclusiva a emettere anche al di sopra del do centrale suoni fluidi e al tempo stesso pieni e corposi, mai schiacciati in bocca o flautati, a differenza di quelli che la diva lettone inserisce in coda alla propria incisione. E questo non perché la Fabbri sia una virtuosa esemplare, ma perché possiede e padroneggia i fondamenti (e forse solo quelli, per giunta compromessi da un repertorio oneroso e praticato senza risparmio alcuno) di un corretto imposto vocale. Quell’imposto che risulta ignoto alle dive, osannate per contratto mille volte più di una Fabbri, del nostro claudicante (non solo per i numerosi forfait) presente.

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22 pensieri su “Ascolti comparati. “Ah! se tu dormi, svegliati”: Elina Garanca e Guerrina Fabbri.

  1. Più che altro la Fabbri, lei sì, è un vero mezzosoprano contralteggiante, e già per questo la sua voce risulta del massimo interesse. La non perfetta omogeneità della gamma non deve comunque farci cadere nel solito pregiudizio sulla voce di petto… la voce di petto, specie in una voce grave, è cosa buona e giusta che venga usata, anzi è inevitabile… Peraltro qualsiasi basso o baritono canta almeno i tre quarti delle proprie note di petto, ma nessuno si sogna di dire che per questa ragione il basso sia uno “svaccone”…

  2. Son d’accordo con Mancini: giustissimo usare la voce di petto.
    Sulla comparazione proposta da Tamburini ci sarebbe da discutere però: comparare vuol dire semplicemente confrontare qualcosa purchessia o mettere in relazione ciò che può essere messo in relazione? Del resto MiguelFleta ha già toccato il punto.
    Nel merito, entrambe le cantanti hanno pregi e difetti… Preferisco anche io, soggettivamente, la Fabbri, ma non mi sentirei di dire che la Fabbri sia oggettivamente meglio, semmai il contrario.
    L’elemento che più mi colpisce della Fabbri è la sua “lagna” nella voce, una copia perfetta – in questo – di Moreschi. Perché?

    • E chi stabilisce che cosa può e che cosa non può essere messo in relazione? Sono due cantanti che affrontano lo stesso brano.
      Del resto mi sembra di avere esplicitato con sufficiente chiarezza i parametri principali della comparazione: omogeneità tra i registri, gestione dei fiati, intonazione. Tutte caratteristiche chiaramente percepibili, per chi sappia ascoltare o almeno sia disposto a provare.
      Parlare della “lagna” nella voce della Fabbri è soggettivamente possibile, ma oggettivamente mi chiedo (e ti chiedo) come vada definita allora quella della Garanca, costantemente bloccata in gola e ovattata (la classica patata in bocca).

      • Eppure ti dirò che io la “patata in bocca” non la sento, né soggettivamente né oggettivamente; sento una voce non sempre perfettamente appoggiata.
        Laddove la lagna nella voce della Fabbri mi sembra oggettivamente indiscutibile, esattamente come in Moreschi (ed è un effetto evidentemente voluto). E non mi pare l’unico “difetto”, no?
        Quanto alla comparazione, il mero confronto non è comparazione; bisognerebbe sempre tener conto del contesto, no?
        E senza andar troppo per il sottile (sennò mi dirai che son parole al vento), a me sembra che un minimo esercizio dimostri che il contesto è tutto: io stamane ho ascoltato tutte le registrazioni pubblicate dalla Fabbri (cd Symposium); è ovvio che nell’ascoltatore (che non rifiuti in radice le voci storiche si crea un ambiente estetico certamente più favorevole alla Fabbri, laddove ascoltare una di seguito all’altra Garanca e Fabbri non può che condurre (per come la vedo io, oggettivamente: cioè ci sono argomenti più forti a favore della prima che non della seconda) a preferire G. Il che non vuol dire che G. non abbia difetti; ma ascoltando ex abrupto F., se uno trasecola non mi stupisco; e se uno l’apprezza io (proprio perchè apprezzo F.) sono a tutta prima sospettoso.

          • Sarò più chiaro, cara Giulia: non la sento perché non c’è; laddove la lagna dell’altra la sento perché c’è. Apprezza almeno la nettezza, tu che pensi – mi pare – che le cose sono o bianche o nere.

          • non la senti perchè non distingui una voce a fuoco da una indietro. non hai orecchio nè vuoi averlo……conosco bene il disco della garanca, l’ho dentito tutto ….ahimè

          • Per Giulia: può essere che se ascoltassi quel disco converrei con te (in quest’ascolto non sento patate); e del mio orecchio mi fido

            Per Tamburini:

            i) La G. ha una linea di canto, la F. no, o quantomeno un poco sconnessa
            ii) la G. ha una grazia nel porgere che la F. non ha
            iii) la G. appare come una cantante lirica, la F. come qualcosa di diverso, diciamo pure un po’ circense;
            iv) la F. ha non poco dell’isterica, la G. no.

            Mi sembrano ovvietà, che si dovrebbero ammettere da parte di chiunque l’ascolti (vedere ciò che in modo equilibrato scrive Scott, Rec. Sing., 164).

            Poi, detto questo, ben venga la diffusione della Fabbri, e lo studio della sua vocalità, in certa misura certamente affascinante, e utile per capire tante cose, ma con giudizio. No?

          • allora, io penso che l’obiezione sulla fabbri sia il GUSTO, in particolare i gravi . e su questo siamo concordi.
            ma che la voce di elina sia bellamente indietro, tutta, da sotto a sopra, si. il suono è sfuocato, non terso, impastato…la Fabbri quando innesta la marcia sopra mette la voce da un’altra parte.
            percò il GUSTO e la TECNICA sono due cose diverse.

          • Mi rispondi per punti, ma non citi un solo punto delle due incisioni in cui si palesino gli assunti che enumeri e non dimostri. Elencare concetti come “linea di canto”, “grazia nel porgere”, “apparire come una cantante lirica”, “avere dell’isterica”, senza indicare in quali passi dei due brani questi tratti si possano rinvenire (e in base a quali criteri vadano individuati), è un po’ come rispondere “la Garanca è bella e la Fabbri fa schifo”. Anzi, quest’ultimo approccio lo avrei trovato più sensato, se non altro perché più onesto. Io ho la presunzione di ritenere di avere elencato momenti precisi in cui posizione del suono, legato, intonazione divergono sensibilmente nelle due cantanti. Tu hai preferito tacciarmi di malafede (“ovvietà, che si dovrebbero ammettere da parte di chiunque l’ascolti”). Pazienza.

          • singolare caro Grondona come analisi in parte condivisibili arrivino a conclusioni opposte… Intanto distinguiamo il gusto dalla tecnica vocale come giustamente dice Giulia, e poi permettimi di dissentire completamente con quanto scrivi al punto iii. La Fabbri “appare come una cantante lirica” con tutti i difetti musicali e di gusto che possiamo trovare casomai, ma a me sembra che la G. invece appaia come “qualcosa di diverso”, a me ricorda tanto quei tenorini anni ’20 da canzonetta italiana, presente? “…mamma, mormora la bambina, mentre piena di pianto ha gl’occhi….” quel soffiare il suono, pulitino ma spoggiato, musicale ma noioso, inevitabilmente indietro.

  3. Non ne farei una questione di gusto, ma di tecnica: c’è solo un punto nell’esecuzione della G. in cui si sente che la voce è poco appoggiata (cantando piano); mentre nella voce della F. il problema è che non raccoglie i suoni bassi, e non è solo questioni di gusto; c’è almeno un attacco sporco; la sua lagna non credo proprio sia un fatto di gusto ma un fatto di emissione vocale; la stessa cosa accade in Moreschi. Vorrà dire qualcosa? Ecco la comparazione, per come la vedo io, andrebbe fatta tra Moreschi e Fabbri, altrimenti si perde la prospettiva storica.

    Questi che ho detto son difetti: forse non ieri, ma oggi sicuramente sì, e che siano difetti basta applicare il solito criterio: la F. è facilmente imitabile (anche nella sua pessima pronuncia), la G. non direi proprio.
    Si può dire che è un’esecuzione un po’ scomposta, quella della F.? Io direi di sì.
    Poi bisogna anche chiedersi: fino a che punto la F. piace perchè è più brava tecnicamente? non sarà forse che piace perchè è un po’ strana?
    A me le cose non sembrano così semplici come sembrate farla voi: una canta tecnicamente bene, l’altra è una dilettante.
    La F. mi sembra tutto tranne che una belcantista: mi fa venire in mente la Carelli.
    La G. sarà poco comunicativa, poco varia, un po’ vuota sotto ecc., ma se non altro ha un senso dello stile e del porgere che per essere cantanti lirici si richiede da qualche tempo.

    • Se ascolti con attenzione ti accorgerai che la voce della Garanca è costantemente in difetto di appoggio, il che la porta a bofonchiare (quando canta piano) e a gridacchiare (quando canta forte). Sempre per la stessa mancanza di appoggio la dinamica piano-forte risulta appiattita verso il piano, tanto che distinguere piano e forte diventa, alla fine, più un esercizio accademico: possiamo definire “forti” i suoni di maggiore volume, ma la voce non ha l’espansione e il mordente di quella della Fabbri in zona do-fa acuto. E considera che la Garanca sarebbe un soprano lirico, se sapesse cantare, e quindi proprio in zona medio-alta dovrebbe avere maggiore facilità e ampleur. La Garanca purtroppo è imitabilissima, come la Kasarova prima di lei, e i risultati di queste imitazioni li sentiamo tutti i giorni o quasi, anche in voci che sarebbero in potenza promettenti, come quella di Tara Erraught, salita agli onori delle cronache un paio di anni fa quale rimpiazzo della Kasarova nei Capuleti monacensi e ora pronta lei stessa per essere rimpiazzata da qualche altra brillante promessa. Va bene il ricambio generazionale, ma qui si esagera. Quanto alla Carelli, altra celebrata strillona, vantava un controllo del fiato, e per conseguenza una dinamica varia e fantasiosa, ignoti alla Garanca e alle altre signore e signorine care all’industria discografica, e basta il “Donde lieta” o il “Dopo” della signora Mocchi a dimostrarlo. Venendo poi al senso dello stile e al gusto nel porgere, forse ti sono poco familiari i dischi di Eugenia Mantelli, Sigrid Onégin e Zara Dolukhanova, tutte cantanti (e sono solo tre dei molti esempi possibili) venute un po’ prima del “qualche tempo” (parliamo dell’era karajaniana, della Rossini Renaissance o delle ultime imposture targate DGG/Decca/Sony?) cui nebulosamente alludi.

  4. Pur con le eccezioni del caso (oggettive e soggettive) a mio avviso la cosa che accomuna Fabbri e Garanca é l’appartenere ad un periodo di vacche magre per le voci femminili. Nel periodo della Fabbri una cantante dotata come lei ma con ovvi difetti di base (vocalizzazione -nel repertorio belcantistico-) o conseguiti (intonazione presumo a seguito di anni di onoroso repertorio) che compensava con estroversione “attaccando”, ai giorni nostri, nel periodo della Garanca i suoi difetti vengono compensati con introversione “difendendo”. Assolutamente irrilevante é come ho più volte sottolineato avere rancori verso un cantante solo perché a lui si interessa DGG/Decca o Sony…il vero Star System é finito pochi anni dopo la morte di Karajan e con l’avvento di Internet che rende assolutamente antieconomico investire nella musica colta. Piccola nota di parrocchia, ieri il vostro don alberto (Dio lo protegga) ha assistito a Nozze di Ficaro a VE. C’era una Susanna (Sonia Feola) e una Contessa (Marita Solberg) che avevano la voce avanti come piace alla Grisi e quindi le prime due ottave ben impostate, vantando un registro acuto al momento discreto (perché intonato anche se non molto luminoso) ci potrebbero riservare qualche buona sorpresa.-

  5. :-) ah ah sono in giro con l iphone e non riesco a sentire i due estratti che hai postato (immagino facciano pena) cmq ieri sono state una coppia molto superiore a tante altre colleghe ascoltate negli ultimi sette otto anni. Giuro!

  6. Da semplice ascoltatore che non si intende di musica direi che non c’è lagna nel canto della Fabbri e semmai sarebbe lagna d’autore.
    Penso che la Fabbri segua una linea di canto straziata dall’inizio alla fine e che la Garanca canti le note in maniera forse aggraziata, come è stato detto, ma tranquilla malgrado la situazione tragica. Con il gusto di oggi la Garanca può piacere (anche per il solito vantaggio di una migliore registrazione) ma secondo me l’autore ha scelto un soggetto così per emozionare strappando magari qualche lacrima e preferirebbe la Fabbri perché senza strazio l’opera perde significato. Le buone recensioni che la Fabbri ha avuto ai suoi tempi forse tenevano conto dell’interpretazione (che distinguo dall’esecuzione).
    Fino a qualche anno fa nessuno si era era accorto di tutti questi cantanti così noiosi.
    Anche Plancon in un articolo precedente è stato scambiato per lagnoso: qualcuno ha paragonato la sua interpretazione di Minuit Chretien a una marcia funebre. Il testo del Cantico natalizio parla di solennità (l’heure solennelle) e di trasalimento (le monde entier tressaille d’espérance), senza contare che in passato c’era forse un senso religioso piu timoroso rispetto ad oggi. Un’interpretazione dovrebbe fare sentire queste cose. Ma c’è chi pensa che l’accento giusto per Minuit Chretien sia quello di Thill che lo interpreta in maniera quasi esultante.
    Credo che oggigiorno si tenda a scambiare ciò che io considererei buona interpretazione per lagna, leziosaggine, compiacimento, vezzo, cattiva tecnica mettendo un cantante in cattiva luce in maniera immeritata, dando un’informazione sbagliata.
    Così capita di sentire che Caruso nello stesso brano di Adam è lezioso e rende il Natale più triste e lagnoso, Siepi in Lacrimosa dal Requiem di Verdi diretto da Toscanini pensa alla voce, è immobile, non espressivo, la Popp nell’aria di Lisa dalla Dama di Picche è Lisa stessa, mentre la Medea Mei Figner che ha creato la parte sotto la preparazione dell’autore è il trionfo del portamento.

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