I Capuleti e i Montecchi a Reims. Jessica Pratt debutta come Giulietta

Trovandomi a Parigi per l’ennesima esibizione trionfale al Théâtre des Italiens, stanca dalla tumultuosa metropoli, decisi di approfittare del bel tempo domenicale per visitare Reims, città della coronazione di tantissimi “rois très-chrétiens”. Ero curiosa di andarci anche perché all’opera di Reims davano I Capuleti ed i Montecchi di Bellini con Jessica Pratt al suo role debut come Giulietta. Nonostante si trattasse di una recita pomeridiana, la sala, abbastanza piccola, del teatro si è riempita solo a ¾, con la maggioranza dei posti laterali vuoti su ogni piano. Quando poi è iniziato lo spettacolo, l’orchestra si è rivelata un’autentica banda di paese, in testa il direttore Luciano Acocella, incapace di produrre in particolare nei “tutti” altro che un’indistinta massa sonora, quando non del tutto sommersa dagli ottoni stonacchianti. Nei vari preludi alle scene dove Bellini ricorre a lunghe melodie affidate di volta in volta al corno, al flauto o al clarinetto, i solisti hanno dato il loro meglio, sempre pronti ad ornare le loro prestazioni con parecchie stecche. Malgrado l’avviso che l’opera sarebbe stata cantata in italiano, il coro (un gruppo costituito dall’Ensemble Lyrique Champagne Ardenne ed il coro dell’opera di Avignon) ha intonato l’introduzione dell’opera con un accento francese assolutamente perfetto. Per un momento ho quasi creduto che a Reims si facesse la lirica ancora secondo la buona vecchia tradizione di far cantare ad ogni elemento del cast nella lingua più conveniente. La regia, a firma di Nadine Duffaut, pareva accontentarsi di fare girare i personaggi di qua e di là, su e giù, o farli ripetere in maniera esasperante certi gesti (come l’inchino di Tebaldo verso Capellio e gli spostamenti meramente decorativi degli uomini) nell’unico scopo di “riempire” il tempo o lo spazio aperto da una musica, a dire il vero, non sempre molto ispirata e per questo ancora più dipendente dalla realizzazione scenica. Si tratta in ogni caso di una soluzione poco efficace su un palcoscenico di piccole dimensioni come quello di Reims. Riguardo la cura dello spazio, l’unica intuizione efficace della regia è stata l’installazione di un sipario trasparente come barriera tra sfondo e proscenio, il che permetteva una certa sincronia fra spazi disparati (spesso solo “mentali”). Le varie schermaglie degli statisti che rappresentavano i membri dei due clan durante la sinfonia e delle scene di scontro cadevano a tratti nel comico involontario. Lo sfondo dipinto, con parecchie scale destinate soprattutto alle corse e battaglie dei nemici inferociti, sembravano volere evocare le scenografie ottocentesche. Insomma, uno spettacolo provinciale che lasciava cantare i cantanti e che narrava la vicenda provando al contempo ad arricchirla con gesti scenici che tristemente combinavano decoratività e ridondanza.

Per quanto riguarda il quintetto dei protagonisti, il Lorenzo di Eric Martin Bonnet abbina un costante urlare con voce grezza e l’imitazione pseudo-elegante dei portamenti alla Ghiaurov nel modo più provinciale possibile. La voce di Ugo Guagliardo nei panni di Capellio possiede un timbro molto bello e ancora fresco, però l’emissione è quella solita dei bassi odierni, per cui in acuto si finisce sistematicamente nel naso. Il Tebaldo di Florian Laconi è una serie di stecche e forzature prodotte da una voce non ingolata, ma comunque sempre molto bassa in seguito all’assenza totale di un sostegno respiratorio.

Julie Boulianne nei panni di Romeo è l’ennesimo soprano lirico dalla voce sonora nella seconda ottava che ci si presenta come mezzo-soprano a causa dell’incapacità di fare altro che urlare in acuto. La parte centrale della voce sembra un’imitazione di Janet Baker, mentre in basso è o soffocata o del tutto inesistente. Pessima nella cavatina d’entrata e disastrosa nella cabaletta dove le sue intenzioni di aggiungere variazioni e puntature si urtavano costantemente con un’emissione bloccata in tutti i registri. Nel canto spianato del duetto con Giulietta ed in specie nella scena finale dove la parte gravita prevalentemente nella zona medio-alta, la giovane cantante si sente più a suo agio e dimostra di possedere una musicalità ed una volontà di comunicare che potrebbero approfittare di una ripassata nello studio.

In tale ambito la differenza che corre tra i quattro cantanti sopracitati e la Giulietta di Jessica Pratt diventa un vero e proprio abisso, perché sin dalla prima frase del suo recitativo diventa chiaro che il soprano australiano e gli altri non stanno forse neanche praticando lo stesso mestiere. Nella parte superiore della voce la Pratt è quello che ci è sempre tanto piaciuto e lei lo dimostra con orgoglio ovunque la scrittura del ruolo le permetta di aggiungere puntature o sopracuti, come il Mi bemolle timbratissimo e penetrante quasi un coltello in chiusura della stretta del finale primo o il Mi naturale alla fine di “Ah non poss’io partire” in cui la sua impressionante potenza vocale le consente di esprimere con grande energia la disperazione di Giulietta. Il suo canto spianato ed il gioco con il linguaggio belcantistico (i piani, i trilli, le messe di voce) mi sono sembrati applicati in modo meno artificioso e meccanico rispetto alla Sonnambula veneziana. Anche se la Giulietta della Pratt non è mai una vergine completamente fragile, l’aria del primo atto, a parte un iniziale vibrato pronunciato, respira una grande tensione interna.

Il lato debole della voce del soprano australiano risiede sempre nella parte inferiore della voce. Malgrado il notevolissimo miglioramento della zona centrale durante gli ultimi anni, il metodo in cui è ottenuto il suo ampiamento non mi pare completamente soddisfacente. V’è un elemento di sordità che fa assomigliare il suo centro a quello di June Anderson nella prima fase della sua carriera. Il modo problematico con cui la Pratt scende salta alle orecchie in certi passaggi dove la linea vocale risale dal centro-grave verso gli acuti. In specie nell’aria del secondo atto “Morte non temo, il sai” in seguito a tale risalita il suono si rende un poco sordo addirittura nella zona medio-alta, riportando dal basso la sordità invece di quella medesima facilità e brillantezza che, malgrado certi limiti naturali, il lavoro sull’omogeneizzazione dell’intera gamma avrebbe dovuto sapere trasmettere dagli acuti anche al centro ed ai gravi. Si rende evidente poi una grande discrepanza fra la gloriosa proiezione della voce in alto e l’assenza di una vera cavata in basso. Premettendo che il problema del centro e dei gravi non è un limite di natura (perché l’estensione c’è con tutta evidenza), al nostro amato soprano non posso che augurare di rivisitare il metodo applicato in queste parti della voce. C’è ancora tempo per rimediare a quello che è il problema comune di qualsiasi soprano lirico-leggero o/e di coloratura del dopoguerra, ossia l’assenza di una vera facilità nella zona inferiore, forse causata dalla negligenza od anche dal sospetto contro l’uso della voce di petto oppure semplicemente dalla mancanza d’orecchio per un centro e dei gravi prodotti con voce veramente leggera e franca. Della risoluzione di questi problemi dipenderebbe, come già affermato nel nostro blog, il successo del soprano australiano in ruoli belcantistici romantici come la Borgia, la Norma, la Stuarda o anche la Bolena, i quali potrebbero trovare nella Pratt non un sopranone drammatico, ma un soprano di coloratura capace di legare la maestria nel possesso del linguaggio belcantistico con una potenza vocale introvabile in tutte le belcantiste e pseudo-belcantiste odierne – una potenza che, tra l’altro, è l’appoggio di quell’affascinante aggressività interna che sembra essere la chiave personale prediletta della Pratt nel approccio ai suoi personaggi.

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37 pensieri su “I Capuleti e i Montecchi a Reims. Jessica Pratt debutta come Giulietta

  1. Tutta la mia solidarietà cara per la pessima esperienza a Reims che mi sono approciato a leggere con l’invidia per una serata che a me avrebbe evocato quella di M.me Bovary all’opera di Rouen. Non ascoltavi Lagardy ma una buona Pratt, consolati i suoi Mi bemolle sono merce rara…confido poi che al tuo fianco ci fosse un vero Manzo, italiano o francese non importa, che abbia fatto il suo dovere per il dopo teatro….

  2. attendiamo l’annuncio ufficiale della stagione . Sarebbe una buona scelta. La pratt ha già cantato Lucia quasi in tutti i teatri italiani. La scala è sempre la prima si potrebbe dire con facile ironia

    • Mi verrebbe pure da dire che sarebbe ora di ascoltare una buona Luca in Scala, visto che le ultime interpreti lasciavano molto a desiderare (Devia compresa, che mi “regalò” la più noiosa serata d’opera della mia vita, a pari merito con l’ultimo Tancredi meneghino).

      Ps: il vero problema di Lucia, però sta in Edgardo e (paradossalmente) nella bacchetta…

  3. Sicuramente una scelta intelligente quella della Pratt per Lucia in Scala, un ruolo in cui la trovo ineccepibile. Spero però che le consentano di cantare molti ruoli rossiniani in Scala, in cui potrebbe dare il meglio delle sue doti vocali e del suo repertorio tecnico. In Giulietta non credo possa convincermi, così come non mi è mai sembrata pienamente convincente nei Puritani. Per questi ruoli preferisco voci per lo meno lirico-leggere e non puramente leggere, in grado di esprimere (almeno sulla carta) meglio la dinamica e il lirismo di Bellini.

    • Io più che in Rossini vorrei ascoltarla nel sommo Mozart (Konstanze in primis)… Detto questo non sono d’accordo sul definire la Pratt un soprano leggero: ormai i sopranini coccodè che infarcivano le parti di esangui ghirigori liberty sono off limits PER FORTUNA, e certi ruoli sono stati ripensati (a partire dalla Callas). La Pratt non rientra nella categoria anche se, purtroppo, indulge ultimamente in un fastidioso “bamboleggiare” fuori tempo massimo. Spero cambi! Quanto a Puritani deludono perché la tessitura è troppo bassa per la sua voce: è un errore di repertorio.

      • D’accordo su tutto. Ma per soprano leggero non mi riferisco in questo caso all’uso dei ghirigori liberty ma a una mera questione di “tonnellaggio” vocale. Anche se posso comprendere che oramai la definizione di soprano leggero o di coloratura possa andare a farsi benedire visto che sulla carta la Gruberova, che ha 8 volte la voce di una Pratt, dovrebbe essere un soprano leggero, anche se potrebbe cantare Wagner. Ma d’altra parte in questo caso è una questione di decadenza tecnica piuttosto che di doti di madre natura.

      • Ma… scusa, non ti seguo, i Puritani sono la parte in cui ho sentito la voce della Pratt dare il proprio meglio, sfoggiando un’ampiezza e sonorità che mai più ho sentito in nessun’altro ruolo da lei affrontato, bassa forse risulta Sonnambula (scritta per la Pasta, infatti), ma i Puritani nel complesso non direi proprio (eccetto qualche sporadico momento). Non sono d’accordo che deluda, se qualcosa le manca è sul versante espressivo e stilistico (le manca forse l’abbandono lirico, il languido legato belliniano, la morbidezza timbrica), avendo lei un temperamento vocale che a parer mio si addice maggiormente a certo Rossini (ne è esempio la ben riuscita Adelaide a Pesaro).

        • Qui Mancini ha proprio ragione in tutto. La Pratt ascoltata dal vivo ha ogni tanto delle strane oscillazioni di densità fra i registri ma non può essere ritenuto un soprano leggero vecchio stampo che poi é concetto relativo che sta bene per una Roberta Peters o una Kathleen Battle ma va stretto anche a una Serra. Questa per esempio che aveva voce chiara a domanda esplicita diretta a Celletti su chi potesse considerarsi una epigone della nostra amata Joan, non esitava ad indicare lei. Io storcevo il naso (perché mi ricordava piuttosto la Toti) ma in una cosa aveva ragione: La voce della Serra si sentiva dappertutto. Anche la proiezione della Gruberova si nota di più ora che in giovane età. Lei quasi come la Callas sapeva essere camaleontica a seconda che stesse interpretando ruoli leggeri come Regina della Notte Amleto Ariadne o Adele piuttosto che quelli sdoganati come Lucia (dove giocava molto sulle dinamiche). O ancora Gilda cui dava un’impronta lirica, quasi più che in Donna Anna dove era molto chiara tanto che si imponeva come nessuna prima di lei nel terzetto delle maschere o connotando di una malinconia verissima la sua grande aria.-
          Meno persuasivi a mio avviso risultavano i passaggi drammatici della parte dove non nascondeva (giustamente) le sue origini, di tra virgolette, soprano leggero.-
          Ben diverso e ben più scuro é il colore di base della Pratt che quindi non mi sognerei mai di inserire nella categoria dei soprani leggeri.-
          Non essendo da punto di vista espressivo un fulmine di guerra trova forse in Rossini i ruoli connotati di quell’astrattezza che tanto si sposa col suo impianto virtuosistico.-

          • Caro albertoemme,
            Mi permetto di correggerla ma il colore del timbro non ha nulla a che vedere con la leggerezza del soprano…Altrimenti la Pratt sarebbe un drammatico e la Nilsson una zanzara…Ci sono stati diversi soprani drammatici con voci dal timbro chiaro e per questo apparentemente “piccole” in incisione e viceversa ci sono stati e ci sono (e per me la Pratt è un esempio calzante) soprani leggeri con un timbro brunito e fonogenico che fa apparire nelle registrazioni la voce molto più ampia e voluminosa di quanto in realtà sia. Ovviamente il mercato di oggi preferisce questo tipo di voci…fonogeniche appunto…

          • kirsten, mi sa che il mercato oggi non preferisce nieten. di mostri orrendi che spaccano le orecchie ne abbiamo tantissimi, e famosi. a cominciare da..sondra?!!!??!!!

          • Ma sicuramente il mercato premia attualmente urlatori e urlatrici. Ma in questo panorama il tipo di voce che viene preferita è quella gonfiata e brunita per apparire quello che in realtà non è. In questo caso specifico non sto parlando della Pratt ma delle varie Netrebko, Stemme, Kauffman etc. etc.
            La Pratt ha un timbro che registrato appare piuttosto scuro e fonogenico per un soprano leggero (soprattutto in zona centrale e nei primi acuti); penso ad esempio rispetto ad una serra, una devia o anche molti timbri di soprani lirico-leggeri dell’est che in incisione sono acidi e chiari ma che dal vivo presentano un volume decisamente superiore a quello della cantante australiana. E’ proprio il colore del timbro della Pratt che fa apparire la sua voce molto voluminosa in registrazione (appunto come quella di una sutherland o anderson). In realtà dal vivo la voce è la normale voce di un soprano leggero medio. Che poi molti soprani leggeri giovani di oggi cantino da schifo è purtroppo la crudele realtà. Ma secondo me la grandezza della Pratt non è da ricercare nell’esaltazione di doti naturali che sono nella norma di un buon soprano leggero di un ventennio fa (quando viene paragonata alla Sutherland di cui possiede 1/20 del volume mi viene da sorridere) ma nella correttezza tecnica che, considerando il momento storico, è una perla rara e andrebbe per questo tutelata come esempio di qualità e di una giovane che, studiando continuamente, sta facendo un’ottima carriera.

          • Mah, stai dicendo che la Devia avrebbe più volume della Pratt? A me non pare proprio…

          • La Devia è stata citata come esempio di un soprano leggero dal timbro chiaro, non tanto quanto una Serra ma sicuramente più chiaro di quanto non lo sia la Pratt. Se volete puntualmente cercare di riportare la discussione su un confronto fra la Devia e la Pratt (il mio intervento era ben più lungo e citava la Devia insieme ad altri cantanti) conoscete già la mia opinione (che ho illustrato svariate volte). La Devia è per me meno sonora della Pratt nei primi acuti che la Pratt spinge, ma è indubbiamente molto più sonora nei sovracuti che sostiene con maggiore sicurezza malgrado l’età e proietta molto meglio. Ma entrambe non sono nemmeno lontanamente paragonabili a una Anderson o una Sutherland come potenza e volume. Ma nemmeno ad una Gruberova dei bei tempi!

  4. Anche a me non convince la Pratt nei Capuleti. Ho sentito alcune volte la sua piccola voce brunita, dotata di un buon, ma non glorioso, settore acuto, ma la reputo più adatta in Rossini, in Donizetti leggero, e potrebbe osare più in Mozart…..Paragonarla alla Anderson mi sembra forzoso, forse un paragone culturale per il fatto dell’americanità di entrambe.L’assenza che è emersa nella cavata in basso è tipica di un artificioso ingrossamento della voce nel settore centrale, necessaria in un opera come Capuleti, molto centrale. Mi auguro che cambi repertorio, altrimenti c’è il rischio di ingigantire la discrepanza tra i due settori con un ingrossamento artificioso del centrale e la perdita dell’acuto….ancora sta reggendo per l’eta giovane….ma mi domando….fino a quanto reggerà se continua così??

    • Piccola la voce della Pratt in acuto – proprio no. Gli acuti hanno un’espansione che farebbe crepare d’invidia gli odierni soprani “drammatici”.
      L’ho paragonata alla Anderson solo in merito al registro centrale e basso.

      • Si hai ragione, è australiana! sempre anglofona è! L’ho ascoltata da vivo, ma diciamo che lasciandomi sempre con un velo di delusione non ho mai approfondito la sua “vita privata”…….devo dire che ha acuti buoni……per un soprano leggero ovviamente, ma da far invidia ad un vero drammatico proprio no…..e sovracuti altrettanto buoni, anche se spesso stretti, duri e non grandissimi….fraseggio generico ma buona presenza scenica.

        • …..ripeto, non è vero nemmeno che è americana. nemmeno….cioè nemmeno quello di ciò che hai scritto in quel post. ed anche qui. soprano drammatico? e chi ne ha mai parlato??????…..se parliamo di canto, allora ok. se invece sei qui a dire sciocchezze gratuite, allora amen. ciao

          • Infatti di sciocchezze e di letture di parte ne ho sentite troppe qui! In un blog, in teoria, si dovrebbe esprimere liberamente , senza offese, il proprio pensiero, argomentando a vicenda cercando di confrontarsi anche su pareri e gusti diversi.Trovo un atteggiamento poco rispettoso e “professionale” , nonché un eccesso di aggressività, certe vostre affermazioni, soprattutto quando si toccano alcune “figure canore”…….mi dispiace. vi saluto e cercherò blog più rilassanti e positivamente “critici”. Auguri per tutto!

          • Stiamo semplicemente discutendo. Appassionatamente. E stiamo chiedendo che ciò che è scritto venga letto in modo adeguato. Quando scrivo che gli acuti della Pratt farebbero invidiare un odierno soprano “drammatico”, le virgolette dovrebbero rendere chiara l’idea che oggi non c’è quasi nessun soprano drammatico che avrebbe la potenza e proiezione in acuto uguale agli acuti della Pratt, soprano lirico-leggero di coloratura.

  5. ho appena ascoltata questa recita registrata,inviatami da Rigo,insomma la Pratt si conferma per una dei migliori soprani odierni in circolazione,in questi ruoli belcantstici,poi ognuno può trovare pregi o difetti come in tutti i cantanti,il punto debole della Pratt si sa ,e il registro centrale,ma è molto migliorata su qusto punto rispetto a un paio di anni fa.

  6. Mah, io non la trovo un soprano leggero.
    Non e’ che l’abbia sentita all’ Arena o allo Sferisterio,
    l’ho sentita a Pavia, a Pesaro e a Cremona.
    Poi, ma solo audio, da vari altri teatri. (L’Armida era all’aperto).
    Mai ho avuto l’impressione di ascoltare un Soubrette,
    o una Chanteuse à roulades, al limite potrebbe essere catalogata
    come Koloratur, e di volume non proprio esiguo, direi.
    Ha metodo piu’ che sufficiente per poter cantare tutti i ruoli che
    sino ad oggi ha cantato, e mi sfugge la motivazione per cui
    la Giulietta belliniana potrebbe essere per lei un ruolo pericoloso.
    La trovo una cantante alterna, spesso noiosa, ma vocalmente a posto.
    Rara avis, la Jessica ha in questi anni migliorato il suo bagaglio tecnico, e penso che il suo maggior problema sia la comunicativa.
    Pero’, come sempre almeno per me, prima comincia a
    cantar bene, che per il resto poi ci organizziamo.
    E’ alterna, e’ alterna porella, ma e’ una di quelle brave senza
    essere miracolose.
    Comunque, nell’ Adelaide a me e’ piaciuta molto, e sino a qui’
    e’ la cosa migliore che ha cantato, e non mi ha neppure stufato.
    Per me lei e’ Konstanze, e aspettando Konstanze, comincero’ a
    sentire la sua Inez, che, ne son sicuro, non le dara’ nessun, ma proprio nessun problema vocale, figurarsi, vorrei proprio sapere invece a chi faranno cantare Nelusko e Selika, porelli. Ciao.

    • quando si allestisce africana e l’unico punto di forza o almeno elemento interessante del cast è la ines forse bisognerebbe interrogarsi sulla validità di una tale scelta. Per altro emblematica dei tempi correnti nel senso dell’incapacità a pensare congruentemente e programmare

      • Il discorso è ampio e complesso, però credo sia doveroso – per non scadere nei soliti quattro titoli di un repertorio ormai noioso e risaputo – proporre titoli come L’Africaine…certo anche se non tutto gira alla perfezione. Il grand-opéra oggi dovrebbe essere ripreso con altro spirito: io mi accontento di una produzione onesta, pur di sentire titoli importanti e dimenticati. Certo non amo sentire il malcanto, ma in un’ambiziosa operazione di recupero (come è quella di Meyerbeer), non mi sembra utile fermarsi ad un solo aspetto. Io ho assistito a Bruxelles alla prima ripresa in epoca moderna degli Huguenots in forma integrale: non tutto funzionava e molte potevano essere le pecche, ma quando capiterà ancora di ascoltare l’opera completa e in forma scenica? Certo si deve privilegiare il tutto sul singolo gesto canoro…pazienza, ma alla fine – in un bilanciamento di interessi – l’esito è stato positivo. Mi auguro sia lo stesso per L’Africaine, opera estremamente affascinante (a cominciare dal soggetto).
        Tornando alla Pratt: gradirei sentirla di più in Mozart o in Handel, o nel Rossini serio (perché di quello comico le manca verve e spirito) piuttosto che nell’ennesima Lucia o Elvira o in bizzarri esperimenti verdiani.

          • sul grand opera in senso stretto t do ragione al 100 x 100 e sbaglia la scala a non cercare d farlo. Per esempio potrebbe allestire Ugonotti con Florez Devia Agresta Podles poi un baritono e due bassi li troviamo

          • Sul fatto che il grand-opéra necessiti di mostri assoluti ci sarebbe da chiarire. Nel senso che, certamente, è stato cantato dai divi più in voga dell’epoca (e questo è normale), ma se andiamo ad analizzare la maggior parte di quelle partiture – spesso mediocre artigianato di dubbia ispirazione – si nota che le difficoltà reali risiedono solo nella lunghezza delle parti e in qualche soluzione puramente esteriore. Insomma basta una qualsiasi partitura di Rossini per mettere in difficoltà ben maggiori – che non si risolvono nella corretta ginnastica vocale o all’effetto senza causa (a cui spesso si riduce il grand-opéra) – per non parlare di un Handel o Cherubini o gli stessi Bellini e Donizetti. Si prenda un lavoro come Robert le Diable e lo si paragoni al Tell (oppure Il Crociato in Egitto paragonato a Semiramide)…da una parte il mestiere e la maniera (con le difficoltà di un tecnicismo esasperato e sterile) dall’altro il genio e la più alta ispirazione (con difficoltà ben più grandi della mera correttezza).
            Detto questo è ovvio che occorrano buoni cantanti, un direttore che sappia comprendere la portata e l’impegno di un’operazione così grandiosa e ambiziosa, un regista che ci risparmi dalle sue elucubrazioni nazistoidi… Anche perché se si aspettassero i mostri assoluti ci ritroveremmo stagioni di quattro titoli risicati :)

          • ma…io non ho detto nulla che volesse avere valore musicale. Esteriore o no, raoul piuttosto che marcel o fides o jean de leyda o i protagonosti di crociato etc sono ruoli tremendi che non si risolvono afffato come tut dici ma che sono dei must vocali assoluti. Ci vogliono voci grandi per passare orchestre e ensemble etc, estese, agilità di forza espressività su ogni lato. Dei giudizi musicologici poco mi importa, resteranno per sempre parti mostruose. Oggi possiamo coprire a fatica solo alcuni ma non siamo in grado di formare cast per nulla. A venezia fanno un africana con la terza dei protagonisti e senza i primi due…..ridicolo.

          • Neppure io sto parlando di valore musicale. Dico che tra le formule complesse, ma tutto sommato meccaniche e manierate, di Meyerbeer (per non parlare del vuoto spinto di un Pacini o Mercadante o compagnia bella), e le difficoltà insite in una qualsiasi parte scritta da Rossini o Bellini o Donizetti, vi sia una profonda differenza. Ovvio che si tratta di parti difficili, non lo nego, ma il grand-opèra resta uno scoglio più per le dimensioni e l’impegno delle masse (orchestra coro ballo) o per la lunghezza, più che per le difficoltà dei solisti (che si trovano – ben maggiori – in altri autori che non hanno conosciuto l’oblio). Insomma è come uno studio di Clementi rispetto ad una sonata di Beethoven.

  7. penso che se davvero la Pratt canta Lucia alla Scala non sarà difficile recuperare due registrazioni dallo stesso punto e capire se ha più voce la Devia o la Pratt -e magari ci aggiungiamo la Ciofi che ne ha di meno 😉 – Io credo siano pari. Sarà divertente verificare il confornto Italia-Australia

    • è proprio questo il problema…le registrazioni sono molto ingannevoli in quanto il timbro maschera il reale volume e la potenza del cantante. Se dovessimo giudicare da una registrazione la Nilsson sembrerebbe più leggera della Pratt

      • La Pratt l’ho sentita spesso dal vivo e sinceramente non mi ha mai dato l’impressione di un timbro brunito e sicuramente mai di un “brunito per inspessimento artificioso”. Per curiosità ho appena ascoltato una registrazione ed in effetti può dare quest’impressione (ma non di artificiosità però). Dal vivo ha una linea di canto che definirei, alla carlona, più eterea di quel che appare dalle incisioni.

        Tra l’altro è venuta qualche mese fa qui a Treviso, dove si è esibita gratuitamente ad un’iniziativa di beneficienza organizzata da un suo amico per l’Advar, onlus che gestisce una casa di cura per malati terminali. Menzione di lode alla Pratt anche quanto a sensibilità umana. E non si è minimamente tirata indietro sul programma, avendo ad esempio eseguito tutta la scena della pazzia oltre ad altre arie piuttosto impegnative.

        Ho, parimenti, sentito la Devia di recente sempre a Treviso e quanto a compostezza e linearità di canto la Pratt ha ancora tanto da imparare (soprattutto nelle scale discendenti), mentre per forza vocale ed espansione in acuto la trovo più brillante e naturale.

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