Norma: regole e rispetto della scrittura vocale

Norma è il modello di melodramma tragico precedente la produzione verdiana, dotato di un fascino, che investe cantanti, prese dall’irrazionale desiderio di cantarla, e pubblico, che accorre per assistere alla rappresentazione del capolavoro belliniano.

 

Poi Norma ha un piccolo difetto per il primo gruppo  (ossia le cantanti) quello di dover essere prima cantata e poi interpretata,  per il pubblico quello di un’onesta valutazione della rappresentazione, superato il fascino del titolo, il piacere di vederlo rappresentato.

 

Difetti non da poco che, senza tracciare la storia interpretativa del capolavoro belliniano sulla quale il Corriere della Grisi si è  più volte diffuso, impongono all’onesto ascoltatore paletti irrinunciabili per capire e valutare le singole  rappresentazioni del melodramma.

 

Ripeto: Norma rappresenta il titolo tragico più diffuso e rappresentato in uno con Semiramide, prima dell’epopea verdiana. Tutte le grandi Norme sino al 1880 furono anche grandi Semiramide.  Giuditta Pasta, per prima,  Giulia Grisi, Barbara Marchisio, Teresa Tietjens. Non tante, ma le più grandi sino alla Russ ed alla Boninsegna. Ma Norma è un passo oltre Semiramide per la scrittura vocale. Norma è pensata da un compositore che,  talvolta, si lasciava prendere la mano e, poi, doveva “correre ai ripari”. In Norma la “presa di mano” è documentata dalla tonalità originale di sol per “Casta diva”, che spinge la cantante a fiorire su note come il si bem (ovvero do per la versione in sol), che sono per un soprano tragico acuti estremi. Questa “scivolata” venne rimediata  prontamente  (dalla medesima Pasta, credo) con la più agevole tonalità di fa. Altri rimasero come gli acuti  estremi attaccati scoperti  nei momenti di maggiore furore del personaggio: paradigmatici i due do sparati nel “no non tremare o perfido” ed anche quello sempre scoperto de “sangue Romano” nella scena che dà principio alfinale secondo e segue di poche battute quello da emettere con languore e dolcezza su “primo amore”, testimonianza di come una singola nota possa esprimere diverse situazioni drammatiche nel volgere di pochi istanti. Altre volte il furore di Norma ossia il parossistico sentimento è espresso con metodi più tradizionale come la scala di trilli de “Adalgisa sia punita” o le quartine di forza (more Colbran) di “nelle fiamme perirà”,  che portano la voce al si bem acuto. Oltre tutto come tutte le parti scritta per Giuditta Pasta il finale  impone alla protagonista una inusuale resistenza fisica, atteso che alla protagonista (al secondo atto fuori scena solo durante l’aria di Oroveso) è sempre in scena e sempre chiamata a cantare toccando tutte le corde del canto tragico. Ascoltare il secondo atto ovvero leggere lo spartito.

 

Nessuno può negare che Norma sia la più completa realizzazione di un tipo vocale e l’interpretazione  può anche assumere sfumature differenti dall’una all’altra interprete, ma le esigenze vocali rimangono uguali per tutte ed incombenti sulla protagonista. Non per nulla cantare Norma, sino a qualche decennio or sono, imponeva ai soprani cautela nella decisione, lunga ed accurata preparazione dello spartito.

 

L’aspetto da avere ben presente è dove (meglio detto in quale zona del pentagramma) canti Norma. Anche qui rimando allo spartito ed al solito Rodolfo Celletti. Quest’ultimo, parlando della vocalità della sacerdotessa druidica, osservò, che per l’edizione 1977 a Martina Franca la scelta fosse caduta sulla Bumbry (aggiungo che Celletti in origine avesse pensato alla Verrett ritenendola più elegante, ma, anni dopo l’evento, della scelta Bumbry era soddisfatto) ovvero su un mezzo acutissimo perché se Norma era sì chiamata a tessiture acute nel canto di agilità (cabaletta atto primo, duetti con Adalgisa), ad emettere acuti estremi scoperti, mentre nel resto dell’opera la scrittura era marcatamente centrale e richiedeva dovizia vocale al centro per poter esprimere i continui trapassi di sentimenti della sacerdotessa, che in quella zona dello spartito sono ubicati. Ovvero per colorire ogni frase fosse essa di recitativo o di cantabile.

 

Senza un centro ampio e sonoro, senza la capacità di raggiungere la zona grave senza manomissione del suono ed il controllo dello stesso, senza quella come di sostenere con adeguato volume ed ampiezza le frasi legate ossia le impennate in zona acuta i soprani assoluti (che oggi sono poi lirici e lirico leggeri)  che affrontano il personaggio possono solo sortire effetti parziali nella realizzazione del personaggio al di là del possesso di tutte le note. Come se avere le note a prescindere da colore, ampiezza, volume della voce possa essere sufficiente per cantare (non dico interpretare) un ruolo.

 

Alla luce di recenti rappresentazioni di Norma e soprattutto di una oggi imminente e santificata anche dalla produzione discografica devo concludere che i  limiti o i vezzi di certi soprani del periodo fra il 1910 ed il 1940 (diciamo la solita Cigna, che della Norma in salsa verista sembra essere per unanime opinione critica il modello, ma anche la Milanov o la Pedrini) hanno un peso negativo sulla realizzazione del personaggio in definitiva inferiore alle carenze di ampiezza, volume e peso specifico ed incisività di fraseggio delle Norme del presente.

 

Non posso tacere che entrambi i diffusi difetti inficino la realizzazione del personaggio come pensato da Bellini. Posso anche dirla molto grossa, e cioè che  con quello che abbiamo ascoltato in questi ultimi mesi ossia l’Adalgisa promossa Norma e la Clotilde nei panni della padrona, una Cigna  o una Milanov hanno un maggior rispetto dell’idea del personaggio, salvo, poi, incappare in accenti drammatici più adatti al melodramma verdiano che non al nascente romanticismo di Norma.

 

Ma le ultime offerte di Norma ci costringono, per passare dalle parole ai fatti, ad offrire nella rubrica VIDEO ventiquattro ore di Norma. Una all’ora per la giornata del 17 maggio. Qualcuno potrebbe pensare che sia  una sorta di riparazione per il “sacrilegium” Bartoli. La pensi come vuole. Il giorno di Norma è una scelta ben diversa: chiarire a noi stessi, in primo luogo, il principio indiscutibile che un personaggio d’opera ha la propria tipologia vocale e ricordare che  più di un secolo di  esecuzioni in quel solco ci confortano in questa direzione ed in questa scelta, perché lo premetto nessuno scrisse mai che la Norma di Lilli Lehman fosse differente da quella di Teresa Tietjens o di Pauline Viardot.

ore 00: Adelina Patti
ore 01: Lilli Lehmann
ore 02: Emma Calvé
ore 03: Maria de Macchi
ore 04: Margarethe Siems
ore 05: Giannina Russ
ore 06: Eugenia Burzio
ore 07: Celestina Boninsegna
ore 08: Natalia Ermolenko
ore 09: Ester Mazzoleni
ore 10: Giannina Arangi Lombardi
ore 11: Rosa Raisa
ore 12: Rosa Ponselle
ore 13: Gina Cigna
ore 14: Ebe Stignani
ore 15: Zinka Milanov
ore 16: Maria Pedrini
ore 17: Maria Callas
ore 18: Joan Sutherland
ore 19: Anita Cerquetti
ore 20: Leyla Gencer
ore 21: Cristina Deutekom
ore 22: Montserrat Caballé
ore 23: Grace Bumbry

16 pensieri su “Norma: regole e rispetto della scrittura vocale

  1. Da sottoscrivere dalla A alla Zeta.
    Delle citate, dal vivo ho avuto la fortuna di ascoltare Dame Joan (due recite) la Senyora Caballé e la “tirolese” Deutekom svariate volte. La Gencer e la Bumbry, che fu la mia prima Lady nel MACBETH al Liceo, me le sono perse: ma ai tempi non potevo permettermi trasferte costose.
    Ho fatto in tempo a sentirne altre due che, in considerazione di quanto offre ora il convento, inserirei nella lista: la Gulin e la Negri. Discutibili, certo e guai sennò, ma che ricchezza di armonici e che temperamenti.
    Cordiali saluti

  2. Un ennesimo sentito ringraziamento al CdG, che con questa straordinaria commoventissima cornucopia fa piazza pulita di ogni odierna pseudofilologia, destinata vuoi a VENDERE, vuoi a carezzare l’ego di qualche vecchia divetta inquieta.

  3. Sottoscrivo anche io l’articolo dalla A alla Z.

    Per la Norma della Bartoli che esce il 21 maggio: ma con quale – ennesima – faccia da suola si vogliono presentare un soprano soubrette (la Bartoli) che insieme ad un soprano koloratur (la Jo, peraltro di onorata e onorabile carriera) cantano uno dei massimi drammi dell’Ottocento italiano? Al limite della vergogna!

  4. sarà…ma io come tanti altri con la Bartoli riesco a respirare quella bella aria da “diva” che fa tanto “opera” e rende la vigilia divertente come (si spera) la recita. Questo alla faccia della faccia di suola della predetta. Ciao ciao a tutti

  5. Scusate, ma la Norma della Bartoli non mi pare abbia conosciuto unanimi Alleluja! A leggere tra italiano, francese, inglese (maluccio il mio inglese), tedesco ne esco con la convinzione che la signora sia impantanata per bene. O sono sordo e cieco, ma non ho letto un solo giudizio positivo, e sugli scaffali del mio fornitore di dischi va a ruba l’edizione Sutherland-Caballè, la seconda della Callas, quella della Sills ristampa DG (ho chiesto ragguagli di vendita). Quelli della Bartoli invenduti sono e resteranno (ora come ora va a ruba Wagner). Secondo me se andava a scovare la variante Viardot del secondo atto del Tristano faceva la fortuna sua…può farlo visto che si è inventata una “voce poco fa” malibraniana che non è altro che un arpeggio al posto di due gradi congiunti, variante da lettura di edizione critica che praticava in prova domestica al piano la Valentini ripeto leggendo semplicemente lo spartito. Quando la prossima seduta spiritica della Bartoli?
    ps: Chiedo lumi sull’edizione della Scotto uscita da catalogo. Qualcuno ne ha traccia in ristampe?

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