Ascolti comparati: ” Se Romeo t’uccise un figlio”, M. Horne e J. Di Donato

Mettiamo oggi in parallelo due voci sotto certi aspetti simili entrambe applicate ai ruoli di mezzosoprano ed entrambe dedite al belcanto, sebbene con escursioni di vario genere anche in altri repertori. Due timbri abbastanza sopranili, la Horne con un inizio di carriera da soprano vero e proprio, capace di costruirsi un’estensione anche in zona grave, che l’ha poi portata a coprire i ruoli del grandi travesti rossiniani; la Di Donato rimasta sempre in odore di soprano lirico, dedicatasi a parti di mezzo acuto oppure Colbran.
Il confronto è lo specchio del percorso compiuto dal belcantismo femminile negli ultimi decenni e  ve lo proponiamo in una scena, la cavatina di Romeo dai Capuleti di Bellini, che la Horne ha eseguito in teatro una sola volta a Dallas, nel 1977, la Di Donato, invece, in più di un’occasione.
Il senso del confronto è mostrare all’ascoltatore come la gestione sapiente ed accorta del fiato possa rendere una voce costruita e per nulla speciale sul piano timbrico, come quella della Horne, espressiva, elegante e duttile in confronto con una voce, quella della di Donato, forse più dotata ed interessante in natura, ma che, in assenza di una corretta pneumatica, tende a disomogeneizzarsi in zona acuta e grave, ma anche a dar luogo ad una emissione poco nobile e stilizzata, che danneggia la resa del personaggio.  Per correttezza abbiamo scelto per entrambe due prove teatrali, la sola dal vivo della Horne a Dallas, nel 1977, e quella recente di grande successo di pubblico e critica, della Di Donato a Parigi.

I tempi adottati dalle due primedonne sono pressoché simili. A differenza dell’incisione ufficiale diretta da Henry Lewis, ove “Se Romeo” era stato eseguito con un tempo molto largo ( quasi una Casta Diva per mezzo ), la Horne in teatro la eseguì poi alla velocità cui si è solita eseguire il brano, interpolando nell’andante alcune fioriture personali non solo in cadenza, in occasione dell’ultima corona in chiusa all’andante, ed eseguendo nel da capo della “Tremenda ultrice spada” le variazioni di Rossini. La Di Donato varia il da capo della cabaletta, mentre nella parte precedente non esegue nulla, nemmeno la cadenza di prammatica in chiusa all’andante. La differenza nell’esecuzione dell’andante è prima di tutto concettuale. La Horne riprende l’idea dell’esecuzione discografica di un momento di retorica oratoria di Romeo, che porta un’ambasciata nobile, dal tono lirico insistentemente persuasivo. Il carattere che la Di Donato dà la brano è meno nitido, un generico lirismo perfettamente in linea con le modalità esecutive note, che trova, però, un’esecuzione di limitata nobiltà a causa dei problemi vocali che la caratterizzano. Il nodo sta essenzialmente in una mancanza di omogeneità tra i registri. Quello grave contaminato da note di petto aperte, ora chiocce, che si odono sin dall’attacco sul re3 di “SE Romeo..”, per non parlare della picchiata al noto sol sotto il rigo di ne piange anCORA”, oppure la discesa al Si di “E tal sarà” nella battuta di sfida che precede la cabaletta. Nella cabaletta poi, un brano agitato, che esprime la rabbia ed il desiderio di sfida del giovane innamorato, da eseguirsi con accenti marcati come prescritto da Bellini, il problema dei gravi si accentua a causa della ricerca di slancio: i suoni ineleganti e sguaiati compaiono addirittura più sopra, sul sol in primo rigo (“ ..al ciel irato..”), come si può bene udire nell’audio. Per quanto concerne il registro acuto, invece, la Di Donato, cantando più in forza della natura che di una tecnica corretta, si trova spesso con la voce bassa al momento del passaggio, causando, quindi, una perdita di fuoco del suono, che finisce per assottigliarsi ed andare vistosamente indietro, fin dal primo sol4 del brano in “ei ne piange”. Sin tanto che la tessitura non sale la voce della Di Donato riesce a seguire bene la musica, il suono resta pieno anche se, devo dirlo, non proprio elegante, perché tali sono le emissioni non ben sostenute. Sviluppa poco la seconda forcella, e chiude l’andante senza cadenza, come si usa fare oggi a dispetto delle conoscenze storiche, che si dice abbiamo sviluppato in fatto di stili esecutivi. Anche su questo registro lo slancio della cabaletta agisce a detrimento della voce, gli acuti vanno indietro in modo più evidente, e l’esecuzione sempre più difficile dei si nat acuti ne costituisce la prova più evidente.
La Horne, invece, come un sapiente ingegnere della voce canta con un equilibrio tipicamente suo, il suono ampliato al massimo per dare alla scena quella cifra di nobile retorica di cui sopra, restando sempre un passo prima dell’esagerazione o della forzatura che le scomporrebbe la linea vocale. La sua è un’architettura sapiente, intellettuale, di chi sa di mancare del fascino timbrico, della voce vellutata di vero mezzo.
Le prime frasi rendono subito percettibile la differenza, i gravi sotto il rigo sono certamente costruiti, ma coperti, il suono raccolto per evitare la volgarità ( perfetta la discesa successiva al sol sotto il rigo), la prima salita al sol 4 puntato e coronato avanti, perfettamente nitida e squillante: la Horne non arriva mai al passaggio con la voce indietro, anche se già accorciata, come in questa esecuzione. Nella seconda sezione dell’andante, nell’esecuzione della seconda forcella scritta in particolare, dispiega la massima ampiezza di fraseggio, la nobiltà del porgere ampio che termina nella cadenza a suggellare il brano secondo lo stile esecutivo del tempo.
Basta confrontare le due esecuzioni della battuta “E tal sarà” per capire il salto stilistico oltre che canoro che si è prodotto in questi anni: la Horne si inventa un suono che cerca di mantenere sonoro, sempre coperto, ma composto; la Di Donato lo carica e lo apre forse anche volutamente, in spregio ad ogni senso dell’eleganza e della nobiltà del personaggio. Quello che fino a qualche anno fa nel canto A. Baltsa, il fantasma che accompagna il canto della Di Donato, era giudicato, giustamente, assenza di stile e volgarità, oggi, grazie all’estetica propugnata dai baroccari è divenuto quasi un coup du theatre, qualità, che garantisce l’esecuzione in stile secondo la filologia.
Inutile dire come la cabaletta della Horne sia un capolavoro del canto di forza, ricca di mordente e grinta, priva di sguaiataggini: affida l’accento “irato” di Romeo alle agilità sgranate ed accentate, il suo terreno preferito. Elide la salita ai si nat scritti in prima strofa “ che alla patria costerà” e questa è la sola vera pecca dell’esecuzione. Trova gli acuti solo in volata, nel da capo eseguito secondo maestro Gioachino, di altro tasso tecnico rispetto a quello della Di Donato, ed il brano ha altra verve ed altro stile. In questo confronto c’è un mondo di saperi, di concezioni stilistiche, di pensiero sul canto, che vale secoli di storia e non solo qualche decennio.

 

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10 pensieri su “Ascolti comparati: ” Se Romeo t’uccise un figlio”, M. Horne e J. Di Donato

  1. Ciao,
    Immagino che quando affermi che Marilyn Horne esegui’ una
    sola volta in teatro la parte di Romeo, appunto le quattro
    recite texane, tu ti riferisca a rappresentazioni
    con regia e costumi del lavoro belliniano, vero?
    Poiche’ cio’ e’ vero.
    Ma, Marilyn, e con esiti ovviamente ben piu’ alti, ma proprio
    piu’ alti, esegui’ live la parte alla Carnagie Hall nel 1971.
    Romeo : Marilyn Horne
    Giulietta : Patricia Brooks
    Tebaldo : Philipp Cho
    Lorenzo : Richard Anderson
    Capuleti : Nicola Zaccaria
    New Jersey Symphony Orchestra
    Carnagie Hall State Chorus
    Direttore : Henry Lewis.
    La registrazione esistente della serata e’ resa con ottimo suono.
    In quanto al confronto, beh, come giustamente fai notare,
    proprio non esiste. Pata Negra vs Merendina Bellentani.
    Ciao.

    • di quella ediz concertistica ho parlato nel 2008 qui, in un post dedicato al romeo montecchi. Gli audio sonp disattivati immagino, ma direi che fossero quelli. Non pensavo per un confronto mirato a parlare dell’uso del fiato di dover pubblicare cronologie o altro. Detto che per la horne è stata di fatto un incursione come la cenerentola, mi pareva di essere stata esustiva.Ciao

  2. In tutta onestà l’esecuzione dell’aria da parte della DiDonato mi sembra decisamente buona, con acuti molto fluidi e ben proiettati. La cabaletta , invece, è raffazzonata tanto nelle variazioni quanto nel fraseggio. Ma chi, Horne a parte, ha mai saputo cantarla in modo trascendentale? Anche la Dupuy, in quel passaggio, mi ha sempre deluso (nei numerosi ascolti dal vivo del suo Romeo, per altro reso in modo inquietante, talmente perfetta era l’identificazione con il giovane Montecchi)

  3. A e sembra che la differenza tra le due cantanti sia nel clima complessivo che riescono ad instaurare: Anonimo e vuoto di colori, per la prima che pur possedendo uno strumento più “bello” ne annulla gli effetti con una banale esecuzione, mentre la Horne ti trascina entro quel groviglio di emozioni che le opere ben cantate sanno dare.
    La prima si esprime con un canto che io definisco “disinfettato”
    l’altra no.
    E’ espressione del nuovo metodo di canto che sembra uscire da un
    forno a microonde, mentre tu aspetti un piatto succulento

  4. concordo assolutamente con Grisi. La tecnica solo parzialmente insufficiente (a livello di abc di imposto) della Di Donato non progredisce mai in quel connubio difficilissimo tra correttezza di emissione ed eleganza di fraseggio che già in Horne è proprio al limite se vogliamo, però sempre accettabile e magistrale perché ancora di GRANDE SCUOLA

  5. La voce di DiDonato più dotata di quella di Horne? In che senso? Come l’hanno detto altrove nel blog, la voce di DiDonato è davvero piccola. Il suo merito mi sembra appunto la capacità di sapere trarre di un una voce ingrata risultati molto interessanti.

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