Ascolti comparati: “Tacea la notte placida”, Frida Leider vs. Anja Harteros

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La sortita di donna Leonora nel Trovatore è paradigmatica delle difficoltà vocali e di conseguenza interpretative che l’opera italiana di metà Ottocento pone al soprano nel momento in cui questi si cava dalle scene: un articolato recitativo, che esplora le possibilità del declamato melodico, introduce un cantabile di ampio respiro e quindi una cabaletta brillante, che ricorre agli stilemi del canto fiorito nell’ultima sua declinazione. Nel caso di “Tacea la notte placida” le difficoltà vocali risultano accentuate per il fatto che l’attacco del cantabile (Andante in la bemolle minore) insiste in prima ottava, e quando la melodia modula alla tonalità maggiore il baricentro vocale si sposta, nel giro di poche battute (“quando sonar per l’aere”), alla zona medio-acuta della voce (“dolci s’udiro e flebili”), fino a salire al si bemolle di “melanconiCI”. La medesima progressione si riscontra nella seconda strofa, che in chiusa, prima della cadenza di prammatica, tocca il do sovracuto (“la terRA un ciel sembrò”). Dopo le battute di conducimento, affidate a un dialogo tra soprano e comprimaria, letteralmente deflagra la cabaletta di bravura, “Di tal amor che dirsi”, un Allegro giusto in cui Leonora deve sfoggiare dimestichezza non solo con note staccate e trilli, ma ancora una volta con una tessitura che parte decisamente bassa per poi condurre la voce, alle parole “il cor s’inebriò”, tra il mi4 e il sibem4, ossia nella zona che prepara gli acuti e in quella, per l’appunto, dei primi acuti. Il tutto nel rispetto delle indicazioni espressive, copiose quanto variegate e tese a esprimere non solo l’animo sognatore e visionario del personaggio, in preda alla dolcissima ossessione del sentimento, ma la risolutezza e la spavalderia di un carattere che non esiterà a tenere testa, nel corso del dramma, tanto all’amato quanto all’antagonista, nonché inconsapevole cognato. Per la puntata odierna della nostra settimanale rubrica abbiamo scelto di proporre due voci di scuola tedesca, la più antica delle quali smentisce la fola che, prima del secondo dopoguerra e più in particolare dell’avvento di Maria Callas, il canto sopranile fosse esclusivo appannaggio di voci di grande cabotaggio e ridotta consuetudine con le esigenze dei diversi stili esecutivi e più in generale con una corretta tecnica di emissione e vocalizzazione. Frida Leider (1888-1975) incide nel 1926 la sortita di Leonora in versione ridotta, esclusivamente sotto il profilo della durata, strettamente legata allo spazio disponibile sulla singola facciata dei dischi dell’epoca, che nell’occasione specifica impongono l’omissione del recitativo, la soppressione della seconda strofa del cantabile e il taglio del da capo della cabaletta. Quello che rimane è però illuminante circa la sontuosità vocale e la sorvegliata, ma non per questo latitante, espressività dell’interprete. Quel che colpisce è in primo luogo l’assoluta omogeneità dei registri: dal mi bem grave al la bem acuto (il si bemolle non è altrettanto brillante) la voce non cambia posizione, come si dice in gergo, risuonando con uguale pienezza in tutta la gamma, senza che i gravi risultino artificiosamente pompati o al contrario mestamente smunti, mentre gli acuti possiedono la medesima brillantezza dei suoni esibiti nella fascia attorno al do4, zona della voce in cui il soprano esibisce prodigiosa lunghezza di fiati, ad esempio nella frase “dolci s’udiro e flebili gli accordi d’un liuto”, in cui la doppia forcella prevista dall’autore viene non solo onorata, ma posta mirabilmente in risalto dalla sprezzatura, ossia dall’assoluta libertà agogica, che non prescinde, però, dal rispetto delle regole dettate dal buon gusto. Nell’arco di otto battute si fatica a individuarne due consecutive che seguano pedissequamente il tempo prescritto senza introdurre variazioni anche minime, sempre adeguate al senso della frase musicale, oltre che magistralmente eseguite, anche e soprattutto sotto il profilo della tenuta del legato. Del resto questa “licenza” è ampiamente legittimata dall’autore, che prescrive “animando un poco il tempo” su “quando sonar per l’aere” e alla frase già richiamata impone “con espansione, animando un poco”. Ancora più impressionante è l’esecuzione della tronca cabaletta, in cui la nitidezza dei trilli, la precisione e il mordente esibito nei passaggi di coloratura e, ancora, la messa di voce (aggiunta, e mirabilmente risolta, dalla cantante) sul mibem4 di “inebrIò” dimostrano come i pregiudizi relativi alla presunta incompatibilità tra voci di ampio calibro ed esigenze del canto di bravura siano, per l’appunto, pregiudizi, o meglio, giudizi basati su ascolti alquanto parziali o almeno frettolosi, e a volte si ha l’impressione, deliberatamente parziali e scientemente frettolosi. Quando poi si ascolti in parallelo Anja Harteros, classe 1972 (e quindi, all’epoca dell’esecuzione considerata, coetanea della Leider del 1926), che oggi passa per paradigmatica interprete di Mozart, Wagner e Verdi almeno quanto la signora Deman all’epoca sua, non si può che rimanere basiti che una supposta grande esecutrice, ospite fissa dei principali teatri del mondo, non riesca a legare con minimale decenza i suoni nella zona centrale della voce (quella che dovrebbe risultare la più propizia per un soprano lirico pieno), donde le numerose e abusive riprese di fiato ad esempio su “la notte placida (‘) e bella in ciel sereno”, “il viso argenteo (‘) mostrava lieto e pieno”, e ancora “infino allor (‘) sì muto”, e neppure sia capace di eseguire il medesimo passaggio (transizione dal mibem 3 al mibem4) in due distinte occasioni (“tacEA”, “la LUna”) nella stessa maniera, “imbroccandolo” (verosimilmente per caso) solo la seconda volta, ché il primo mibem4 risulta non solo opaco al pari delle altre note della frase, ma decisamente calante. La voce risulta caratterizzata da sistematica mancanza di appoggio, da cui suoni vuoti e sordi (la proverbiale patata in bocca) in basso (“mostrava lieto e pieno”), artatamente gonfi al centro (“quando sonar per l’aere”), di malcerta intonazione ed emessi in maniera flautata, in una sorta di modesta imitazione dei trucchetti (non già della voce, quella sì davvero sontuosa) di Montserrat Caballé, al di sopra del do centrale (“dolci s’udiro e flebili”, con molti saluti all’evocazione della romantica serenata che una simile frase dovrebbe veicolare), gridacchiati, in pesante debito d’ossigeno e ancora una volta calanti nella frasi più acute, che toccano il già menzionato si bemolle. Ovviamente spianate le forcelle previste. La seconda strofa ripete i “pregi” della prima, con una nuova imprevedibile transizione mibem3-mibem4 (ascoltare per credere “in QUElla ripeteasi”), suoni maldestramente aperti su “corsi al veron sollecita” e il ricorso all’espediente di pronunziare “u” la “o”, ad esempio su “egli era desSO”, nel tentativo (malriuscito) di esibire un suono più rotondo e morbido e propiziare la salita agli acuti (e il passaggio “al guardo estatico, la terra un ciel sembrò”, complice anche l’aleatoria respirazione, risulta ancora più “mirabile” della cadenza conclusiva, coronata da un urlo, che dovrebbe essere un do naturale). Nella cabaletta (giudiziosamente eseguita senza da capo) ricompaiono in basso suoni ovattati (“di tale amor”, “mal può dalla”) e prossimi al parlato (“s’io non vivrò”), al centro suoni accennati e malfermi che dovrebbero rendere più agevole l’esecuzione delle cempennate agilità (illuminante in particolare “ah sì per esso morirò”, che “batte” sul fa4, ovvero la nota di passaggio tra centro e primi acuti), mentre la chiusa vede ancora una volta la cantante, in evidente affanno (progressione dal la 3 al sibem4 “ah sì per esso morirò”, con le riprese di fiato che prendono il posto del previsto crescendo), emettere autentiche urla, per giunta connotate, ancora una volta, da precaria intonazione. Ricordiamo che all’epoca di questa esecuzione la Harteros si esibiva regolarmente come Violetta Valéry, la cui grande scena prevede passaggi di agilità ben più insidiosi di questa, non certo agevole, ma neppure insormontabile cabaletta di sortita. Per tacere della complessità virtuosistica di un ruolo come Alcina. Da qui deriva, forse, la scelta di indirizzare il repertorio verso ruoli di tessitura più bassa e con più contenute esigenze legate alla coloratura. Purtroppo sono i medesimi ruoli per i quali è richiesta non solo ampiezza strumentale, ma perfetto controllo del legato, in particolare nella prima ottava. Insomma, i ruoli in cui eccelleva Frida Leider.

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15 pensieri su “Ascolti comparati: “Tacea la notte placida”, Frida Leider vs. Anja Harteros

  1. Leider ist die Frau Harteros nicht zu hoeren.
    Chiedo scusa per l’orrido calembour, ma mi è venuto spontaneo. Fortuna che non ha fatto il da capo della cabaletta se no la portavano via con la bombola di ossigeno…

  2. Con rispetto, ‘nde’ tuti a ranar !
    Basta Antonietta Stella con la sua voce alla crema per far sparire tutte e due !
    …e pensare che era considerata di secondo piano !
    …si Montsie e Maria, ma Antonietta non sfigurava affatto, anzi !
    Come siamo mal messi oggi.
    Non la posto neanche, si trova facile e ne vale la pena, con buona pace della Harteros, poareta ( sono appena tornato da Venezia), e della Leider, tecnicamente in ordine ma datatella anzichè no.
    Adesso datemi pure addosso, tanto me ne impippo.
    Saluti sempre a Giulia.

  3. A parte alcuni miagolii nel recitativo, la cabaletta è ridotta ad un auretta
    assai gentile, ma senza senso, ne costrutto tutto il clima sognate s’en va in un bel saggio ginnasiale, seppur saggio è e resta.
    Con simile cose come fa un pubblico ad entusiasmarsi.
    E’ un po’ come “il bignami” d’unl tempo, utile solamente per l’esame.

  4. Avviso a donna Giulia: il sito mi risulta da ieri bombardato da link pubblicitari fastidiosissimi, perchè ne cancelli uno ne appaio in sequenza altri: e comunque anche passando da argomento ad altro si aprono in continuazione.

    • Se posso permettermi, egregio, in aggiunta all’antivirus – io uso Kaspersky- prova questo, lo uso da circa 4 anni :
      http://www.malwarebytes.org/
      scarica la versione gratuita, è sufficiente.
      Falla girare, salvo emergenze, una volta la settimana.
      Ti chiederà, ogni volta che la apri, di aggiornare il database, e tu dille sempre sì, poi lancia la scansione, ci mette un po’ a seconda del carico del tuo computer ma, se ci sono, escono anche piccoli gnomo-trolls-malwares che neanche l’antivirus acchiappa.
      …lo so, allora perchè pagare l’antivirus ?
      Perchè nel web, se si vuole girare senza preclusioni, più scudi hai, più sicuro navighi, e poi non si sa mai…
      Auguri.
      p.s. bella l’auretta assai gentileeh eheh !

  5. Avevate sperato di esservi liberati di me almeno per un giorno? No!
    Harteros bassa classifica (meglio della Plowright però) Leider tra metà e tre quarti (Sutherland stessa é a mio avviso superiore). Trovo la Leider superiore ad A. Stella perché la sua esecuzione é più sciolta grintosa e fantasiosa. In definitiva sconsiglierei a chi ha molta voce ma non possiede l’ultimo passaggio di registro sicuro di cantare Leonora in un contesto importante. Lo può fare sotto la doccia o anche fra amici dopo un manzo alle ciliege con puré.-

    • Se non ci fossi guai, avremmo finito di divertirci, almeno io…
      Sulla Harteros, niente da dire, Leider, ripeto, è datata ma in ordine, se ti riferisci alla Stella per il passaggio di registro, io non lo trovo così insicuro, però mi piace la sua voce, quindi posso peccare di indulgenza.
      A questo punto però, onde evitare che qualcuno canti Leonora a stomaco pieno, dovresti cortesemente dare qualche indicazione su chi secondo te può permettersi il personaggio.
      Personalmente le tue teorie “decadenti” le trovo interessanti, e non sto scherzando.
      Grazie

  6. http://www.youtube.com/watch?v=0TvEe_1l5FQ

    Grande interpretazione questa in opionion mia. Voce di una bellezza a tratti lancinante, legato superbo. La Dragoni non smetterà mai di rappresentare per me un enigma, aveva dei mezzi stratosferici, e non mi capacito come non sia potuta entrare nella storia del canto. E nel frattempo madama Netrebko si prepara a debuttare Leonora in quel di Berlino in compagnia dell’ineffabile Domingo nei panni del conte di Luna, il tutto sotto la magnifica bacchetta verdiana di Daniel Barenboim…. sarà un trionfo.

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