“Der Grisi Ring” seconda puntata: “Das Rheingold” – L’ingresso degli dei nel Walhalla

Il Walhalla che vi proponiamo non è un salottino borghese, non è un ospedale psichiatrico, non è una misera casetta lignea, o una proiezione in computer-grafica, o un grattacielo o un non luogo concettuale.
Il Walhalla di cui parleremo è proprio la sede degli dei, l’Olimpo nordico, con le sue sale mastodontiche, le sue porte infinite, le sue mille stanze da riempire con gli eroi, le colonne fatte di lance ed i tetti di scudi.
La reggia degli dei in tutta la sua magnificenza!
L’ingresso degli dei nel Walhalla principia con l’episodio di Donner, il quale, dopo un solenne recitativo, evoca il tuono di cui egli è signore affinché la soffocante coltre di nubi e nebbia che ha circondato la montagna davanti alla reggia possa turbinare lontano e lasciare sgombro il cielo.
Il roteare del temporale, tipico tema del romanticismo, lo spessore della tempesta, vengono descritti mirabilmente dalle vibrazioni degli archi accompagnati, durante il celeberrimo “Heda! Heda! Hedo!” dal montare maestoso dei corni e interrotti da quello schianto di martello che, oltre a liberare la vista, sarà seguita dalle percussioni.
A questo elettrizzante momento cede il posto la poesia del cantabile di Froh il quale plasma il ponte arcobaleno sia nel cielo sia nell’orchestra attraverso il cristallino Tema che gli è proprio intonato all’unisono da corni, clarinetto, fagotti, arpe e archi; Wotan celebra l’imponenza della Rocca, la battezza con il suo nome, eppure il suo canto, intervallato dal Tema del Walhalla, è come velato dal dubbio e timoroso dell’avvenire; Wagner lo suggerisce con l’evocazione, in orchestra, del Tema dell’anello, del Tema di Erda e con l’introduzione, ed è la prima volta, del capitale Tema della spada.
Fricka lo rassicura e assieme agli altri dei, Wotan si avvia a prendere possesso del palazzo sotto lo sguardo di Loge, che sul suo Tema, su quello dell’anello e su quello del Walhalla, profetizza sarcasticamente la loro fine. Genialmente Wagner attraverso l’arioso di Loge già insinua nell’ascoltatore i tre elementi che nel “Crepuscolo degli dei” condurranno i signori del cielo al loro annullamento.
Il cammino verso la reggia è interrotto dal lontanissimo canto accusatorio delle ondine accompagnate dall’arpa, che sul loro Tema, stavolta variato in questa nuova veste su toni più amari e rassegnati che Wotan e Loge cercano inutilmente di scacciare mentre in orchestra risuonano gli accordi del Trionfo del nibelungo.
Gli dei incuranti attraversano il ponte; la grandiosità epica si snoda in orchestra con i richiami alla Spada, all’Oro, al Walhalla, al Reno, all’Arcobaleno, l’accompagnamento diventa trionfale, sfolgorante, martellante grazie agli ottoni ed all’orchestra tutta: forse è tutta un’illusione, una bugia, come cantano le figlie del Reno, eppure è solo così che la storia del mondo può incominciare.
Partiamo dal primo degli dei: Wilhelm Furtwängler.
Il Maestro ci scaraventa nel suo mondo barbarico, l’orchestra non cerca il “bel suono”; cerca piuttosto il tono epicheggiante dei poemi eroici e la bellezza michelangiolesca dei suoi personaggi.
La vibrazione elettrizzante degli archi prima dello schianto, l’apparizione di un arcobaleno che è un ponte di marmorea levigatezza, l’angoscia di Wotan che diventa quella di un eroe di fronte a dubbi cosmici, il canto di Loge suonato con un inedito feroce intimismo, le ondine trasformate in norne solenni che mettono in guardia, la marcia finale che esplode scintillante, lenta e maestosa come una incoronazione, strabiliante proprio perché l’orchestra è lanciata a tutta forza senza trascurare alcun effetto: Furtwängler non gioca a chi è più cervellotico, non si fa problemi metafisici, scandalistici o borghesi: tratta la materia per ciò che è e ciò che vuole rappresentare, tratta i personaggi per ciò che sono, mostrando sotto la loro apparente divinità, la pasta meschina e fragile di cui sono imbevuti.

Il secondo degli dei è, ovviamente, Clemens Krauss.
Opposta a quella di Furtwängler, la sua direzione, ma non meno densa e poderosa.
La vera rivoluzione wagneriana parte da qui: Krauss opta per una direzione scorrevole, narrativa eppure tutta interiorizzata. I toni, nell’assolo di Wotan, si caricano di tutta l’angoscia di un dialogo con se stesso, preludio al grandioso monologo della prima giornata; è un dio pensieroso, già dubbioso della propria potenza (Hotter asseconda Krauss fraseggiando esattamente con l’orchestra, compenetrandosi con essa); il successivo monologo di Loge, ha l’eleganza di un diabolico balletto, ma da farsi a piccoli passi, sottovoce (come lo canta Witte), la minaccia c’è, ma nascosta dietro un sorriso; il canto delle ondine è cristallo purissimo, increspato dalla rassegnazione, quasi un addio, con quelle arpe che si colorano di toni diafani che vanno morendo, così l’innesto con la maestosa marcia ha una ferocia ben più marcata; la marcia infine, possiede lo stesso spirito di Furt, ma è più veloce ed il finale più netto, sbrigativo, come la discesa repentina di un sipario.

La terza divinità è Otto Klemperer.
Il Maestro sceglie di tenere gli archi in piano mentre gli ottoni possono sfoggiare un suono solenne durante l’episodio di Donner, così il colpo di martello si trasforma davvero in un tuono e l’arcobaleno erompe, per contrasto, più dolcemente assieme al Tema del Walhalla in un appropriato crescendo tra le vibrazioni degli archi, quelle delle arpe messe in primo piano e degli ottoni.
Più disteso, placido il cantabile di Wotan, nel quale viene a mancare l’eroismo, stavolta più orientato verso una espressività asciutta, mentre si carica di cupa, sinistra sospensione l’intervento di Loge.
Klemperer lascia che l’orchestra possa erompere in potenti fortissimi solo durante il tema ripetuto della Spada.
Manca l’episodio delle ondine, ma la marcia si presenta scabra, svuotata da tutti i connotati trionfalistici ed eroici, senza poesia, ma vuota e cruda, svelando come l’illusione racchiuda in se già qualcosa di tragico.

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(The Rhine Gold), krauss 1
(The Rhine Gold), krauss 2

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Marianne Brandt

16 pensieri su ““Der Grisi Ring” seconda puntata: “Das Rheingold” – L’ingresso degli dei nel Walhalla

  1. Buongiorno. Ho scoperto da pochissimo questo sito e, come semplice appassionato, mi sento un pochino in soggezione a prendere la parola in un blog di persone sì competenti ed esperte. Innanzitutto, vorrei ringraziarvi per quello che, almeno dal mio punto di vista, è un autentico servizio che fate in primis alla musica ed in secundis a chi magari, come il sottoscirtto, vorrebbe capirne un po’ di più (splendidi in particolare i post “Impariamo ad ascoltare”).
    Venendo al tema del post, concordo in pineo sull’eccellenza dei tre esempi citati; mi permetterei di segnalare anche la versione di Szell con la Cleveland Orchestra. Davvero un peccato che non vi siano (almeno, io non le conosco) versioni complete del “Ring” del grande maestro ungherese.

  2. Marianne, guarda , se hai tempo e danaro per il viaggio, vieni a Milano ad ascoltare il Rheingold lunedì prossimo. E’ un’edizione abbastanza straodinaria. C’è l’incognita DB. L’altro ieri ha diretto un Oro tesissimo, un po’ sporco qua e là, ma davvero emozionante. I biglietti da 25 euri non sono andati esauriti alla prima.

    U

    • Grazie dell’invito Ulisse, ma, vedi, ho visto dal vivo “Walkure” (buona solo a momenti in un mare di noia) e “Siegfried” (un aborto) e l’altra sera su Rai5 “Gotterdammerung” (oltre che macignosa, diretta assurdamente e cantata in maniera pessima). Se proprio devo ascoltare il “Rheingold” diretto da Barenboim inserisco la videocassetta o il DVD dell’edizione bayreuthiana del ’92, annata in cui il nostro era ancora un direttore d’orchestra, la compagnia di canto aveva ottime intenzioni e lo spettacolo di Kupfer era un capolavoro.
      I 25 euro me li risparmio, visti i tempi!

      • Sarebbe interessante che tu ci spiegassi analiticamente le differenze fra quelle due concertazioni perché anch’io le ho trovate (istintivamente) diverse visto che non ho avuto la forza e la competenza di scendere nei particolari. Ebbi la fortuna di vedere dal vivo quello spettacolo a Bayreuth (non so ancora come feci ad entrare perché i suchatori di karten erano come quaglie in attesa del becchime, ma mi dissero che la funzionaria della “Abendkasse” ricordava a chi aveva dato le rinunce negli ultimi venti anni e di me evidentemente non si ricordava) e ne uscii felice anche per una direzione di Barenboim che catalogai come “cameristica” (cosa che proprio non si può dire dell’edizione scaligera). Tuttavia l’acustica di Bayreuth é un’altra cosa ed é molto difficile paragonare un’esecuzione fatta lì, con una fatta dallo stesso direttore alla Scala. Tu ci riesci? Se vuoi posso darti la registrazione del 1991 e poi ci dai una bella spiegazione alla Mancini

      • Era un consiglio, non un invito. Comunque, sono stato colpito dall’esiguità della fila per gli ingressi di loggione. Potrei capire se si trattasse di un boicotaggio di protesta contro l’indecente aumento dei prezzi (anche se forse in Italia, oggi, qualsiasi progetto minimamente ambizioso è concretamente realizzabile soltanto in esosissimo regime emergenziale). Temo però che si tratti di generale disinteresse per un’operazione culturale di grande rilevanza. Tra l’altro questo Rheingold ha una compagnia eccellente, la Valchiria già molto meno (Nina, Nina dove sei?).

        U

        U

        • esatto. Il pubblico se ne frega. Per i turisti è troppo, per gli appassionati non è poi così attraente, per i piu è una sbobba costosa e noisa..mille ring, uno piu schifoso dell’altro in ogni parte del mondo, inflazione della musica di basso profilo pergiunta, che ricade anche sugli eventi migliori. Inflazione e costi. Inflazione……..

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