Wagner Edition – Tannhäuser und der Sängerkrieg auf Wartburg

«La prova è fatta! La musica dell’avvenire è sotterrata!» gridano con gioia tutti quelli che hanno fischiato e intrigato. «La prova è fatta!» Ripetono tutti gli sciocchi della critica. E tutti i balordi gli rispondono in coro, e innocentissimamente: «La prova è fatta!». Così scrive Baudelaire all’indomani dei fatti del 13 marzo 1861 allorquando, all’Opéra di Parigi “una messa in scena più che insufficiente, fatta da un antico autore di vaudevilles; un’esecuzione fiacca e scorretta da parte dell’orchestra; un tenore tedesco, su cui si fondavano le principali speranze, che si mette a stonare con una deplorevole assiduità; una Venere addormenta, vestita con un fagotto di stracci bianchi, e che non aveva l’aria di scendere dall’Olimpo più che l’aria di essere nata dall’immaginazione cangiante di un artista del Medioevo; tutti i posti dati, per due rappresentazioni, a una folla di persone ostili, o, quantomeno indifferente a ogni aspirazione ideale”, portò al fiasco clamoroso la revisione francese del Tannhäuser. L’opera di Wagner, la cui stella era in piena ascesa presso gli ambienti musicali più progrediti, venne letteralmente demolita suscitando dibattiti, divisioni e scontri nel bel mondo artistico francese, allora – per dirla con Benjamin – capitale culturale del XIX secolo. Diversi furono le cause dell’insuccesso. Un ruolo importante lo svolse il nazionalismo d’oltralpe che, dopo aver mal digerito la colonizzazione “italiana” coi suoi melodrammi, vedeva con sospetto l’arrivo di un altro straniero (tedesco per di più), presentato come il musicista che avrebbe “spazzato via” la tradizione. Contro Wagner si mosse poi la fronda più conservatrice di pubblico e critica, polarizzata intorno a Rossini, visto come l’ultimo, sebbene inerte, “baluardo” contro il progresso e sobillatrice di un clima ostile, costruito in mesi di dibattiti e ottusi sarcasmi. Tutto ciò ebbe buon gioco sullo svogliato pubblico di ricchi nullafacenti che a teatro andava esclusivamente per il balletto del II atto (perché durante il primo ancora non avevano raggiunto il teatro) e per controllare – almeno chi poteva permettersene il lusso – che le proprie costosissime amanti, nel corpo di ballo dell’Opéra, avessero modo di mettere in luce talenti e bellezze. Proprio la questione del balletto fu motivo di scandalo tra gli antiwagneriani militanti che, strizzando l’occhio al malumore dei suddetti protettori, ne stigmatizzavano l’atipicità – non un divertissement con divinità oziose, zingarelle, pastori o mascherate, ma un momento drammaticamente inserito nella vicenda e di contenuto scabroso: un baccanale – e la collocazione “intollerabile” a pochi minuto dall’inizio dell’opera (quando mezza platea era ancora vuota). A tutto ciò si aggiunse la scarsezza dell’esecuzione musicale, affidata ad un cast insufficiente (soprattutto nei ruoli principali), ad un’orchestra svogliata e ad un direttore incapace, quel Dietsch mediocre organista con velleità di grande musicista che musicò in modo triviale il libretto dell’Olandese volante che Wagner fu costretto a cedere, in cambio di un obolo, negli anni della povertà parigina, e che di lì a poco – dopo analoga disastrosa direzione: I Vespri siciliani di Verdi stavolta – verrà licenziato e allontanato senza riguardi dal carrozzone dell’Opéra. Questo il clima che vite il debutto parigino di Tannhäuser: le repliche, tuttavia andarono diversamente, appena le porte del teatro furono aperte ad un pubblico non preconcetto. Quella parigina, tuttavia, è solo una tappa del cammino di un’opera che si pone come punto focale della parabola artistica dell’autore. Tannhäuser, infatti, racchiude elementi che costituiranno la base di tutti gli sviluppi successivi dell’epopea wagneriana. Il romanticismo con il suo gusto per il medioevo e l’epoca “eroica” dei Minnesanger; il misticismo e la redenzione (snodo fondamentale della poetica di Wagner e oggetto del suo estremo capolavoro); il conflitto tra un mondo pagano e morente coi suoi miti sconfitti e decadenti (Venere, come Ortrud o Kundry o gli dei del Walhalla) e il nuovo cristianesimo; il binomio indissolubile di amore e morte; la poesia come oggetto poetico e teatrale; la componente popolare della tradizione tedesca. Tutti temi che ricorreranno con sviluppi differenti e diverso grado di maturazione nei successivi lavori: da Lohengrin a Tristan, dai Meistersinger a Parsifal e pure tra le più complesse contorsioni del Ring.

Wagner inizia a lavorare al testo di Tannhäuser nel 1842 – il progetto originario era intitolato Der Venusberg – suggestionato da fonti eterogenee (Tieck, Hoffmann e naturalmente i Minnesänger medievali) terminandolo a Dresda nell’aprile del ’43: in altri due anni fu ultimata la musica. Nell’ottobre del 1845, sempre a Dresda, l’opera fu eseguita per la prima volta con la direzione dell’autore e un cast di nomi importanti (tra cui la Venus della Schroder-Devrient, già trionfatrice in Rienzi e nell’Olandese). Un buon successo, anche se non furono risparmiate critiche. Le modifiche, tuttavia iniziarono già all’indomani della prima, soprattutto nell’atto II. Nel 1847 Wagner riprese l’opera e revisionò ancora testo e musica, sino agli ultimi ritocchi (mentre si trovava a Zurigo per sfuggire alla condanna a morte per sedizione che lo aveva raggiunto nel 1849 in seguito ai moti di Dresda) risalenti al 1851. Ecco perché più che di una “versione di Dresda” sarebbe più corretto parlare di “fase di Dresda” poiché il testo di questa prima redazione è, in realtà, una stratificazione di successive e continue revisioni e varianti operate dal 1845 sino al 1853. La seconda tappa è rappresentata dalla più complessa e radicale revisione parigina che coinvolse testo e musica e occupò il compositore dal settembre del ’59 al marzo del ’61. Le modifiche si concentrarono nell’atto I, in particolare nella scena del Venusberg che, con l’inserimento del baccanale assumeva connotati più sensuali e peccaminosi nell’atmosfera magica, nel dialogo tra Venus e il protagonista, negli esseri sovrannaturali che compaiono nella prima scena. La musica subisce evidenti modifiche: la scrittura di Wagner si era fatta più raffinata e l’uso dei cromatismi più sicuro più invasivo. L’autore era già alle prese con le vette del Tristan e la nuova musica di Tannhäuser ne risente – non senza problemi di coerenza: è indubbio, infatti, che la cosiddetta “versione di Dresda” pur meno rifinita e priva dell’affascinante baccanale, mantiene una maggiore unitarietà stilistica. Ma la storia dell’opera non si ferma a Parigi. A Vienna e a Monaco, tra il settembre del 1861 e il giugno del 1865 Wagner riprese la sua opera, e modificò ulteriormente il testo dell’edizione francese (ritradotta in tedesco) e ne revisionò la musica. Questa nuova “versione viennese” presentata come “definitiva” venne rappresentata a Monaco nell’agosto del 1867, ma ancora non era scritta la parola fine: nel 1875, in vista della rappresentazione viennese, Wagner operò nuovi ritocchi all’ouverture. La pratica teatrale ha poi complicato ulteriormente le cose, attingendo liberamente ed arbitrariamente dalle varie revisioni, a seconda delle preferenze dell’interprete e assecondando le mode del tempo. Così se inizialmente la redazione di Dresda modificata era la versione preferita, a partire dagli anni ’70 iniziò a prevalere quella parigina. Raramente, però, le versioni vennero seguite in modo completo, in particolare si pensi alla cosiddetta “versione di Bayreuth” che sul torso della redazione originaria inserisce la nuova musica del baccanale. Oggetto dell’opera è una vicenda di redenzione ambientata in un atmosfera fortemente romantica: un eroe dibattuto tra amore carnale e amore spirituale, a cavallo del confine tra due mondi e immerso in un clima di dibattito poetico (una vera e propria gara di cantori che, come nei successivi Meistersinger, porranno uno contro l’altro due modalità di vivere la poesia). L’epilogo porta alla raggiunta redenzione conquistata attraverso il dolore della morte che, di nuovo, sarà veicolo di sublimazione amorosa. Proponiamo qui alcuni tra i brani più celebri lasciando ai lettori la possibilità di cogliere le sfumature e le differenze tra i vari interpreti.

Gli ascolti:

Ouverture (Furtwängler, Solti, Mravinskij, Celibidache, Böhm):

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Atto I:

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Atto II:

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Atto III:

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Bonus (Liszt-Wagner):

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