Anna Netrebko vs Verdi

anna-netrebko-verdiEra scontato che nell’anno del bicentenario verdiano la più quotata voce di soprano delle major del disco offrisse al pubblico un  recital dedicato al  cigno di Busseto. Mi meraviglio che non sia progettato un album wagneriano. Nel 1983 l’allora diva delle major  Montserrat Caballé, che della voce tuttologa tanto cara alle case discografiche è il paradigma, dedicò un assolutamente pessimo recital a Wagner.

Doverose altre due premesse: se proprio Anna Netrebko, in origine soprano lirico leggero doveva, per lo status di diva delle multinazionali del disco,  immettere sul mercato un recital verdiano, avrebbero dovuto consigliarle altri brani assai più idoenei alla sua vocalità. Siccome presso i divi di oggi ed i loro consiglieri vige il principio del “minimo sforzo massimo rendimento” la Netrebko ha proposto in questo cd i brani di Macbeth e Trovatore  (quest’ultimo oltretutto affrontato in concerto) che dovrebbero esser i suoi prossimi debutti. Giovanna d’Arco nelle more fra registrazione e pubblicazione è stata eseguita a Salisburgo e, quindi, inediti ed estranei ai futuri progetti della diva rimangono solo la grande aria di Elisabetta del don Carlos ed la duchessa Elena dei Vespri.

Se Don Carlos e i Vespri sono estranei ai progetti, ciascuno dei brani proposti è estraneo alla voce, alla tecnica ed alle qualità interpretative della Netrebko. E preciso l’assunto, non già dal confronto con altre cantanti, ma dal raffronto con il testo musicale e drammaturgico.

Soprano lirico leggero con una certa pienezza al centro (aggiungo come altre dive storiche russe come la Nezhdanova o la Michailova), la Netrebko vanta un certo volume al centro, ottenuto tubando ed ingrossando il centro, compromettendo la gamma acuta e la flessibilità della voce, e una inerzia di scansione e di accentazione che da un lato rendono Joan Sutherland una fine dicitrice ed una interprete attenta alla parola e dall’altra rappresentano la negazione del canto e dell’interpretazione verdiana.

Non è Anna Netrebko il primo soprano lirico leggero che approda nel corso della carriera a ruoli che sarebbero assolutamente estranei alla propria natura. Il modello insuperato rimane Leyla Gencer, che con il solo riferimento al repertorio  verdiano cantò, e per più lustri, tutti titoli inadatti alla propria voce con risultati vocali ed interpretativi spesso insuperati, mentre solo occasionalmente fu Violetta e Gilda (che sono pagine storiche già dal debutto nel ruolo). Non è stata la sola perché anche Renata Scotto, con più critiche e maggiori scivoloni è arrivata a Macbeth in teatro e Nabucco in disco. Ed aggiungo che in tutta la storia del canto e della discografia sono testimoniate cantanti che, prive del mezzo autenticamente verdiano, furono significative in Verdi. Il nome di Salomea Krusceniscky, contrapposta alle coetanee Russ e Pinto, o quello di Claudia Muzio a Rosa Ponselle sono i primi, che vengono alla mente.

Solo che tutte le cantanti  che ho citato prima avevamo una qualità sconosciuta alla Netrebko: sapevano cantare e per conseguenza sapevano accentare ed interpretare, che è la sopravvivenza nel caso di carenza di autentica voce verdiana. Il che -lo premetto- non significa che fossero  perfette perché ad esempio sul registro basso della Gencer o sul virtuosismo della Muzio nei Vespri molto ci sarebbe da discutere e criticare.

Che la signora non sappia cantare è evidentissimo dalla prima frase di Elisabetta davanti alla tomba del suocero. La cantante non gestisce il fa acuto, che è gridato e la discesa al si sotto il rigo ovvero dimostra di non sapere dove collocare la voce fra i due passaggi e questo perché, basta vederla cantare, non sa respirare e sostenere. Con questi presupposti  tutte le frasi seguenti sino all’Allegro moderato di “Francia” sono piatte senza alcun rispetto delle indicazioni di Verdi, che vanno dal “grandioso” al “dolce” al “morendo”. Tutto spazzato via. Arrivata al “Francia”, ancora un fa acuto con un piano, il suono è malfermo e  tutto quello che l’intervallo discendente e la parola devono esprimere spariscono. Ancora alla chiusa quando arrivano i parchi acuti di Elisabetta siamo dinnanzi a suon malfermi.

cruvelliChe con questo metodo di canto gli acuti siano mal sicuri è ancor più evidente nella grande scena di Leonora  del Trovatore sia alla salita al si bem di “deh pietosa” che, soprattutto, agli acuti emessi in piano (leggi in falsettino more ricciarellianum) durante il cantabile sulla frase “mah deh non dirgli improvvido”. Per poter ricorrere a certi escamotage, senza rivelarne la natura, il controllo del suono deve essere quello della Gencer o della giovane Caballé.

E poi c’è il problema del registro grave. Nel momento in cui si sceglie di cantare la sortita di Lady Macbeth o, peggio ancora l’aria del secondo atto “La luce langue” si deve disporre non solo di un’ottava inferiore facile, come tutto Verdi esige, ma della capacità di accentare e scandire in quella zona. L’ottava inferiore della Netrebko appalesa tutti i suoi limiti in un brano elegiaco e di cauta tensione drammatica come l’aria di Elisabetta. Figuriamoci se è in grado di dare senso ai salti del recitativo della Lady dal do acuto al sol centrale o il bagliore sinistro dell’attacco de “la luce langue” dove l’indicazione verdiana “cupo e legato” si realizza con “tubato ed inarticolato”, chiusa con strilli alla scala finale, che porta la voce al si bem,  e suoni afoni nella prima ottava, zona del pentagramma su cui l’aria è scritta.

E poi c’è, irrisolto ed irrisolvibile a questo punto della carriera il problema dell’accento. Frasi topiche come tutte quelle che nella seconda aria della Lady partono da “nuovo delitto” sino alla stretta passano senza che la cantante ne renda il significato satanico e l’orgasmo del potere. Inesistente, anzi eurosbobbico quello dell’intero sonnambulismo, che per la sua stessa natura si  regge sull’accento prima che sul canto e dove per simulare l’accento la cantante non trova di meglio che gridare a squarciagola. Le cose non vanno meglio quando si tratta di brano diciamo elegiaci come  l’andante del Trovatore o quello di Giovanna d’Arco. Entrambi evocano la lettura a prima vista anche se nella Giovanna d’Arco la cantante, complice la natura del brano, suona meno tubata e gonfia nel centro che negli altri passi. Cionondimeno il tentativo di cantare “leggero e chiaro” dà luogo ad una teoria di suoni privi di appoggio sul fiato ed inarticolati nella scansione. Per puro gusto della disamina del suono l’attacco di “oh fatidica”  stonato e mal fermo e tutto il brano di tessitura acuta, rispetto agli altri,  è  inficiato da grossi problemi di intonazione come accade a “che più l’alma non sentì”.

Da ultimo una doverosa notazione: quando si propongono brani del Verdi a cabaletta si eseguono i da capi delle stesse. Per contro qui, come si faceva sino agli anni Sessanta (disponendo però di Callas, Gencer e magari bastavano anche la Mancini o la Maria Vitale), tutti tagliati. Peraltro il motivo del taglio è chiaro ascoltando le difficoltà nell’esecuzione delle fiorettature del bolero dei Vespri, dove i trilli sono assolutamente grotteschi, difficili ritmi puntati e sincopati. Ad onta di una dizione in certi passi meno pasticciata del solito, è evidente che il senso del divertissement e del brano di mera esibizione vocale sfugge in toto alla cantante, che annaspa nella scrittura e che giunta alla chiusa è costretta a semplificare l’ornamentazione. Me ne domando il senso, ma forse e più mi domando il senso di questo cd. Forse è vero che non si poteva riproporre l’ennesima riedizione del Verdi di Leyla Gencer come devono fare in appendice quelli della Grisi, pur consci dei limiti del soprano turco, che per cantanti con voci come la Netrebko dovrebbe essere il faro di Alessandria.

 

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4 pensieri su “Anna Netrebko vs Verdi

  1. Non entro nel merito del disco che non conosco. Io ho già avuto modo di esprimere la mia opinione sulla Netrebko che trovo voce eccellente nel repertorio che non la costringa a “manovrare” troppo o a confrontarsi con i veri soprani d’agilità. Le quattro volte che l’ho sentita (2 Donna Anna, 1 Micaela e 1 Mimì) non é piaciuta solo a me, ma anche al pubblico meno esigente e sofisticato che resta molto suggestionato dal carisma della cantante che ha una voce di volume, omogeneità e colore assolutamente non comune. Mi fa poi sorridere l’astio che emerge anche in questo articolo nei confronti delle cosiddette “major”. Quasi che fossimo negli anni settanta e ottanta dove la gloria di una cantante era misurata più sulle incisioni che sulle esibizioni dal vivo. Nell’autunno 2013 proprio non riesco a vedere le “major” come delle multinazionali che si cimentano in scontri titanici per soverchiarsi vicendevolmente o che condizionino la vita teatrale di mezzo mondo, ma delle aziende di nicchia a rischio di fallimento visto gli scarsi profitti che ormai da qualche lustro conseguono per la loro attività in sala d’incisione.-
    Per fortuna che in occasione delle rarissime incisioni in studio, per quando discutibili siano, si respira ancora quel profumo (non più di vinile ovviamente) che tanto appagava o offendeva i gusti dei “Figli del disco”. Definizione che avevo coniato nei miei scambi epistolari con Celletti proprio per stigmatizzare una deriva che distraeva troppo l’appassionato da quella che in fin dei conti é la vera gloria e, cioé, la gloria teatrale che é fatta di successo di pubblico prima ancora di quello della critica e dei cosiddetti esperti.-

    • Mah caro, a me di questo disco, come ho scritto nella mia recensione, irrita soprattutto il pressapochismo e la sciatteria che traspaiono da ogni nota. Davvero sembra che di diversi brani si sia pubblicata una prima lettura, tanto che la Diva e il suo cavalier servente Noseda non si sono curati neppure di correggere le numerose stonature in sede di editing. Poi sull’ omogeneità della voce di Madame Anna, che in basso intuba e in alto urla, avrei parecchio da dire, ma contenti voi che la giudicate una grande cantante nei ruoli facili, come tu stesso hai detto più volte. Come dire che Leo Messi è un grande campione, ma solo nelle partite amichevoli… :)

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