1813-2013 Bicentenario verdiano. Ovvero il canto e l’espressione

Giuseppe-Verdi-570x350Nessun commento a questa lunga teoria di ascolti, non servono paginate di giornale, interviste, video servizi e parole inutili e vuote. Per onorare Verdi servono il buon canto, la buona direzione d’orchestra e il rispetto del suo tempo, del suo messaggio artistico e dei suoi contenuti. Abbiamo semplicemente scelto due ascolti ciascuno proposti in questo “concertone” commemorativo e costruito con cento anni di registrazioni provenienti da tutto il mondo ad opera di grandissimi artisti che seppero col loro lavoro onorare Giuseppe Verdi.

 

 

Marianne Brandt:

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Giulia Grisi:

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Selma Kurz:

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Giuditta Pasta:

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Carlotta Marchisio:

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Domenico Donzelli:

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Gilbert-Louis Duprez:

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Nicola Ivanoff:

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Giambattista Mancini:

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Napoleone Moriani:

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Adolphe Nourrit:

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Antonio Tamburini:

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20 pensieri su “1813-2013 Bicentenario verdiano. Ovvero il canto e l’espressione

  1. Viva Verdi a 200 anni dalla sua nascita! La musica del Maestro è uno dei rari buoni motivi per cui gli Italiani possono sentirsi un popolo e chiunque nel mondo – in un teatro d’opera – può sentirsi un po’ italiano. Mi piacerebbe saper scrivere un trattato sul perché – noi amanti del melodramma – “non possiamo non dirci verdiani”. Grazie per il ricco programma di ascolti.

  2. Come si fa a non sentirsi verdiani con questi interpreti…Purtroppo la Callas ci mostra col suo canto cos’è un soprano drammatico (lo dice la parola) Mardones, cos’è una vera voce di basso, La Stgnani com’è la voce del mezzosoprano e Lemeshev cos’è un tenore di grazia.. Poi confrontati con il presente viene da ridere e affermare che é solo uno scherzo! Beati quelli che hanno goduto l’arte di costoro. Oggi si viaggia consapevolmete con dei tarocchi, belli di aspetto ma vuoti di contenuto.prosit.

  3. caro Murarski io penso che possiamo tranquillamente “dirci verdiani” anche oggi, e lo dico all’indomani dell’uscita del Macbeth diretto da Muti a Roma e riversato in disco e distribuito in edicola a 12,90 € col Corriere della sera. Solari la Serjan Poli e il basso Zanellato non saranno dei fuoriclasse ma rendono comunque un egregio servizio ai due Maestri. A mio avviso il valore complessivo dei Macbeth di Muti pubblicati ufficialmente in quasi quarantanni (in studio del 1976, DVD scala 1998, Roma 2013) é rimasto abbastanza stabile. Circa il presente non é in questo blog che troverai elogi ai cantanti del presente. Rigoletto più sopra cita alcune indiscutibili eccellenze del passato ben convinto (come gli altri venti fedelissimi del CdG) che cantanti come Florez o la Bartoli (due eccellenze del presente) non avrebbero potuto ben figurare in ogni stagione operistica dal 1800 ad oggi.-

    • La Bartoli non avrebbe potuto cantare nemmeno nel Settecento 😉
      Goditi il buon Verdi degli antichi e al massimo sentiti i Macbeth del 1952 con Mascherini, Callas,Tajo diretti da de Sabata e quello del 1976 con Cappuccilli, Verrett, Ghiaurov, diretti Claudio Abbado.

      PS. ops, mi sono dimenticato Domingo nel Macbeth del ’76: per una volta che sta al suo posto di secondo, è pure da apprezzare!

  4. Sto via un po’, ritorno…e trovo alberto”prezzemolo”emme che spara a raffica i suoi giudizi da tronfio lettor di spartiti e, o lasso, scarso conoscitor di voci.
    A rridaje con la Bartoli e il probosciflorez !
    Passi per Cecilia Bartoli, che – Norma a parte (Si, non è per lei, le note non bastano… ricorda, sig. prezze-sotutomì…) – altrove è certo da rispettare, ma il Flornaso, hai voglia a cantar lo duca !
    Parmi veder le lagrime, le nostre, s’ intende.
    …ma egr. mr orecchiofino, l’ha sentito per caso cantare Fenton?
    Quanto poca grazia, per tentar essere di grazia…
    Caro el me’ giuvinott, meglio quanto sopra elencato, tutta roba fina.
    p.s. complimenti a tutti per il florilegio, molto molto bello.
    Auguri sempre.

        • anche se non siamo d’accordo su niente caro Akonkagua mi fa piacere rileggerti. Volevo proprio scrivere in questi giorni un post chiedendo dove eri finito. Su Florez e la Bartoli (di cui ho prenotato una Cenerentola) mi dispiace che tu e gli altri non li sappiate gustare, ma amen…anche Stinchelli che non apprezzava Muti (per antipatia viscerale) ora scrive che da quando é arrivato a Roma é diventato bravo…meglio tardi che mai…certo fa la figura dell’intenditore che se non ha da smitizzare qualcuno si sente uno sfigato o se non ha da raccontare del padrone che azzanna il cane si sente a corto di argomenti

  5. “Ci sono attori, anche famosi, che mi hanno detto: “Vi invidio, avete una colonna sonora meravigliosa ed emozionante sulla quale recitare, noi dobbiamo creare ogni cosa da zero, nel silenzio”” J. Kaufmann, fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli/people/2013/10/17/news/jonas_kaufmann-68774998/?ref=HREC1-30

    In queste poche righe sopra riportate c’è secondo me il nocciolo della questione sul melodramma degli ultimi venti anni.
    Semplicemente, non tutti quelli che vanno a teatro cercano la stessa forma d’arte. Prescindendo da discorsi di carattere storico che molti in questo blog saprebbero affrontare con più perizia del sottoscritto, semplicemente non è vero che “è cambiato il gusto” – come si ama dire – perché la parola “gusto” si riferirebbe ad un unico senso (l’udito, in questo caso) e rientrerebbe nei normali processi di evoluzione della forma d’arte, lo stesso canto ne ha avuti diversi.
    Oggi a teatro si cerca una forma d’arte differente (alla faccia della tanto acclamata filologia) che legittimamente ha nuovi ed entusiasti proseliti, ma che più difficilmente può soddisfare il “vecchio” pubblico. Se ad un sommelier portiamo del vino di qualsiasi tipo, per quanto scadente, farà la sua feroce critica ma si sentirà comunque a proprio agio; se gli portiamo dell’acqua e gli diciamo “ammira che magnifica bottiglia dei mastri vetrai toscani”, non sarei tanto sorpreso se il sommelier ci tirasse la bottiglia in testa. L’esempio è stupido e riduttivo, ma vuole darvi un’idea dell’impressione che ho oggi quando entro in un teatro.
    Buona giornata a tutti.

    • Sì, ma resta da dimostrare che la vociferazione di un Kaufmann abbia valore da un punto di vista attoriale. Si tratta in verità di vociferazione inespressiva, ferina, che niente ha di umano. Non significa nulla, è un volgare rumore corporale, effettismo sonoro buono per gonzi incompetenti che farebbero meglio a dedicarsi ad un passatempo diverso dalla musica e dal canto.

      • Eh, ma per te rimane il tutto comunque incentrato sul suono, sull’ascolto… Non è un’offesa, capiscimi. Quello che stavo dicendo è che nella “nuova forma d’arte” si vogliono sottolineare anche altri elementi, non ultimo l’aspetto e la fotogenicità dei cantanti. Se il divino Kaufmann fosse stato un frigorifero di 1,60×1,60×1,60 non so se le sue mezzevoci avrebbero ancora evocato altre dimensioni nella mente del pubblico… Poi oggi ci sono anche i DVD, senza contare il “bisogno” fisiologico di creare modelli ed eroi (questo in verità è un fenomeno più vecchio e che ha fatto i suoi danni ben prima di Kaufmann)..
        .
        E il pubblico ora si aspetta altro, ha altri parametri quando viene a teatro. Non per niente moltissimi vecchi melomani, vecchi senza offesa s’intende, disertano da anni i teatri e questo lo sapete bene.

        Per fare un altro esempio su un argomento su cui ormai sono rassegnato, un tempo si ammirava la morbidezza, la facilità (apparente) di emissione, la rotondità del suono e la sensazione di riempimento della sala che si aveva ascoltando una vera voce, oltre al suo colore; d’altra parte, la tensione creata nel corpo dell’ascoltatore quando il cantante dà segno di non farcela e di non poter arrivare in fondo era qualcosa di insopportabile. Anche io mi ci sento male per lei/lui. Oggi questa tensione sembra quasi essere attesa dal pubblico, sembra parte dello spettacolo, una qualche manifestazione di sommo sforzo artistico, di caratterizzazione di personaggi intimamente sofferenti. Non voglio giudicare la cosa in sé, è solo un’osservazione, poi magari ognuno ha esperienze diverse dalla mia in teatro.

      • Ma sai, l’annata o il decennio storto sarebbe il meno… Se la guardi dal lato di chi si siede e ascolta, il pubblico ha sempre ragione (per pubblico intendo TUTTO il pubblico, non solo chi fa più casino o chi viene una volta l’anno o chi è più vicino a microfoni e telecamere), se invece la guardi dal lato di chi sta dall’altra parte… ci sono situazioni che hanno fortemente penalizzato la nostra tradizione – e al limite uno potrebbe anche dire “me ne frego della tradizione, viva il nuovo” – e quindi affondato interi settori del nostro mondo musicale italiano, che su quella tradizione prosperavano. Da quest’ultimo punto di vista il danno è stato parecchio più rilevante, direi. A buon intenditor poche parole.

    • La cosa che mi fa più rabbia è che questi nomi di falsi divi stanno impiastrando quel poco che rimane di tradizione e uno che afferma “Cantare non basta più, bisogna entrare nel personaggio come sul set” vuol dire che non ha capito proprio un CA**O …
      Scusate il turpiloquio ma non è possibile sopportare scemenze simili!

      • E Kau Kau sarebbe uno che entra nei personaggi? Con quella espressione tra imbambolato e finto-ebete che applica a tutti i personaggi che interpreta, si tratti di José, Manrico o Werther?. Questo a parte i gemiti e gli ululati che strappa dai precordi nel tentativo di simulare una voce impostata

  6. Bella la Kaufmannata, forse si sta accorgendo di aver sbagliato attività.
    Puo’ sempre rimediare comunque, non frequentando l’accademia perchè per quella ci vogliono i numeri, ma la parte del bel vaccaro che aspira a papparsi la figlia del padrone, in qualche fiction di tipo sudamericano, la puo’ fare.
    Quanto ad alberto…va tutto bene, de gustibus…, però non sono così massimalista : i due non mi piacciono, è vero, ma se cantano roba adatta alle loro vocine, OK, potete andarli ad osannare quando e quanto volete.
    E’ il citarli come voci verdiane che non sta in piedi.
    Florez per me è troppo approssimativo, sia il suo Fenton che il Duca suonano grezzi vocalmente e mancano di quella grazia che la parte richiede.
    La Bartoli poi, con Verdi (come con Bellini), non ha proprio niente a che vedere.
    C’est tout

    • Beh, la Bartoli non ha più niente da dire in materia di canto 😉
      infatti, da buona “non apta”, sta iniziando a fare masterclass (insieme alla madre che ha fallito già miseramente con la figlia) che prevedo aumenteranno in numero esponenziale, per rovinare le nuove generazioni e cantare qual petofoni come lei!

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