Le grandi Violette assenti: Maria Chiara.

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Mentre in Europa imperversava la Voioletta della Tetrazzini, negli Stati uniti quella di Marcella Sembrich e nella Russia Imperiale quella di Antonina Nezhadova (veramente splendida) in Italia ed anche nei paesi spagnoli si imponeva quella naturalista di Rosina Storchio. La Storchio, cantante interessantissima e interprete tanto grande da esserlo stimata da una collega e rivale come la Carelli, varò in Italia (aggiungo in uno con Angelica Pandolfini) una Violetta parente prossima di Mimì e Manon di Massenet, quindi dai colori tenui, dal fraseggio eloquente, esente e dagli eccessi acrobatici della Tetrazzini e da tentazioni veriste. Insomma la Traviata confezionata su misura per un soprano lirico. Se poi il soprano lirico, come nel caso della signora Maria Chiara ha una certa propensione (derivata da una rigorosa scuola) al canto di agilità e estensione ragguardevole abbiamo una Violetta che canta splendidamente, che interpreta convinta ed attenta alle indicazioni dell’autore forse senza colpi d’ala, che non perde un’occasione testuale per inserire piani e pianissimi rinforzando e stendando, legando ogni suono e che avrebbe meritato molto molto di più della solida fama e del rimpianto di cui oggi è, giustamente, oggetto. Mi premetto una chiosa a Napoli nel giro di cinque anni ascoltarono due Violette grandi ed antitetiche, ma entrambe esemplare: Maria Chiara e Beverly Sills. Napoli 1974.

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