Le grandi Violette assenti: Rosanna Carteri – Duetto Violetta-Germont con Carlo Tagliabue

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La grande scena del secondo atto tra Violetta e Germont padre non è soltanto un duello psicologico, ma anche e soprattutto un pezzo fondamentale di teatro di conversazione: teatro puro di parola nel quale il recitativo, l’aria, il duetto diventano un flusso continuo e serrato che dell’importanza della parola scenica coglie le sfumature, ma anche i significativi cambi agogici di un discorso, aprendosi alle esplorazioni delle possibilità del registro centrale della voce.
Se, ad esempio il canto di Germont si attesta su una struttura incalzante, ma apparentemente melodiosa, che all’occhio dell’ascoltatore deve necessariamente risultare cinica e insinuante, grazie anche all’intrecciarsi degli archi che formano la struttura portante della scena, quello di Violetta sembra una linea in discesa, che nelle medesime melodie trova frasi che la trascinano in un vortice di pessimismo e intensa commozione, spinto fino ad un confondersi angoscioso e mortale.
Tagliabue, vocalmente anziano, ma non vinto, impressiona con il suo Germont dal fraseggio ovunque nobile, ma attraversato da un freddo distacco che lascia spiazzati e da una dizione di formidabile scolpitura.
Parole come “Sacrifizio”, tutto il “Pura siccome un angelo” trafiggono nel la loro apparente gelida normalità, oppure quei “Piangi” o quel “Non amarlo ditegli… Partite”, frasi a mezza voce che rivelano più di quello che dicono, sempre con una voce che non va mai indietro, ma risuona sfumata e chiara sul labbro.
Splendida la Carteri, voce di non debordante personalità, ma di squisita fattura timbrica, facile nel coprire l’estensione di Violetta, oltre che bellissima cantante e fraseggiatrice varia e sfaccettata.
La dignità che traspare da questa Violetta nasce proprio da quella redenzione che lucidissima emerge dalla frase “Più non esiste… or amo Alfredo, e Dio lo cancellò col pentimento mio.” detta con un abbandono encomiabile; ma anche il resto trova la Carteri imporsi per lo splendido ritratto di una donna vinta non per compiacere Germont, ma per amore di Alfredo. Meravigliose le frasi dette in piano o pianissimo (“Dite alla giovane”, “Morrò, la mia memoria”) su un’unica dolce arcata di fiato senza cedere alle seduzioni del verismo, ma intrise di spontanea commozione.

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