Gerd Albrecht (1935-2014)

Gerd-Albrecht-ist-tot_pdaArticleWidePochi giorni dopo la morte di Abbado, ci lascia silenziosamente Gerd Albrecht, classe 1935: di un paio d’anni più giovane del Divo Claudio. Lontano dai clamori mediatici o dagli altrettanto mediatici silenzi, Albrecht ha lasciato questo mondo così come l’aveva vissuto: con discrezione. Una carriera precoce, iniziata a 22 anni con l’assegnazione del Premio Besançon e il primo incarico all’Opera di Stoccarda, che da Lubecca, Amburgo, Berlino, lo portò alla Tonhalle di Zurigo, alla Czech Philharmonic (primo straniero a ricoprire l’incarico di direttore principale nei 100 anni di vita della prestigiosa orchestra condotta da Dvorak e Mahler), sino alla traumatica esperienza con l’Orchestra della Radio Danese (interrottasi bruscamente dopo soli due anni) ed al sodalizio con la Yomiuri Nippon Symphony Orchestra (già diretta da Masur, Frühbeck de Burgos, Roždestvenskij). Come altri suoi grandi colleghi – penso a Celibidache, Kegel, Gielen, Suitner, Wand – ha privilegiato il rapporto con orchestre non “blasonate”, ma con cui fosse possibile costruire un rapporto continuativo ed un linguaggio condiviso attraverso l’impegno di una frequentazione assidua. E come i suddetti colleghi non ha “beneficiato” dell’appoggio di case discografiche e dell’interesse speculativo dei media. Straordinario musicista grazie ad un’ispirazione costante, una tecnica impeccabile e una serietà esemplare, fu ospite fisso a Salisburgo, Vienna, Lucerna e Monaco. Albrecht ha dedicato la sua prestigiosa carriera alla musica del ‘900, di cui è stato prezioso interprete e scopritore: Busoni, Hindemith, Zemlinsky, Krenek, Schreker, sino a Henze, Ligeti, Pendercki, Reimann e Rihm (anche in anni in cui molti di questi venivano visti con sospetto perché non sufficientemente “impegnati”). A questa importante opera divulgativa si è affiancata la curiosità per certo repertorio meno frequentato dell’800 tedesco (Spohr) e della mitteleuropa absburgica (l’opera teatrale di Dvorak) e non è mancato il repertorio più classico (da Schumann a Brahms sino a Meyerbeer). Come e più di Abbado ha coltivato, parallelamente, l’interesse verso le orchestre giovanili e la diffusione della musica tra bambini e ragazzi attraverso fondazioni, sovvenzioni, premi, libri, istituti per l’infanzia etc…senza mai cercare il plauso del “bel mondo” e senza reclamizzare le proprie gesta “a futura memoria”, ma con la concretezza e la discrezione di chi “fa” senza bisogno di piedistalli o medaglie. Proprio il carattere schivo e il non essere “personaggio” da rotocalco e TV, furono causa di sfortunate vicende extramusicali: come la brusca interruzione del rapporto con l’orchestra danese, causato, infatti, dalla civile, ma forte, protesta di Albrecht contro la guerra in Iraq e contro la politica degli USA. Verrebbe da dire che, a differenza di qualche suo collega, non era sufficientemente introdotto nei salotti radical chic della sinistra “al caviale” per potersi “permettere” di dichiararsi semplicemente contrario alla guerra. Aldilà delle polemiche Albrecht lascia un’importante eredità nella diffusione di una grande parte di musica ancora troppo poco frequentata. Un’eredità che – nonostante una vita esterna ai grandi centri orchestrali e mediatici – resterà, per la musica vera e vissuta, come punto di riferimento. Un grande direttore è scomparso. E pur non godendo del supporto di piccoli e grandi fan (più o meno itineranti), di non  veder accreditato il suo impegno sociale e politico sotto la categoria dell’ “impegno” ideologicamente orientato, di non vedersi riconosciuti completamente i propri meriti nella diffusione di compositori certamente meno di moda, allora, rispetto a Nono o Stockhausen (che però, a differenza di Henze o Hindemith, non sono sopravvissuti alla prova del tempo), lascia un’impronta profonda nel nostro ‘900 musicale. Un mondo che senza Albrecht è sicuramente più povero.

Gli ascolti:

– Hans Werner Henze: “Gogo no Eiko” (vers. 2003/05)

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– Paul Hindemith: “Mörder, Hoffnung der Frauen”

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– Alexander Zemlinsky: “Der König Kandaules” – Preludio del III atto

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– Aribert Reimann: “Lear” – frammento

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– Ferruccio Busoni: “Turandot”

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59 pensieri su “Gerd Albrecht (1935-2014)

  1. L’ ho ascoltato molte volte dal vivo. A Stuttgart veniva regolarmente a dirigere sia la RSO des SWR che gli Stuttgarter Philharmoniker. Gran direttore, con una tecnica solidissima, di quelle tipiche della vecchia scuola. Del resto, ha fatto una carriera ai massimi livelli, con 20 anni di presenze a Salisburgo e concerti con tutte le grandi orchestre del mondo. Non era il tipo fatto per piacere alle vestali itineranti e alle marisebarbise che girano l’ Europa a sbavare dietro ai divi di cartapesta odierni. Era un musicista di autentico spessore e tanto basta. Grazie a Duprez per averlo ricordato.

  2. Un bel ricordo, Duprez, per un musicista di rango. Mi permetto anche di ricordare la bella incisione di quell’opera stupenda che è “Olympie” di Spontini. Consentimi anche di dire che mi hanno un po’ imbarazzato i numerosi accenni ad Abbado. Vorrei che si parlasse bene di qualcuno senza che, per contrappasso, ci fosse bisogno di parlar male del destino di qualcun altro. Altrimenti si fa come …….. che, quando giustamente menziona con grandi lodi la J…..c, che per altro non è che abbia avuto un successo proprio miserevole, per una sorta di compulsione non può fare a meno di nominare l’ingiusto successo della LEGGE. Non mi pare un comportamento da prendere a modello.
    Ciao
    Marco Ninci

    • Penso che chiunque si interessi di musica a fondo e con attenzione non possa non sentire la grande perdita costituita dalla morte di un musicista del valore assoluto di Albecht. Come chiunque abbia un autentico interesse per la musica del Novecento difficilmente non si è felicemente imbattuto in lui. Avrebbe meritato maggior gloria? Forse sì. D’altra parte conta ciò che ha fatto e la sua eredità e, ripeto, per gli appassionati tanto basta.
      Scrivo il mio intervento qui sotto per eprimere la mia solidarietà a Marco. Confesso candidamente di non capire a chi alluda riguardo al raffrondo J…..c – Schwazkopf; tuttavia non posso che essere d’accordo con lui: gli indiscutibili meriti di Albrecht valgono di per sé, senza confronti.

    • Certamente Olympie di Spontini: bellissima incisione. Come Jessonda di Spohr del resto. Gli accenni erano rivolti ad un culto che nulla ha a che fare col musicista e che mi infastidiscono non poco laddove trasformano l’omaggio in retorica o, peggio, in obbligo (leggevo, in questi giorni, deliranti attacchi a chi in passato avrebbe “osato” non genuflettersi all’arte del Maestro e ora sfrutterebbe i media per fini ignobili: ho letto questo rivolto a Muti “colpevole” di aver cambiato suono all’orchestra scaligera). Che poi io personalmente ritenga Albrecht interprete più importante negli esiti concreti della carriera svolta e nel repertorio che ha contribuito a diffondere, è mia libera opinione che non dovrebbe suscitare imbarazzo o disgusto, ma semplice contraddittorio.

  3. caro ninci siccome ti sei comportato come blateri donzelli si comporti il medesimo ti ha censurato. Se questa esperienza non ti gusta ci sono tanti posti dove puoi fare la maestrina. Non sono così cretino da non capire che per te rilevava solo insultare e contraddire.

  4. Grazie per il bellissimo ricordo. Purtroppo non l’ho mai sentito dal vivo, ma posseggo un paio incisioni (Il Giuramento di Mercadante e Wanda di Dvoràk ) che ascolto sempre molto volentieri. E grazie anche per aver ricordato aluni direttori che meriterebbero di essere, a mio avviso molto più conosciuti di quello che sono: Suitner (che ha inciso quella che è, secondo me, la migliore integrale in assoluto delle sinfonie di Dvoràk) e Gielen (una delle migliori integrali mahleriane).

    • Concordo: grandi direttori e seri musicisti, non superstar del podio. L’integrale mahleriana di Gielen è tra le mie preferite, come quella di Dvorak di Suitner. Kegel è interprete superbo (il suo Parsifal è di riferimento come il suo Berg e Schönberg). In tempi più recenti e sempre lontani dai riflettori, trovo straordinari Zinman e Jarvi (Paavo).

      • Ho scoperto l’incisione dell’integrale beethoveniana di Zinman (sinfonie più i concerti e le ouverture complete) solo qualche anno fa. Non dico che sia divenuta la mia integrale di riferimento, ma l’ho trovata decisamente “ear-refreshing”. Bello ascoltare musica che si pensa di conoscere a menadito e scoprire quanto ci sia ancora da dire su certi capolavori. Non altrettanto riuscita mi pare invece la sua integrale mahleriana. A proposito di integrali mahleriane “under the radar” (sono un po’ OT, ma te lo chiedo lo stesso), cosa ne pensi di quella di Neumann con l’Orchestra Filarmonica Ceca ?

        • Mi piace la definizione del Beethoven di Zinman: la condivido. Ti consiglio anche le sue integrali di Schubert e di Brahms (sempre nello stesso spirito del ciclo beethoveniano). Il Beethoven di Zinman è fresco, agile, con un suono più asciutto rispetto alla tradizione. E se guardi l’anno di incisione (’97/98) decisamente all’avanguardia nell’adottare – tra i primi a farlo – un approccio diverso. Neumann è un altro grande direttore di quelli “oscurati” dalle nostre parti (ma le case discografiche hanno i loro prodotti da vendere…tant’è…) e la Filarmonica Ceca è un’orchestra superba (se non sbaglio “tenne a battesimo” la Settima di Mahler): l’approccio è opposto rispetto a Zinman o a Gielen, ma è comunque eccellente. Trovo sia un’integrale (quella mahleriana) impetuosa, dionisiaca, calda. Molto bella davvero (come anche la sua integrale di Dvorak – la prima però, quella non digitale). Mi ricorda molto la quasi integrale di Kondrashin targata Melodiya o quella di Svetlanov.

          • Come integrale schubertiana a me piace molto quella di Harnoncourt con il Concertgebouw di Amsterdam. Vediamo se riesco a recuperare anche quella di Zinman. A proposito dell’integrale di Neumann a me piace l’approccio molto “novecentesco” alle tre sinfonie centrali (in particolare alla Sesta, molto spostata verso il versante “Seconda scuola di Vienna”, come Boulez). Concordo anche su Kondrashin, anche se, a proposito di settima, la sua inicisione live con il Concertgebouw (altra orchestra mahleriana per eccellenza) supera anche quella con l’orchestra di Leningrado (ad onor del vero, secondo me è la migliore settima in assoluto).

          • Neumann ha anche firmato quella che io ritengo essere la versione di riferimento dell’ Orfeo glückiano, con una Gewandhausorchester dai colori abbaglianti e una coppia ideale di protagoniste, Grace Bumbry e Anneliese Rothenberger.

  5. buona sera a tutti, sono lieto di registrare che qui’ ci sia spazio veramente per tutti gli artisti che hanno allietato con la loro arte le nostre ore e arricchito la nostra cultura musicale. Anche Gerd Albrecht ci ha lasciato ma non è passato invano. Grazie per i richiami al musicista del quale cercherò di recuperare qualcosa in piu’, grazie alle vostre indicazioni, rispetto a cio’ che ho già ascoltato diretto da lui.
    Voglio ricordarlo qui’ come interprete del Trittico pucciniano, già prima della versione video da Hamburg, con la sua Suor Angelica e il suo Tabarro dell’11 febbraio 1979 a Vienna-
    arrivederci caro maestro e grazie di tutto.

    • Grazie a te: la morte di Albrecht è stata praticamente ignorata non solo dalla stampa generalista, ma pure dagli addetti ai lavori. Trovo sia molto ingiusto. Soprattutto per il valore umano e artistico del Maestro.

      • Qui da noi tutti i media hanno commemorato adeguatamente il maestro Albrecht. L’ ARD ha trasmesso un servizio nel Tagesschau della sera e tutti i giornali hanno pubblicato ampi aticoli commemorativi. Quelli che mi sono piaciuti di più sono usciti sull’ Hamburger Abendblatt e sul quotidiano viennese Die Presse. Anche il servizio del Frankfurter Allgemeine Zeitung era fatto molto bene.

  6. ……. Io sono sempre stato considerato un ammiratore sfegatato del Maestro Muti, che io ho semplicemente difeso da attacchi deliranti, da clinica psichiatrica. Abbado per conto mio mi piace moltissimo, è stato autore di pagine indimenticabili; negare questo è ridicolo. E sicuramente non lo nega neppure Duprez. Ma su questo vorrei dire due cose. Da una parte non mi piace molto che si tessano le lodi di una persona criticando un’altra. D’altra parte Albrecht è stato certamente un direttore davvero importante. L’ho anche sentito a Berlino, con grande piacere. Però Abbado mi sembra stia su un altro pianeta, a prescindere dai fan, dai miracoli, da tutto quello che l’ha circondato, che alla fine gli ha fatto più male che bene, gli ha suscitato molte antipatie. Una terza di Mahler che ho ascoltato a Firenze nel ’78, con tanteissime imprecisioni legate a un’orchestra allora mediocre, mi fece un’enorme impressione, è fra i miei ricordi più belli. A cose del genere non credo che Albrecht potesse arrivare. Un saluto a Lontanodalmondo, che ringrazio per la sua solidarietà.
    Marco Ninci

    • ti ho censurato ancora ninci e andrò avanti a farlo per tua edificazione ed educazione sin tanto che dimostrerai un’incoerenza pari alla tua spocchia e superbia. Rifletti ed emendati: dici che non si fa critica con i confronti e poi il tuo tread che qualcuno -clemente e pio- ha pubblicato altro non fai. Un po’ di coerenza
      ciao dd

    • e daje… se l’orchestra suona bene allora è merito del direttore, se è “imprecisa” la responsabilità è tutta dell’orchestra stessa… imprecisioni di che tipo Ninci? Non andavano insieme forse? Ragionamenti di questo tipo mi fanno capire quanto sia insensato l’interesse verso i direttori d’orchestra ed il culto di cui sono oggetto da parte di appassionati come te Ninci. Nessuna arte è aleatoria come la direzione d’orchestra, in nessun’altra arte si assiste ad un simile acritico, fideistico culto del nome. La maggior parte di voi se sul podio ci fosse un paravento che impedisce la vista, dall’ascolto non saprebbe minimamente distinguere se a dirigere putacaso i Wiener (orchestra che suona tranquillamente da sola senza bisogno di un pagliaccio vanesio che le sventola le mani davanti) ci sia Abbado, o Karajan o un dilettante qualsiasi.

      • perfettamente d’accordo e la prova è che un tempo a seconda del direttore la medesima orchestra aveva suono e colore diverso adesso sempre il medesimo e non da questi ultimi anni, ma almeno da venti

        • Questo è assolutamente falso: ti invito a sentire i Wiener – orchestra che non amo particolarmente – diretti da Boulez, da Thielemann e da Welser-Most… Ma poi, Domenico, tu stesso hai stigmatizzato il direttore della Lucia scaligera per come conduceva un’orchestra dal suono COMPLETAMENTE diversi rispetto alla precedente Cavalleria con Harding… Se il direttore non serve a nulla, non dovrebbe esserci alcuna differenza. E’ un discorso “per assurdo” lo so.

      • Beh, non esageriamo. Un grande direttore riesce a cavare da un’orchestra mediocre anche cose eccellenti (prendi il Ring della Scala diretto da Furtwaengler), mentre un cattivo direttore può mettere in difficoltà anche la migliore orchestra. I Wiener – per stare all’esempio di Mancini – diretti da Thielemann in un’incisione della Nona di Beethoven, suonano decisamente male e sono pure imprecisi. Certo che se considerate il direttore d’orchestra un “pagliaccio che sventola le mani” mi vien da dire che pure il vostro è un atteggiamento acritico e ideologico. Il vostro discorso è analogo a quello di chi sostiene che tra la Horne e la Barcellona non vi sia alcuna differenza…perché confondere un dilettante qualsiasi con Abbado o Karajan significa, semplicemente, non ascoltare, non saper ascoltare o non voler ascoltare. Questo è il danno prodotto dal divismo…in tutti i campi. Dai cantanti che si credono divini intoccabili ai direttori che si atteggiano a superstar… Il divismo uccide la musica. Da sempre. Poi c’è il culto acritico, che è ancora peggio…lo so: e spesso ultimamente si è spostato sul podio. Ma per quali direttori? Quelli che certe etichette spacciano per geni assoluti. Non certo i veri musicisti. E non è un caso che i grandi direttori di oggi privilegino un rapporto con le orchestre periferiche e meno esposte mediaticamente.

    • Non frequento sacrestie, ma chiese. Parlo con Dio e non con il prete. Potrei risponderti nelle stesse dove le hai imparate Tu. Troppo facile. E quindi Liceo Ginnasio Parini di Milano, quello della zanzara, dove sopravvivere era tutt’altro che facile fra il 1975 ed il 1979. E non scrivere che ero di destra, di CL e simili cagate semplicemente dovevo difendermi da insegnanti come Te.

  7. Forse Albrecht non era proprio un direttore immenso, ma un musicista di notevolissimi meriti senz’altro. Meriti, è bene dirlo perché è importante, anche culturali. Ricordo di lui un’eccellente incisione del “Corregidor” di Hugo Wolf, con Doris Soffel e Fischer-Dieskau. Un’opera deliziosa, la cui scomparsa dai palcoscenici di tutto il mondo mi addolora. Io sarei disposto a andare in capo al mondo per vederne una rappresentazione in teatro, ma sembra proprio impossibile. Si possono vedere con una certa facilità opere di Brauenfels o Schrecker, ma l’unica opera teatrale di un grandissimo musicista come Wolf no. Vallo a capire.
    Marco Ninci

  8. Guarda, Duprez, te lo dico con amicizia. Ho riletto il tuo articolo. E’ tutto un contrappunto fra Albrecht e Abbado. Un esempio. Se Abbado parlava, sono “clamori mediatici”. Se stava zitto, sono “mediatici silenzi”. Ma che si voleva mai da lui? Risalta un’evidente antipatia. Non c’è nulla di male in ciò, il mondo dei melomani è strapieno di queste cose e nessuno ne è esente, colti e ignoranti, presenzialisti e assenteisti. Basta ammetterlo, senza insistere troppo sull’oggettività dei giudizi, che oggettivi poi non sono mai, perché sono troppo condizionati, oltre che da fattori culturali, anche dalla storia personale di ognuno. Del resto, mi sembra che non oggi, ma ormai da secoli il mito dell’oggettività dei giudizi si sia infranto senza rimedio. Hume e Kant non sono passati invano.
    Ciao
    Marco Ninci

  9. caro ninci con Kant e Hume ho rapporti difficili da tempo però un’osservazione me la devi concedere ovvero il clamore mediatico che ha accompagnato il de cujus, il CAI (finalmente CAI è tornato ad essere il club alpino italiano) le distribuzioni di semi fuori dalla Scala e poi un repertorio limitato , all’epoca della direzione scaligera spacciato per raffinata scelta, un esiguo repertorio operistico, un conclamato disamore per il melodramma. E qui mi fermo signifia solo quello che ho detto non altro, ma non possiamo dimenticarlo. Ti faccio un paragone operistico è come se i fans della Callas parlassero della voce angelica e vellutata della loro amata … troppo anche per chi ignora Kant e Hume . Senza cattiveria, senza acrimonia. E’ quello che Duprez sente ed io molto molto molto più di lui per motivi anagrafici.

  10. E poi, Duprez, la protesta sacrosanta di Abbado e Pollini contro i bombardamenti in Vietnam, protesta che non causò loro nessun danno professionale, perché, come dici, erano introdotti nei salotti della sinistra radical-chic, è poi tanto diversa da quella di Albrecht contro la guerra in Irak? Il problema non è costituito dai salotti ma dall’epoca. Quello che si poteva fare negli anni Settanta, quando il capitalismo e gli Usa erano ancora frenati dalla sfida costituita dagli stati socialisti, non si poteva più fare negli anni Duemila, quando quel freno era venuto meno e la globalizzazione stava compiendo senza ritegno i suoi effetti devastanti. Abbado e Pollini hanno seguito la corrente, è vero, ma questo non prova nulla contro la sincerità del loro gesto. Quello che è accaduto a Albrecht, il cui gesto per altro ha veramente tutta la mia ammirazione, è invece la conseguenza del fatto che si è trattato di un’azione controcorrente. Anche adesso, prova un po’ a fare qualche critica profonda all’istituzione dell’euro non da semplice cittadino ma da rapprsentante della classe dirigente. Vedrai come ti diverti e come il tuo posto fa alla svelta a saltare. Io stesso la gauche caviar, i vari Scalfari, Augias, Lerner, Cacciari, Boldrini, non la posso assolutamente sopportare. Ma non sono in grado di nascondere a me stesso che la mia storia personale, che mi ha di necessità portato a un contatto diretto e lungo con questa classe, ha un ruolo fondamentale in questo mio atteggiamento.
    Marco Ninci

  11. Appunto, Donzelli, motivi anagrafici. E poi i semi, i fiori, i compleanni di Abbado, tutto folclore fastidioso, certo. Volevi altro repertorio, è legittimo, volevi Traviata invece di Pelléas, lo capisco. Come capisco l’isolamento in quegli anni di chi non la pensava secondo la corrente. Però ammetterai che tutto questo non c’entra molto con i risultati ottenuti da Abbado nelle musiche che amava. Si ferma prima, fa parte della storia personale di chi c’era o di chi, come Duprez, ricorda con fastidio quel tempo e ciò che ne è sopravvissuto. Tuttavia, a una persona che è anziana, certamente più anziana anche di te, permetti di ricordare che nei vituperati anni Settanta, tormentati dal terrorismo, dall’inflazione e dagli schock petroliferi, il Teatro Comunale di Firenze strabordava di persone giovani, interessatissime a tutto quanto veniva presentato (e non è che il maestro Muti fosse un grande ammiratore di Nono e Stockhausen), i dibattiti sulla musica fiorivano e l’atmosfera era effervescente. La meteorologia fiorentina di ora annuncia invece nuvole londinesi e l’allegria è quella di un cimitero. E, se Firenze è malinconica, la gioia che impera alla Scala è dal canto suo discutibile. Mi si dice che l’interesse del pubblico è sostanzialmente quello dei turisti di passaggio. Tutto ciò non fa prevedere nulla di buono. E io credo che la politica in qualche modo c’entri.
    Ciao
    Marco Ninci

  12. alla breve non volevo la traviata la posto del pelleas volevo e lo pretende la cultura e l’onestà prima di tutto la traviate ed il pelleas non solo quest’ultimo; volevo opera russa ma non solo moussorsky servito a livelli di festival di Santa MAdre Russia. Volevo Beethoven e non solo Mahler. Tutto qui non è la quadratura del cerchio è solo onesta e rispetto del pubblico. Alla fine anche il folklore infastidisce e pesa è una forma di dittatura. Solo noi buoni solo noi colti etc…. e siccome ieri ti ho anche detto la mia provenienza puoi capire. Ho vissuto una nefasta dittatura per cui si DOVEVA parlare dello sterminio degli Ebrei ad opera del Nazismo, tacere però di quello staliniano. Ho visto deridere e offendere studenti, oggi uomini di tanto successo quanto vasta cultura perché avevano parlato (vittime le loro famiglie) degli infoibati e devo tacere e devo cantare nel coro. MAI li ringrazio per quella dittatura perché mi ha insegnato a guardare fuori a pensare fuori dagli schemi. Lo stesso hanno vissuto i miei genitori nel ventennio e quel funesto periodo è stato vera scuola per le coscienze e la cultura degli intelligenti non dei caproni , che poi giravano in maschera a distribuire semi e parlare di piante come metafora degli schej. 90000 alberi, ma lesemo star!!!

  13. Però, Donzelli, tutti vivono contrasti di questo genere. Io sono marxista e devo sentirmi dire tutti i giorni che non esistono più né destra né sinistra. Come si sia potuti arrivare da DI Vittorio e Berlinguer a Renzi e Maria Elena Boschi è per me fonte di stupore. Non ci posso fare niente e non vale la pena adirarsi, ne sono sempre più convinto. Può essere giusto il pensiero laterale e non conformista. Il pericolo però che un simile pensiero corre è che il non-conformismo sfoci nell’irragionevolezza, il che succede spesso.
    Marco Ninci

  14. Caro Ninci, francamente mi sfugge la ragione della polemica: tu leggi in ciò che ho scritto un costante riferimento (negativo) ad Abbado. In realtà mi sono soffermato su semplici dati confrontando il silenzio che ha accolto la scomparsa di un grande musicista – a cui si deve la diffusione di una larga fetta di musica del ‘900 oltre alla riscoperta di titoli meritevoli (la splendida Jessonda di Spohr ad esempio) – e la retorica assordante che ha accompagnato il suo collega in tutta l’esistenza. Certo i tempi erano e sono diversi, i caratteri differenti, gli ambienti distanti…ma le azioni sono dati di fatto. Ribadisco che non ce l’ho affatto con il musicista Abbado che ammiro più di quanto tu creda, ma con il circo Barnum di quel che gli sta(va) intorno. E qui mi fermo perché questa polemica non mi piace, non mi interessa e ne abbiamo già parlato abbastanza: lasciamo ai morti la pace.

    Invece – proprio perché tu e Domenico – me ne date ancora occasione, vorrei soffermarmi sulla figura dell’Abbado musicista, nel periodo scaligero. Donzelli sa benissimo che non sono d’accordo con lui sulle critiche mosse al direttore (a qualsiasi direttore, ma anche a qualsiasi solista, strumentista, cantante) in virtù della scarsezza o meno del suo repertorio: perché ritengo che il “quantum” non sia rilevante quanto il “modus” e quindi preferisco che un interprete si dedichi a ciò che sente proprio aldilà di presunti doveri; perché credo che solo limitando il proprio repertorio a ciò che si sceglie liberamente si evita il rischio odioso del mestierante o del battisolfa che troppo spesso ha ammorbato il mondo dell’opera (dove chissà per quale motivo si è ritenuto che si potesse “risparmiare” sul direttore…i risultati sono da vedere o da sentire); perché tanti GRANDISSIMI direttori avevano un repertorio limitato che non sminuisce la superiorità della loro arte: Kleiber figlio, Celibidache, Jansons, Boulez sono i primi che mi vengono in mente; perché, infine, la valutazione dei repertori è troppo soggetta al gusto personale.
    Nel caso di Abbado, però, mi permetto di dire che non è così vero quello che lamenta Domenico:
    1) il repertorio di Abbado è stato molto vasto (negli ultimi tempi era limitato, d’accordo, ma sono da considerare stanchezza e salute), molto più vasto di quello di Bernstein ad esempio (e non si può parlare di repertorio limitato solo perché non piace): ha affrontato tutti i sinfonisti classici, i più importanti autori del ‘900, l’avanguardia obbligatoria in quegli anni, i principali compositori russi, e poi Mozart, Rossini, fino alle più recenti escursioni barocche (Pergolesi e Bach). A conti fatti è più vario di quello di Toscanini;
    2) quando Abbado era alla Scala non è che non si facessero Traviata o Beethoven: magari li dirigeva qualcun’altro…e non c’è nulla di male. E poi bisogna fare una tara alle proprie antipatie: la storia di Mahler imposto forzosamente è falsa….come scritto in altra sede Abbado propose le 9 sinfonie di Mahler in 3 stagioni successive, nella misura accettabilissima (per i detrattori del compositore) di 3 sinfonie all’anno. Del ciclo, Abbado si limitò a dirigerne solo tre (credo la Seconda, la Terza con la Horne peraltro e la Sesta). E ovviamente Beethoven in quegli anni fu ben presente;
    3) i gusti sono gusti, ma appunto sono personali: con 12 titoli all’anno non è possibile ogni stagione fare Traviata….ben venga il Pelleas dunque. Su Mussorgskij però mi scaldo: non si tratta di uno sfizio intellettualoide, ma un compositore irrinunciabile…e francamente proporre un paio di titoli suoi (a distanza di due anni uno dall’altro) non mi pare certo trasformare la stagione in un festival russo… Non si può neppure trasformare il teatro in un festival rossiniano o verdiano o pucciniano. Ma questo è un discorso sterile poiché – ancora – troppo condizionato dai gusti personali: c’è chi ama Semiramide e che continuerà a ritenere eccessivo un Boris ogni 20 anni; c’è chi preferisce Boris e non sente il bisogno di annoiarsi per 5 ore con la regina di Babilonia…

    • non è il casi di ripetere i 70 interventi della settimana scorsa. Le dosi di Mussorsky servite in scala era come allestire una ventina di titoli rossiniani tenuto conto che tre opere di Mussorsky sono percentualmente parlando una ventina di Rossini. Tutto qua Duprez!
      Il problema della limitatezza del repertorio di Abbado più volte te l’ho detto Duprez non è assoluto ma riferito al periodo in cui era direttore principale della Scala. D’altra parte lo stesso Abbado in un’intervista ha dichiarato che nel 1963 faceva due o tre concerti l’anno. E allora che repertorio poteva avere nel 1967-’68 quando approdò in Scala? Solo che i suoi pari per importanza di luoghi dove si esibivano vi arrivavano dopo un completo rodaggio di almeno un decennio.
      Tutto qua!
      Quanto all’opera un direttore che non faccia Puccini, Mascagni, Wagner, Strauss, Gounod, Massenet, Meyerbeer, solo il Rossini comico (anzi parte del Rossini comico) non avrebbe mai dovuto stare dove fu messo. Adesso è morto e come dice il Porta Jesusmaria per lu!

      • Circa l’ultima affermazione: se i parametri son questi Serafin, Gavazzeni e Votto hanno usurpato il ruolo e Mitopoulos, Walter, Furtwangler o Klemperer non avrebbero potuto mai essere presi in considerazione.
        Ps: i due titoli di Musorgskij non sono stati imposti per 20 anni di fila….concordo però che valgano – anche qualitativamente – 30 di Rossini :-)

    • Prima di dire che Toscanini aveva un repertorio limitato rispetto ad abbado vai a fare un giretto sul sito della Carnegie Hall. Poi sono disposto a riparlarne a meno che tu non faccia (ma non lo credo) un discorso di proporzione rispetto a quello che ti piace e quindi fare Mahler esaurisce il 70% del repertorio!
      E’ solo una precisazione nessuna velleità di polemica conti della serva e cronologie

  15. Perché polemica? Osservazioni critiche invece, sui tempi, sui modi, sui caratteri delle epoche, sulla globalizzazione, sul perché il terrorismo e l’inflazione permettevano tanta cultura, sul fanatismo, sul perché il fanatismo si riversa su un interprete e non su un altro…Io starei a giornate a parlare di queste cose. Absit iniuria verbis, ma mi sembra più interessante che stare a giornate, settimane, mesi a dire quali orrori siano la Bartoli o Kaufmann, a inventare le metafore più stravaganti per descrivere il loro gorgoglio, a lamentarsi perché si stava meglio quando si stava peggio.
    Marco Ninci

  16. E mi sembra anche di grande interesse discutere sul modo in cui la storia personale influisce sulle predilezioni, in che modo le predilezioni divengono un fatto storico etc. Perché per esempio un direttore il cui repertorio è abbastanza alieno dai gusti del melomane medio è diventato oggetto di culto quasi religioso? E’ una domanda interessante, secondo me molto interessante. Quasi da scriverci un saggio o addirittura un libro. Non escludo di farlo.
    Marco Ninci

  17. boris e kovanchina venivano rappresentate regolarmente alla scala. Il primo lo vidi diretto da gavazzeni e l’ altra in una delle tournée del bolchoi e non solo. Insomma assai più di semiramide tanto per la cronaca. L’ho scritto e ripeterlo mi sembra soprattutto da parte di chi è giovane una pericolosa forma di demenza senile non possiamo ragionare con criteri crociani o pseudo tali come è più bello o meno bello. Molto superata la cosa. Diciamo che mancavano opere significative è su dieci tre mousorsky come sei verdi oggi sono un’ esagerazione priva di buon senso buon gusto

    • I Boris di cui parli erano nella superata versione Rimskij… E comunque i due titoli di Musorgskij mica li hanno fatti uno di seguito all’altro. Comunque ad ogni stagione un titolo di Rossini lo garantiscono..per chi non può farne a meno! E poi tu ed io mica dirigiamo teatri quindi possiamo benissimo basarci sui nostri gusti. Che solo questi e non altre ragioni stanno alla base di questo discorso perché è oggettivo che un paio di Musorgskij in 15 anni NON sono troppi, così come Semiramide manca da troppo tempo. V

  18. Cari “Grisini”,
    è la seconda volta che scrivo, ma la prima che mi inserisco davvero in una delle vostre interessanti “polemiche”, quindi colgo anzitutto l’occasione per salutare e ringraziare dell’accoglienza (sperando di riceverla!).
    Avrei voluto scrivere che condivido in pieno la disamina di Duprez, soprattutto perché amo Mussorgskij, ma quando ho visto com’è finita sono rimasto basito, direi mortificato: come si fa a scrivere “annoiarsi per 5 ore con la regina di Babilonia”? Oppure “due titoli di Musorgskij … concordo … che valgano – anche qualitativamente – 30 di Rossini”? Confesso che non me lo sarei aspettato: i gusti sono personali, certo, ma questo è davvero contrario all’amore per il canto! A voler essere cattivi si dovrebbe rispondere che sostenere di annoiarsi con Rossini e non con Mahler è un inverosimile intellettualismo!

    Sperando che la folgore di Duprez non mi incenerisca troppo, vi saluto.

    • La mia era EVIDENTEMENTE una battuta…
      Ps: guarda che sei liberissimo di annoiarti con Mahler. Io mi annoio con Semiramide, non ascolto più di due minuti di Massenet, non digerisco Gounod, Thomas, Delibes…e quindi? Amen.

          • Colpa mia, senza dubbio ! Non riesco a farmi piacere Massenet. E dire che ci ho provato svariate volte…niente, non va. Magari insistendo…chi lo sa…

          • Perché dici “colpa tua”? E perché mai dovresti insistere Franz? Io vivo benissimo senza Massenet (che trovo melenso, zuccheroso, superficiale, monotono, kitsch, banale). È solo un mio gusto personale senza pretese di aver ragione o torto: questo non significa non riconoscerne l’importanza storica etc…significa solo che non mi piace e non sento l’esigenza di farmelo piacere. E come Massenet te ne potrei elencare molti altri

  19. Franz devi perseverare perche’ Massenet fra gli svariati pregi ha anche quello d non essere mai una minestra riscaldata. Prova con Don Chisciotte opera adatta a un Mahleriano. Oggi il vostro Albertoemme vi trasmette da Nincitown dove c’e’ uno splendido “tutto esaurito” che campeggia sulla locandina d M.ma B.F. Pinkerton cantata da Fiorenza Cedolins

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