Comparatio pro Nathalia

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La comparazione del venerdì ed il recente glossario di Mancini, sempre del venerdì, sono nati quale momento di riflessione sugli elementi prettamente tecnici del canto. Quindi un pezzo relativamente breve e, vorremmo, puntuale o puntualizzante. Oggi la comparatio,sempre condotta alla medesima maniera, ma con in più, tipo favola di Esopo, la morale, è dedicata ad una delle decane del giornalismo italiano di costume la signorina Natalia Aspesi, che non per la prima volta, cita il corriere della Grisi nei propri pezzi su Repubblica. Ce ne hanno notiziato i nostri lettori, ci siamo procurati il pezzo, lo abbiamo letto, abbiamo letto l’apprezzamento da parte di altri habituè del loggione almeno per la nostra preparazione,  i richiami a famosi fischi ci sono noti e la scusa oggi brandita da Alexander Pereira ( e già utilizzata negli anni ’80 da un bolso  Francesco Siciliani) la conosciamo bene perché assolutamente strumentale, priva di fondamento come le avventura scaligere di un Pavarotti o di una Caballè confermano ma …. ma siamo un po’ stanchi che altri e non i diretti interessati possano esprimere la loro (anche se poi da questo sito virtuale lo fanno e secondo alcuni anche troppo), che le disapprovazioni del loggione vengano per comodo opportunismo fatte risalire al corriere della Grisi ed ai suoi pochi componenti e collaboratori, ben felici di stare dall’altra parte della barricata e, quindi, privi dell’interesse a parlamenti ed incontri con chi organizzi stagioni e stagionate, ma del pari fermi in alcuni principi quali l’irrinunciabile diretto (dovere?) del pubblico di esprimere la proprie opinione, il dovere del cantante, che decide di calcare il palcoscenico, di affrontare palcoscenico e pubblico, l’obbligo di chi sta sul palcoscenico di rispettare il pubblico, che a sua volta deve essere onesto e competente. E la competenza e coscienza del pubblico si fonda sempre e solo sulla qualità e varietà di ascolti, su principi professionali (ossia la tanto sbandierata e pochissimo praticata TECNICA) invariati ed invariabili nel tempo. Può variare il gusto, mai la tecnica del canto, che dell’interpretazione è lo strumento. Questo era lì da vedere, anzi sentire, ier sera in un parrocchiale Così fan tutte e qui di seguito è declinata dalla comparatio fra Ferruccio Tagliavini e Roberto Alagna.

Agli esordi del sito (allora un blog) abbiamo dedicato alla cavatina di Oronte, l’amoroso dei Lombardi di Verdi, ruolo scritto per Carlo Guasco una accurata disamina. Il punto di partenza di allora è invariato si tratta di un’aria da tenore di grazia all’antica, di scrittura addirittura languidamente fiorettata e marcatamente centrale, senza naturalmente avere nulla in comune per la situazione scenica e il carattere del personaggio con quelle scritte per tenori centrali alla Donzelli. Pochissime esecuzione hanno colto l’aspetto assolutamente amoroso di questo passo del personaggio. Ha fatto centro Ferruccio Tagliavini a mio avviso in un disco inciso negli anni quaranta (ovvero prima che il tenore reggiano reagisse all’inspessimento del suono dovuto al repertorio ed anche ad una tecnica fondata più sull’imitazione di Gigli e sulla natura, che non sulla autentica coscienza di sé). Se un rilievo può essere mosso a Tagliavini è quello di imitare la lacrima nella voce di Gigli, che lacrime e sospiri li distribuiva copiosi  ora per fini espressivi ora come escamotage vocale, e, forse si può anche aggiungere che il languore e l’elegia di questo Oronte (elementi caratteristici del personaggio) hanno un poco il sapore dell’opera francese. La questione, però è alquanto di lana caprina. perchè Tagliavini canta con un timbro piuttosto bello, dizione scolpita, attenzione al significato delle parole, bella dinamica, voce sempre avanti ed a fuoco. Nel dettaglio dell’esecuzione non rispetta o meglio accenna appena la doppia forcella sul “nel tuo bel core”, ma attacca pianissimo il “vorrei” di “vorrei destar co’ palpiti”, rispettato il dolce di “tante armonie” che viene particolarmente facile a Gigli and sons e che viene anche replicato “quanti pianeti egli ha” come è sotto il profilo interpretativo molto efficacie il leggero stentando su “ergermi” che segna l’inizio della sezione conclusiva dell’aria dove Tagliavini nonostante una salita un po’ faticosa al si acuto di mortal (si tratta di un suono un po’ e teso preso a piena voce) segue, senza risultare arbitrario, una serie di rallentando ed accellerando su mortal non va che servono a rendere vario ed eloquente il fraseggio, Alla chiusa il la acuto attaccato pieno e rinforzato leggermente suona facile squillante e penetrante. In periodo di riflessione sul suono avanti (espressione gergale, ma che esemplifica bene il concetto) il confronto fra Tagliavini e Alagna è subito significativo e schiacciante a favore del tenore reggiano perché il giovanissimo e dotato (era in natura un tenore di grazia) Alagna all’attacco rende l’idea del suono bitumato ed ingrossato, che si utilizza quando si vuol imitare il canto impostato ovvero giocare a fare il tenore. Con questi suoni bitumati il cantante può anche avere nel caso di scrittura centrale e buona dote naturale la dizione facile, ma un conto è capire le parole come accade con Alagna ed altro scolpire ed articolare anche cantando piano come accade con Tagliavini. E, poi, siccome siamo nel terreno della simulazione appena arriva una nota “scomoda come il mi di “bel core” la voce si stimbra e si sganghera costringendo il cantante ad un attacco “a gola stretta”. Non solo, ma il giovanissimo cantante non è in grado di utilizzare alcun segno di espressione e di dinamica e l’esecuzione è di una assoluta meccanica piattezza come accade col il “mio beato amore” dove in luogo del dolce previsto da Verdi Alagna piazza un opportuna, per il fiato, quanto inespressiva pausa, idem al dolcissimo di “quanti pianeti egli ha”. Ovvio che i vari “mortal non va” sono tutti identici e meccanici e il dolce finale sul la di “va” è un acuto neanche tanto penetrante e per nulla proiettato, da tenore che per tecnica e gusto era già un compare Turiddu da secondo cast in Arena.

Morale: Ferruccio Tagliavini, uomo buono e ben conscio di sé, fu un tenore famoso, di ottima carriera, ma non certo un modello di tecnica di canto ed un artista di levatura storica come Tito Schipa, di cui Tagliavini ereditò, nei teatri italiani, un ruolo: Werther. E qui mi fermo perché il pezzo di stretta comparazione  tecnica era pronto antecedentemente l’annuncio della stagione scaligera altrimenti la pietra di paragone ben avrebbe potuto essere altra e differente. Ma il risultato non sarebbe cambiato né poco né punto.

95 pensieri su “Comparatio pro Nathalia

  1. C’è da dire che l’Alagna dei primi anni, rispetto a quanto oggi si sente in giro, era ancora un cantante. Rispetto ai tenori che girano oggi direi anche un buon cantante, dotato di voce considerevole.

  2. Donzelli, hai perfettamente ragione. La signorina Aspesi , se ne avesse voglia, potrebbe andare a rileggersi le crudelissime disamine che, su questo Corriere, si fanno della tecnica vocale di Kaufmann. Eppure alla Scala il tenore in questione è portato in palmo di mano e sempre salutato in modo trionfale. E’ evidente, dunque, che la causa di tanti fischi e tonfi è da imputarsi (per fortuna ancora per un po’) alla capacità di alcuni ascoltatori scaligeri di discernere liberamente il pessimo canto da quello (almeno in parte) decente.

  3. Il confronto tra Alagna e Tagliavini potrebbe esser rifatto al ribasso con un altro tenore molto ricercato negli anni passati e cioè Carreras.
    Io ricordo l’entusiasmo di molti spettatori alla Scala nei Lombardi diretti da Gavazzeni, quando lui si sgolava con quest’aria manco fosse la pira. Erano i tempi del Verdi garibaldino che ci veniva propinato a giorni pari e dispari. questa stagione pareva chiusa per mancanza di urlatori, se il Pereira non ci avesse preavvertito che ….tornerà.

  4. Io mi spingerei oltre l”ottimo tenore”, perché questo Tagliavini dei primissimi Cetra anni ’40 è un tenore eccezionale, di serie A. Ha una mezzavoce insinuante, è eloquente senza essere caricato, ha una dinamica varia anche in tessitura acuta, ha risonanza e squillo nel Si naturale acuto, timbro straordinariamente caldo,insomma un tenore completo e credo anche che l’accusa di rifarsi a Gigli vada quanto meno ridimensionata. La differenza che c’è tra lui e Alagna è quella tra un vero Tenore e un divo da rotocalco

  5. Se non vi va bene neanche uno come Alagna di quegli anni siete proprio incontentabili! Taliavini? Una lagna! Cari, tante volte avete ragione (anzi quasi sempre) però è vero che i tempi sono cambiati e anche i gusti.
    Saluti da Vivaverdi

  6. Deve essere esistenzialmente rassicurante illudersi di muoversi sotto l’ala dell’assoluto, dell’ggettività, dell’eterno. Una concezione estetica che è si è sgretolata col pensiero moderno. Ad ognuno le proprie convinzioni, le proprie debolezze, i propri ritardi culturali. Basta non pretendere ( anacronisticamente e comicamente ) di incarnare la Verità.

  7. Caro Corena, è ovvio che universalità e oggettività non esistono. Sono valori completamente finiti. Tieni conto però che il pensiero moderno per Mancini è solo falsità; da quel che ho potuto capire, il pensiero per lui finisce con i presocratici, magari lo stesso Socrate è un disgustoso relativista. Che ci vogliamo fare? Sono intemperanze giovanili, che finiscono con l’avanzare dell’età.
    Ciao
    Marco Ninci

    • caro ninci il canto ad onta delle elucubrazioni di un cervellotico come Lauri Volpi è una pratica, una tecnica almeno in partenza come cucinare, ricamare, fare l’idraulico e potrei proseguire con altri -mille- esempi. Aggiungo che non dovrebbe essere neppure molto complessa in quanto veniva insegnata ed appresa da persona poco o punto scolarizzate. L’esempio di Miguel Fleta, guardiano dei maiali è, a mio modo di vedere paradigmatico. E questa fase che è avulsa da filosofeggiamenti è assolutamente oggettiva ed immutabile. Come fare il risotto, tirar la sfoglia, fare un muro a secco. Nel momento in cui abbiamo ammantato di altro una modalità tecnica abbiamo ottenuto tante chiacchiere sulla tecnica proporzionali a quelli che non sanno cantare. Adelina Patti sulla tecnica di canto diceva “ho sempre fatto così”. L’aveva imparato dai genitori cantanti a loro volta. Poi essere grandi cantanti, grandi cuochi, grandi pittori arriva dopo superati i problemi di morfologia e grammatica. Se così non fosse non avremmo tra il 1900 ed il 1930 documentati decini di tenori o baritoni, che senza essere Battistini o Slezak cantavano, sotto il profili tecnico, bene.

  8. Lungi da me fare “l’aggiustatore di contraddizioni” come il personaggio principale del bel romanzo di Romain Gary: “l’angoscia di re Salomone” ( che vi consiglio), ma mi pare che la questione possa essere posta in questi termini: in altre galassie non esistera’, ma nella nostra vige la legge di gravitazione, per andare sulla luna bisogna tenerne conto . Cosi’ e’ nel canto d’opera : possiamo anche fingere che esistano tanti modi di cantare l’opera quale storicamente si e’ costituita, ma non andremo mai sulla luna.
    Invece, per tornare finalmente alla “comparatio”, bravissimo Tagliavini, ma mi pare gli manchi quello che aveva Lauri Volpi, lo stile del tenore romantico ( Oronte non e’ ancora il prototipo del tenore verdiano).

  9. circa la questione dei “gusti” trovo poco spiritoso la faccenda del “gelato”: si capisce benissimo che cosa intendevo e l’espressione ” i gusti” sarà forse banale e poco “colta” per un sito come questo, che se la tira molto sulla faccenda cultura, ma era chiarissima e anche appropriata: Io penso che comparando i due esempi (Tagliavini e Alagna) si possano davvero comprendere la differenza di “gusto” circa le due interpretazioni: quella di Tagliavini è certamente un esempio di ottimo professionismo, ci mancherebbe altro, ma, a mio parere, rimane ancorato ad una visione (un Gusto) molto datata e lagnosa mentre Alagna (che voi stigmatizzate) secondo me non canta assolutamente male e soprattutto è (di Gusto) più moderno. Tutto qui! E, soprattutto, carissimi si può ed è perfettamente legittimo parlare di “gusto” anche parlando di Arte, senza scomodare il “gelato”. Scendete dal vostro Empireo qualche volta. Dopo di che rimane vero che oggi generalmente si canta malissimo e che, per esempio, la Bartoli non faccia che gargarismi spacciandole per fioriture e agilità (questo per dire che quasi sempre sono d’accordo con voi) però qualche volta esagerate. Ancora una volta sono d’accordo con Marco Ninci.
    Saluti da Vivaverdi

  10. Guardate, io sicuramente non capisco nulla di canto. E va bene. A me Ghiaurov e Cappuccili nel Simon Boccanegra sembravano bravissimi. Sono invece uno schifo. Domingo nel Don Carlo mi sembrava magnifico. E’ invece un osceno dilettante. La Meier, quando l’ho ascoltata nel Parsifal, mi pareva una signora cantante. Al contrario, è una summa di nefandezze vocali. Vickers non ne parliamo, è un orrore. Tutta gente che il risotto vocale non ha mai imparato a cucinarlo. Certe manchevolezze vocali, se inserite in spettacoli di livello, possono passare inavvertite. Manco a parlarne. Il fatto vocale non soltanto è fondamentale, ma è il primo per le leggi del genere, insindacabili, universali e eterne. Sono io che non capisco; il problema è risolto. Se si vuole seguire l’esortazione di Mancini, questo breve messaggio si può cestinare; altrimenti lo si pubblica, nella sua totale inutilità,
    Ciao a tutti
    Marco Ninci

    • ti faccio un esempio che forse ti sarà più chiaro di quello del risotto. Non si può tradurre Sofocle o Tucidide se ho problemi a declinare un sostantivo della prima o a coniugare l’indicativo presente di luo ciao dd

  11. L’esempio non è molto calzante. Chi ha problemi a coniugare l’indicativo presente di luo non traduce Sofocle o Tucidide in maniera sbagliata; non traduce nulla, non può neppure cominciare. Ghiaurov e Cappuccilli hanno cantato decine di anni, dappertutto. Magari male, malissimo; ma l’hanno fatto.
    Ciao
    Marco Ninci

    • non ti riesce proprio di capire metafore, aforismi, sensi lati, amplificazioni retoriche, iperboli e quant’altro ancora piatta esegesi letterale da prima Alimentare. uno si sforza di dialogare, ma…..

  12. @ Ninci. Non si impermalisca. Tra il non capire nulla e il capire tutto vi sono gradazioni intermedie. Parlando di me, posso dirle che la competenza degli autori del CdG ha spesso superato la mia su molte questioni: per es. le osservazioni di Mancini è capitato che richiamassero la mia attenzione su dettagli che mi erano sfuggiti, e non per caso, ma per minore competenza. Nel mondo dell’arte, sviluppare i sensi è tutto. Se uno non si accorge che il cantante “cala”, dirà: oh, mica male questo. Un gusto raffinato è un gusto difficile, punto.
    E poi, devo proprio dirlo: ma perché si lascia sfuggire frasi malaccorte come “universalità e oggettività non esistono. Sono valori completamente finiti”? Ma quali valori, scusi? Non sa che sono concetti propri della logica?

  13. @ Vivaverdi. Già il nick non va bene. 1) Puzza di “faccenda cultura”. 2) E’ di gusto molto datato.
    Ma come si permette di attaccare la Bartoli? “Gargarismi”??!! Ma quale gargarismi: sono fioriture e agilità di gusto moderno.

  14. Per ZAGREO:
    E’ vero il mio nik è molto banale ma è il primo che mi è venuto in mente. Per quanto riguarda la Bartoli e i suoi “gargarismi” spero che lei abbia scherzato. Dirò di più: la Bartoli sono anni che prende in giro i gonzi spacciandosi per grande artista e stilista, inventandosi una voce non avendone in natura. Alla Scala tanti anni fa, ne Le comte Ory non si è sentito una nota.
    Infine concordo (come sempre del resto) con Marco Ninci. Anch’io non ho mai amato molto sia Ghiaurov sia Cappuccilli, li ho sempre trovati un po’ rozzi, ma non mi sembra che fossero un orrore come cantanti. Se paragonati poi alle voci del giorno d’oggi siamo all’età dell’oro contro l’età della pietra (e qui hanno ragione i grisini…)
    Saluti, Vivaverdi

  15. Lungi dall’essere una faccenduola da liquidare in tre righe o da cestinare, la questione del gusto è in realtà discorso fondamentale e imprescindibile, anche se destinato a non trovare mai una reale soluzione univoca. Vedo qui che il canto è assimilato alle discipline più disparate e a cose in realtà molto diverse fra loro: dalla cucina all’idraulica, dalla traduzione al fare un muro a secco. Ora, anche il paragone apparentemente più stravagante può stimolare riflessioni interessanti, però credo che saremmo tutti d’accordo se considerassimo il canto come lo si vede per tradizione: un’arte, e dunque lo paragonassimo ad altre arti tradizionali come la recitazione, la danza e il suonare uno strumento, o su un versante meno “corporeo” la pittura, la scrittura e la composizione musicale. Capisco benissimo che nel richiamare quei termini di paragone Donzelli puntava a sottolineare il lato tecnico-artigianale, ma Donzelli sa bene che il lato tecnico-artigianale è parte fondamentale anche di ognuna delle arti tradizionali ora citate. Il problema però è che la ‘qualità’ di un prodotto artistico NON è oggettivamente misurabile o dimostrabile, diversamente da un tubo dell’acqua che perde o meno. Attenzione, io non sono un relativista e credo eccome nell’esistenza di un’oggettiva, assoluta qualità artistica: ma quello che distingue una disciplina artistica da una scienza o, se vogliamo, da uno sport è proprio la presenza (non esclusiva, certo) di elementi essenziali che rifuggono dalla quantificazione e dalla misurazione. Sia chiaro che non mi sto rifugiando in un fumoso irrazionalismo: io potrei portare argomentazioni concrete, musicalmente ferrate e, credo, persuasive per mostrare come Mozart (cito apposta un esempio “estremo” ed esterno al canto) sia uno dei più grandi creatori di ogni tempo, ma non potrei mai realmente DIMOSTRARLO. Ne potrei magari dimostrare il magistero tecnico, le peculiarità compositive rimaste uniche, l’importanza storica, le filiazioni da altri compositori e influssi molto precisi sui successori, ma la “qualità”, quella rimane indimostrabile. Io ovviamente ne sono straconvinto, ma rimane, se vogliamo, un atto di fede. Chi svolge un lavoro artistico non può permettersi relativismi, deve avere un’idea piuttosto precisa del risultato che vuole ottenere e concentra almeno l’80% della sua attività proprio su quel lavoro tecnico-artigianale di cui diceva Donzelli: ma deve sapere che nessuna percentuale gli garantirà la “qualità”, e soprattutto deve essere consapevole che il risultato globale del suo lavoro andrà poi soggetto al “gusto degli altri”, per citare un bel film di qualche anno fa. Quello che fa sì che oggi Mozart sia considerato fra i più grandi in assoluto è proprio il consenso del gusto che nel corso della storia ne ha (fortunatamente) apprezzato la grandezza, ma ancora per Stendhal Mozart e Cimarosa se la giocavano alla pari…

    Questa faccenda dell’indimostrabilità della qualità è se vogliamo abbastanza angosciante (si pensi a “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocletta” di Pirsig) e capisco benissimo che per superare l’impasse ci si aggrappi a feticci apparentemente indiscutibili come, in questo caso, la “tecnica”, garante oggettiva di un sicuro professionalismo (almeno). Purtroppo però le cose non sono così semplici: proprio perché la tecnica, pur fondamentale, è per così dire “immersa” nella sua finalizzazione e contestualizzazione artistica, il suo riconoscimento e la sua valorizzazione “oggettiva” sono lungi dall’essere indiscusse e indiscutibili. Prendiamo un cantante che qui è ritenuto tecnicamente ammirevole, Rockwell Blake. Su di lui io condivido pienamente la vostra ammirazione, ma posso dirvi (lasciando stare la nota bocciatura della Sutherland) di averlo sentito stroncare pesantamente da ottimi cantanti di scuola italiana, per altri versi altrettanto ammirevoli: e non ne contestavano il timbro, ma proprio la tecnica, dalla posizione della bocca “a sorriso” che impedirebbe un suono adegauatamente coperto e “agganciato”, alla lacunosità del legato. Che dire? Ogni artista ha qualcosa da offrire, e ognuno ha i suoi limiti: se alcune caratteristiche di Blake vengono viste da persone competenti come difetti, e se i suoi pregi passano inosservati (l’espressività debordante vista come gigioneria, il fiato inesauribile visto come ostentazione circense) è ancora e semplicemente questione di gusto. In questo caso l’errore lo commettono a mio avviso gli stroncatori di Blake, in molti altri casi errori analoghi li commettete voi, sempre a mio avviso…E certamente anch’io avrò commesso questo tipo di sbagli. Illudersi che avere “competenze” esima dal prendere abbagli è la peggiore illusione in cui si possa vivere: se le cose stessero così, i concorsi con giurie qualificate finirebbero sempre all’unanimità. Mentre sono arcinoti illustri dissensi: vogliamo parlare della Argerich e Badura-Skoda che in giuria si scannarono pro e contro Pogorelich? O tornando indietro di quache secolo, della stroncatura di Mozart su Caterina Gabrielli? Chi aveva ragione e chi torto? Una verità oggettiva c’è certamente, e discutendone sarà possibile avvicinarcisi, ma pretendere di misurarla con la presunzione di chi ha ben assimilato il “manuale tecnico” è un approccio di tale ingenuità da suscitare più che altro un indulgente sorriso.

    Si parla di andare oltre il gusto, di prescindere dal gusto per misurare il valore oggettivo: bene, io credo che sia una cosa rara, difficile, quasi impossibile. Diversamente, si riscontrebbero frequentemente casi in cui gusto e giudizio di valore non coincidono, cosa che invece non è. Piuttosto raramente ci capita di pensare “Quel tal cantante proprio non mi piace, però devo riconoscere che è un grandissimo”. Ancora più raro sarà il trovarsi a constatare “Questo cantante mi piace da impazzire, ma devo ammettere che è veramente un cane”. Eppure in questo genere di constatazione ci si dovrebbe imbattere frequentemente se davvero fosse possibile e usuale scindere gusto e giudizio di valore. Cioè, almeno a livello statistico, ci dovrebbe pur essere una certa quantità di gente che dice “Adoro Blake, ma effettivamente è un cantante mediocre” e un bel po’ di gente che dice “Non lo posso soffrire, ma perdio che cantante!” Invece, guarda caso, chi lo ama lo ritiene un grande, e a chi non piace pare un mediocre. Gusto e giudizio di valore procedono appaiati, e se siamo onesti con noi stessi, dovremo riconoscere che è il gusto a precedere e il giudizio di valore a seguire, e non viceversa. La tendenza umana è quella di argomentare in favore dei propri gusti, di giustificarli. Io non faccio eccezione: non sono certo arrivato a convincermi della grandezza di Mozart ragionandoci sopra e vincendo la mia irresistibile attrazione per gli 883, ma perché fin da bambino sono stato folgorato dalla trilogia dapontiana. In questo senso mi ritengo fortunato, perché credo di essere stato dotato (in questo ambito) di un gusto che mi ha spinto verso il meglio. Il problema naturalmente è che tutti sono più o meno portati a credere lo stesso: un accanito fan di Max Pezzali, ma anche una persona arguta e di buona cultura rock-pop come Linus, evita probabilmente Mozart come la peste, e se io mi sforzassi di ”dimostrargli la qualità” di Mozart mi guarderebbe sicuramente come un alieno. Poi naturalmente è sempre possibile che i gusti si evolvano e che la comprensione e lo studio aiutino ad acuire e ad aprire la sensibilità: ma ci deve essere almeno una predisposizione e un canale almeno in parte già aperto. Io sono uno che ci prova parecchio a capire ed apprezzare cose diverse dalle mie inclinazioni naturali, ma in alcuni casi sperimento in me stesso dei veri e propri rifiuti.

    Questo è un sito basato sul gusto, su un ideale di sonorità “morbida, elegante, naturale” ecc., oggi vieppiù perduta : e questa è cosa buona e giusta, sia perché è bello avere le idee chiare su quello che si ama sia perché l’ideale qui perseguito è a mio avviso indubbiamente di “buon gusto”.

    Questo è un sito che argomenta con competenza in favore del proprio ideale: e questa è altrettanto bello, perché gli spunti di riflessione sono validi e corredati da interessantissimi ascolti.

    Questo è un sito che crede che il proprio ideale non corrisponda semplicemente a gusto ma sia la necessaria conseguenza del “saper l’arte”, unica e sola: e questo è un grave limite, sia per le ragioni che ho già detto, sia perché la conseguenza è un “extra ecclesia nulla salus” in cui talvolta vengono ammucchiate tutte insieme oggettive “sòle” e personalità validissime ma che sono molto diverse dall’identikit di cantante qui perseguito (il Quaresimal dell’anno scorso ne fu un eclatante esempio: cantanti della più diversa estrazione e valore tutti insieme appassionatamente nell’ecpirosi collettiva).

    So bene naturalmente che di questo voi non vi convincerete: tuttavia non posso nascondervi che in quest’ambito la vostra credibilità è seriamente messa in discussione da alcune vostre asserzioni in ambiti affini, che chiaramente non poggiano su altro fondamento che sul gusto. Mi riferisco ad esempio ad alcune ricorrenti sparate che si leggono qui sulla cosiddetta “musica contemporanea”: irridenti e sprezzanti denigrazioni dei compositori ‘dopo Strauss’ (“a parte certo Britten e Menotti”…ah beh..) con reciproche strizzatine d’occhio e pacche sulle spalle, in cui viene liquidato e stigmatizzato tutto insieme un secolo di musiche e tendenze diversissime fra loro. Con la medesima sicurezza con la quale emettete giudizi vocali, ma con nessun’altra giustificazione se non un’allegra ignoranza. Io spero che adesso non venga nessuno a spiegarci perché l’ultimo secolo di musica “d’arte” è tutto da buttare via, magari con motivazioni alla Giovanni Allevi del tipo “Da Schoenberg in poi i compositori si sono chiusi in una torre d’avorio”. Non vi piace, non vi interessa, e morta lì. O magari qualcuno vorrà venirci a dire che gente come Webern o Berio non avevano “tecnica”? Mi pare che l’utente Gianmario abbia scritto recentemente una frase come: “Il fatto certo è che con Nono, Stockhausen , Berio, Manzoni ci si annoia da morire”. Allora caro Gianmario, il fatto certo è che TU ti annoi da morire, e con te sicuramente molti in questi sito: consenti però ad altri di vivere esperienze diverse dalle tue. Io personalmente credo che nell’ultimo secolo si sia scritta molta paccottiglia ma anche molta musica di primissimo ordine. E guarda, ti potrei trovare parecchia gente che ti dirà: “Il fatto certo è che con Rossini, Donizetti, Wagner e Verdi ci si annoia da morire.” Ribatterai: “Sono probabilmente ignoranti che non si interessano di opera”. Appunto…

    È un peccato che qui ci siano queste lacune di impostazione, perché minano (anche se solo in parte) l’autorevolezza di diversi spunti polemici a mio avviso pienamente condivisibili. Poi vabbè, nella fattispecie prendersela con l’ omni-insipiente Aspesi è un po’ sparare sulla croce rossa… Spero fra l’altro sinceramente che fra i fischiatori di Villazon ci foste anche voi, anche come immediata replica al vergognoso appello di Pereira…

    So che mi sono dilungato, ma in realtà è stata appena sfiorata la superficie del discorso. Un grazie a Corena e a Ninci per avere aperto l’argomento.

    • Lei non ha riflettuto affatto sulla natura del gusto. Qualcosa mi dice che la cedrata zuccherosa e gialla come piscio del discount sotto casa non vale l’Amarone della Valpolicella, ma… come dimostrarlo? Come dimostrare che il Tondo Doni vale un pelino di più di Mother and Child Divided di Damien Hirst? Domande assurde. Alla fine, una massa di gonzi istupiditi, invece di esercitare la critica e affinare il gusto, si convince di doversi allenare a sopportare di tutto. Ecco come trasformare la cultura in strumento di dominio delle genti. Lei si permette di dire a un utente “consenti però ad altri di vivere esperienze diverse dalle tue”: ma chi impedisce nulla a nessuno? Consenta lei, semmai, agli autori di questo blog di attenersi al loro giudizio e alla loro coscienza.

      • Gentile amico,
        mi dica la prego dove e quando possiamo trovarci perché Lei possa correggere e perfezionare le mie riflessioni sul gusto. Nell’attesa, rimarrò della mia opinione, e piuttosto mi interrogherò sulle mie capacità espositive qualora altri oltre a Lei avessero frainteso in modo così radicale alcune mie asserzioni.

        Mi sembrava di aver chiarito di non credere affatto che, poiché la qualità è indimostrabile, i gusti sono tutti equivalenti e la gente si deve rassegnare a quello che propina la “cultura ufficiale”. Prenda il fenomeno Allevi, vergognosamente e truffaldinamente montato dai media: io quando ne ho avuto occasione mi sono pronunciato contro questo bluff, e incoraggio tutti gli uomini di buona volontà a fare altrettanto. Tuttavia se si vuole argomentare persuasivamente, bisogna tenere presente che il tipico fan di Allevi è convinto che il suo idolo sia di valore pari se non superiore a Mozart: tentare di “dimostrargli” che Mozart gli è infinitamente superiore rischierà di essere semplicemente una strategia sbagliata, perché si scontrerà contro la forza del suo sentimento soggettivo (“Allevi mi emoziona di più”). Potrà forse essere più utile sottoporgli alcuni dati di realtà (le bugie sugli studi, le tournée millantate, le strategie comunicative extramusicali) per indurlo a riconsiderare il fenomeno sotto una luce diversa. Allo stesso modo, qualora Lei si trovi a perorare con qualcuno la supremazia del Tondo Doni sull’opera di Hirst, la sconsiglio caldamente di affidarsi alla ‘dimostrazione’ della supremazia di Michelangelo in base a criteri “assoluti” tecnico-artistici. Se il suo avversario è dialetticamente agguerrito, rischia di mandarLa K.O. al primo round, facendo leva sulla totale diversità e incommensurabilità dei presupposti estetici di Hirst.

        Riguardo poi alla frase “Consenti ad altri di vivere esperienze diverse dalle tue” mi sembrava chiaro quello che intendevo: siccome l’utente Gianmario aveva scritto “Il fatto certo è che i compositori contemporanei annoiano” lo invitavo a non universalizzare l’affermazione e a riferirla solo a se stesso. Non stavo cioè esprimendo il timore che al prossimo concerto di Lachenmann o Sciarrino mi sarei trovato l’ingresso del teatro sbarrato da Gianmario pistola alla mano… Comunque stando al suo cortese intervento qui sotto lo stesso Gianmario non sembra essere caduto nell’equivoco; magari però avrei dovuto essere ancora più chiaro, per grandi e piccini…

        Infine, non credo mi si possa rimproverare di “non aver consentito” alcunché agli autori di questo blog: nel caso comunque, credo che saprebbero benissimo difendersi da soli.

        • “Examen” di Stockhausen è un pezzo meravigliosamente appagante e dall’ascolto non particolarmente ostico. Una discussione sull’Arte di Allevi non mi troverebbe disponibile per la semplice ragione che – in quanto vecchia – ho troppo rispetto per il poco tempo che mi resta.

          Grazie per il tono squisito dei suoi interventi. Saluti cordiali.

  16. Non sono valori, certo, sono concetti. Ma qui, in questo blog, divengono ideologia, valori da difendere. Se ne accorgerebbe anche un bambino. Zagreo, Zagreo, in quello che tu dici ciò che è giusto è banale, ciò che non è banale è sbagliato.
    Ciao Ciao
    Marco Ninci

  17. E poi, quando uno sostiene di essere depositario di verità eterne e immutabili, è abbastanza ovvio che chi non si adegua al verbo venga considerato semplicemente un incompetente. Mi rassegnerò a questo ruolo.
    Ciao
    Marco Ninci

  18. Ma quello che dice Idamante nel suo bell’intervento è chiaro. Una persona, nel giudizio, non può prescindere dalla sua storia personale, che è fatta di cultura ma anche di affetti, predisposizioni, amori, ricordi. Non ammetterlo non è un errore culturale, ma una grave cecità nei confronti della natura umana.
    Marco Ninci

  19. E poi anche certi giudizi che qui si leggono si capisce benissimo che hanno un forte sapore esistenziale, in alcuni casi sono addirittura mezzi per sopravvivere. Ma è così per tutti. Bisogna anche essere indulgenti con la natura umana, che tutto sommato è la propria, e non porsi sempre, in maniera stucchevole, come giudici severi in nome di chi sa quali leggi immutabili e eterne.
    Marco Ninci

  20. Ho apprezzato gli interventi di Idamante e Marco Ninci ( che non mi pare proprio abbia bisogno di rinfrescare le meningi ). Pensare che esistano verità eterne è un’opinione indimostrabile. Direi un credo personale. Un gusto personale. Pensare che esistano verità eterne nell’arte dell’interpretazione musicale significa – a mio parere – non sapere di cosa si stia parlando. Puro e ingenuo dilettantismo. Vi possono essere delle regole universali sulla tecnica del canto, ma siamo a un livello di presupposto.
    L’arte dell’interpretazione – che infatti presuppone la tecnica ma la trascende – non è una questione che si misura con l’oggettività, con semplificazioni richiamanti la mera osservanza di regole eterne e universali applicate perfettamente le quali avremmo la perfetta interpretazione. Non è mai così e sarebbe deprimente se lo fosse. Un maestro di canto o di strumento musicale che insegnasse questo sarebbe un vero imbecille.
    Il fatto poi che a queste verità eterne i singoli dovrebbero assoggettarsi affrancandosi dal loro gusto personale ( magari condotti verso l’ascesi e la negazione dei propri colpevoli e insignificanti gusti personali dai sacerdoti del culto ) è roba da far rabbrividire e che promana un tanfo di integralismo davvero repellente. Quando Marco Ninci afferma che molti giudizi qui espressi hanno un forte sapore esistenziale colpisce nel segno: quanta soggettività traspare – per esempio – da certe goffe pretese di universalità. Che abbia colpito nel segno lo rivela poi la reazione stizzita e non elegantissima della Grisi. Ma infine dice bene Ninci: è giusto essere indulgenti con la natura umana.

  21. non ti capisco Ninci,se questo sito non ti piace,e sei cosi severo,perche vieni ancora a scrivere?penso che ormai hai esternato il tuo pensiero,se ti limitassi a commentare,senza questi attacchi,non sarebbe meglio ?

    • l’istinto della maestrina è assolutamente incontenibile , caro pasquale, è una patologia ormai cronicizzata.
      Ninci viene qui solo per questo poi qualcuno, talvolta ed in diverso modo a secondo del carattere e dell’indole, gli ricorda che lui nel corriere della grisi non è, suo malgrado, in cattedra e allora parte per la tangente. Poi, ripeto, il carattere e l’indole dell’insultato di turno (quello di cui vorrebbe prendere la cattedra perché crede che i rapporti nel modo siano questo soli…..) possono dare luogo a pietosi “cestinamenti” del pezzo o a reazioni. Ma l’agente provacator-mestatore è sempre il medesimo , animato dal “nobile” desiderio di dimostrare che lui è PIU’ MIGLIORE di te (più bravo non basta, credi!). Aggiungo è inutile , caro Ninci che replichi perché ti cestinerei. Qualche volta l’esperienza che ti offro vivila come un’opportunità unica di capire quello che da te gli altri hanno subito o subiscono. E aggiungo nessuna cattiveria, ma un po’ di rispetto per se stessi.

      • Impeccabile analisi e – aggiungo – mai, mai una volta che Ninci sia entrato nel merito delle questioni di volta in volta trattate, fossero di natura vocale, musicale o drammaturgiche: solo un irrefrenabile impulso a bacchettare a morte, da cui il simpatico appellativo di Nanny (del Giro di Vite).

  22. Quanta insofferenza, inutili benpensanti, vi suscita il solo leggere le parole oggettività e verità! Questa pioggia di dotti commenti, in risposta al mio, lo dimostra. Vi dà fastidio, lo so, che qualcuno possieda dei criteri concreti con cui disporsi all’ascolto, l’idea che si possa imparare qualcosa di universalmente condivisibile vi disturba, vi scandalizza, perché questo mette in crisi la soggettività autoreferenziale che ammorba il mondo musicale, l’aria fritta pseudo culturale nella quale vi crogiolate. Poi quando si tratta di scendere dall’iperuranio, di aprire le orecchie e saper riconoscere un artista da un’impostura, le vostre chiacchiere apologetiche del nulla stanno a zero. Apritevi un blog vostro se ritenete di avere qualcosa di diverso da proporre e insegnare.

  23. Ciao, Giulia. Dalle tue parole si capisce che in fondo ti sto simpatico. Come mi stai simpatica tu; e poi Donzelli, Lily, Gianguido e tanti altri. Poi un merito lo devo assolutamente riconoscere, oltre al fatto che tante analisi sono interessanti. Vi si dipinge come intolleranti; non è assolutamente vero. Ci sono tanti blog, di vario genere, i quali cacciano senza pietà, spesso a male parole, chi non condivide l’impostazione di fondo. Stanno combattendo una battaglia, dicono, e non possono farsi intralciare dai dissidenti che vanno a disturbare in casa d’altri. Ecco, qui una cosa del genere non è mai avvenuta e io non posso e no devo domenticarlo. Di più. Qui mi è stato fatto un onore che da nessuna parte mi è stato fatto. Mi è stato addirittura dedicato un post, un post certo giustamente polemico nei miei confronti; ma era così, anche se ovviamente non lo si diceva a chiare
    lettere.
    Ciao
    Marco Ninci

  24. Scusa Mancini ma i blog non sono greggi e servono anche a scambiare liberamente idee tra persone che la pensano in modo differente. Non è che se qualcuno la vede diversamente da te debba necessariamente aprire un proprio blog. Mi sembra una mentalità parareligiosa. C’è la verità assoluta, se me ne discosto mi metto in proprio e faccio uno scisma.

  25. Eh, Lily, la memoria ti inganna. Di messaggi su questioni musicali e drammaturgiche ne ho scritti moltissimi; secondo il mio modo, certo. Che può non essere quello di altri, altrettanto certamente. Se così non fosse, sarei stato cacciato; se non mi cacciano, è perché il mio contributo è in qualche modo utile, non lo fanno davvero per spirito di sopportazione.
    Ciao
    Marco Ninci

    • leggi con precisione, prima di lasciarti andare ad ironie di dubbio gusto, non ho affatto scritto divino ho scritto bon cantante. Altri (Luigi Cortecci, per la precisione) è andato oltre.
      Quanto ai buffonissimi, io (ma ciascuno oggi si comporta come gli aggrada ignaro ed ignorante di certe regole minimali) con uno sconosciuto non me lo permetterei. Con i miei compagni di liceo, certamente, con colleghi, forse.
      Ciao dd

      • Ma quale ironia? Legga lei con precisione (o forse sono stato poco chiaro). Ho scritto che sottoscrivo. Sono d’accordo: un cantante buono/ottimo, ma non superlativo (lei ha scritto “di levatura storica”, io per brevità “divino”).
        Quanto ai “buffonissimi”, era rivolto ai fervorini di Gianmario e Ninci (i “più migliori”); e anche a loro detto col sorriso (è una citazione da Da Ponte, no?). Eddai.

  26. E poi, Lily, se mi consenti, non è che il tuo contributo alla discussione di problematiche vocali, musicali e registiche sia stato torrenziale. Non molto di più di qualche battuta spiritosa.
    Ciao
    Marco Ninci

  27. Ma, Pasquale, quelli che tu chiami attacchi al sito sono soltanto comunissima discussione sul ruolo della critica, sui suoi fondamenti, su cosa sia il giudizio, su cosa si basi. La discussione deve avvenire in libertà. Se quello che non s’incanala nei binari consueti è provocazione, allora è finito tutto.
    Marco Ninci

  28. Mi disopiace che i miei commenti, anche quelli positivi e simpatici, non vengano pubblicati, certo perché mettono in difficoltà. Ma passons. Vorrei rispondere a Pasquale, il quale invita Gianmario a fare un’analisi di un’interpretazione secondo per secondo. Vale a dire, il microscopio. Ammettiamo pure che sia un’operazione valida, validissima. Ma la critica musicale non è solo questo. Tant’è che Fedele D’Amico, senza paragoni il più grande critico musicale italiano del secondo dopoguerra, non l’ha mai fatta. I dischi c’erano anche al tempo di D’Amico. Non l’ha fatta Paul Bekker, non l’ha fatta Einstein. Vogliamo dire che erano inferiori a Donzelli o a Mancini? Io qualche dubbio ce l’avrei. E’ che la critica si può fare in tanti modi, anche discutendo di questioni importantissime come il fondamento del giudizio. Si sa che questi problemi attirano meno di altri. E le valanghe di commenti che seguono alla dichiarazione che Kaufmann è un lavandino e la Bartoli fa coccodè questioni del genere non se la possono neppure sognare. Ma ciò non testimonia nulla contro di loro. Caro Pasquale, penso che queste parole non le leggerai, ma qualcuno saròà costretto a farlo. Forse.
    Marco Ninci

    • siccome il destinatario è Pasquale ti pubblico. Per rispetto a lui, ben inteso! Quanto ai commenti simpatici e positivi mi permetto, di sfuggita una piccola osservazione ossia che i due concetti possono modificarsi ed evolversi ( o involversi nel tempo ) secondo morale, cultura costume ed ambiente in cui profferiti. Questo non significa – e vale per tutti non solo per Te, perché dell’imparzialità mi faccio da solo merito e scudo – che gli interventi siano, come di frequente nel tuo caso contumelie, fervorini, precisazioni da maestrina, critica priva di ogni costrutto ( la critica costruttiva l’hanno partorita ed allevata quelli della tua generazione e se ne vedono oggi i fulgidi frutti) mal celato di dimostrare la propria superiore qualità.
      Ancora una volta nulla di personale, ma un invito, un auspicio.
      ciao dd

    • Certo Ninci, discutere il giudizio estetico è di capitale importanza nella teoria dell’arte (o forse è tutta la teoria dell’arte). Però, a parte lo strazio di tornare sempre sulle stesse questioni senza cavarne un ragno dal buco, non si può al tempo stesso discutere con l’interlocutore e oltraggiarlo. Hanno ragione a darle del maestrino.

  29. Ma insomma, la mia critica è priva di costrutto o costruttiva come hanno fatto quelli della mia generazione? Che cosa ho di mal celato? E i concetti che si evolvono oppure si involvono? E l’imparzialità che è per tutti ma poi si rivolge sostanzialmente a me? Nel tuo intervento, caro Donzelli, non torna nulla, c’è una confusione che fa spavento. Si capisce una generica irritazione, non molto di più.
    Ciao
    Marco Ninci

    • il mio è fiato sprecato. leggere Te e leggere i giudizi prefabbricati con cui nelle università italiane si sega vita e professione della gente (ti premetto mai nessuno mi ha proposto di restare all’università perché il mio relatore di tesi sapeva benissimo quanto lo stimassi) è la medesima cosa. Non si può dialogare con chi per formazione, mentalità non accetta gli altri e dialoga che con i suoi simili (cloni, rectius) o con sé stesso. Posso anche aggiungerTi che la particolare sensibilità e precisione con la quale ribattiamo a Te deriva in primo luogo da quello che la Tua generazione rappresenta e per quello che ha fatto e più ancora non ha fatto, continuando a brucare senza preoccuparsi del dopo.
      La mia generazione e le successive, che o subiscono questo paese o lo fuggono ( e per restare all’opera devono sorbire la m…., che servono i tuoi coetanei ed i mostri più giovani cresciuti allevati, ingrassati ed intronizzati perché ignoranti e maneggiabili il giusto) sono costretti a guardare alla vostra come alla fonte di ogni guaio. Non prendertela è , lo hai scritto Tu, il gioco delle parti e soprattutto medita, medita, rifletti, analizza, concentrati, specula. Lo dico per Te…. E ti prego per non crescere in disistima non rispondere con altre inutili censure da maestrina. Lo dico per Te. E’ come consigliare alla Bartoli di non esibirsi. per lei non per le nostre orecchie!!!!
      ciao dd

      • @ Idamante. Tante parole per dir cosa? Sia semplice, si faccia capire dai piccini come me. Mi piacciono le cose facili. Lei scrive: “Gusto e giudizio di valore procedono appaiati, e se siamo onesti con noi stessi, dovremo riconoscere che è il gusto a precedere il giudizio di valore”. Ma il giudizio estetico (= gusto) E’ un giudizio di valore. Lei insiste sulla indimostrabilità della “qualità”. A parte il fatto che, dal suo punto di vista, non capisco come faccia a SAPERE che Allevi sia da meno di Beethoven, la “qualità” non è affatto indimostrabile; quanto al gusto, l’idea stessa di dimostrarlo è assurda.

        • Senta caro Zagreo, io ho cercato di affrontare nella maniera più chiara e semplice possibile un discorso effettivamente piuttosto complesso. Può darsi che non ci sia riuscito, perché a quanto vedo Lei non ne ha capito praticamente nulla. Mi scuso dunque dell’eventuale scarsa chiarezza, anche se non mi pare ci siano state altre lamentele in proposito oltre alla Sua. Ora, per farmi capire meglio come Lei mi chiede dovrei riscrivere un intervento già piuttosto esteso raddoppiandone all’incirca la lunghezza: mi spiace, ma veramente non ne ho il tempo, e preferisco dunque rassegnarmi al mio insuccesso comunicativo.

          Preciso solo che mi sembra sia almeno in parte Lei a complicarsi le cose e la comprensione del mio testo, postulando l’equivalenza terminologica fra gusto e giudizio di valore. A quanto ricordo dei miei non vicinissimi studi di estetica le definizioni in proposito variano da autore a da autore, e dunque può darsi che ci sia qualcuno che, come dice Lei, identifica i due termini. Io però, proprio per non complicare ulteriormente il discorso, non mi sono preoccupato di usare una terminologia filosoficamente appropriata, e ho usato i due termini secondo l’accezione corrente, che li vede nettamente distinti: il gusto attiene alla sfera più istintuale, sensoriale, irrazionale, completamente soggettiva, e identifica le nostre predilezioni più spontanee e immediate. Il giudizio di valore rientra invece in una sfera più razionale e mediata, e ambisce ad esprimere un opinione individuale che rispecchi il più oggettivamente possibile la realtà esterna. A mio avviso, come dicevo, c’è spesso una forte e magari inconsapevole connessione fra le due cose, ma non c’è dubbio che sono due aspetti fra loro distinti e separati. Così ad un concorso di canto potrà capitare di sentire un concorrente dire: “ Conosco i GUSTI del giurato X e so che in generale non gli piacciono le voci leggere: spero che questo non influenzi il suo GIUDIZIO, la sua VALUTAZIONE”.
          Fra l’altro trattando di questi due “poli” io non ho fatto altro che riprendere il discorso di altri, che incoraggiavano appunto a superare la soggettività del gusto per ragiungere una più completa oggettività: non mi sembra dunque di aver inventato nulla di nuovo a livello di concetti.
          Provi a vedere se con questa precisazione il mio pensiero le risulta almeno in parte più chiaro: altrimenti, mi spiace ma davvero più di così ora non posso fare. La saluto cordialmente.

    • Senti prof, concretamente ascoltati il ballo del tuo muti che ho messo qui sotto, e poi va alla arena a sentire Battistoni. Poi torna, e rivediamo da capo la favola della relatività del giudizio, perché a dare retta ai tuoi sofismi e ad applicarli alla lirica…c’è ne vuole di fegato!

      • Precisamente. Io ho cominciato a frequentare i teatri a 12 anni, e da allora non ho fatto che constatare un pauroso calo delle prestazioni dei cantanti, fino a farmi passare la voglia. Non ci vado quasi più. Voci gonfie, scure, poco udibili, sempre meno “facili”, sempre meno duttili ed espressive, portamenti che non finiscono mai, ecc. E’ diventato uno strazio.

        • non so quanti anni Tu abbia. Io ho cominciato a 9 ho fatto a tempo a sentire grandi cantanti e sino al 1995 il livello era di un tipo poi il diluvio. D’altra parte quando i giovani cantanti o aspiranti tali si vedono proporre a modello un kaufmann o una bartoli che possibilità hanno di apprendere alcunché…… ciao

          • Dovremmo essere circa coetanei. Non avevo mai messo a fuoco un termine post quem, ma col 1995 indicativo i conti mi tornano. Ho fatto in tempo persino ad ascoltare dei reperti storici fuori tempo massimo: Giuseppe Taddei 70enne, e addirittura un Di Stefano in Turandot (eh eh… Altoum). Ne approfitto per dirti che il tuo post delle 15:18 lo condivido in pieno.

  30. Sono voluto andare a vedere i miei interventi. Gli insulti sono “stucchevole”, ” errore culturale”, “grave cecità “. Questo in un blog dove abbondano epiteti come. “Lavandino”, Lavandaia “, “gallina spennacchiata”. Zagreo mi ha dato dell’ignorante ma io non me la prendo minimamente e non mi sognerei mai di dargli del maestrino. Tanto che gli ho risposto con molta calma.

    Marco Ninci

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