Requiem alla Verdi (02.XI.2014)

BignaminiDi Requiem verdiani nel lasso di un mese ne abbiamo sentiti tre ad opera di bacchette italiane, celebri e con ragione e quel che è più interessante con una ottima rappresentanza di tre differenti generazioni di direttori.

La tentazione di fare le classifiche è forte e per il direttore e per le orchestre e per i cori e per i solisti. Questi lo dico subito sono stati in tutte e tre le proposizioni assolutamente inferiori a qualsivoglia aspettativa ed esigenza della composizione. Teniamo anche conto che fra interpreti che si esibiscono quali divi dello star system (cast assemblato in Scala) e cantanti che non ne fanno parte (cast della Verdi) le differenze sono sì esigue da non giustificare la differenza di trattamento e fama.

Insomma tutti riprovati a prescindere dalla pseudo notorietà. Perché la notorietà vera impone ben altri esiti vocali. Peraltro quando i soli modelli che maestri ed agenti di canto propongono ai giovani e sconosciuti cantanti sono per l’appunto i divi dello star system, la circostanza che divi e sconosciuti cantino allo stesso modo – cioè in maniera, quando va bene, semiamatoriale – non può destare alcuna meraviglia.

Poi cominciano le sorprese perché davanti ad un’orchestra della Scala che si ricorda e ci ricorda di essere quella del tempio della Lirica, alla conferma che quella di Torino ha una costanza di resa, oggi unica in Italia ci troviamo quella della Verdi, che allenata alla dura disciplina dell’esibirsi almeno tre volte la settimana anche se le guide non sono bacchette dello star system esibisce un suono morbido e caldo negli archi, precisione quasi assoluta capacità di enucleare anche il suono degli strumenti a fiato sul magma orchestrale, attacchi precisi e netti come le trombe del Tuba mirum (ve le ricordate le pernacchie firmate Scala sotto la guida di Barenboim o di Muti), suono impetuoso, ma mai pestato negli episodi più “violenti” come il Dies irae. Episodio dove anche l’orchestra torinese sotto la guida di Gianandrea Noseda, almeno dall’ascolto radiofonico, sembrava portata a qualche eccesso.

Sono stati, quindi, gli episodi corali o con vasta partecipazione della massa corale quelli  autenticamente esaltanti del pomeriggio del 2 novembre in uno con la qualità della compagine orchestrale

Ad un introitus (Requiem aeternam) sommesso, appena alitato in orchestra come nel coro (ottimo il suono dei violoncelli) è seguito un Kyrie  infelice sotto il profilo della realizzazione dei solisti a partire dall’attacco, affidato al tenore (Yusif Eyvazon) grezzo, volgare cui si sono aggiunti un basso senza voce (Massimiliano Catellani), un soprano (Chiara Taigi)  incapace di emettere la zona medio alta della voce a piena voce  ed un mezzo (Anna Maria Chiuri)  piuttosto tubato, anche se la migliore in campo. Tempo del Kyrie i contrasto  con il Requiem piuttosto veloce, come suggerisce la tradizione quando i cantanti non sono all’altezza del compito. Questo iniziale contrasto è stata caratteristica dell’esecuzione di questo Requiem milanese. Non si può non esaltarsi dinnanzi all’esecuzione della prima parte della sequela del Dies irae (quella dal coro) con orchestra precisa, impetuosa, ma senza gratuiti clangori cui è seguita la sezione “quando tremor” in netto contrasto con la prima e quindi ossessiva, pressante per l’ascoltatore, descrittiva del terrore che pervade innanzi il Giudizio.

Altro episodio riuscito il Tuba mirum per la precisione e la qualità del suono dei fiati, che spesso, in questo passo incorrono in stonature e “pernacchie” (vedi il Requiem scaligero di Barenboim)

Inferiori in quanto affidati al canto gli episodi del “Mors stupebit” e del “liber scriptus” anche se -ripeto- la voce di Anna Maria Chiuri, ben lungi dall’essere di contralto, ma di mezzo acuto, è almeno in potenza verdiana. In compenso, per restare alle voci gravi,  il basso ad onta dell’impostazione intimista e non certo oratoriale del “confutatis maledictis” è arrivato al termine stremato e quasi afono.

Episodi come il “qui sum miser”  (soprano mezzo tenore), il successivo  “rex tremendae” (quartetto e coro)  ed “Recordare”  e lo splendido “lacrymosa” sono stati eseguiti con tempi relativamente sostenuti e nel contempo sonorità sommesse all’incipit e poi  progressivamente amplificate nel proseguire dell’episodio musicale, senza che venissero meno la cura del dettaglio orchestrale. Questo si chiama concertare e “tenere” l’orchestra. Virtù rara oggi. Certo che poi con il tenore di cui disponeva sia l’Ingemisco che l’assolo “hostias et preces” contenuto nell’offertorio sono stati di limitata portata. E lo stesso si può dire del “libera me Domine” dove i limiti della Taigi  sono emersi sotto l’onerosità della scrittura e della necessità di un accento scandito ed oratorio, non che nei tentativi di emettere dolci e flautati gli acuti (Recordare e Qui sum miser) le cose siano andate meglio, anzi i suoni erano mal fermi e “presi da sotto”. Composto misurato, ambrosiano vorrei dire ( e chi si intende di storia della religione e della Chiesa) può capire la prima sezione dell’offertorio.

Due episodi corali sono stati di rilievo nell’interpretazione di Bignamini e della sua orchestra, ossia l'”Agnus Dei” e il “Sanctus”. L’Agnus Dei  è intimo e raccolto  anche se gravato dalla esecuzione non certo felice dei solisti, la scelta è consona al brano, al significato del testo anche se qualcuno all’uscita ha osservato la mancanza di fuoco verdiano. Che rilevanza abbia in un episodio come l’Agnus dei il fuoco verdiano (quello per cui le Azucena ed i Rigoletti reclamano onore e vendetta a pieni polmoni) è difficile da capire. Mentre il Sanctus con le sue difficoltà tecniche era veloce, esaltante senza quei clamori e quei clangori che hanno, ad esempio, limitato l’esecuzione torinese.

Mi consentite una battuta: Non sembra neppure una recensione del corriere della Grisi, per quanto abbiamo detto di direttore, orchestra e coro. Tutti strapplauditi

 

 

Gli ascolti

Verdi – Requiem

Requiem aeternam

Lacrymosa dies illa

Sanctus

Soprano: Chiara Taigi
Contralto: Anna Maria Chiuri
Tenore: Yusif Eyvazov
Basso: Massimiliano Catellani

Coro sinfonico di Milano ‘Giuseppe Verdi’
Maestro del Coro: Erina Gambarini

Orchestra sinfonica di Milano ‘Giuseppe Verdi’
Direttore: Jader Bignamini

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