“A noi volgi il bel sembiante”

Maria-CallasRaccolgo volentieri il guanto e la sfida lanciatami dall’amico e collega Domenico, premettendo che non sono d’accordo su quasi nulla delle sue piccanti osservazioni. Premetto, altresì, che non parlo da “vedovo Callas” né da fan “della Maria”, anzi a dirla tutta ho “scoperto” la Callas solo dopo aver formato il mio gusto, il mio orecchio e le mie ragioni: in un’età, quindi, che non si lascia più affascinare dal mito o ingannare dall’inesperienza. La Callas è per me venuta dopo la Sutherland, la Sills, i grandi del ‘900 e persino dopo i 78 giri. E mentre di certi miti passati ho di gran lunga ridimensionato il valore (Sutherland su tutte) anche grazie al continuo stimolo di ascolto e di riflessione che gli amici del sito si offrono reciprocamente, la maturità mi ha fatto ben comprendere l’unicità della Callas musicista. Non semplicemente cantante (così come Gould non era semplicemente un pianista o Bernstein o Furtwaengler non erano semplicemente direttori d’orchestra). Il cardine della mia riflessione sta nel considerare l’opera non come mero fenomeno vocale o sonoro, non come un semplice portato della tecnica corretta come se bastasse seguire le regole stilate da un Beckmesser qualunque ed emettere suoni gradevoli per fare veramente “musica”! L’opera, come ho spesso scritto, è fenomeno complesso e articolato che non può certo esaurirsi nelle bellurie del canto. E’ prima di tutto musica. E per far musica occorrono musicisti. In questo trovo la Callas interprete irraggiungibile: perché non ragiona da cantante. In ciò risiede la sua grandezza. E la sua rivoluzione. Già, perché la Callas fu rivoluzionaria: sbaglia Donzelli quando la riconduce al suo passato prossimo rincorrendo i fantasmi di Garcia o i vecchi 78 giri: la Callas fu un punto di svolta nel ridisegnare un intero repertorio, sottraendo il belcanto (in senso allargato) sia alle svolazzanti svenevolezze liberty che affogavano, tra gorgheggi e picchettati o lacrimevoli bamboleggiamenti, la forza drammatica dei personaggi di Donizetti e Bellini (trasformati spesso in stucchevolimmeringhe), sia alle contaminazioni veriste e tardo verdiane. Insomma quegli ultimi 70 anni che tra ‘800 e ‘900 hanno fatto scempio del melodramma romantico. La Callas da una parte rimette sangue nelle vene di personaggi divenuto appannaggio di sopranini coccodè (come Lucia o Amina), dall’altra riporta alla dimensione autenticamente e classicamente tragica quei ruoli trasformati in animaleschi rigurgiti di bile verista. E lo fa attraverso la tecnica vocale e soprattutto la parola cantata (che resta parola prima di tutto), il fraseggio, l’accento. Ecco perché reputo la Norma del ’60 la sua più bella (e la migliore della discografia): perché a fronte di una perdita fisiologica di splendore vocale l’accento guadagna in dramma e pregnanza. E musicalità. Non sono affatto d’accordo, poi, che la grande Callas sia quella prescaligera – solita rampogna per ridimensionare un fenomeno rivoluzionario – certo la Norma di Londra è splendida, così come Armida e Nabucco e Vespri, ma la rivoluzione avviene a Milano coi grandi ruoli belliniani e donizettiani. Gli esempi sono molteplici, da Poliuto a Bolena, dalla Leonora (Trovatore) che per la prima volta rispetta la scrittura verdiana a una Violetta finalmente viva, né santa né puttana, da una Lucia vocalmente perfetta che sottrae il personaggio all’idiozia che ne caratterizzava le precedenti (e successive) rappresentazioni ad un’Amina che non bamboleggia come una scema (e che pure ha continuato a bamboleggiare – Sutherland compresa – sino ad oggi dove ancora non si riesce a superare questo stereotipo). La Callas non cade neppure nella facile tentazione dell’astrattismo, comodo refugium di chi non riesce a dar linfa vitale alla parola cantata e scambia la voce con uno strumento, trasformando l’opera (qualsiasi opera) in una gelida cristalleria vittoriana. E che dire di Puccini? Lontano dagli eccessi dannunziani di molte sue colleghe, ma pieno d’umanità e autentico dramma (non la sua parodia, come le dive del verismo). Lontano da tutta la tradizione lacrimevole o mignottesca. E questa rivoluzione fatta di musica, parola, canto e non semplicemente suono non trova precedenti da cui farsi ridimensionare, come invece Domenico cerca di rinvenire. E non è questione di voce bella o brutta (concetti avventurosi e poco significativi perché risiedono unicamente nella valutazione soggettiva), di tecnica più o meno perfetta, o di personaggi remissivi o aggressivi (secondo obsolete categorie d’ascolto che se avevano senso prima, con la Callas perdono di significato perché legati ad un mondo spazzato via): la musica è dietro le note, dietro la tecnica, dietro le regole, le forme e le buone maniere. Ed è ciò che distingue la Callas da tutte le altre: Tebaldi, Olivero, Cerquetti, Stignani, Sutherland, Sills, Caballé, Stella…giù sino ai fantasmi dei 78 giri o alle ombre dei cilindri in cera. Certo ciascuno è liberissimo di preferire la Muzio o la Caniglia alla Callas, esattamente come c’è chi predilige il proprio imbianchino a Michelangelo. Poi la Callas non ha bisogno delle mie difese, né le critiche di Domenico ne scalfiranno il mito: si fa solo accademia, dato che – piaccia o meno – se le ceneri di Maria Callas sono disperse nel suo mare, il mito rimarrà per sempre tra i monumenti della nostra civiltà. Mito che dall’alto guarda in testa tutte le altre… Questo splendido cofanetto della Warner è un’occasione ghiotta per riflettere sul fenomeno Callas e per comprendere come non si tratti solo di mito: raccoglie tutte le incisioni in studio prodotte per la EMI (opere e recital) in una rimasterizzazione che per la prima volta riparte dai materiali originali senza l’ausilio di quei filtri digitali che infestavano le edizioni precedenti. La voce della Callas appare più libera e chiara (senza quel leggero ingolamento che è divenuto il suggello delle sue peggiori imitatrici). Un’opera fondamentale che spero troverà un seguito in un altrettanto vasto cofanetto con le incisioni live.

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7 pensieri su ““A noi volgi il bel sembiante”

  1. Ho già scritto ieri in risposta all’altro post ma non posso non ringraziare Duprez per lo splendido post che, secondo me, chiarisce perfettamente (e con molta più competenza di quanto io possegga) ciò che ho sempre pensato della Callas. Io l’ho vista (anche se ero molto giovane) ma vorrei che fosse chiaro che non mi sono mai sentito un “vedovo”, anzi molto spesso ho litigato con tanti miei amici per questo. Dopo di lei ne ho amate anche altre, ma lei, proprio come ha scritto Duprez, mi ha aperto un mondo: il senso profondo del melodramma romantico e poi del melodramma in generale come qualcosa legato profondamente alla cultura e non solo alla passione, mi si perdoni il termine, da loggione…(anche se in loggione ci andavo perchè ero molto povero).Non so se mi sono spiegato.
    Molti in quegli anni amavano la Callas perchè, si diceva, era una grande “attrice”, insomma sapeva muoversi in scena, io invece sostenevo che di grandi “attrici” ce ne erano state altre e ce ne sarebbero state ancora, litigavo animatamente coi miei amici: “La Callas non è grande perchè porta bene i mantelli…la Callas è prima di tutto una grande musicista”…proprio come scrive Duprez. Che gioia vederlo affermare da qualcuno che sicuramente di musica ne sa più di me! Grazie.
    Saluti a tutti da Vivaverdi

  2. Note sparse:ho sentito i cd ricostruiti e noto un miglioramento deciso,ad esempio l’album con le eroine di Verdi,che ricorda le migliori live e le vere e proprie performaces scaligere.Una voce che guizza con decisione verso l’alto e poi immerge la parola scenica in un grave assai sonoro.Quel malconsiglio “è necessario,è necessario” fa rabbrividire,ma ora è immune da distorsioni. Ho scritto semplificando che non era Manon o Mimì,anche perchè nei suoi personaggi la dettagliata realizzazione scenica gestuale era determinante anche per il fraseggio.Insomma,se penso alla Bolena,penso a lei .Che non era bella ma sembrava bellissima,una creatura della storia o del mito -Ifigenia non solo Medea- oppure l’amor giovane per Alfredo, in un ritratto da impressionisti(frangetta e coda di cavallo,che avevano tra l’altro sedotto Montale) e al I atto il ff di voluttàààà. senza risparmio per i re bem etc di poi.

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