3.750.000 e l’altra Desdemona

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Imminente il ritorno di Otello di Rossini alla Scala e nonostante la pubblicità che a breve si scatenerà per dire che la visione del dramma shakespeariano ad opera di Rossini è un’opera dove si celebra il conflitto e la rivalità in amore e che i protagonisti sono l’incarnazione della rivalità fra il Moro e Rodrigo, aggiungendoci, magari, la salsa razziale, la protagonista del titolo rossiniano è senza dubbio Desdemona ovvero la signorina Colbran, bastando l’esame dei numeri previsti da Rossini, la loro posizione nel dramma e la prassi, che molte primedonne praticarono, di rimpolparsi la parte persino con inserti donizettiani. In quello di Verdi, per contro imperano le figure maschili e Desdemona resta una donna di poca personalità, sempre inopportuna che contribuisce, non poco e senza metafore, con il proprio comportamento a “scavarsi la fossa”. Insomma l’ipostasi dell’anima semplice tanto quanto quella di Rossini lo è della grande primadonna tragica. Se non vi fosse altro a segnare la differenza basta la preghiera che chiude la scena prima dell’ultimo atto sia in Rossini che in Verdi. Nel primo caso in aderenza al più tipico comportamento autoreferenziale ed autocelebrativo della primadonna di ogni tempo ed epoca Desdemona si canta da sola il proprio requiem per contro quella verdiana si rivolge alla Vergine e dedica le intenzioni di una presaga di morte agli altri. Per nulla prima donna eppure Verdi per la prima Desdemona avrebbe voluto la più primadonna ( a cominciare dal cachet) del tempo ovvero Adelina Patti. E questo ci dice che idea avesse l’autore della fanciulla innamorata: UNA VOCE, LA VOCE. Per questo il primo gruppo di omaggio a Desdemona è un omaggio alle voci, ovvero a quelle cantanti cui la natura aveva dato mezzi sontuosi, timbro spontaneamente nobile ed elegante, perchè Desdemona è dama di alto rango, e magari quella misura o distacco nella resa drammatica del personaggio. E allora il primo nome che viene alla mente è quello di Renata Tebaldi, agevolata dalla scrittura centrale che le risparmia il tallone d’Achille degli acuti. La Renata nazionale non fu, però, la sola Desdemona di sontuoso e morbido mezzo. Negli anni precedenti a partire dal 1925 e sino al 1950 tre furono nei maggiori teatri le Desdemona dalla “voce d’oro” ovvero: Rosetta Pampanini, Elisabeth Rethberg e Maria Caniglia. Aggiungo anche che alla resa dal vivo le ultime due mostravano un vigore ed una aulicità estranee alla Tebaldi ed alle protagoniste successive.  Per altro i soprani drammatici (quelli da Aida, Ballo, Forza e magari Norma) avevano l’abitudine di affrontare il personaggio verdiano, che giustamente per quelle voci era considerato “riposo per la voce” come nel caso di Maria Pedrini. Spesso la scena, che apre il quarto atto, attirò le grandi voci quelle come Rosa Ponselle, che mai vestì in teatro i panni di Desdemona. Le qualità timbriche ed interpretative di una Rethberg o di una Caniglia potevano anche manifestarsi in lingue differenti dall’originale come dimostra l’esecuzione davvero magistrale per purezza di suono e dolore quintessenziato di Tiana Lemnitz ed anche di Elisabeth Grummer o il timbro mediterraneo e sontuoso di Maria Reining di cui Sena Jurinac fu a Vienna la più completa erede. Che Desdemona fosse il luogo eletto di soprani angelici lo dimostrano molte esecuzioni in lingua italiana come quella di Antonietta Stella, in genere applicata ad opere più gagliarde, ma che nel ruolo femminile di Otello trova la possibilità di esprimere la propria natura autenticamente lirica, (che sarebbe stata quella vera ed autentica della Caballè) come accadrà a Gabriella Tucci e di li a poco a Maria Chiara, la vera voce italiana, che ricalcava il modello, esemplare per saldezza vocale, della propria maestra: Maria Carbone. Non per riprendere una proposizione polemica, ma la Desdemona di Maria Chiara insieme a quella dolcissima e sofferente di Margareth Price patì il predominio ed il monopolio di quella di Mirella Freni. Valente protagonista e chi lo discute perchè il personaggio di Desdemona rispondeva pienamente alle caratteristiche vocali del soprano modenese, ma la Chiara e la Price vantavano uno strumento più sontuoso e nella zona grave assai più rifinito e soprattutto non accentavano Desdemona come Mimì.  Eppure…. eppure la Desdemona delle produzioni destinate ad essere evento fu sempre la Freni.

Il contraltare della Desdemona “pucciniana” di Mirella Freni è sempre esistito ed è sempre stato  monopolio delle grandi cantanti attrici quelle che davano a Desdemona soprattutto l’accento. Maestra indiscussa ed irripetibile di un’ impostazione del genere ( e non solo nell’ave Maria) Claudia Muzio dove senza le estreme raffinatezze dell’Olivero o le esagerate raffinatezze di Renata Scotto, Desdemona diviene immagine di dolore, rassegnazione e sofferenza. Esemplare di come la cantante attrice gestisca Desdemona, anche quando non è di madre lingua italiana è Eleanor Steber della cui interpretazione basta, per realizzare il “salto sulla sedia”, la frase “per chi adorando a te si prosta” dove non disponendo di voce d’oro la cantante americana gioca tutto sulla dinamica della frase. Non si è la Steber per nulla anche se la realizzazione visiva evoca la recita parrocchiale.

Insomma un altro modo di essere Desdemona. E di altri modi di essere Desdemona devo segnalarne altri due ovvero le testimonianze delle prime interpreti o almeno di età della pietra del disco ovvero: Nellie Melba e Frances Alda. Quest’ultima vestì i panni della protagonista  nella ripresa al Met del 1910 (protagonista Slezak, atteso che Caruso evitò il personaggio) e l’altra fu tra  le prime interpreti del titolo, che scelse anche per il proprio farewell dalle scene liriche. Brillano entrambe per gelida compostezza di esecuzione anche se la voce della Melba si immagina dovesse avere straordinaria dolcezza e soavità, ma le interpreti non vibrano e manca in questa pagina ad entrambe la pietà, la fede e la disperazione della ragazza, presaga della propria fine.

La vera lezione di interpretazione, di canto come espressione dell’animo e del sentire arriva invece da due soprani cosiddetti di forza dei primi vent’anni del XX secolo ovvero la Poli Randaccio e la Mazzoleni. Credo che queste due prime donne insieme ad almeno altre quattro o cinque (Burzio, Russ, Pinto, Boninsegna e se avesse inciso Cecilia Gagliardi) rappresentino la testimonianza più alta dell’arte del canto italiana nelle voci drammatiche e ciò non di meno l’abitudine all’accento poderoso e solenne, agli acuti di devastante ampiezza cede il passo  nella preghiera ultima di Desdemona alla castigatezza d’accento, al legato, al suono dolce ed all’emissione morbida e controllata. Esempio di grandissimo canto, esempio di come talvolta circolino ingiustificati luoghi comuni e communis opinio, meritevoli di sola smentita o revisione critica.

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Elisabeth Rethberg

Rosetta Pampanini

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Tiana Lemnitz

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Magda Olivero Immagine anteprima YouTube

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Tina Poli Randaccio

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3 pensieri su “3.750.000 e l’altra Desdemona

  1. per i cinque milioni passare fra un paio d’anni! e mi domando se fra un paio d’anni ci sarà ancora un teatro d’opera aperto ed operativo o se la Grisi avrà dovuto accettare l’amara realtà di essere un mausoleo (lo dice già qualcuno che crede di fare il bene dell’opera difendendo il presente e quelli che lo hanno fabbricato day by day)

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