Omaggio a Jenny Lind: tutta colpa delle controcopertine.

Jenny_LindE’ di moda, oggi, proporre recital o registrazioni dedicate a cantanti, che hanno costruito la storia del canto, scegliendo, il più delle volte, fra quelli che non abbiano lasciato testimonianze della loro arte. Abbiamo già affrontato, se non sbaglio, il tema all’epoca del cd di Florez dedicato a Giovan Battista Rubini e concluso che l’operazione fosse velleitaria perché il tenore peruviano non era e non sarà in grado di affrontare ruoli come Pollione, Otello ed anche Edgardo, quand’anche ampliamente “accomodati” secondo prassi del tempo, per certo praticata dal divo bergamasco. E così, parlando di accomodi, aggiusti e trasporti entriamo in un secondo aspetto –pericoloso- di queste operazioni perché il fatto che il divo celebrato e che si sta utilizzando per divinizzare un cantante, cantasse un certo titolo del repertorio non coincide affatto con quanto predisposto dall’autore per la prima rappresentazione ed a noi noto, magari avallato da sapienti edizioni critiche. Esemplari il caso del Tancredi di Giuditta Pasta, che in questi giorni una compagnia semiamatoriale nella realizzazione, non certo nell’idea, esegue in Pesaro, rievocando Davide davanti a Golia, e più ancora la Lucia di Donizetti, che nel primo ventennio di circolazione cantava Rosmonda di Inghilterra alla sortita e non impazziva alla fine dell’opera, ma praticava il cosiddetto “sublime tragico” eseguendo il finale di Fausta.
E, perché piova sul bagnato, non è affatto certo che l’esecuzione dei brani dello spartito venissero proposti nella medesima tonalità o integrali. Anche qui a memoria ed esempio Rubini che alzava di un tono la cavatina di Pollione nella Norma.
Avvertenza essenziale: quando nell’intento consacratorio di un cantante si fa eseguire al consacrando un brano di un già consacrato divo si deve avere la certezza di due elementi, ovvero che il divo celebrato eseguisse quel brano e che lo eseguisse nella tonalità e forma a noi pervenuta nello spartito. Altrimenti… si fa una brutta figura.
Di queste operazioni oggi tanto inflazionate quando scarsamente professionali le uniche riuscite risalgono a quasi cinquant’anni fa e appartengono (ovvio considerando chi pensasse e collaborasse a queste operazioni) a Joan Sutherland nel suo secondo album “The art of primadonna” ed a Marilyn Horne nel “The Garcia sisters”, dedicato, per chi non lo sapesse, a Maria Malibran e Pauline Viardot.
Poi il diluvio, anzi il proluvio di velleitarismo e faciloneria, che un giretto in internet smentisce.
Senza cattiveria di sorta, ma a titolo di mera osservazione di quello che vediamo ogni giorno e prima di scendere nel dettaglio di un caso che non è il solo, non certo il peggiore per la cantante chiamata a celebrare la cantante (anzi!!!). Il caso di specie: un piccolo festival dei molti, che albergano in Italia (Paese, che non riesce a mettere in piedi e mantenere il Festival Donizetti, l’UNICO compositore italiano, che lo meriti ed imponga per la quantità della produzione e le questioni musicologiche e filologiche connesse) propone un concerto dedicato a Jenny Lind. Lo affida ad un soprano assoluto e di agilità quelle che i francesi chiamavano chanteuse à roulades e cantavano Isabella del Roberto il Diavolo, Margherita di Navarra, Lucia ed alla giovane e validissima cantante l’ideatore del festival incaricatosi della direzione musicale o artistica, che dir si voglia propone e predispone un programma che è la copia conforme o quasi di un disco assemblaggio Decca, della Sutherland dedicato a Jenny Lind. Insomma un programma di concerto ricavato dal retro del cd della Sutherland.
La prima precisazione: si tratta di un disco assemblaggio ovvero la Decca ha costruito il prodotto prendendo brani del repertorio della Lind (pure con qualche errore, di cui diremo fra poco) che la Sutherland aveva registrato in vari recital nel corso della sua lunga ed intensa attività discografica. Con questo criterio per nulla filologico o musicologico, ma commerciale, attingendo alla sterminata discografia del soprano australiano potremmo (quasi si trattasse del fantacalcio) costruire un omaggio a Giulia Grisi, a Rosina Penco a Marcella Sembrich o Amelita Galli-Curci, per citare i primi nomi che mi vengono in mente e che non sono estranei alle scelte di repertorio, di gusto e di tecnica del soprano australiano.
Una seconda precisazione riguarda il rapporto fra Jenny Lind ed i soprani cosiddetti d’agilità o più precisamente à roulades. Senza avere la presunzione, visto che non predispongo programmi da concerto, di scrivere un trattato sulla Lind osservo che non possiamo vedere il soprano svedese attraverso l’ottica di Emanuele Muzio (che poi si rimangiò l’opinione, riconoscendo qualità di interprete al soprano) o di studiosi e musicisti come Rodolfo Celletti e Bonynge, che posero l’accento sulla cadenza ad libitum che Verdi concesse alla Lind nell’aria del secondo atto di Masnadieri piuttosto che sulla vocalità ardita del successivo duetto con Francesco Moor. Spartito alla mana la Lind di Verdi canta e si esprime come i personaggi, che Verdi pensò per Eugenia Tadolini ed Erminia Frezzolini, la maggior destinataria di sopracuti da parte di Verdi (e non solo, vedasi Mercadante di Orazi e Curiazi).
Certo che a questa “visione” della cantante non sono estranei alcuni elementi. Pensiamo ad esempio all’appellativo di usignolo svedese, termine di paragone l’usignolo riservato nel periodo post Lind ai soprani di agilità quali Adelina Patti o Marietta Piccolomini (che in queste riflessioni avrà poi la sua importanza) sino alla Galli Curci o addirittura alla Toti. Sempre in quest’ottica di fraintendimento anche la medesima Lind ne ha messo del proprio quando, terminata la brevissima carriera teatrale- poco meno di un decennio- cominciò a girare l’America ed il Regno Unito eseguendo concerti, quasi mai da sola e dove almeno uno o due brani erano costituiti da canzoni o romanze il cui scopo era mettere in risalto la virtuosa e le capacità acrobatiche. Basta guardare i programmi dei concerti proposti dalla Lind, precisiamo non c’era solo quello, ma anche quello.
La circostanza che Joan Sutherland esegua in maniera esemplare la cavatina all’atto secondo di Amalia o che Jessica Pratt abbia dato prova, pur senza eseguire le variazioni della Lind, di essere credibile nella sortita dell’infelice Beatrice Lascais non fa né della prima né della seconda le novelle Jenny Lind.
lind1E non potrebbe essere diversamente perché la Lind era un ben differente genere di soprano (“Mdlle. Lind’s voice was a brilliant and powerful Soprano, combining the volume and sonority of the true Soprano drammatico to which class of voices it unquestionably belonged with the lightness and flexibility peculiar to the more ductile and airy Soprano sfogato, with the characteristic tenuity of which it had, however, nothing in common”: così W. S. Rockstro in un saggio del 1894 dedicato alla cantante). Le prime opere che cantò, anche se sarebbe più corretto dire declamò erano Agata del Franco cacciatore, Euriante , protagonista dell’omonimo titolo di Weber, e soprattutto Giulia di Vestale e Alice di Roberto il Diavolo, parte cui rimase fedele per tutta la carriera teatrale e concertistica.
Declamò perché poco dopo il debutto ed i primi successi in Germania –Berlino per la precisione- la cantante evidentemente provata da un repertorio oneroso, marcatamente centrale e non sorretta da adeguata tecnica, corse a Parigi a farsi rimettere a posto la voce da Garcia. Dall’incontro con Garcia nasce la cantante capace di affrontare il repertorio italiano ed uno dei teatri di gusto italiano come il Covent Garden. La prima ad accorgersene fu una cantante tedesca, ma di studio e formazione italiana Henriette Sontag e la critica elogiò la sua Norma sacerdotessa astratta ed ispirata alla Casta diva, donna passionale nel momento in cui di scena Pollione, nel contempo veniva lodata la dolcezza e l’accento appassionato di Alice nel Roberto il diavolo. Ma entrambe le parti restavano da tragedienne (come la Pasta e per certi versi la Grisi). Ci sono poi tre titoli su cui riflettere e che la Lind praticò con successo ovvero Sonnambula, Figlia del reggimento, da un lato e “Un accampamento in Slesia” dall’altro .
Nel primo caso è l’elemento elegiaco patetico a prevalere e con esso la scrittura centrale con un virtuosismo espressivo e rispetto ad altre parti moderato. Non dimentichiamo che Amina venne sempre considerata una derivazione della Nina di Paisiello e il mito della Pasta e fors’anche della Malibran grandi dicitrici del ruolo, esaltatrici della malinconia belliniana era ben presente e che molte grandi Amine sino alla Storchio o alla Toti prevalevano come cantanti e non come virtuose.
Nel secondo caso Jenny Lind non eseguì Etoile du Nord rappresentata solo nel 1854, e cantata dalla Duprez, che è l’opera i cui numeri solistici la Galli Curci e la Sutherland hanno eseguito, ma la versione originale del 1844 intitolata “Un accampamento in Slesia”, oltretutto scritta in tedesco, sicchè la Decca prima e gli organizzatori del concerto, che del retro cd Decca si sono ciecamente fidati, avrebbero dovuto studiare che cosa dall’una all’altra opera sia transitato e con quali cambiamenti.
Maggior prudenza, poi, avrebbe suggerito l’idea di proporre il Bacio di Arditi. Che la Lind quando faceva i concertini, dettati pare dal suo sconfinato spirito filantropico, eseguisse brani “brillanti” non vi sono dubbi, ma il Bacio non rientrò mai nel repertorio della Lind. Fu scritto da Arditi per Marietta Piccolomini (1834-1899) uno dei primi soprani acrobatici, poi consacrati nel gusto del tempo dalla Patti, e lo fu nel 1860 ovvero a carriera, anche concertistica, della Lind pressoché finita.
Che brutti scherzi che fa la Sutherland!
Autonomia di pensiero, attente perlustrazioni in internet e la disponibilità di una cantante come Jessica Pratt suggerirebbe, opinione del tutto personale, di omaggiare non già una figura complessa e fors’anche sopravvalutata come la Lind, ma certi soprani del tardo Settecento come la Cavalieri o la De Amicis, anche in considerazione della predisposizione della Jessica ai ruoli tragici purché scritti o aggiustati in zona acuta ed acutissima, come dimostrato coi fatti tre giorni or sono a Pesaro.

4 pensieri su “Omaggio a Jenny Lind: tutta colpa delle controcopertine.

  1. Si, bella recensione; e la dice lunga su come oramai le cosiddette major stiano grattando il fondo del barile… siamo arrivati ai centoni post-attività delle passate stelle …
    operazione dilettantesca proprio perché scientificamente senza basi.
    In quanto a un disco dedicato alla Cavalieri o alla De Amicis, dubito che l’asfittico mercato del disco attuale consenta un operazione simile, condivido quanto scriveva qualche mese fa credo Duprez circa l’esangue e sempre più misera importanza e influenza delle EX-grandi case discografiche; credo sia passato anche il tempo dell’ennesima inutile traviata, o insulso barbiere… adesso pur di ritagliarsi un mercato anche Decca pubblica Traetta o il Catone di Vinci… (su come cantati poi, sorvoliamo).
    Ora le major del disco sopravvivono, come certe catene di supermercati, con vendite a spot, su pochi gonfiati fenomeni tipo Kaufman, Anna dei miracoli, Alagna, Lang Lang…
    esce l’ultimo disco del pianista in canotta, due settimane prima parte il battage pubblicitario…. Ma poi quante copie si vendono veramente?
    Interessante questo articolo anche se focalizzato sul mercato della musica pop: http://scenarieconomici.it/mercato-discografico-davvero-in-crisi-verita-bugie-piagnisteo-dellindustria-musicale/
    Credo si possa dire che per il mercato della “classica” le condizioni possano essere solo peggiorative data la refrattarietà del pubblico della musica colta al download.

  2. Quando si dice documentare e fare vera informazione! Grazie al Corriere della Grisi :)

    Di recital dedicati alle cantanti auspicate si potrà parlare se la Pratt diventarà un astro dello star system (se ci riuscisse, se non si snaturasse, se non le faranno incidere cose a 60 anni, se questo fosse davvero auspicabile…). Per ora può farlo nei concerti live facendosi ben registrare :)

Lascia un commento