Annuario pontificio berlinese – parte III. Ombre e nebbia.

petrenkoL’incoronazione di Kirill Petrenko nel conclave dello scorso giugno, pare non abbia del tutto chiuso l’affaire della succesione al “trono” dei Berliner. La sua elezione – un vero e proprio plebiscito: 123 voti su 124 – non ha infatti placato le polemiche, le recriminazioni e, purtroppo, certi rigurgiti d’antisemitismo. Il direttore russo di ascendenze ebraiche è stato fin da subito bersaglio di feroci attacchi da parte delle frange più conservatrici, rimaste deluse per la mancata elezione del loro campione, Christian Thielemann, ritenuto vero depositario della tradizione musicale germanica. Eppure – come già ho scritto – la scelta dei Berliner è perfettamente coerente con la loro storia: un direttore giovane e non ancora pienamente formato (come lo erano Karajan e Furtwaengler) con cui iniziare un percorso musicale collettivo, aperto al nuovo e capace di rimettersi in discussione dopo l’esperienza stagnante di Rattle (del resto i Berliner sono tradizionalmente un’orchestra duttile e progressista). Thielemann rappresenta il polo opposto (anche caratterialmente: tanto questi è sovraesposto mediaticamente e commercialmente, tanto l’altro è schivo e riservato): un asso piglia tutto che si immaginava portasse a casa il poker (dopo Dresda, Salisburgo e Bayreuth, Berlino). Le tensioni non sono mancate fin da quest’estate, all’indomani della nomina di Petrenko, durante il Festival di Bayreuth che vedeva impegnati in diverse produzione i due “rivali”: e tra reciproche minacce di alzare le tende, lettere di avvocati e prese di posizione (pro Thielemann) dell’onnipotente Katharina, alla fine il prossimo Ring non vedrà più sul podio Petrenko. Il clima, da lì in poi, si è fatto sempre più torbido con accuse precise e dubbi (a cui hanno partecipato anche alcune testate italiche): la più grave è quella dell’inadeguatezza di Petrenko nel repertorio sinfonico tedesco al contrario del rivale che ne sarebbe massimo esegeta. Accusa molto vaga e molto ingiusta: un giudizio prematuro su una carriera ancora da costruire ed un parossistico elogio ad un direttore – l’altro – che proprio nel repertorio tedesco (al netto di suggestioni d’immagine) ha più d’uno scheletro nell’armadio, a cominciare da un ciclo sinfonico beethoveniano che grida tuttora vendetta ed un repertorio che pare dettato dal Presidente del Reichmusikkammer, viste le esclusioni. E’ curioso, poi, che i supporters italiani di Thielemann provengano da quella stessa parte – solitamente interessata alla musica come mero pretesto per attaccare la cultura “ostaggio dei comunisti” – che vede in Muti il massimo esegeta dell’opera italiana e che si pone come custode di una fumosa idea di tradizione, procedendo per frasi fatte e falsi miti. Una curiosa e sospetta corrispondenza di amorosi sensi. La realtà è probabilmente più triste e squallida: un gioco di potere sporcato da venature razziste e antisemite (che, nonostante i sempre troppo tardivi “distinguo” del direttore tedesco, sono sempre più frequenti in tutto ciò che riguarda Thielemann) e la longa manus di interessi discografici: Thielemann è legato alla DGG, mentre il russo non ha alcuna casa di produzione alle spalle. Di recente alcuni media tedeschi si sono lanciati in una vera e propria campagna d’odio contro l’incolpevole Petrenko: Sabine Lang, della NDR, dopo aver elogiato in Thielemann l’esempio del “puro musicista tedesco”, depositario del “vero suono germanico”, ha definito Petrenko uno “gnomo arcigno” e una “caricatura giudea”; allo stesso tempo Die Welt ha sottolineato – non nascondendo il fastidio per questo – che sarebbe il terzo “direttore giudeo” di stanza a Berlino (con Barenboim e Fischer). Come sarà possibile far musica in un contesto del genere? Come potrà il giovane Petrenko, che alle spalle non ha la potenza contrattuale di una casa discografica, sopravvivere tra rigurgiti antisemiti, nostalgie del passato e attacchi reazionari? Non è un caso che Petrenko abbia rinnovato sino al 2021 l’incarico all’opera di Monaco e non è un mistero che la “presa di possesso” del podio berlinese (inizialmente prevista nel 2017, poi slittata al 2018) verrà ritardata almeno alla stagione successiva, se non addirittura al 2020: nelle prossime tre stagioni, infatti, la presenza di Petrenko sarà ridotta al ruolo di direttore ospite. E poi? Cosa accadrà nel 2020? Ho la sensazione che i giochi non siano chiusi: non mi stupirebbe un passo indietro del riservato musicista russo (anche poco tempo dopo l’inizio dell’incarico) e l’apertura di una crisi che non farà bene alla musica tedesca.

L’ascolto è dedicato ad un altro direttore non compreso dai Berliner e che pure trovò rifugio a Monaco: ecco il ritorno di Celibidache dopo 38 anni, con la Settima di Bruckner.

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39 pensieri su “Annuario pontificio berlinese – parte III. Ombre e nebbia.

  1. Petrenko e’ quanto di meglio in circolazione e sarebbe un eccellente direttore dei Berliner, almeno musicalmente parlando. Sono d accordo nel pensare che se la rischia grossa, poiché commercialmente non ha le spalle coperte e i Berliner sono anche un ‘orchestra che produce incisioni di successo. Speriamo ci sia il giusto coraggio Nell operazione. Quanto a muti, francamente oggi rimane il massimo esegeta della tradizione italiana. Un po’ per meriti suoi e un po’ per assenza di rivali. Questo bisogna riconoscerlo all ‘ uomo e al direttore

    • Non sono d’accordo e l’ho ampiamente spiegato. Se Petrenko fosse stato il direttore di prima scelta, i Berliner non avrebbero atteso tanto tempo ed una votazione senza risultati il primo giorno, ma l’avrebbero nominato subito. Il problema è che non credo che chi segue Muti, sia necessariamente contro il russo naturalizzato. Non tutti almeno. Certo è che la scelta dei Berliner è anche o soprattutto politica; dovrebbe essere soprattutto musicale e dettata da un’idea intellettualmente elevata, (Abbado – da Prometeo a Pasifal); come è vero che le tre maggiori istituzioni musicali di Berlino, sono state e in parte lo sono ancora tutte, nell’ assoluto dominio di personaggi di religione, cultura e formazione ebraica. Senza essere antisemiti questa è la verità. Un caso forse unico al mondo. Ma è anche vero che Berlino è probabilmente la città meno tedesca di tutta la Germania, con le sue contraddizioni non solo musicali, amministrative, e con il peso di Anchise, sulle spalle, di una colpa imperdonabile; quando sarebbe ormai il tempo di ricordare per non dimenticare, ma anche di diventare Ascanio.

  2. Avevo letto qualcosa circa quanto sopra esposto ma confesso che non pensavo si fosse a questo punto. Il povero Petrenko si trova in mezzo ad un fuoco incrociato che ritengo immeritato. Mi sorgono alcune domande (perché il plebiscito se esisteva un’ala dura tanto determinata a favore di Thielemann??? E dove sta la tanto decantata autonomia dell’orchestra più famosa e prestigiosa del mondo???), ma anche un senso di forte inquietudine: sentenze su aspetti che nulla hanno a vedere con la musica, pretesi “purismi” che suonano come pretesti, eccetera, mi mettono l’inquietante sensazione di un’aria politicamente mefitica e minacciosa, cui i risultati delle recenti elezioni regionali mi pare non siano estranei.

    • Anni fa (ai miei tempi di studentessa , mooolto indietro…) non mi sembrava che Die Welt fosse così schifosamente schierato (molto peggio la Suddeutsche Zeitung), però non lo leggo da secoli. Quanto al “colto”… beh… Il fatto che mi pare più grave è che l’andazzo non pare limitarsi a certa stampa.

  3. Petrenko l’ho sentito a Roma nel Rheingold e a lui do un merito assoluto: ha fatto “vedere” l’opera anche se era in forma di concerto. Nell’opera amo chi sa raccontare le storie e Petrenko in questo è bravo. Non è un custode della tradizione tedesca? Per fortuna! Se la tradizione é quella morchia grassa e birrosa che incrosta da un po’ di anni le interpretazioni di Thielemann. Il Ring di Petrenko a Bayreuth non era perfetto? Può essere (non l’ho sentito) ma quello di Thielemann sembrava riportare l’orologio della storia a quando sulla collina garrivano le bandiere con la svastica, solo che era così falso e costruito che non ti faceva nemmeno venir voglia di invadere la Polonia, semmai di affamare i greci, gli spagnoli, gli italiani. Thielemann è oggi (non da giovane) la caricatura del direttore tedesco. Mi vien da dire che persino il fisico sembra uscito da un quadro di Grosz, bello paffuto e con un mento che sembra Dick Tracy. Certo che la Staatskapelle di Dresda, che ha avuto gli immensi Bloomstedt (chi l’ha ascoltato alla Scala ha potuto capire realmente l’essenza di Bruckner e di Schubert) e Sinopoli (il suo Strauss scavato da uno psicologo – archeologo) tra i suoi ultimi direttori (Luisi era lontano da loro ma certo meglio di Dick Thielemann) oggi riesce a difendersi solo perchè ha un suono che nessuno, neanche lui, riesce a distruggere.
    Petrenko tutta la vita, anche se forse un Harding (che però poteva esser visto come “Abbattle”) non ci sarebbe stato male…vedremo…

    • Francamente il ring di petrenko non mi è parso un gran che. Thielemann ha molti difetti ma il suo ring mi è parso assai meglio diretto. Resta condovisibile che poi fa un orrendo beethoven e non solo….ha troppi complessi per essere originale anche se ha gran controllo dell orchestra. La vicenda resta assai penosa ma lascia trasparire una sola verita, che qui non siamo al cospetto della vera grandezza o autorevolezza artistica ma di personaggi che per un verso o l altro siedono in poltrone che gli vanno larghe. Anche tra i direttori siamo come nel canto e nella regia.

      • Petrenko dirige un ottimo “Rheingold” ed un buon primo atto di “Die Walkuere”, il resto è di un grigiore, di una monotonia, di una sciatteria disarmanti, senza interpretazione alcuna, anche per l’imperizia del suono e per la poca cura nella coesione e nell’intonazione degli strumenti.
        Non m’importa se Thielemann porta indietro l’orologio o se ricorda questo o quello dell’antica scuola (che poi sarebbe un complimento tra i massimi), il suo Wagner mi piace, ha un suono opulento, è pensato, è interpretato, diverso dal suono insipido e slavato di un Rattle, per me sopravvalutatissimo. Il concerto wagneriano di Thielemann a Venezia è uno dei vertici degli ultimi anni, mentre la “Frau ohne Schatten” e la “Lucia di Lammermoor” dirette a Monaco da Petrenko sanno di poco, ma proprio poco. Le caciare politiche non mi interessano e nemmeno le cretinerie nazistoidi che tirano in ballo credo, religione, identità sessuali etc., penso solo che Thielemann sia più ferrato tecnicamente e stilisticamente, più rigoroso e carismatico.
        Quanto al repertorio, Thielemann in campo operistico si è distinto in Wagner, Strauss, Pfitzner, Puccini, Korngold, Janacek, Marschner, J.Strauss, Orff, Mascagni, Leoncavallo, con punte di diamante e anche cadute (il verismo, ad esempio); mentre nel sinfonico continua da sempre ad approfondire Schubert, Busoni, Pfitzner, Brahms, Bruckner, Mahler, Liszt. E pazienza se Beethoven non gli riesce bene, c’è anche il resto, mi pare. Ma non lo devo difendere io dalle accuse di avere un repertorio fatto su misura per Goebbels, accuse che francamente mi rifiuto anche di capire, ci pensa benissimo Thielemann a difendersi con il suo lavoro a Dresda, a Bayreuth e sul podio, mentre Petrenko deve ancora crescere e maturare… ma parecchio!

        • Ah lucia con diana… avevo dimenticato quella porcheria. Ti ringrazio di avere esaustivamente illustrato il mio telegramma precedente !!! Thielemann forse non convince sempre ma petrenko mi pare un’invenzione ….una delle tante che periodicamente ci viene offerta con una gran dose di sopravvalutazione….penso ad esempio a Temirkanov…un buon direttore presentato come un genio senza che lo fosse. Cmque per quel che ho sentito meraviglia l incarico berlinese a petrenko

        • Quel che è certo è che Thielemann ha la rara capacità tecnica di ottenere quel che vuole nelle sue esecuzioni: sia quando le intenzioni sono discutibili, sia quando sono lodevoli. Questo almeno ci consente di valutarlo per i suoi esiti, e non per le mere intenzioni. E poi, altro che tradizione: se un merito si può riconoscergli, è una lucidità tecnica affatto moderna, che si cercherebbe invano nelle esecuzioni vecchio stile. Questo, a mio avviso, rendeva così avvincente il suo Ring 2006-2010: la capacità di articolare gli sviluppi sinfonici delle quattro giornate lungo archi di tensione amplissimi.

        • Bah, francamente dire che Petrenko sia un’invenzione mi sembra ingiusto. Soprattutto se il giudizio si basa su una…Lucia di Lammermoor (è noto infatti che Donizetti sia FONDAMENTALE per poter dirigere i Berliner…). Di Petrenko si potrà dire che deve maturare, ma che sia ricchissimo di talento e di idee è indubbio: più del Ring di Bayreuth (che comunque aveva momenti altissimi) consiglio l’ascolto delle ancora poche incisioni disponibile, ossia il Palestrina di Pfitnzer, le opere sinfoniche di Josef Suk e il primo concerto per pianoforte di Brahms. Petrenko ha diretto i Berliner solo tre volte, prima dell’elezione, ma il successo fu incredibile e l’orchestra rese esplicitamente omaggio al direttore. Conosce e ha praticato il repertorio tedesco a Monaco e a Berlino. Ha ottenuto consensi unanimi ovunque (anche a Roma a Santa Cecilia) ed il suo Ring, al netto di talune scelte (ma suvvia, non parliamo di stonature, sbandamenti, errori perché non è possibile che un’orchestra suoni bene il giorno prima e malissimo il giorno dopo), è stato giudicato interessantissimo: certo non è un Wagner “tradizionale”. La scelta dei Berliner è comprensibile e condivisibile: dopo l’anonima reggenza di Rattle era necessario un direttore con un carattere e con la voglia di crescere e scommettere. Del resto la sua elezione non è il frutto di accordi sottobanco (Petrenko non ha nessuno alle spalle), è stata una scelta puramente musicale e, con tutto il rispetto, mi fido più del giudizio dei Berliner che EVIDENTEMENTE hanno visto e sentito un talento non comune.

          • Karajan e Abbado dirigevano anche “Lucia di Lammermoor” e non mi pare che facessero tanto gli schifiltosi 😉
            Quanto al resto, mi auguro che nel sinfonico sia meglio che nell’opera, perché anche la sua “Frosch” era generica quanto il Ring e la “Lucia”, ma solo suonata meglio dall’orchestra di Monaco.

          • Non credo che Karajan sia diventato direttore dei Berliner perché dirigeva Dozzinetti… E comunque neppure Petrenko è schifiltoso, dato che dirige pure lui Lucia, ma si sa…nessuno più è in grado di dirigere i cantanti secondo tradizione come quando c’era Caffariello 😉 Io ho l’impressione che a volte si senta solo ciò che si vuol sentire..

          • Duprez, per carità, libero di tirar fuori ancora questi commenti francamente obsoleti, ma possibile che siamo ancora a “Dozzinetti e Caffariello”, come se non ci conoscessimo? Suvvia

          • Beh, Marianne, se per definire un direttore inadatto ai Berliner si tira in ballo una sua presunta “schifosa” Lucia…l’argomento, seppur obsoleto, resta valido…

          • Non ho mai scritto, infatti, che sia inadatto ai Berliner, ho scritto che operisticamente non mi piace. PUNTO

          • Senti…il ring ripensato a valle di questa discussione era una schifezza. Di fronte a un direttore tipo sawallish petrenko è una cacca.di gallina spiccicata. Ma che berliner e berliner dai..
            Domandiamci perché lo hanno votato. Mancano certo dei pezzi al mosaico…ci sono cose che non so sanno e forse sono le più importanti. Quanti direttori oggi in carriera vanno avanti per motivo extra artistici? Ne abbiamo delle sfilze di misteriosi geni incompresi xhe magari le orchestre prima rifiutano per poi doverseli sorbire…sarà anche qui la stessa cosa. Del.resto già rattle in mezzo ai nani aveva il suo bel posticino no?…già la signora di hamburg, l australiana….cpme si chiama? Dirige assai meglio di petrenko…

  4. Io credo che il problema risieda, come quasi sempre, nelle opposte tifoserie coinvolgendo – loro malgrado – i diretti interessati (certo Thielemann non fa alcuno sforzo per risultare simpatico…). Lo sbaglio è aver caricato entrambi di ruoli e aspettative. E così Thielemann – direttore tecnicamente preparatissimo (ci mancherebbe) – gioca a “fare” il depositario della grande tradizione, riuscendo spesso una caricatura: eppure, quando si discosta dal ruolo (penso al Brahms con Pollini: una “strana coppia” tanto improbabile quanto efficace) diventa un direttore interessante e potenzialmente con molto da dire. Certo quando fa Wagner a Bayreuth credendosi la reincarnazione di Keilberth diventa noioso: preciso, corretto, ma noiosissimo (e i suoi Ring lo dimostrano). Anche il Beethoven fuori tempo massimo ispirato ad una certa idea di “scuola storica” diventa noioso e ridicolo, ma non perché “tradizionale” (non esiste un modo giusto o sbagliato di approcciare il repertorio), quanto perché monotono, già sentito mille volte. E così Petrenko caricato di aspettative e dubbi: ma chi lo dice che ai Berliner si deve arrivare “già fatti”? La storia dell’orchestra dimostra proprio il contrario: Furtwaengler e Karajan erano giovani promesse, nulla di più, Celibidache era un mistero (e Abbado – in area tedesca – non era certo accreditato come direttore sinfonico). Petrenko poteva essere una scommessa se lasciato lavorare in pace: è un direttore con enorme talento e il suo Ring di Bayreuth (posto terribile per far musica tranquillamente) lo dimostra: imperfetto, incompleto, ma anche ricco di grandissimi episodi. A parte che ai Berliner non si va certo per dirigere opere… Oggi ci sono tanti ottimi direttori d’orchestra (se saranno anche “grandi” lo dirà il futuro), ma una brutta tendenza ad un suono omologato, fonogenico, rassicurante: resistono alcune grandi orchestre e le piccole compagini (che sono la realtà più stimolante della nuova generazione). Petrenko coi Berliner sarebbe stato stimolante, come anche Harding o Nelsons: ma a patto di lasciarli crescere in pace senza accuse ridicole o dubbi. Anche Thielemann potrebbe “accontentarsi” di Dresda e Bayreuth e se smettesse di atteggiarsi ne guadagnerebbero tutti. Però alla fine loro sono solo musicisti: il resto è colpa dei media e di chi ha interesse a costruire rivalità a tavolino. I Berliner hanno scelto quasi all’unanimità: la stampa (con i suoi mandanti) avrebbe dovuto fare un passo indietro.

    • Non ho mai provato noia con Thielemann, soprattutto con i suoi Ring, che, al contrario, vibrano di teatralità ed epica, mentre quelli diretti da Petrenko fanno terminare la, splendida, narrazione al primo atto della prima giornata per poi sfilacciarsi e autodistruggersi strada facendo.
      Se i Berliner hanno scelto Petrenko, ben venga, hanno fatto benissimo e buon per lui e per loro. Non conosco il Petrenko sinfonico, magari è splendido e sublime e certamente troverà nei Berliner degli splendidi compagni di musica: il Petrenko operistico tutto è tranne che splendido e sublime (per me) e mi riferisco a lui solo per quanto riguarda l’ambito teatrale, che è quello che conosco.
      Sai cosa? I media si divertiranno anche a metterli uno contro l’altro ed a parlare di schieramenti, per fare spettacolo, ma noi ci siamo cascati con tutte le scarpe e diamo ragione alla stampa, infervorando le discussioni sulla supremazia dell’uno e dell’altro, mettendoci pure in mezzo caratteri e antipatie, politica e razza, colorando ancora di più questa contrapposizione che ci fa ripiombare improvvisamente nelle atmosfere Cuzzoni VS Bordoni, care a ogni melomane.
      Per quello che mi riguarda, Thielemann deve continuare il suo ottimo lavoro a Dresda ed a Bayreuth e Petrenko… in bocca al lupo, e spero dia modo di ricredermi.

      • Ognuno ha i sui gusti per carità, ma il Petrenko (operistico) di Monaco è ben lontano da quello dei veleni di Bayreuth (così come il Thielemann di Dresda è assai differente lontano dalla Collina)

        • ….adesso….quel ring passato alla radio ha fatto sentire anche dei problemi grossi in orchestra…di quelli che un grande direttore non può mostrare….cose che non c ‘entrano col gusto soggettivo….

          • Tu hai sentito tutto il Ring? Che problemi avrebbe avuto l’orchestra? Credi davvero che un’orchestra come quella di Bayreuth un giorno suoni “divinamente” e il giorno dopo dimentichi il solfeggio? O forse che il direttore chiede espressamente di stonare?

          • Io ho sentito tutti e tre i cicli dei Ring di Bayreuth (’13, ’14, ’15), due dei quali sono stati recensiti da me nel blog, ho le registrazioni, accuratamente riascoltate, e confermo tutto quello che scrissi allora. Non è una questione di “giorni sì, giorni no”, è una questione di direttore: se l’orchestra suona bene con Thielemann, Nelsons e tutta l’allegra brigata di Bayreuth, e male dopo il primo atto di “Die Walkuere”, senza continuare con le atmosfere raggiunte fino ad allora, con Petrenko, c’è un problema nel direttore, non nell’orchestra.

          • Io “male” non ho certo sentito suonare…ma magari mi sbaglio io e molte altre migliaia di ascoltatori: avremo avuto dei miraggi uditivi…può essere.

        • Però lasciare che per tre anni consecutivi a Bayreuth l’orchestra sbandi, stoni, permetta suoni calanti ed un fraseggio asettico, si scolli con il palcoscenico e manchi di coesione, be’, non è gusto personale: è cronaca dei fatti 😀

  5. Sarà stata anche unanimità nella decisione ma secondo quanto ha scritto lo scorso anno il giornalista Axel Brüggemann della rivista Cicero, solitamente molto ben informato sui retroscena, Petrenko sarebbe stato solo la terza scelta dei Berliner dopo che due altri direttori votati avevano rifiutato l’ incarico

      • Vero. Ma io trovo quanto meno singolare il fatto che i Berliner abbiano scelto un direttore indubbiamente dotato di grandi potenzialità ma che finora ha tenuto solo due concerti con loro. Abbado sarà stato una scelta di ripiego ma era comunque ben conosciuto dall’ orchestra, visto che dirigeva ogni anno a Berlino fin dal 1966. Quanto a Rattle, al di là dei giudizi personali, era anche lui collaboratore regolare dei Berliner dal 1989 quando debuttò alla Philharmonie, pochi mesi prima della morte di Karajan.

  6. Coppi e Bartali… Toscanini e Furtwaengler, Abbado e Muti… Rivalità vere o presunte, sgambetti, consorterie… Che palle! Mi sembra di essere tornato ai tempi della querelle des bouffons… Solo che oggi invece di pensare alla musica si pensa all’immagine. Certo anche Karajan ci aveva messo del suo ma, quasi sempre, la sua immagine corrispondeva alla sua musica. (Il suo Vita d’Eroe con copertina in tuta da Motociclista è un trionfo fetish kitsch esattamente come la musica e la sua esecuzione… Un disco perfetto).
    Thielemann no: Thielemann, tecnica sopraffina e idee splendide quando era giovane, sembra dirigere con l’occhio diretto alla telecamera e l’orecchio sui mass media. Semplicemente oggi non ha più idee. Non è il depositario della tradizione, ne è solo la caricatura. Troppo lungo sarebbe analizzare un Ring (e il suo in disco è un Ring inutile) ma penso sempre al l’impressione che mi ha dato l’inizio della Walkiria: la sua tempesta è di cartone laddove Karajan fa una tempesta tutta interiore, Solti scatena le forze della natura, Boulez mostra l’inizio di una rivoluzione… Persino Barenboim e Gergiev fanno meglio di lui raccontando comunque lo sgomento e le difficoltà di Siegmund nella tempesta. È solo questione di suono, di cambi impercettibili di accenti, di voglia di raccontare che in Thielemann mancano. Ha ascoltato iFurtwaengler ma non l’ha capito, Keilbert e non l’ha compreso, Knappertsbusch e ha creduto che tutto dovesse essere pesante e grassoccio. Lo ripeto, oggi è noioso. Quanto al suo Brahms con Pollini: ottima operazione di marketing ma lontanissima dagli esiti Pollini Boehm e Pollini Abbado (anche perchè Pollini oggi non è più il Pollini di un tempo). Ah, ha diretto anche Schoenberg! Il Pelleas un Melisande: naturalmente tra le possibili vie interpretative sceglie quella tardoromantica, lecita ma un po’ troppo dejà vu. Per chi era al comunale di Firenze il 5 maggio 2002, dove il Pelleas fu eseguito dai Berliner con un Abbado magrissimo e convalescente, quella di Thielemann è acqua fresca… Ma non troppo limpida

  7. Vorrei riportare, a scanso di equivoci, le parole di Stanley Dodds, violinista dei Berliner e dal 2010 responsabile dell’Orchestra per i rapporti con i media: “C’erano molti candidati ma Petrenko, pur avendo diretto solo tre volte con noi, ha instaurato un feeling che l’orchestra ricorda ancora. La sua capacità di lavorare intensamente e la disponibilità nei confronti dei musicisti sono risultati decisivi. E’ uno di quei direttori che riesce a creare un’ alchimia con l’orchestra e con il pubblico. Non si dimentichi anche il suo sconfinato talento e la giovane età, che ci permetterà una lunga programmazione.” Non leggo complotti o abbagli collettivi: forse chi si meraviglia della nomina di Petrenko ritiene i Berliner un punto di arrivo della carriera, da raggiungere in età tarda. Ma la storia di quell’orchestra dice l’esatto contrario.

    • Dei complotti e dei complottari me ne frega poco, ci vogliono prove e documenti per parlare di “gombloddi”, senza i quali si discute a vanvera e si fa fuffa, ma è evidente che i Berliner abbiano trovato affiatamento con Petrenko ed è un ottima occasione per la carriera di un giovane direttore, che continuerà sicuramente a crescere ed a raggiungere ottimi risultati, che per ora, in campo operistico, non ho colto.

      • Ma infatti: è questo il punto. Io credo che i Berliner siano i più titolati a scegliere il loro direttore. E non mi sembra giusto bollarlo come “invenzione” o frutto di complotti orditi da agenzie e case discografiche (che nell’occasione non credo possano essere paventati, non disponendo, il nostro, di tali protezioni). Non mi piacciono neppure le geremiadi sulla “fine dei tempi”. Io sono ben felice che sul podio dei Berliner non ci sia un vecchio satrapo o una superstar che concorda con l’ufficio stampa anche come sollevare il sopracciglio, ma un direttore che ancora non ha espresso il suo talento.

    • Anche a me Muti piace (Thielemann un po’ meno), ma la questione non riguarda i direttori, quanto il sottobosco di stampa e media: il senso del mio discorso sta nell’ipotesi – tutt’altro che peregrina – che da qui all’effettiva successione di Rattle le cose potranno ancora cambiare, visto anche il clima che si è creato intorno ai due, con opposte tifoserie e rivendicazioni di “purezza” nell’eseguire il repertorio tedesco. Tutto qui.

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