Mense pesaresi: primo piatto.

Nella storia del ROF “Donna del lago” è stato uno dei titoli del catalogo del genio pesarese più rappresentati, credo in grazia della “predilezione” di quella che, da venti anni, è ritenuta la voce rossiniana per eccellenza. Sovrabbondante ripetere quanto più volte abbiamo detto sulla rossinianità del cantante prescelto per il ruolo di Giacomo V.
Del pari, siccome i costi assolutamente proibitivi di biglietti ed irrinunciabili annessi non consentono di affrontare il cammino verso questa Santiago del canto, ci siamo limitati all’ascolto radiofonico donde non potremo unirci ai cori di estatica meraviglia perché Michieletto ha disvelato, finalmente, la vera natura del capolavoro rossiniano. Quindi, sulla dissertazione sull’ambiguità del titolo (in virtù del fatto da sempre propalato da Zedda che Elena sposi sì Malcom, ma con il pensiero rivolto al fascinoso sovrano) e sulla capacità unica del convocato regista di renderla evidente nulla possiamo dire, ma prima ancora non vogliamo farlo: continuiamo ad essere dell’opinione che la mente di Rossini avesse come obiettivo quello di mettere in scena un titolo, che avesse un argomento moderno e differente dal tradizionale dramma coturnato che era e restava la merce corrente della drammaturgia dei libretti d’opera italiani, cui Rossini in Italia si attenne, di fatto, sino a Semiramide. Sarà semplicismo, ma il ritmo di produzione cui Rossini era tenuto altro non consentiva, e se a questo aggiungiamo le regole “ferree” ed irrinunciabili, che vigevano per la circolazione dei melodrammi molte altre elucubrazioni mentali (per non usare termini più pregnanti) non hanno spazio e luogo con riferimento a quella catena di montaggio, che era la produzione melodrammatica sino agli anni ’40 dell’800.
Per altro, al di là dell’allestimento, ogn’altro degli ingredienti del primo piatto del festival pesarese è ben lungi da qual si voglia crisma di storicità, che sin da ieri sera con suoni melensi e farinelliani la critica togata distribuiva univocamente e, per di più, con disprezzo per chi, come quelli della Grisi, ha possibilità di dire la propria opinione perché nella vita fa, orgogliosamente, altro e quindi nessun padrone ha se non che la propria cultura e preparazione.
Il peggio è venuto dalla direzione. A partire dai clangori e colori da Ponchielli (opinione non mia, ma di Rodolfo Celletti) delle esecuzioni di Pollini per questo titolo qui ed altrove (salvo un caso) si è sempre andati di mazza ferrata, colpi di piatti, suoni asciutti, ma in realtà secchi ed acidi. Di afflato romantico, di capacità di descrivere i luoghi, fossero le sponde del lago oppure il ritrovo dei congiurati o, ancora, la caverna dove all’inizio del secondo atto i nodi sentimentali e politici “vengono al pettine”, neppure l’idea. Se un direttore avesse pestato con un mediocre suono orchestrale come è stata l’intera sfida una scena di Weber o di Spohr insorgerebbero tutti. Tacciamo, poi, della totale incapacità di cogliere l’aspetto elegiaco cifra dell’opera sino alla cavatina del contralto. Metronomo e sbacchettate durante l’andante “Quali accenti, quai tormenti” o all’andantino “Elena o tu che chiamo” rendono un pessimo servizio a Rossini. Del pari lo rendono marchiani errori di concertazione come non aver trasportato verso l’alto talune discese di Malcom al sol grave e note limitrofe, che si sono risolte in suoni ingolati ed aperti, ovvero nel contrario del suono morbido e rotondo che è la cifra dell’esecutore rossiniano autentico. Ancora, non si appioppano, se non per faciloneria, patenti di esemplare direttore rossiniano a chi tolleri, in assenza di segni di corona, puntature acute per Giacomo V. Vedi le battute di conducimento fra le due strofe dell’allegro “cielo in qual estasi” o la maldestra manomissione della linea musicale alla chiusa del duetto per interpolare un acuto. E sì che da altro, ma sempre pesarese pulpito per anni Zedda ha tuonato (e prima di lui Rossini con le battute sul do diesis di Tamberlick in Otello) sull’interpolazione di note acute.
Se, poi, un direttore d’orchestra deve suggerire accenti e linea musicale qui Mariotti ha fallito come già accaduto in Scala. Il tempo staccato nell’andante della cavatina di Malcolm per la Abrahamyan (incidentaliter dictu la miglior voce della serata) non consentiva il legato, ovvero non consentiva l’espressione, che del legato è la conseguenza più evidente. Le cose per quanto concerne il personaggio en travesti non sono andate meglio alla seconda aria, proprio quella seconda aria che a Rossini ed ai suoi interpreti doveva piacere tanto quanto la prima considerati gli autoimpresti che ne fece e l’ampio utilizzo quale numero aggiunto in altri titoli del pesarese ad opera di insigni primedonne come Teresa Cecconi.
Dulcis in fundo, si fa per dire, la compagnia di canto nella quale hanno riscosso il maggior successo Varduhi Abrahamyan nel ruolo di Malcom e Michael Spyres in quello dell’antagonista Rodrigo di Dhu; e ciò nonostante il Festival puntasse, more solito, su Florez e, ancor più, su Salome Jicia, ultimo pulcino della “covata” accademica pesarese destinata a essere la nuova Colbran dei prossimi due tre anni. Se tanto durerà una cantante, sprovveduta e priva di qualsivoglia merito, che nell’arco di un anno passa da Folleville a Elena risultando già vecchia, corta e ingorgata.
La Abrahamyan non è affatto un contralto e lo si sente quando scende alle note estreme che sono aperte, spinte, stimbrate e prive di sostegno, pagando, poi, pegno in alto dove suona forzata. Questo perché in natura, addestrata alla vera tecnica ottocentesca, sarebbe un mezzo acuto da Cenerentola, Rosina applicabile al più alle parti en travesti della Marcolini. A onor del vero, molti mezzi acuti con accomodi e raggiusti sono stati, fortuitamente a Pesaro quanto diffusamente nel mondo, insuperabili Malcom, Calbo ed Arsace. La voce della Abrahamyan è in natura ed al centro dolce e morbida, credo, piuttosto sonora, ove la scrittura è centrale capace anche di una esecuzione fluida dei passi di agilità. Non una rivelazione, ma una seria promessa se applicata alle giuste parti e preparata da ripassatori di spartito di qualità. Introvabili oggi epoca del fai da te.
Molto fai da te si sente anche in Spyres, che ha trionfato alla sortita (applaudito addirittura alla prima sezione della stessa) e si è arrangiato alla sfida, dove un vero tenore baritonale dovrebbe avere il suo punto più alto grazie all’andamento declamatorio ed alla scrittura centrale e dove, invece, ricorre a trasporti, poco udibili nel marasma orchestrale pensato dal genius loci, ma rivelatori della autentica natura del tenore. Che poi qualche piacione inneggi e si esalti per una nota bassa interpolata dice del gusto e della cultura del tenore (poco) e di quello (nullo) di chi dovrebbe educare ed “instradare” il pubblico.
Queste persone sono quelle che, per anni, hanno incensato Florez ed oggi vanno in giuggiole per la signora Jicia. Florez era e resta come gusto musicale, prima che come voce, un tenore di mezzo carattere, piazzato prima sulle parti tragiche (il tragico in Rossini non è solo eseguire fantasmagoriche agilità, ma accentare, scandire ed articolare) ed ora su parti di Donizetti e Bellini e del repertorio francese. Quest’ultimo ampliamento di repertorio ha lasciato evidente il segno in un cantante che, ormai, come tutti i tenori acuti a fine carriera stona nelle frasi acute, lega con fatica e stenta nelle agilità sia quelle di forza che nella languida fiorettatura dei duetti con Elena.
Il vero buco di questa esecuzione è stata la protagonista sfornata dall’accademia dove si presume con un mesetto di informazioni di creare cantanti dal controllo tecnico assoluto ed esemplare, dal gusto infallibile. Pia o disonesta illusione. La storia dell’opera ricorda due sole voci femminili che debuttarono e “partirono per la tangente”. Si chiamavano Rosa Ponselle ed Ebe Stignani. Chiaro?!
Questa protagonista non solo non ha qualità timbrica, per di più in un ruolo che sta al centro in cui pertanto ci si augura che la natura sia stata generosa per indurre alla carriera di cantante, ma sale con strilletti e falsetti, farfuglia le agilità e in basso emette i suoni chiocci ed ingolati, che sono la più autentica sigla di chi è un improvvisato del mestiere. Se dobbiamo passare in rassegna lo spartito basta la voce ingolata alla cavatinetta di sortita cui seguito un recitativo dove la bellezza del personaggio non si specchiava nello splendore vocale (in Rossini sei bello e di gentile aspetto se canti bene), in un duetto in cui abbondavano accenti isterici e pasticci alle quartine di “le mie barbare vicende”, un filo meglio trattandosi di scrittura centrale e poco fiorettata il duettino con Malcom e l’andante “gli opposti affetti miei” (complice anche il caos in orchestra e palco). Ovviamente un soprano lirico leggero (meglio una soubrette) è destinata a soccombere alla sfida dove alla frase – esemplificazione del cosiddetto sublime tragico- “se de’ tuoi giusti lai” già si sente una cantante affaticata, incapace di affrontare lo slancio tragico di “io son la misera”. Il rondò, che tutti aspettano, è meno che scolastico, condito con agilità farfugliate, urla in zona medio alta, scarsa precisione ritmica, inserimenti musicalmente discutibili pur in presenza di cospicue varianti d’autore.
Chiosa: qualcuno ha dichiarato che se ne fotte delle opinioni non proprie, pure noi delle sue. Piaggeria purissima.

Gli ascolti
(a cura di Adolphe Nourrit)

La donna del lago

Atto I

Del dì la messaggera – Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Tullio Serafin (1958)

Oh mattutini albori – Rosanna Carteri, dir. Tullio Serafin (1958)

Eccola, alfin la rendi…Scendi nel piccol legno – Cesare Valletti & Rosanna Carteri, dir. Tullio Serafin (1958)

Uberto! Ah! dove ti ascendi? – Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir. Tullio Serafin (1958)

Sei già nel tetto mio…D’Inibaca donzella…Sei già sposa?…Cielo! in qual estasi – Rosanna Carteri & Cesare Valletti, dir. Tullio Serafin (1958)

Sei già nel tetto mio…D’Inibaca donzella…Sei già sposa?…Cielo! in qual estasi – Mariella Devia & Juan Diego Florez, dir. Daniele Gatti (2001)

Mura felici…Elena! oh tu, che chiamo – Martine Dupuy, dir. Riccardo Muti (1992)

E nel fatal conflitto…Vivere io non potrò – Rosanna Carteri & Irene Companeez, dir. Tullio Serafin (1958)

Qual rapido torrente…Eccomi a voi, miei prodi – Chris Merritt, dir. Henry Lewis (1986)

Alfin mi è dato…Vieni, o stella…Quanto a quest’alma amante…La mia spada è la più fida – Giorgio Surjan, Chris Merritt, June Anderson, Martine Dupuy, Marilena Laurenza, Ernesto Gavazzi, dir. Riccardo Muti (1992)

Atto II

Oh fiamma soave – Rockwell Blake, dir. Donato Renzetti (1982)

Va’, non temer…Alla ragior deh rieda…Nume! se a miei sospiri…Misere mie pupille – Frederica Von Stade, Rockwell Blake & Dano Raffanti, dir. Donato Renzetti (1982)

Va’, non temer…Alla ragior deh rieda…Nume! se a miei sospiri…Misere mie pupille – Lella Cuberli, Rockwell Blake & Chris Merritt, dir. Henry Lewis (1986)

Va’, non temer…Alla ragior deh rieda…Nume! se a miei sospiri…Misere mie pupille – Darina Takova, Juan Diego Florez & Gregory Kunde, dir. Riccardo Frizza (2004)

Quante sciagure…Ah, si pera…Fato crudele e rio – Marilyn Horne, dir. Donato Renzetti (1982)

Quante sciagure…Ah, si pera…Fato crudele e rio – Martine Dupuy, dir. Henry Lewis (1990)

Tanti affetti – Frederica Von Stade, dir. Donato Renzetti (1982)

Tanti affetti – Lella Cuberli, dir. Henry Lewis (1986)

Tanti affetti – Mariella Devia, dir. Daniele Gatti (2001)

Tanti affetti – Darina Takova, dir. Riccardo Frizza (2004)

10 pensieri su “Mense pesaresi: primo piatto.

  1. Michieletto non si smentisce mai (e perché dovrebbe, quando le sue michielettate vengono accolte con stupita reverenza da quei devoti che hanno un compulsivo quanto inspiegabile bisogno di vedere ogni opera possibile ed immaginabile stravolta nella trama, nell’epoca, nell’ambientazione ed in tutto quanto è possibile, e trasformata in qualcosa di completamente diverso?). Mi duole che sia così difficile trovare delle immagini della favoleggiata scenografia, ma ci riuscirò, prima o poi. Per ora ho visto solo una foto di scena in cui Elena è a letto con Giacomo, con l’ingombrante presenza della Elena “invecchiata”, alle prese con il suo flashback, e direi che l’ho trovata emblematica di quella filosofia del “far vedere tutto” che si basa sul pregiudizio che il pubblico sia privo di immaginazione e debba sbattere il naso anche su quello che nell’opera non c’è, ma fa tanto “attuale”.

  2. le minchiomichellonate hanno funzionato alla perfezione in uno dei più brutti e insulsi spettacoli visti al rof ed in generale quest anno .
    Una sgangherata e fuori tempo a josa direzione orchestrale hanno fatto da contorno al cast che fatta eccezione per michael spyres ha giugiellonato qua e la
    preso com era a ‘duettare’ con i due nuovi personaggi della donna del lago non previsti nel libretto ma ‘ficcati’ di forza dal regista per tutto il durare dell opera indaffarati a vestire , svestire , ballare, piangere e mancavano solo i bisognini …al di la della performance di ogni singolo cantante ci si domanda come e perchè possa succedere che uno spettacolo forse mediocre finisca così in fondo grazie ad una discutibilissima messa in scena strombazzata dal grande registra di grido… alla incapacità di ‘orchestrare’ e non da ultimo una carenza di conoscenza del buon gusto.
    Persino l idolatrato Florez mostra ormai la corda faticando non poco , sforzando oltremisura ottenendo
    suoni stonati negli acuti.
    ILtrionfo è durato ben 3 minuti di applausi a fine spettacolo e qualche generoso applauso a Malcom
    e Elena non è da considerarsi più di tanto…
    Un pubblico molto ‘internazionale’ , distratto e convinto di assistere magari a qualcosa di bello si è lasciato cosi andare al rito dei ‘bravo’ e via dicendo…
    Più che fischiare ormai bisognerebbe munirsi di scacciacani

  3. Sulla solita paginata della nota giornalista sul ROF si legge una frase illuminante: ” […] Salome Jicia, che come quasi tutti i personaggi del Festival, è giovane, seducente e brava. Molti, dice il sovrintendente “vengono dalla nostra Accademia e qui arricchiscono il loro repertorio, quindi ci fanno condizioni economiche di favore””.

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