Fratello streaming. Manon Lescaut al Bolshoi di Mosca

1331200_m3w940h564q75v41381_netrebkoProsegue il viaggio di nozze artistico di Anna Netrebko e Yusif Eyvazov: impegni operistici e concerti si alternano ormai con costanza dalla galeotta Manon Lescaut romana, che vide il debutto della diva e l’incontro con la “scoperta” tenorile del clan Muti. Oggi a dirigere l’originale coppia di cantanti è il nostranissimo Jader Bignamini, divenuto ormai loro accompagnatore ufficiale, in procinto di debuttare al Metropolitan di New York. Mentre l’orchestra Verdi affonda lentamente (ne parlerà presto qui il nostro Duprez), il buon maestro cerca di ritagliarsi una carriera direttoriale nelle acque agitate del mercato musicale odierno. Un mercato alterato da nepotismi ed influenze di ogni genere ( e tutte extrartistiche ), tale da condizionare profondamente le possibilità di emergere di chi ha talento vero e non presunto o inventato da qualcuno. E cosi il buon Jader Bignamini intraprende la via, opposta a quella per lui auspicabile, di possedere un‘orchestra con cui lavorare e crescere anche nel repertorio sinfonico da cui proviene ( pensiamo ai risultati del caso torinese, orchestra del Regio – Noseda ), per quella di direttore da opera e, in questo caso, di accompagnatore di una cyberdiva e del suo folckloristico compagno.

Trasmessa via streaming da Russia4,  la Manon Lescaut moscovita diretta da giovane maestro mi è parsa tra le migliori prove recenti ( di certo migliore della Butterfly palermitana e della Traviata romana ), anche se non all’altezza delle prime, su tutte il superlativo Boccanegra pamigiano. Ha diretto bene, complice un‘orchestra di buon livello, equilibrata tra le sezioni, dotata di bel suono; eppure mentre assecondava la stella russa, si è dimenticato di essere travolgente, appassionato o struggente, come se dirigesse tutto con distacco. Ha consegnato ai due sul palco una cornice perfetta supplendo sempre alla loro patologica mancanza di accento, perché l’orchestra di Puccini contiene e descrive tutta l’azione, la canta e la commenta, e Bignamini, lo abbiamo detto, è un uomo che fa sempre tutto giusto. Qualcosa manca nell’audio, però, come se volesse moderare Puccini quando cerca l’effetto, quando la passione degli amanti invade l’azione, quando fa il verso al Settecento, quando la tragedia si compie. Insomma, come se non volesse essere lui il grande protagonista di una serata in cui solo lui poteva esserlo, dato che la protagonista, Anna Netrebko, oltre che latitare nel fraseggio, ha mostrato la corda vocalmente per l’intera serata. La cantante di Roma pare ormai  lontana e, paradossalmente, il solo momento in cui il personaggio e l’accento ( parola sconosciuta da sempre alla signora ) sono stati adeguati a Manon è stato il quarto atto, ma solo perché, nella tragedia, il canto forte e spinto, gli acuti al limite si mascherano assai più che negli atti precedenti. Quella parte di voce che è sempre stata tubata si è, infatti, allargata, invadendo anche il registro centrale; una posizione di canto bassissima e ingolata, che la fa salire spingendo, talora ancora con lo splendore di un tempo. La linea di canto, però, è parsa segnata dalla volgarità ( a tratti pareva un’orchessa! ), come un vecchio mezzosoprano di modello russo, tanto per rendere l’idea, con tanto di “buco” al centro. Non ho mai udito un “L’ora o Tirsi” tanto sguaiato ed improbabile come quella della Netrebko, messa in difficoltà sin dalle battute di conversazione del primo atto con De Grieux. Il canto sempre forte, forse tre smorzature in tutta la sera, fiati corti e prese di fiato abusive che spezzavano frasi come nessuna cantante di medio livello sino a ieri si sarebbe permessa, hanno caratterizzato la sua Manon, tanto che ne esce un personaggio pesante ed aggressivo, incapace di fascino, sensualità, del “dire” qualche frase in maniera convincente e …secondo il mestiere. In conclusione, ciò che a Roma era parso come una qualità che poteva e doveva portare a belle prove per questa superdotata cantante, l’altra sera era azzerato. La dote naturale resta tale e tanta che, seppur con fatica e tanta forzatura della voce, la Netrebko riesce a cantare senza intoppi, aggrappata agli acuti ed alla sua grande sonorità, cosa che le sue colleghe non possono permettersi nemmeno di pensare. Certo che se questo è il meglio di oggi……

Del suo compagno posso solo dire che sta in scena con maggior sicurezza che non a Roma, quando era semidebuttante. Eyvazov ha cantato sempre forte e senza fraseggio, gli acuti indietro, il timbro fibroso e a tratti morchioso; scenicamente inesistente, ha cantato decisamente peggio l’aria del primo atto rispetto alla dura scena del porto del terzo, portata a casa con sicurezza. Partner nella vita ma solo sparring partner nell’opera in scena, il cantante non si è evoluto, nonostante le importanti occasioni professionali. Va solo a tempo…quasi sempre. Però trova sostenitori e recensioni positive, perché ormai siamo oltre l’abuso della credulità popolare, al fondo di un medioevo massmediatico che ti fa divo “per contatto”, come le sante reliquie ambrosiane, da cui son passati più di XV secoli. Per queste apparizioni anche le rodate categorie “è provinciale”,“è brutto”, “non può recitare”,” è grasso”, “ha la voce brutta”, “non emoziona”, magicamente spariscono e si trasformano in virtù per managers e teatri. Anzi, si fanno pure libri encomiastici, che puntuali riverberano nelle recensioni. E mentre da un lato il buon Yusif ci ispira simpatia per la sua felicità e, perché no?, e per il suo look scatenato, dall’altra, però, non possiamo non registrare la catastrofe della lirica, ridotta ad un circo, senza serie categorie professionali a sorreggerla, inquinata da ogni forma di degenerazione e sprofessionalizzazione. Montserrat Caballè, che fu diva, penso, ben più della Netrebko e ben più fondatamente, non potè mai trasformare il marito in un tenore diverso da ciò che in realtà fu. E come lei tanti altre ed altri con i loro compagni, perché né il sistema né il pubblico glielo avrebbero mai permesso. E nemmeno certa critica….di certo un po’ meno abusiva di quella odierna…Bene tutti gli altri, da Lescaut di A. Naumenko sino ai comprimari.

Quanto all’allestimento di Adolf Shapiro, parecchio da Unter den Linden, se mi permettete l’espressione, aveva più velleità di essere patinato ed à la page che non di essere pertinente all’opera. Spazzata via ogni sensualità, la giovinezza traslata all’infanzia delle bambole, nessuna sensualità, nemmeno il dramma finale ( i due fermi al proscenio vuoto con la proiezione di lettere col testo del libretto sul fondo), la produzione si è incardinata sulla metafora gratuita e pervertita delle “babuske” russe ( Manon ridotta ad una bambina coi calzettoni e la bambola in mano ), con la citazione della Manon di Carsen ( la collana di perle della gigantesca bambola del secondo atto ), i soliti cappotti grigi…..insomma, il repertorio dei clichè che vanno di moda nei teatri europei e che servono per dire che si è fatta una produzione di livello internazionale. Puccini però non è stato restituito nei suoi climi, nelle atmosfere, nelle descrizioni e nel dramma, ostacolato dalla cifra astratta, asettica e simbolica scelta dal regista, che non ha peraltro fatto alcun lavoro sui personaggi. Una ricca maniera che può soddisfare il pubblico moscovita che non conosce per nulla Puccini ed assai poco l’opera italiana.Trionfo finale per tutti, per la Netrebko soprattutto.

 

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