Gli Ugonotti XII: “Piff! paff!” parte prima. Didur e Mardones

Adamo Didur (1906)

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Il “Piff! paff!”, la pagina più famosa del titolo affidata a Marcello, ad onta del giudizio che si tratti di un brano triviale, è stata un brano molto amato dai bassi. Il motivo è banale, ma evidente il passo che va dal mi acuto al fa grave consente di mettere in rilievo le doti vocali del cantante, quelle dell’interprete devono emergere al grande duetto con Valentina ed al finale dove il buon servitore e maestro nella fede di Raoul diviene ministro del culto e guida al martirio per i due sposi. La scrittura rispecchia quelle che erano le doti di Levasseur ovvero grande estensione della voce in basso ed in alto (pensiamo anche ai salti della valse infernale del Roberto il diavolo) e la facilità di eseguire i salti. Una cosa è certa il primo Marcello doveva essere un cantante dall’intonazione sicurissima perché i salti spesso comportano problemi di intonazione.
Aggiungiamo anche un altro particolare: tradizionalmente a Marcello si richiede voce scura e di autentico basso per distinguerlo da Saint Bris che è un basso baritono e ciononostante il basso profondo è chiamato a salire agli acuti estremi. Non è solo il tenore il personaggio vocalmente arduo degli Ugonotti, ma anche il fedele servo del protagonista.
L’esecuzione che offrono Didur e Mardones è esemplare sotto il profilo vocale e forse per Mardones si può parlare di esecuzione eccezionale perché alla voce di autentico basso profondo si aggiungono acuti facili e squillanti dal colore e della forza baritonale. Sotto questo profilo Didur colto nel momento aureo della sua carriera non è da meno.
Che si trattasse di un cantante dotatissimo in alto lo abbiamo già dimostrato più volte (aggiungo che l’esecuzione più impressionante del cantante polacco è l’aria Scintille diamant, dove esegue persino un trillo sul sol acuto, trilli che qui, invece, omette) e forse per varietà di accento e libertà di dinamica supera Mardones, sempre compreso del suo straordinario mezzo vocale. A prescindere dalle prodezze vocali di entrambi e delle peculiarità di ciascuno due aspetti vanno sottolineati: nessuno dei due emette suoni tubati od ingolati di cui i bassi degli ultimi sessant’anni abusano, le voci sono morbide e timbrate anche nelle prime battute dal chiaro sapore caricaturale, ma sopratutto quando arriva la frase acuta e per giunta con l’indicazione di fortissimo “che piangan che moran, ma grazia giammai”, che poi viene ripetuta alla sedicesima, la tessitura è sostenuta con grande facilità come pure la salita al sol irrisoria da Mardones, che dalla sua parte ha anche una dizione scolpita.

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